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Patrizio Marozzi

 

Il paradiso e l’eternità - racconti - Vol. 1

venerdì 12 settembre 2008

 

La matta

 

Trallallero trallalla. Bello di mamma aspettami qui, che poi ti accompagno al pullman. Trallallero trallalla. Ciao Sam, guarda che bel martello te lo do in testa, emmem, aspetta che mondo a cavalcioni sul letto, “è questa la posizione?” E bum E Bum, che bel colore, che begli schizzi che bello il nuovo colore della camera. Oh Sam che bel cervelletto: Oh mi sono sporcata tutto il pigiama, va bene adesso me lo levo e lo poso sul letto. Andiamo al pullman. Trallallero trallalà. Appena torno a casa chiamo qualcuno. Trallallero trallalla.

Questa storia è completamente inventata, ogni riferimento e similitudine è corpo della fantasia della storia scritta.

 


 

 

 

 

Il sunto della conferenza di catastrofica.

 

Racconto in forma di riassunto

Voi mi direte ma che ci sei andato a fare?

Non è questo il punto.

In sostanza il conferenziere stava lustrando la metodologia per sapere quale fosse il reale significato – in definitiva io dico di una chiacchiera. E qui è bene anche ricordare che in definitiva il calunniatore non solo è vittima della sua calunnia, ma il suo, il suo essere siffatto è causa stessa della sua pazzia.

Ma tornando alla conferenza l’assunto principale su cui verteva la discussione della conferenza era che in definitiva il soggetto che doveva essere interpretato, lo si doveva in qualche modo indagare ed ispezionare sulla causa presunta che aveva generato il suo pensiero e in tal atto l’effetto associativo a cui dava significato in ambito di relazione, come a dire che cosa pensasse in termini elaborativi delle cause che lui vedeva ed immaginava come relativi il motivo del suo parlare. La base scientifica del conferenziere di tale assunto consisteva nell’elaborare un comportamento che per tale assunto sviluppasse e portasse l’interrogato, ad esaminare la sua espressione. La verifica di questo verteva in questo del tutto all’insaputa dell’interrogante. Si imitano i suoi gesti poi le stesse forma di dialogo, come dei pappagalli, avete in mente disse il conferenziere. A questo punto è possibile stabilire una relazione tra gruppi di persone per comportamenti associati una modalità nei confronti del soggetto coinvolto. Ora si può immaginare una fase successiva. Quella in cui delle persone imitano altre persone in comportamenti per indurre l’interrogante all’associazione del pensiero.

A questo punto un tizio si alza nella sala e chiede al conferenziere: Ma scusi in questo modo più che indurre in associazioni il “coinvolto”, a sua insaputa, non c’è in fondo una compulsione associativa nei partecipanti l’associazione, fino ad un’espressione delirante collettiva. In definitiva non sono tutti coinvolti in una schizoide interpretazione della realtà associativa interpretativa, mentre il soggetto coinvolto al massimo s’interroga su se stesso e vede nel disagio che percepisce un suo malessere. Mentre al contrario i partecipanti l’associazione vanno verso una forma di delirio che li rende inconsapevoli della loro, possiamo dire follia associativa? Ed non è possibile che una persona consapevole di ciò, di questo tipo di comportamenti associati pensi di vivere in un mondo di deliranti pazzoidi, invece di credere in associazioni a delinquere incapaci d’intendere e di volere?

Ogni riferimento alla realtà è casuale

 


 

 

 

 

Voci di strada

 

Bene una sera un tale incontra o meglio sta seduto con due tizie, donne, bo fate un po’ voi. Sapete di quelle che non si sa bene cosa vogliono, ed una fa a costui: “Tu mi hai fatto la fattura.” Io nell’ascoltare ciò lì per lì, non capii subito il senso di quel che diceva la tizia. Be’ il tale sta lì un attimo e gli risponde: “Perché?” e lei niente, non risponde. Allora lui gli chiede ancora perché? e lei niente. Fatto sta che il tale capendo il tipo di fattura che intendeva lei, voglio dire di genere superstizione, ma non di quale superstizione, possiamo dire. Invece di dire che non sapeva a quale sciocchezza si riferisse, gli chiese indirettamente, per cosa e perché pensasse quella cosa. Ora mi sembrò che la questione fosse finita in quel modo, dato che la tizia non aveva voluto rispondergli. Ma questo fatto del caso dava azione all’assurda elaborazione di un’altra donna, seduta ad un tavolo vicino il loro: in questa donna si suscitò uno strano convincimento, che addirittura alterò incattivendolo il sentimento che nutriva per quel tale, in modo per giunta del tutto personale e nascosto a lui, non vi era né relazione e conoscenza tra loro. Diciamolo spesso questo mondo è un mondo di fanatici fissati che vivono interessandosi dei fatti degli altri, senza neanche sapere cosa, presunzione!? Allora come dicevo quest’altra tizia nel suo convincimento stabili che prima: il tale era un superstizioso e secondo dopo che si era “fatto” lei, dopo, le aveva anche fatto pagare l’iva. Ciò perché nella sua testa era gelosa del fatto che almeno l’altra parlava con lui. Ma immaginate che giro di chiacchiere e calunnie per il tale, così malcapitato in una situazione, di cui era del tutto estraneo. I due dopo avere ascoltato dissero, quasi insieme. “E non è solo questo c’è anche di peggio, ci sono persone che fanno del male nella più assoluta indifferenza, e c’è un solo motivo perché ciò accade ed è che costoro sono soltanto dei moralisti.” E uno dei due dopo aver detto con l’altro ciò si infervorò e disse con impeto: “E allora il mondo dell’intrattenimento che assorbe e riempie di fini economici ogni contenuto e assorbe così la cultura e lo spettacolo, per lo più diventato un qualunquismo finto variegato da introiti economici, diciamolo, grazie all’ignoranza e incompetenza e superficialità, questa in primo, dei fruitori. Sentendo ciò quello che aveva narrato la storia della calunnia, rispose: “Ma non è conveniente dire queste cose, dare importanza alla competizione tra soldi e arte.” E già risposerò gli altri due: “Non vorrai mica dire che il problema è l’affatturazione. Miserabili tutti! Manigoldi economici autoreferenziali incapaci di essere, non c’è verità solo balle tanto grosse da sembrare vere!” Inveirono tutti.

 

 


 

 

 

Un incontro, un giorno

 

Due tizi s’incontrano, uno dice all’altro: La sai quella del soliloquio della donna con se stessa pronunciato da un uomo. Bene, l’indiziato per tizio della tizia dice a se stesso, parlando con se stessa e rivolgendosi ad entrambi.

 

I rapporti umani sono materiali e con ciò poco amabili. Ma quantunque nell’amore sono materiali perché resi economici?! Se io ti chiedessi di fare all’amore tu avresti delle obbiezioni, e da cosa deriverebbero, per lo più da significati dubbi sul reale affetto delle mie parole. Ma tu ti chiedi s’è vera la mia dialettica da ciò che io dico, bada dico di essere in riferimento non del tuo gusto che so materiale ma dall’appagamento materiale del mio diciamo carattere economico – ecco che le mie parole si troverebbero così su qualcosa di materialmente scambiabile, quasi con un prezzo. Ma se io ti dicessi a tal proposito che il mio dare è del tutto immateriale, fatto di parole pensieri, sentimenti, atti di affetto privi del possederti come oggetto, per questo troveresti delle obbiezioni!? Il mondo dell’immaterialità se di gran lunga è divino e spirituale è intriso anche della materia, il mio pensiero, l’intelligenza o anche una carezza può essere dono, quasi come l’aria che respiri e questo per certo senso è quasi come l’immaterialità della materia per atto umano della coscienza dell’individuo verso l’altro. Ora tu non trovi obbiezioni ma taci, non per silenzio, ma perché non trovi utile l’essere stesso. Se un’artista può essere libero dalla materialità degli oggetti e perciò cerca di stare nella materia come spirituale che vede e cerca il senso del proprio respiro, diciamo, liberandolo dal senso interrogativo della materia, lo è non per utilità, ma per verità in ambito immateriale presente nel mondo e libera la coscienza nella relazione con il mondo, ma nell’atto concreto anche la persona. E quel ch’è più la persona con la persona. Io e te possiamo essere in noi ed essere solo io e te, ma in sostanza non vuoi neanche parlare.

 

Continua non si sa dove: ma prima di riuscire a parlare ci sono un sacco di argomenti preconfezionati.

 

 

 


 

 

Il caos è fuori – storia di un pensiero romantico in adolescente.

 

Era un giorno. E basta. Tutto quel che mi accadeva era in fondo qualcosa che per tutti doveva essere scontato. Facevo una vita mia nonostante gli obblighi sociali. Sì obblighi perché di questo si parla quando ancora non si è strumentalizzati e si crede o forse è più onesto dire la verità poi l’onestà acquista, termine giusto, altri connotati come la coscienza che così finisce per anestetizzarsi. Non potiamo la mia amica continuava a dire e non era ignoranza ma un lapsus strano della logica dominante. Siamo indietro o siamo avanti rispetto a chi si fa una vita propria, non un rapporto di contiguità con le conseguenze ma una vita che cerca nei valori la libertà come espressione personale e capace di darsi e non soltanto di vendersi. È un porco mondo è brutto ammazzare il mondo anche con una parola, ma non si riesce più a parlare a pensare è un mondo che rappresenta solo un fare monetario in cui le persone la vita stessa sembra diafana per la verità per il resto delle cose che non sanno che . che non sanno . le cose non sanno. E io non riesco a dire a parlare, perché faccio questo, perché dico questo quanto costa che potere ha. No! Basta non posso più pensare ai concetti degli oggetti. I miei pensieri sono liberi immateriali come i miei pensieri. Non voglio sapere perché fai questo vorrei dire a qualcuno prima che pronunci una causa e un effetto sullo stabilizzare la mia vita in conseguenza del mio esser comprato. Ho diciassette anni e non capisco esattamente il mio rappresentarmi dentro uno schema che non mi è proprio che cerco di fare mio soltanto per dire: non è giusto. Io sono me stesso non una minoranza non una maggioranza non un pensiero astratto dentro la moda. Vorrei sempre sapere questo vorrei sempre capire come fare questo. Questo. Ma io non altro che il significato di un ciò e allora perché una parola come il sistema mi dice che appartengo a ciò. Ciò cos’è questa rappresentazione del sistema che mi piomba addosso su ciò che faccio sui miei gesti movimenti, delle mie labbra della mia bocca mani. Vorrei rispettare l’aria ma non capisco perché la devo respirare non dove mi sento ma in modo che deve essere un’altrove. La civiltà non è il potere non è il sistema ma la mia responsabilità di parlare ed anche il pensare che la vita è più di queste conseguenze - è più di ogni conseguenza dentro un funzionalismo astratto ch’è reale come può esserlo il suo non essere per essere in trasformazione con me che sono così, in questo, questo modo sempre più costretto a viverci dentro. Era un giorno ed era colmo di senso di scoperta e di libertà quella che non à bisogno di essere votata, che non da voti ma conoscenza quella che non obbliga ad essere un numero o un’agire. non ci sono spazi chiusi non ci sono contrapposizioni e chi ha pensiero non conosce l’insulsaggine che si arroga lo stesso la volontà di fare. È giorno e basta, basta! Per ora o per sempre.

 


 

 

Salomone fa un sorriso di serenità

 

Me ne andavo passeggiando con un libro in mano leggendo La sapienza in se stessa:

Annunzierò che cosa è la sapienza e come nacque,

non vi nasconderò i misteri,

ma dal principio della creazione ne seguirò le orme,

metterò in luce la sua conoscenza e non mi allontanerò dalla verità.

Non mi accompagnerò con la struggente invidia,
poiché essa non ha niente in comune con la Sapienza.
La moltitudine dei sapienti è la salvezza del mondo
E un re saggio è la prosperità del popolo.

Lasciatevi dunque istruire dalle mie parole e ne trarrete profitto.

Poi in verità mi imbattei in una donna peripatetica, di quelle giocose e piacenti che parlano e ti darebbero il cuore, che non sanno neanche loro perché così per caso sono lì per la strada a fare quel mestiere, una di quelle che vorrebbe esser sposata fare tanti figli e pensare alla casa, proprio come un bel personaggio dei film di Federico Fellini se non fosse che lei è vera. M’imbattei, perché mentre camminavo me la trovai dinnanzi mentre io ero immerso nelle parole di Salomone.

Poi sedetti qualche passo più in là e assistetti alla strabiliante discussione tra due cretini, in una mirabile quanto misteriosa intesa. La discussione verteva sul fatto di quale colore fosse il pensiero dell’uno rispetto all’altro, quale fosse in definitiva la materia di discussione e quale l’argomento perché il colore in se era solo lo strumento.

Disse il primo cretino al secondo: “Bianco!” rispose il secondo cretino al primo cretino: “Nero!” al ciò il primo cretino medito e rispose: “Nero!” al che il secondo cretino preso da un lampo di genio gli rispose: “Bianco!”

Questa discussione tra cretini non so quanto finì perché io dopo un po’ tornai a casa con il libro sotto il braccio, ma credo indubbiamente che da questo racconto di qualche anno fa, credo, che due cretini stiano ancora discutendo.

 


 

 

Il paradiso e l’eternità

 

Certe volte si dice che la vita è dura, di certo può avere e spesso ha degli aspetti di difficoltà, ma la capacità di essere giusti anche un po’ felici, o molto quando è possibile deve essere più che una possibilità – Questo è il titolo.

Un giorno un certo tizio si trovò alle porte del paradiso. Proprio un gran portone con sopra scritto: “Paradiso”. Giuntovi così, diciamo a piedi rimase, lì, dinnanzi al portone un po’ esterrefatto. Era proprio sul portone del paradiso ma nessuno veniva ad aprirgli. Trascorso un po’ di tempo senza che nulla in quella situazione mutasse, per cotanto decise di bussare. E con quanta forza poté alzò il grosso anello appeso al portone e fece per dare due colpi su di esso. Rimase ancora un paio di minuti in attesa, quando finalmente il portone si aprì. Vide subito la presenza di San Pietro, che guardandolo gli chiese: “Che desidera?” O bella rispose quel tizio: e aggiunse; “vi pare che son giunto fin qui per restarmene qui fuori?! Son qui per entrare in Paradiso. San Pietro lo guardò: Ma! Può darsi ma a me non è giunta né voce, né fatto di questo, disse, e aggiunse, e dato che vedo che fin qui siete giunto, mi par proprio di capire, che proprio di ciò si tratta, ve ne starete qui sulla soglia del paradiso davanti al suo portone!

Ma dunque rispose il tizio: “Come è possibile?” E che ragione è questa?

Allora San Pietro nel vedere in qual sorte costui era finito, e preso a considerare questa Anima gli chiese: “Ma ditemi sulla terra dove siete stato e che avete fatto?” Be’ che devo dirvi rispose il tizio: ho goduto e sono stato bene. Bene rispose San Pietro, ma in definitiva che vi è capitato di fare? Il tizio guardò San Pietro e rispose: “Tutto” tutto ciò che si doveva, tutte le cose che vengono da farsi nell’epoca in cui si vive. Aggiunse. San Pietro lo guardò e con somma pazienza aggiunse: “Proprio tutte.”

Il tizio: “Tutte le cose che per comune senso delle opportunità della vita erano ritenute come giuste, e realistiche.

San Pietro: “Ma dimmi un po’ come definiresti il successo delle tue cose, con quale termine paragoneresti la modalità con cui hai trascorso il tempo?”

Il tizio: “Be’ tutto sommato ho accettato tutto quello veniva dalle migliori opportunità, come appunto la migliore opportunità, e mi sono sempre ben intrattenuto nelle cose e le persone. Sì mi sono ben intrattenuto.” Disse il tizio pieno di soddisfazione.

San Pietro lo guardò un po’ e poi con un’espressione un po’ compiaciuta e di considerazione gli disse: “È proprio questa la questione, magari sarai stato alla moda, ma ti sei intrattenuto e basta. E vedi per questo devo chiudere il portone ma come vedi su di esso vi è scritto Paradiso, puoi intrattenerti a leggere ciò per l’eternità, leggere questa parola e chiederti che significa, la targa su cui è scritta mi sembra alla moda e tanto basta per la tua comprensione, non devi neanche riflettere troppo.” Detto ciò San Pietro chiuse il portone.

Passò molto tempo e il tizio rimase intrattenuto in ciò. Poi un giorno pensò ricordando un fatto che gli era accaduto quando si era intrattenuto sulla terra.

Un giorno scoperto per caso un libro di un autore, ritenuto particolare, perché richiedeva più attenzione del solito intrattenersi con le cose e le persone, decise per questo motivo che non valesse la pena conoscere quel libro, che in più non parlava delle cose di cui tutti parlavano. Non sapeva nulla di quel libro né quanto sarebbe stato importante, ma il suo intrattenersi non gli dava tempo - ora - se non per le cose che apparivano più consone.

Ora riflettuto su ciò, dopo avere guardato, per l’ancora, la parola scritta sul portone: Paradiso; attese quasi un istante, ma non seppe neanche di non pensare, tanto naturale fu il gesto che: “Aprì il grande portone ed entrò in Paradiso.

 

 


 

 

Il Lonzone post moderno (che bel faceto)

 

Gentilissimo e Meraviglioso Dante Alighieri.

Mi Sovvento a scriverle riguardo al tema ben noto della Lonza. Come lei sa l’essere chiamato lonzone, non è di certo sempre gaio. Ed è con cotanto termina che la gente si appella quando si saluta, anche occasionalmente. Saluto faceto? Di fatti forse, Dante, ora con il nome lonza viene chiamato nelle varie regioni italiane: lombata delle bestie macellate nell’Italia settentrionale, tale filetto o arista. In Toscana è la guancia e la coda del bue, come spezzatino e nell’Italia centrale salume legato a corda di lombata di maiale. Ciò pressappoco dal dizionario Gabrielli.

Ora Gentile Dante Alighieri la tua Lonza par essere un animale felino non ben determinato – e qui casca l’asino come dice Totò. Di fatti! Perché con il termine Lonza si vuol dare del fetendone, ed anche a me medesimo. Sembra dall’enciclopedia Wikipedia, dico Wikipedia, che la tal bestia da lei denominata Lonza, altro non sia che un marozi: felino dalle sembianze tra il leone e il leopardo. Che sembra sia, dico sia, esistito per una certa epoca e da taluni visto. Ora da tale simbologia da cotanto animale si è portato innanzi fino al leone tutta la stemmografia arladica, e in Inghilterra non le dico cesarei post. E qui casca il bis asino come dice Totò. Perché Marozi è anche il nome di una casata statesi dico statesi presso il Lazio. Ora se sia stato il signore della casata ad impossessarsi per primo del simbolo , o se esso abbia dato il nome all’animale. Con Totò: Ma! Bo! Chissà!

E già mio caro Dante Alighieri incominci a capire perché dalla Lonza si può arrivare al fetendone. Con quel po’ che ne rappresenti tu nella Divina Commedia, dico Divina e poi Commedia. Be’ diciamo che tra poeti ci si intende al di là del potere e dei fetendoni. E allora, forse per fuggire dalla Lonza in cavaliere il nome di trasformò in Marozzi, dimmi Dante mi par giusto il tuo parere è ancora importante parlar per esso di Lonza!

Ti Saluto. Ciao Lonzone, che l’umanità si redima con la Divina Commedia.

 


 

 

 

Buon Natale


Disse una persona ad un’altra.

- Spesso si dice: chi trova un amico trova un tesoro.

- Già rispose l’altra, ma nel dirmi questo mi sono venuti in mente i cavatori d’oro ritratti in una foto di Salgato.

Che strana amicizia quella tra le persone e la materia. Come in quella foto, tranne per quell’unico ragazzo che smette di lavorare appoggiandosi ad un palo; mi sembra di vedere questa grande amicizia tra i ceti e le persone tramite la materia che più di ogni altra dà l’illusione della ricchezza e del potere e rende utile questa uguaglianza tra ricchi e poveri.

- Già disse l’altro, mi vuoi dire che l’immaterialità dell’amicizia è per lo più per predoni infingardi che cercano di spolpare il senso e il valore di essa per quasi depredarlo e vantarsi di aver trovato un tesoro, che ora gli è proprio.?

- Ma se c’è un valore nell’amicizia non è di certo nella convenienza sociale, nella determinazione di una status o ambiente, né nel fatto di trovare similitudini tramite questo; convenienza tra i popoli e le persone, una sincerità che in fondo cerca un’adattabilità, spesso solo sulla convenienza economica, più che del vero e par il caso ancora di parlare di sincerità, di potersi esprimere per conoscere ed amare?

- Ma chi è il depredato del tesoro dei suoi valori, con l’inganno, la conveniente stoltezza, la debolezza della calunnia e della furberia, dell’atteggiamento competitivo, del sentimento dell’appartenenza più che la libertà di dare. A maggior ragione quando si riceve chi non si apre e cerca l’egoismo dell’ignoranza; e come nella foto il significato dell’amicizia viene distolto dalla costruzione di falsi valori, che poco hanno a che fare con la grandezza della sincerità dell’amicizia. L’illusione e false immagini più o meno sociali con cui ci rapportiamo e mediamo nel dire amicizia.

- Mi viene in mente quel passo del vangelo di Giovanni: “La cena di Betania, l’amicizia di Gesù per Lazzaro, che placa nell’immediata sua presenza la stasi del peccato, la carità di Maria, l’infingardo possedere di Giuda Iscariota, come ce lo mostra Giovanni, e i pontefici del potere come transeunte tra e degli dei di Roma e i suoi ordinamenti sociali e i sommi sacerdoti.

- Di comunque mi par di capire che l’amicizia è più unica che rara, speriamo per lo meno in un po’ di convivialità sincera.

- Andiamo con la tua auto o la mia.


 

 

 

 

dicè

 

Devo essere sincero mi disse oramai il manierismo e le metodiche hanno invaso quasi tutta la letteratura. Mi capita di sapere cosa c'è scritto in un libro e come nel breve spazio di qualche minuto, vado ai punti giusti e leggo quel che mi aspetto. Mi compiaccio, no! decisamente no. Spesso addirittura ho l'impressione di trovarmi di fronte autori pluri ricchi di soldi (ma dove) che sono dei puri dilettanti, ma che ne hanno perso l'autenticità. e gli emulatori, saranno fortunati altri lettori, diciamo. Il linguaggio, così detto, sembra far gioco per convergenze più o meno pubblicitarie. Trovo ancora qualche libro mi disse, ma non te lo dico, mi invidieresti (va là). Insomma solo veri autori, quelli che quando scrivono stupiscono se stessi e il loro "incredibile" mondo di verità. Certo sono oneste tutte queste letterature, ma allora si andasse a mangiare una pizza, buona! Comunque a questo porta questa strana penuria, mi disse. A capire tutto quel che concorre alla persuasione di un libro, certo ci sono momenti diversi di lettura, perché è tanto che si scrive, ma poi lo scrittore che stupisce se stesso quando scrive ha sempre il sopravvento sulle mie letture. Comunque Buona lettura, ma non lasciare che certa letteratura passi e tu non te ne sei accorto, solo perché cerchi qualcosa d'altro dal libro, che magari ti appare più facilmente. buona lettura con un sorriso. E non dirmi che ti ho rovinato il gusto.

 


 

 

 

“Certe intenzioni di comunicazione nelle persone che ti parlano”

 

Un giorno di quei svariati giorni, mi trovai ad incontrare una persona, che osservai e che viveva in un posto.

La mia osservazione era basata per lo più sulle mosse che effettuava sulla scacchiera. Una scacchiera particolare, composta solo di pezzi neri. La scacchiera era posta davanti ad uno specchio essa vi era riflessa con i suoi pezzi neri come fosse un altro lato di se stessa, e come è ovvio l’aggiunta della scacchiera nello specchio era come un’altra parte di se stessa. In realtà quel che vedevo erano due scacchiere, una di fronte all’altra con un unico giocatore.

Le mosse dei pezzi sulle scacchiere avvenivano contemporaneamente e nel medesimo modo, se non solo per la variante del movimento da sinistra a destra, da destra a sinistra. Questo evento che apparentemente sembra impossibile, non lo è nell’ipotesi illusoria di un altro giocatore “invisibile”. Di fatti per tale ipotesi si può verificare che le partite sono due e non un multiplo di una come si potrebbe in un primo momento pensare, e pertanto ci sono, per ipotesi, altri tre giocatori, che compiono tutti insieme la stessa mossa sulla scacchiera. Ed è per questo che di fatto vi è un’unica mossa ed un unico giocatore, non vi sono coincidenze ma solo un pensiero.

L’atto che osservavo del giocatore contemplava un’ipotesi di strategia nella partita!? ma di fatto essa è pura emozione e deduzione che la situazione stessa del movimento del pezzo toglie come possibile ipotesi, nello medesimo istante in cui il pezzo si posa sulla scacchiera. Osservando il giocatore ho capito che in definitiva il movimento dei pezzi può essere di qualsiasi soluzione per la persona che muove sulla scacchiera. Solo un atto un pensiero che cerca di rilassarsi della persona. La visione estetica dell’insieme non ambisce poi a molto, se non la bellezza dei pezzi che si muovono sulla scacchiera, ciò però è opinabile perché c’è anche la persona nel suo essere. La persona che muove i pezzi ogni tanto lascia, smette, questo strano gioco, “partita”anche per un giorno intero. Poi un giorno disse: “Non c’è soluzione.” E senza aggiungere altra spiegazione smise.

 


 

 

 

Il racconto di un sorriso e una carezza.

 

Mia Cara il silenzio è solo un attributo, il tuo sorriso mi ricorda il mio, eppure sembra che le cose vicine quelle che nei ricordi si condividono, sono in un’ipotesi. La verità è ancora più grossa in questi casi il desiderio di una carezza è più sincero della sincerità che si può immaginare – e pure l’ascolto sembra dirsi senza enfasi. Ci sono cose che sono allontanate dall’essere molto vicine, eppure ciò è una cosa vera, la forma spesso non lo è, e le cose che si vivono modellano la consapevolezza anche nel suo smarrimento. Bada non parlo dello smarrimento dell’accettazione dell’impossibile capire ch’è già tanto, ma dello smarrimento che distrugge la forma esteriore, quella del consenso e della facile accettazione, quella che ci fa sentire solo appagati dove ci si riconosce per dirci qualcosa di piacevole per essere nel tutti insieme qualcosa, appunto qualcosa che ha un’immagine e spesso questo è consolatorio, ma in questo, tu sai c’è il rischio di ferire la verità nelle persone che non stanno in rapporto all’apparire, ma che interiormente sentono che c’è un rapporto con la verità, con Dio, che esiste, sì che esiste. Per dare enfasi a questo concetto si potrebbe dire che sconfigge e vince, ma è appunto questo che non basta alla verità. I percorsi possono essere, forse solo sembrare diversi, nel rapporto del fare con l’intelligenza, che non si limita ma che sa con la persona, ch’è impotente anche dinanzi al proprio mistero, che sa di un aiuto misterioso. E questo concetto è troppo poco. Ma la coscienza e un po’ se non tutto il sentimento sono vicini, molto, e qui l’intelligenza per capire la verità può tornare in aiuto, ma deve essere un abbandono, un silenzio e finalmente poter dare una dolce carezza.

 

 


 

 

Lettera ad una parola.

 

Tutto il contesto di quel che mi sembra si debba dire e che ti dico, è nel fatto che la grande crisi, come le più grandi crisi dell’ultimo secolo sul piano sociale, è nel ripetersi tra la percezione dell’immagine e il tempo dell’oralità, come sempre è avvenuto il mondo siffatto, con ciò per il determinamento di quel che si debba pensare e dire, un controllo stesso sulla parola scritta?. In definitiva ciò è stato di molto evidente negli ultimi regimi sociali, sul piano del mondo ideale, dialettico e di razza, e spirituale. Fino al rogo dei libri, pur determinandosi l’esistenza di libri come il Mein Kampf, giustamente la letteratura in sé non fa male, ma la sua elaborazione con altre espressioni amplifica, la crisi delle altre espressioni. Da tali situazioni per citazione sono nati libri come 1984 di George Orwell, o pure l’opera di fantasia di Tolkien. Di fatti in epoca recente su tali basi di conflitto c’è stato un’evidente cambiamento, la registrazione dell’immagine e la rapidità del tempo orale come registrazione non dell’esperienza e trasmissibilità, ma come istinto immediato per l’interpretazione dello stimolo, l’esperienza sostituita dal tempo dell’informazione. Quasi che in questo contesto di questa oralità, il pronunciare una citazione determini il sapere stesso rispetto a chi sa, e in questo riduzionismo una supremazia interpretativa e di controllo, non è un caso che si assiste non ad ipotesi di analisi ma a giudizi per lo più superficiali e spesso calunniosi dell’esperienza altrui, e spesso con atteggiamenti di vanità, senza nessuna capacità di ascolto, non solo dell’altro ma anche proprio, e per determinarsi in una scala di consenso tra la percezione dell’immagine e il tempo orale. Per citare, se quarto potere immetteva i concetti dell’informazione nel tempo orale, come esperienza determinate della percezione orale. Di gran lunga quinto potere è il film che ha evidenziato la crisi di senso tra le immagini e il tempo orale, nell’epoca della registrazione. Tutto ciò è evidente assomiglia a qualcosa di molto primitivo, sul piano dell’intelligenza della comunicazione, che grazie al processo creativo e della lingua di Dante, in ambito di letteratura è da tempo su un altro piano, ben oltre Scecspir. Anche se il piano teatrale ha di fatti una realtà espressiva cospicua nel linguaggio letterario, nel concetto stesso ch’è in atto nella crisi tra l’immagine e il tempo orale. In definitiva siamo sul piano filosofico sviscerato dal libro di Ende, la storia infinita. Ma di fatti va detto che sul piano tragico il mondo siffatto per lo più è formato da adepti professionali o in società civili, che determinano sano un propagarsi dei comportamenti per lo più psicotico maniacale, con le stesse tecniche conclamate del tempo della percezione dell’immagine e conflitto orale.

Ora del resto determinare la trasmissibilità del tempo orale nell’ambito scolastico, dove non è in essere il processo di conoscenza, o di approfondimento sapienziale, proprio del tempo dell’individuo, ma una decodifica mnemonica dell’esperienza tramandata, per i criteri più o meno riproducibili della professione economica, è spesso altro rispetto all’evoluzione letteraria propria della creatività. Ed entra per esempio, per crisi massificandosi, in quel processo sterile che può trasformare, il tempo dell’immagine, nel conflitto orale, come auto enunciatore del sistema siffatto senza capacità critica, spesso, dell’individuo, sapienziale che sa interagire alla pari, meglio insieme agli altri individuo del mondo. In effetti questa non è una realtà e, ci vuole sana libertà, esclusiva della scuola, ma della cultura sociale della predominate formale. Quello che succede al cinema e alla televisione, dato che spesso, anche, in un’ipotesi di analisi per mezzo dei linguaggi, più propri all’espressione del pensiero, rimangono in definitiva espressione del tempo dell’immagine e dell’oralità tecnicizzata. E Senza consapevolezza o analisi, si classificano e si appagano. “si cerca autore”?

 

 

 


 

 

Da un taccuino auto costruito, in fogli colorati sul giallo, a4, piegati e griffati, con per copertina un cartoncino nero.

Appunti per un incipit


Il treno è giunto puntuale, non molto affollato.

Ho spedito la lettera scritta nella notte. Sono seduto sui gradini delle scale della stazione. Osservo una ragazza che sta scrivendo - una scrittura regolare, sequenziale. Ha un bel nasino e dei bellissimi occhi. Scrive con chiara lealtà, forse troppa. Vedo una donna che ho già visto, passarmi davanti. La ragazza continua a scrivere, piccolo e regolare, con il margina esterno interrotto, non completato. Introversa!?

 


 

 

 

Chi si accontenta gode. Una giornata con un viaggio all’idrogeno.

 

I treni viaggiavano vuoti anche i pullman proprio come ora, ma questa è un’altra epoca proprio di fantascienza.

Quel giorno proprio per questo, decisi di andare a Milano, ma dato che non avevo spicci 30 centesimi di euro per il pullman (e questa cosa proprio non c’entra niente nel discorso, neanche il fatto che Milano si trovi in Italia) E allora dopo avere spento in casa l’ultimo generatore ad idrogeno, di cui vado veramente fiero, quello a lamelle, celle, veramente poco costose. Dal meraviglioso stabilizzatore di corrente, che toglie ogni distorsione all’onda naturale della corrente elettrica e mi fa sentire la musica dello stereo in maniera meravigliosa; ed ogni elettrodomestico ne gode. Insomma non prendo la macchina, non perché i costi sono superiori al treno di ben cinque euro. Ma perché giustamente il limite di velocità è di 115 km orari ed oggi ho un po’ di fretta. Allora vado a piedi alla stazione, pago il biglietto al bigliettaio: 9,50 euro, salgo sul treno a monorotaia in sospensione magnetica, ed in un ora e 30 minuti sono a Milano. (problema dato che nell’andare alla stazione il viaggiatore si è fermato, per allacciarsi le scarpe, e data la distanza che intercorre tra la partenza e l’arrivo, in assenza di vibrazioni e di rumori eccessivi, senza l’eventualità di un deragliamento, quanto è lunga la monorotaia che percorre il treno, anche a medie di 400 km orari?)

E dato che tutto questo già esiste non è fantascientifico che l’unica persona incontrata era il bigliettaio, in questo mondo di oggetti dove sono finite le persone!?.

 


 

 

 

Cadono le foglie

 

Filosofia angolosa dello sguardo sul pelo


Tutto cominciò per caso.

È così che una donna, ben fatta e formata si trovava in terrazza con solo indosso, un abito leggero. E tanto che fantasticava che si sentiva eccitata, e tanto si senti e sola che era in terrazzo che posò la sua mano sopra il suo sesso che accarezzò con il tessuto del vestito, che ben presto si accinse a tirarsi su”. Su questo fatto accadde, ..e un pelo del suo pube volò via e e incominciò a galleggiare nell’aria, a seguire il vento. E dopo un po’ successe che il pelo finì in faccia ad un uomo, proprio tra le labbra. L’uomo si toccò con la mano e prese quel pelo, fece per gettare via la cosa che le aveva dato la sensazione alle labbra, ma vide che aveva tra le dita un pelo – ché pensò subito fosse quello di una donna – E pensò alla vicinanza delle sue labbra al sesso di una donna.

(Se l’uomo fosse stato sposato, e il pelo fosse finito sugli indumenti (che portava) dell’uomo, e tornato a casa fosse stato notato dalla moglie (voglio dire il pelo non l’uomo), questa sarebbe stata un’altra storia). Per l’appunto.)

L’uomo faceva parte di un’associazione che aveva per fine la scoperta intima, degli oggetti, delle persone famose. E quando raccontò il fatto a quelli dell’associazione, si aprì subito una vertenza (sulla questione) per stabilire il fatto. Uno degli adepti disse di riconoscere il pelo, come quello di un’attrice che aveva fatto da poco un film e un calendario dove si vedeva chiaramente il suo sesso, ma certo la liberazione del pelo dal suo sesso, non è detto, disse e concordarono fosse dovuto a queste circostanze. Una dell’associazione nel guardare il pelo disse che era rosso. L’uomo che lo aveva avuto in bocca, disse che anche rosso sarebbe stato bello, ma era castano (ma il pelo era di colore castano). Un altro disse che era nero e un altro biondo e si aprirono per un po’ i vari argomenti della discussione, ma il pelo rimaneva del suo colore, anche se gli altri continuavano nel loro convincimento. (Si affacciò un giovane lettore sull’uscio della sede dell’associazione e disse: “Tingetelo”. Poi ci fu un tizio che tutto da solo. Trovandosi quel giorno lì per caso, ma non facendo parte di nessuna associazione, disse che molto probabilmente il pelo era volato via dal sesso, forse esposto al vento, di una persona, ma (questo) non convinse quelli dell’associazione, che per numero associativo continuarono nel loro convincimento. Il tizio solo se ne andò, perché non aveva a che fare con quella storia dell’associazione.

Tutto questo avveniva su una zattera non più grossa di un capello che navigava su un grande fiume dove questi eventi scorrevano con la corrente.

Dopo la discussione quelli dell’associazione, fecero la solita discussione, quella per intenderci che riguardava il proprio ombelico e quello che ci girava intorno. Così tutti si arrogavano a giudizio sulla verità tutta nel fare del proprio ombelico l’unica cosa importante nei confronti della verità stessa.

 


 

 

 

Panoramica e la storia con Pat che tule e Pa che te cule, guardie dell’impero di Roma.

Pat che tule Pa che te tule, finalmente canticchiava il soldato di posto, di guardia guardando il mare dalla collina. Prima di quel giorno tempesta e vulcani e i mari che scoprivano e ricoprivano la terra. E si viveva ancora dandosi del tu – come testimonia l’insediamento Truentum. Dato che c’era sempre gente che rompeva un po’ e ci stavano i finnici, gli ariani e gli dellà del mare, e poi i saraceni, e ci son stati i longobardi e i papi e i francesi, tutti italiani. Be’ Pat che tule disse a Pa che te cule, un giorno, visto uno che veniva dal mare, gli dico: tu entrum, e quello gli rispose: Io passe pé lu fiume, e dopo il fiume prese il nome di Tronto; quando già il paese era diventato Porto D’Ascoli, ma il porto non c’era più né le flotte da ben più di mille anni, ben più; in un borgo di pescatori, un po’ più su nell’Italia, un certo condottiero che non voleva obbedire ai dittici, andò sul fiume e vi incontrò, Martin che sicuro a Benedetto disse: non te buttà sul fiume che ci stanno i mulinelli, e da questo detto da Martino, verso sud dillà del Tronto e in parte tu entrum e Truentum, si chiamò Martinsicuro. E Benedetto che si tuffò nel fiume e vi annego, diete la storia per il nome al San Benedetto del Tronto, (sentendosi da borgo ora nord Italia).

Ora tutto questo che dopo avvenne, perché un po’ più su sulle montagne, prima che ci fossero le commari, c’era la Sibilla Cumana che profetizzava sull’Italia e disse questo a Pat che tule, e Pat che te cule. Poi un giorno anche, scoppio la guerra tra guelfi e ghibellini, e qui ci stettero i guelfi, proprio qui vicino; dicevano di essere i neri, ma qualcuno disse che ci erano già stati i mori. Ora successe che il monte dell’Ascensione, antichissimo vulcano, fosse stato disegnato con il profilo dell’uomo che dorme, e i guelfi dissero che era Dante Alighieri che dormiva, e i ghibellini gli risposero che dante era nu dormite. Passava il tempo e i secoli e un giorno un certo Renzo, incominciò ad andare sul monte, che sta vicino all’altro monte, Cretaccio, dove Pat che tule e Pat che te cule, fecero la guardia. Tutti i giorno Renzo andava sul monte si sedeva e pensava, e questo durò per molto tempo, finché non si seppe più nulla di Renzo né a cosa pensasse. Questa è la storia vera, ma successe anche che un certo Manzoni Alessandro stette di qui a guardare Dante Alighieri che dormiva e visti monte Cretaccio e monte “di” Renzo vicini, pensò alle tette di Beatrice, e disse di sapere a cosa pensasse Renzo: a Lucia! Scrisse i promessi sposi e disse di aver fondato la nazione italiana, o glielo dissero!?. Ora quando dal terrazzo di casa guardo tutto questo po po di Storia, con la torre dei guelfi li vicino, lì sotto la caserma, e monte Renzo, e via. Non stupisce che dopo che il mare si è alzato e abbassato, che le conchiglie sono finite nelle gallerie dell’autostrada. Io trovai trovassi anche il gas. In questa epoca moderna di magnetismi, succedono molte cose. Compiuter portatile che si accendono senza alimentazione, giochi che non funzionano qui e duecento metri più in là sì. Ma quel giorno in quel particolare momento, dentro un edificio in quel di San Benedetto del Tronto, io e un tizio discutevamo di arte ed io di Jung, quando all’improvviso, vedo, il mio interlocutore, lasciare la discussione animata e fuggire. Una scossa di terremoto del quinto grado mercalli. Con epicentro zona sentina, dove l’insediamento antico tu entrum, Truentum, ed ora riserva faunistica protetta e meraviglioso posto dove vado al mare. Quando tornò nella stanza, il mio interlocutore, un’altra persona che assisteva alla conferenza, eravamo in tre in tutto, si scusa”, con lui perché non immaginava che il suo peto fosse stato così avvertito. Così da zona mai epicentro, il paese diventò esercizio di sperimentazione, di scosse artificiali, di chi decise di far ricerche nel sottosuolo alla ricerca del petrolio, e trovarono il gas. Sotto monte Renzo.

Quanto Pat che tule finì di raccontare questa storia a Pat che te cule, mentre facevano la guardia sulla torre del monte Cretaccio: Pat che te cule, disse: Bella!

 

 


 

 

Pensieri fatti di parole - non appiccicatemi addosso la marmellata, ma invitatemi a mangiarla.

In ipotesi di una virgola, un’ipotesi di racconto.

I protagonisti sono un invenzione generica

Come in un film me ne stavo per i fatti miei, che tutto un tratto, mi trovo a dire e a parlare d’amore, è così tanto bello che continuo a parlare e dire cose sempre più belle, tanto che viene spontaneo anche un certo pensiero di sensualità, e in tutto questo pensare c’è anche una gran sincerità, c’è tanto atto e pensare che d’un tratto si balza a tanti altri pensieri, e si parla e ci si accarezza, insomma chi ci pensa più al film, e allora mi metto un po’ a giocare a scacchi, ma non ci si decide a fare la mossa successiva, ch’è già uno strano stallo, insomma gira che ti rigira proviamo a fantasticare, e tutto un tratto vengono fuori un mare di programmi, e bisogni per realizzare tali programmi, e non si sta più tanto a parlare, ma a conoscere che si pensa di certe cose che si è pensate, ma che non le si è pensate né fatte, come in un film, perché sono cose che stanno lì a dire quello che devi fare, quasi che tutto quel che appare sia poi quel che si è pensato, e allora viene di ricordarsi, anche ma in cosa si crede, e mi piace dare quel che penso o solo, o solo provare per vedere se mi viene, se si può avere, ma comunque va bene così, l’importante che la pellicola scorra, così con tutte le possibilità che fanno vedere il film, praticamente ora non si incontra più nessuno neanche per parlare, a domanda rispondi, spesso proprio come un prestampato dove devi fare le crocette, sul sì o no di un test pisco attitudinale, ma allora come chacchio parliamo ora, bisogna riuscire non più ad essere, ma a partecipare, i due credono nell’amore a tal punto che si vogliono sposare, o può darsi fare una comunione di beni, che la qual cosa non si capisce perché non possa essere fatta, anche se due persone appena si conoscono, ma non come una società, anche se la qual cosa per essere legiferante deve essere sottoscritta e firmata ed approvata, e può essere altro in altro modo, insomma questo è il modo della fattispecie degli oggetti comuni, be’ in fondo una cosa finisce per valere l’altra, ma che cosa c’entrano i diritti allora, c’è dice che i diritti sono la dimostrazione in ambito d’amore della dimostrazione della scelta in ambito giuridico, di un fattuale corrispondente, ma antitetico tali diritti, che tende a stabilire nuovi diritti in ambito della variabilità giuridica dell’atto d’amore, un gran chiacchierare filmico, peggio di un festival, ora non so se le due persone che parlano d’amore siamo ancora noi due, sta di fatto e in possibilità, che io opto per un matrimonio canonico, tutto il resto del rapporto ab torto stabilire come altro, ma sta di fatto che allora l’impegno e il dialogo è di già in una posizione realizzata, dato che l’unione spirituale, l’atto del nostro essere per parlare, fatto sta che la qual cosa sembra poco pratica e in disuso, dato che spesso gioco forza è d’uso stabilire la forza in egual portata e possibilità, tra il pensare o pesare e l’avere, quasi che la libertà sia qualcosa che mette paura, quasi si scegliesse senza voler parlare, e ciò rende instabile il ruolo e la parte recitata in un film, la trama può diventare ancora più incerta e problematica, e giù tutti a scriversi le sceneggiature e dire che bisogna legiferare per essere riconosciuti, perché dato il poco dialogo e dipendenza degli apparati della sceneggiatura legiferante, sembra che non ci si conosca più, e chi ti riconosce a questo punto se neanche noi ci riconosciamo, insomma non resta che leggere la trama e guardare senza toccare, e soprattutto senza neanche dire quale sia la parte che si conosce del proprio film. Comunque il cinema è un atto della visione.

 

 

L’Aquilone Agosto 2007 Sulla musica: Bolero Ravel. (notte silenziosa e soave)

L’Aquilone

L’Aquilone stende leggero
le sue mani
sul prato. Non si sorprende
del volo che torna
Non si sorprende
del vento che si spezza
e si alza
Torna in alto, tra sobbalzi e leggeri voli
Poi
si stende alto e leggero
ma non c’è nessun filo
a trattenerlo
Vola Vola
e ancora Vola
L’Aquilone

 

 


 

 

Certe opinioni del Signor T.

 

Egregio Signor Dio, la mia qui presente non è certo un rammarico ne un dispregio nei Suoi confronti, che andrebbe sempre amato ed elogiato. Ma una costatazione in merito ad alcune opinioni. Per esempio se comprendo l’amore e l’efficacia dell’amore verso il prossimo, ed ancor più il Suo invito a fare al più “piccolo”, come fosse in Sua presenza, ch’è indubbio misteriosamente è sempre certa, ma da conto ciò, il fatto che nell’altro io vedo sempre lei, e se nel senso più profondo ciò è vero; difatti spesso, in questo tempo ciò si riduce all’atteggiamento del peggio e del meglio della socialità in atto, sia essa espressione di un gruppo o dell’intera umanità. E dato per ipotesi che io non comprendo il senso profondo del senso del suo discorso: Dico ch’è raro che io possa essere grato. Per lo più la gente non crede, in questa consociazione, al libero darsi e incontrare, la conseguenza ha il predominio per assoggettamento nella convenienza del percepire e far percepire l’apparenza – Difatti la sincerità non è proprio un valore, essere sinceri con l’altro e con se stessi. Ma per avere potere è l’opposto a ciò – che si cerca di realizzare – l’altro deve fare e pensare, lo si giudica in ciò che vogliamo faccia, c’è una gara pretenziosa a chi sceglie o si fa scegliere, senza che questo comporti un vero e proprio conoscere di essere. La conseguenza sociale è ciò che pronuncia le parole. Non la sincerità che come valore sarebbe della persona. Questa è un’arroganza del negare l’intimità. E allora spesso ci si sente tutti dio quando ci si guarda perché è così che fa più comodo. Tra chi e con chi è più conveniente.

 


 

 

 

Una certa Amenità



Il conferenziere venne interrotto da una donna in sala, che gli fece questa domanda: “Ma quando un uomo desidera una donna?”

Il conferenziere a tal proposito, questionò a sua volta e disse: “Mi viene in mente una storia di cui sono venuto a conoscenza qualche giorno fa. Ad un uomo con non più di quarant’anni venne posta la stessa domanda, da una donna con cui aveva una relazione amorosa. (Diciamo che potrebbero essere anche coniugati). Da prima l’uomo la guardò, poi le disse, nella giornata di ieri, per ipotesi, quando era restato da solo, ogni tanto si era trovato eccitato – la donna gli domando cosa volesse dire – L’uomo rispose che aveva avuto il membro in erezione, ma per l’appunto senza nessuna donna vicina. Ed è proprio questa astrazione che ha reso possibile ciò nella sua specifica condizione mentale. “E poi?” chiese la donna incuriosita. Poi ho pensato ad altro, ho fatto altre cose: disse alla donna, [nella sala della conferenza si udì un leggero suono di risa.] voglio dire questo desiderio fantastico. Spesso mi capita di guardare delle donne, voglio intendere, dire, perfettamente sconosciute. Ma in me non c’è proprio desiderio – Certo sono sicuramente amabili nude e sensuali, ma voglio dire della grande bellezza dell’espressione del loro corpo femminile, quel che mi dà da riflettere è un fattore puramente estetico. E non posso dire di desiderarle. La qual cosa potrebbe cambiare se la relazione del pensiero si aprisse al dialogo, alla conoscenza e in questo in un rapporto nelle oneste e solinghe possibilità reciproche, del dialogo. Ora potrei incominciare a parlare di desiderio. In sostanza disse l’uomo alla donna, io ti desidero, anche e in quanto questo. [La donna in sala disse al conferenziere, che aveva compreso. Il conferenziere rimase in attesa di altre domande. Mentre la donna notò che su per giù il conferenziere aveva la stessa età dell’uomo della storia]. Ma quanto è bello, anche una carezza quando ci si vuol bene, che “l’altro” desiderio rimane appunto “Silenzioso”.

 


 

 

 

La Misura

 

Si ricordava di quando aveva fatto all’amore con una montagna, ma era inverno, pieno di neve e gelo. Ora aveva trovato il punto giusto della terra, aveva fatto il foro ci aveva infilato il pisello e fece all’amore con tutta la terra, che sentì agitarsi e scuotersi, sentì di abbracciarla tutta, ma poi non riuscì mai a sapere cosa ne nacque, ne dove.

 


 

 

Colorando letteratura di genere. Consiglio di lettura: per adulta/o



premessa

Dice l’autore che non ha mai praticato la letteratura di genere. Scrivere la letteratura di genere, non è nemmeno poi tanto creare, per questo queste poche pagine sembra le abbia scritte io Ralf Caustico, voglio dire non che non mi sono accorto di scriverle, ma l’imprescindibile decisione dell’autore di non pubblicare letteratura di genere, avrebbe determinato il cestinamento di queste poche pagine, da me scritte; che ho creato riassumendo varie interviste, o meglio quel che mi è parso “mancasse” in esse.

Diciamo che non sono di grande valore letterario per l’appunto perché rientrano nella letteratura di genere, di argomento epistolare erotico. Dove il tutto rimane nelle parole scritte che non hanno poi grandi sbocchi, se non in fondo la forza del loro limite, scandaloso e poco conveniente per un pubblico “puritano” che non accetta nella comunicazione l’espressione di una realtà tutt’altro che marginale: quella della comunicazione sessuale. Lo scritto un po’ frivolo e banale, cerca in questo variegato mondo un minimo di analisi del senso dell’espressione di certo comportamento sessuale e della letteratura di genere. Pertanto dato il limite di questa letteratura, esso per non creare scandalo in quei “pochi” minori che ancora non hanno dimensione teorica precostituita con gli argomenti trattati; dico appunto ch’è adatto ad un pubblico adulto. Penso anche a quel lettore “invisibile” (tanti) poco avvezzo alla letteratura, che incuriosito potrebbe sorprendersi.

P.S.
Del resto come si evince la cultura della “causa effetto”, spesso è nell’invenzione” tecnica di alcuni generi letterari. Pensiamo al genere giallo, particolarmente quello più metodico e “compiacente”; e spesso quando ciò è socializzato è anche espressione delle tendenze che la socialità può determinare nell’individuo. Nel caso di “Colorando letteratura di genere, non credo esprima frustrazione, per mancanza di possibile appagamento delle sensazioni percepite. Ma tradendo “un po’” come da me fatto il genere, spero ci sia riflessione.
Ralf Caustico


Colorando letteratura di genere

 

Cara, come sai sono tutti ossessionati dalle immagini sovrapposte intermediatizzate, plagiate e reciprocamente schiavizzate, neanche “parlano” più gli uni con gli altri se non si sovrappongono gli interessi e in questo le loro immagini, passano il tempo a costituirsi per intermediazione per socialità e sesso tramite video anche – di quali sentimenti possono parlare. E allora torniamo a noi ed ai nostri tenui abbracci. Quando ci vedremo la prossima volta ho voglia che tu ti sieda sulle mie gambe e mentre io ti abbraccio, bacio i seni, ti sento fare, scorrere la tua pipi sulla mia pelle. Non so forse sarebbe meglio farlo all’aperto sull’erba, non so, ci penseremo, e dopo che ci saremo abbracciati così ti bacerò tutta la passerina. Mio dolce ricamo dei pensieri.
Ti saluto e ti bacio tanto

 

****
Mio caro, mi piace quando mi baci tutta, e mi piace baciarti tutto. Parliamo di sesso e di tutto liberamente, non ci possediamo ma ci rispettiamo. Ci siamo fedeli ma siamo amici, solo amici. Non viviamo nella stessa casa, ma ci piace passare il tempo, più tempo possibile insieme. Ci si può chiedere le cose, non offendendoci.

Bocca bocca bocca smack

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Mia cara, è stato piacevole, non so bene ora come esprimermi, ma è stata una strana sensazione sentire il tuo naturale corpo nervoso, la tua fica bassa che si dava tutta così naturalmente al mia pene, ma è stato per me molto piacevole sentire la tua nervosità del basso inguine con la sensazione sulla mia pelle dei tuoi duri peli che stavano” ricrescendo.


****
Mia cara voglio ancora ricordarti con sincerità il mio piacere senza che io ancora lo sapessi, non c’è stata per me nessuna scelta, per me è vero anche il tuo piacere nella tua volontà, ma sappi che quando mi hai detto basta, dolce, non ho subito capito, e quando me ne sono accorto – mi hai detto – ti ho baciata e detto scusa. Avevo sì sentito sul mio cazzo, da prima una pressione diversa, poi di sei aperta, ed eravamo così bagnati ed eccitati dei nostri umori, nell’uscire avevo ho trovato il tuo culo nel rientrare e ho provato piacere nell’incularti senza saperlo, mi sei piaciuta, ma non desidero altro che quel che ti piace, la tua fica è meravigliosa.

****
Sarebbe stato bello, mi ti volevi offrire, mi volevi, non sapevi neanche tu bene. Poi ti ho baciata, abbracciata, ci siamo stesi, mi sei stata sopra per un po’, spingendo il ventre tuo sul mio sesso, che era già eccitato. E ti ho vista sorpresa. Immaginavi che non avessi voglia e che strano ti sei smascherata, poi ti ho toccata, potevo spogliarti, baciare e leccare il tuo sesso, fare all’amore scoparti, ma non ti ho messo fretta e ti ho detto che per me valeva l’amicizia. La sera ci hai ripensato e non è accaduto nulla. Non ero io che non volevo, non il mio sesso, ma la tua superbia.

 

****
Cara, questa sera abbiamo fatto all’amore con tanto ardore, hai goduto tre volte e hai aperto le cosce a più non posso, con la fica in meravigliosa levatura, ti entravo ed uscivo dalla fica con tutto il cazzo turgido e dritto e stavi andando verso il tuo quarto orgasmo, ma ero così preso dal piacere che son venuto per la seconda volta e con tutto me stesso avrei dovuto fare come sempre e abbracciarti, come tanto mi piace in quel momento, ma non l’ho fatto, forse avrei dovuto leccarti la fica così aperta e umida e farti venire, ma stavamo così bene.

 

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Mia cara, ho voglia di scoparti e venire, lasciando andare il corpo e le sensazioni così come gli va.

 

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Mia Cara, non capisco lo sburrare in faccia, sapere di venirti in bocca, nel tuo piacere, è una cosa meravigliosa, mi sento tuo, ti amo per questo. …E quel tuo desiderio di infilarmi le dita nel culo, ma’!

 

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Vorrei farti almeno un bocchino al giorno, ne sarei felice, è l’atto più generoso e nobile che vien fatto, per questo raro per le persone sincere e autentiche. Vorrei provare lo sperma e farlo mio, nostro. Vorrei gioire per questo come quando, inculandoti mi hai detto che ti avevo rotto il culo, con la gioia del piacerti. Ti chiesi se ti faceva male, e ti detti un bacio, mentre tu mi dicevi di no.

La violenza del potere è qualcosa che nega tutto ciò, persino la bellezza e l’altruità di un pompino.

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Cara, ti ho leccato la fica così dopo la giornata, come era, ti ho detto che andava bene non occorreva ti lavassi. È stato bello tanto bello sentire sulla mia bocca la tua fica così.


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È stato un po’ malvagio ed ignorante, sai che con piacere ti stavo baciando e leccando il cazzo, con il desiderio di darti piacere e provarlo nel darlo, non sapevo come sarebbe stato quando avresti goduto ed io avrei gustato il tuo sperma, ti avrei detto che era buono: mi sarebbe piaciuto, credo di sì. Il potere è cosa per gente malvagia ed io manifesto liberamente l’altruismo d’amare, anche e molto nel dichiaralo. E il tuo modo più che di tanto potere era con esso infarcito d’ignoranza. Mentre gustavo il sentimento e il sapore del tuo cazzo, della mia bocca con esso, tu mentre ne prendevo dentro quanto ti dava piacere, hai con forza più di una volta provato a spingermi la testa sul cazzo. Cosa volevi che non potevi chiedermi con le parole e che insieme avremmo potuto provare: che ignoranza, ho lasciato, o meglio hai lasciato a metà quel gesto d’amore, quel pompino e non sei stato neanche capace di dirmi che ne avevi voglia. Forse sei stato solo imbranato, o delle informazioni volgari, e se hai mentito è anche peggio. Avremo potuto amarci altre volte, ma tu per dirlo, hai mostrato ostilità sessuale verso per le donne, per dirlo, l’ostilità non è mai una scelta d’amore.

 

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E sì mi è sembrato molto bello, mi sono sentito libero rilassato, dopo tanto forse. Cara, quando mi hai chiesto di fare più piano, che ti facevo un po’ male, non sono riuscito ad ascoltarti, ho pensato che volevi lusingarmi come quando mi hai chiamato amore. È vero il mio cazzo si era gonfiato inturgidito, dal glande di un vermiglio intenso, chissà forse di cinque centimetri generosi di diametro. E quando ti ho chiesto d’infilartelo dentro ho sentito un gran piacere, tu ti sei mossa un po’ avanti e indietro per farlo ambientare e sentirtelo dentro, e mi hai chiamato amore. Qualche istante prima ti avevo guardato il culo le natiche, così femminili, come tutto il resto del tuo corpo, e mentre ti inculavo così, mi sono sentito così preso da te, così rilassato e sicuro, come se così in te la natura si e mi faceva esprimere già tutto compiutamente. Ti accarezzavo i seni così belli, che ti avevo da poco baciato tutto il ventre e il corpo e il ventre, ed anche il tuo pene senza eccitazione che lo pensavo più tuo, che maschile, poi ho goduto e tu mi hai detto ancora amore!

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“voce” Una donna ha un corpo bello, un uomo no! Voglio dire il corpo di un uomo non mi attrae sessualmente. Quello di una donna sì.

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Gentile o caro, sappi che il corpo delle donne, seppur nell’ovvio desiderio della sensibilità stessa della donna con dei modi gentili e non banali – lo trovo desiderabile, le sue forma e l’accarezzarne la pelle e il gusto e la fica è meravigliosa, vedere quel desiderio così com’è tra le cosce, mi stupisce sempre e mi meraviglia, che bello l’abbraccio e il bacio. Quando guardo un uomo tutto questo non lo percepisco, in fondo per nessuna parte del suo corpo, in realtà proprio nell’insieme. Il cazzo si può dire che può essere bello?! ma non lo immagino desiderabile. E allora si può essere affabilmente sessuali anche in certi casi con un uomo? Mi hai detto che desideri incularmi, dovrei dirti di sì di lubrificarmi il culo e infilarmi dentro il tuo piacere. O di no come ho sempre fatto con quelli che non mi hanno chiesto l’affabilità, ma l’incularli. E allora tu sei gentile come una donna? Che ha voglia di fare all’amore e quanto meno rendere me affabile? Non so dirti se mi piacerebbe il sentirmi inculare oltre il piacere di darti piacere, le poche esperienze di dito e simili, mi hanno dato l’impressione, più che altro di stimolo per il bagno, ma non so dirti se può essere diverso con il tuo caldo cazzo. Chissà forse con un po’ di reciproca attenzione e sensibilità, potrei accarezzarti e farci un pompino. Ma! E perché?

O più semplicemente risponderti con un’informazione e dirti che la cosa non mi interessa, o quant’altro.


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Mia Cara la tua fica immensa, toglie ogni illusione alle dimensioni sessuali, per essere nella sensazione del piacere e anche della libertà d’amare.

****
P.S.
Caro mi piace la tua pelle e il tuo corpo bianco, che bacia i miei seni, il mio ventre nero, la mia fica. Mi piace accarezzarti il culo bianco, mentre mi scopi.

 

 

 


 

 

 

Io sono Cabito Calotto e questa estate ho dato da mangiare alle balene compresa Moby Dick.

 

….. Si sentì urlare la professoressa di terza media: “Cabito, che cosa hai scritto?”

(…..) Nell’inverno appena passato, mentre frequentavo la seconda media, ebbi, per alcune lezioni, un supplente di applicazioni tecniche, che per cambiare argomento ci parlo di numeri periodici e di biologia. E di quel che ci disse di quest’ultima materia, qui vi parlo. In una sua lezione sentii la notizia che se si lascia del seme umano in una parte del mare, questo si ritrova trasformato e moltiplicato per “infinite” volte, in una parte del mare anche distante migliaia di chilometri da dove si è messo il seme. E fu così che nella recente estate del 1975, io Cabito Calotto mi sono tirato una sega, in mezzo al mare, dove sono venuto con piacere, per dare così da mangiare alle balene, e svelare a me stesso la misteriosa origine del plancton marino. Poi in quel dì uscendo dal mare, ho visto che c’erano alcuna donne, in mare, che giocavano allegre. Ma sinceramente non so se il mio seme abbia dato da magiare anche a loro.

Cabito Calotto

 

 


 

 

Parole e Pensieri

 

Per esempio Su una panchina, pensatela dove volete.


Una persona, in questo caso una donna, parla con la persona seduta al suo fianco, sulla panchina, molto spesso guardandola in viso. In suo discorso le sue parole sembrano, in alcuni momenti, molto significative. L’altra persona in questo caso un uomo. Ora, voglio dire proprio mentre la donna parla, l’uomo che sembra la stia ascoltando si alza e se ne va, “Ora” la donna continua a parlare come se avesse ancora quell’uomo davanti: “Ora dopo qualche istante un altro uomo si siede lì accanto a lei, e lei Ora” continua a parlare, senza essersi mai interrotta, mentre “Ora” l’uomo l’ascolta. Poi l’uomo si alza e se ne va, dopo poco ne giunge un altro e la stessa scena si ripete. Tutto questo accade per innumerevoli volte, non sappiamo esattamente “per quando”.

Ora tornando all’inizio di questo racconto, vi leggiamo che Per esempio Su una panchina, pensatela dove volete.

Una persona, in questo caso un uomo, parla con la persona seduta al suo fianco, sulla panchina, molto spesso guardandola in viso. La precedente scena con la donna si ripete con il parlante ch’è un uomo. In tal modo il racconto così formato potete rileggere, così come è accaduto con la donna ora accade con l’uomo.
Ora su una panchina, pensatela dove volete è appena successo quel che avete letto “Ora su quella panchina non vi è seduto nessuno, ma vi sono messe le une sulle altre, invisibili, delle parole. Se guardate attentamente scoprirete quali vi vedete.

Ora” quel che si vede sono appunto le parole che si sono viste, senza che il loro termine-nome sia stato mai pronunciato, Quelle parole che esprimevano il significato del senso reale di quella donna e di quell’uomo, di quegli uomini e quelle donne.

Ora voi dove siete o dove volete apparire, sapete di essere e volete essere: ...:… io preferirei in [sincerità.]

 

 


 

 

Flamenco – a – Garcia Lorca

 

Io mi ergo come un “Gigante” sulla meschinità del mondo.
Si spaccano i luoghi nell’istante
mentre l’aria come la musica sovrasta tutto
Spasimano nel buio
dell’istante medesimo
Nel vano bisogno che la gratuità li soddisfi
e li certifichi nell’invidia
La gratuità dell’invidia
L’invidia li sovrasta al di là di tutto – loro – di tutta la franchezza / della
parola che dall’invidia nasce e li
schianta nell’odio
Quasi che una linea sottile li tagli in
mille pezzi e per sempre li divide
Dalla libertà
Gioco o invidia la pura mancanza di essere.
Senza nessuna creatività
E su un cartello funebre vi è scritto.
“Tutto qui”
Piange quel silenzio e non dice più nulla.

 

 


 

 

Libera responsabilità

 

Aveva scritto quattro manoscritti del suo libro, e mentre camminava con essi tenuti sotto il braccio, incontrò una persona, che gli disse vorrei leggere il tuo libro, credo che potrei apprendere nel mio silenzio, da esso qualcosa d’interessante, ma non ho ancora imparato a leggere e non porto denaro con me. Lo scrittore lo guardò e prese il suo manoscritto, una copia delle quattro che aveva scritto e la diede a costui. Poi salutatolo continuò il suo cammino, incontrò molte cose e si soffermò ad osservare quello che la natura gli mostrava, quando ecco che sul suo cammino incontrò una persona che lo chiamò e gli disse: Vorrei da te una copia del tuo libro, ma sappi che ho i denari per esso, ma tali denari da chi mi sono stati dati, mi è stato chiesto che quando io ti avessi chiesto il tuo libro, di dirti che i denari per il tuo libro mi sono stati donati affinché tu possa donarmi il tuo libro lasciandomi i denari che mi sono stati dati. Lo scrittore prese un manoscritto del suo libro e lo donò a costui. Riprese il suo cammino e pensò chiedendosi come mai costoro sapessero del suo libro, e con quale strano ardore glielo avessero chiesto, quando dopo un po’ che camminava, incontrò una viandante, una donna che sorridendo lo guardò e gli disse: dammi un manoscritto che ho voglia di leggere, ma sono anch’io povera di denaro e non ho da darti neanche io del denaro per esso, ci sono tante persone povere oggi giorno, e potrei forse se tu volessi scriverne altre copie e donarle a chi le volesse, tu se perdi il tuo libro, potrai sempre scriverne un altro. Lo scrittore diede la sua terza copia manoscritta alla viandante e gli chiese come si chiamasse. Tornò a camminare, poi ad un certo punto stanco si sedette e appoggiò il manoscritto lì al suo fianco, e per un po’ restò assorto su quel che gli era accaduto quel giorno. Poi si alzò in piedi per guardasi intorno e quando pensò al suo manoscritto guardò dove lo aveva lasciato, ma non c’era più.

 


 

Tra riciclaggi morali tra nuovo Lombroso e pseudo dadaismo vuoto. Che fingono di contrapporsi

 

Un giovane un giorno andava vagabondando. Guardava gli uccelli e il cielo, il colore dei prati. Mentre camminava, si fermò sotto una pianta con rigogliosi frutti, ne colse uno e lo portò alla bocca. Ora mentre stava gustando quel frutto, sentì una voce dirgli: “Che fai?” Il giovane nell’udire quel suono senza vedere nessuno, restò per un po’ in silenzio, poi disse rivolto un po’ qua e un po’ là: “Chi è, chi c’è?” Allora vide uscire tra gli alberi un grosso orso, che mostrandosi disse al giovane: “Che fai?” Il giovane lo guardò e rispose. “Non vedi tu stesso, mangio un frutto da quest’albero, credo siano nespole, sono buone prendi, prendi anche tu.” L’orso si avvicino all’albero delle nespole e prese un frutto, che ingoio dopo averlo appena masticato. Al ché il giovane gli disse: “Non così, guarda me, solo la polpa.” Allora l’orso prese un altro frutto e ne mangiò solo la polpa, poi disse rivolto al giovane. “Dove stai andando?” “Ma non so – disse il giovane – un po’ qui un po’ là, passeggio.” L’orso disse: “Ma non hai paura?” “No, perché dovrei aver paura.” Disse il giovane. “Ma delle armi!” disse l’orso al giovane. Il giovane guardò l’orso, con aria un po’ perplessa e rispose. “Ma qui non ci sono uomini.” L’orso a sua volta guardò il giovane e disse: “Perché se ci fossero che potrebbero fare?” “Tu stesso lo hai detto, portare delle armi.” “Mio caro amico non vorrai dire che l’uomo e le armi vanno insieme? Come potrebbe un’arma seguire un uomo?” il giovane guardò l’orso, poi disse: “Ma non sai che l’arma è dell’uomo?” Dunque disse l’orso quel che fa un’arma è colpa dell’uomo e la conseguenza da il senso alla colpa?” il giovane guardò ancora una volta l’orso, poi disse: “Non so se c’è un senso per la colpa, ma la sua conseguenza ha una proprietà, e questa può essere un attributo per la conseguenza stessa, tanto da giustificarla.” “Vuoi dire – proferì l’orso – che tutto può essere fatto in ragione di qualcosa d’altro?” “Può darsi, rispose il giovane, in definitiva una legge ne giustifica un’altra, in ragione di se stessa e in ragione di se stessa si assolve dall’altra.” Allora l’orso guardò il giovane e gli disse: “E se incontrassimo ciò che ne sarebbe della nostra amicizia, conoscenza, di questa natura!” “Non so, rispose il giovane, per nostro credo cercheremo di essere liberi e continueremo a conoscerci.”


 

 

Il giocatore

 

L’uomo era appoggiato sulla balaustra e guardava l’acqua del fiume scorrere. Stava ancora rimuginando il gioco di quella sera. Le partite erano scorse via tutte silenziose e senza ostacoli e come sempre aveva pensato alla presenza che si sentiva vicina quando giocava, qualcuna con cui identificare la fortuna. Quando, aveva incominciato a pensare a immaginare questa presenza cui chiedere, ipotizzare un modo per essere nel gioco? Poi tutto era sparito. Guardò ancora il fiume scorrere, ora con maggior forza di qualche istante fa. Senza pensare mise la mano in tasca e ne tirò fuori un foglio da taccuino, lo lesse come non si stupisse di quel che c’era scritto, di quel che aveva scritto a questa presenza che avvertiva quando giocava. Aveva gettato giù quelle frasi, tra un gioco e l’altro, nell’aria stessa di un momento da giocatore. Lo leggiamo mentre l’uomo le sta rileggendo.

Vorrei amarti se tu esistessi, se tu fossi così reale da rappresentare un momento di verità, assoluta concretezza, un tattile profumo. Alcune volte mi conquista così forte la voglia di starti vicino. Che ho voglia di baciarti, di toglierti le scarpe e baciarti i piedi. Che voglia di fare all’amore con la tua intimità presente; ma il tuo fuoco non riesce a sciogliere, stranamente, il ghiaccio che gli hai costruito intorno, ma forse è solo che non riesci ad amare, ad amarmi. Sei così convenzionale alcune volte come soltanto quel freddo che mi fai sentire, sempre, con tutti i muri con cui mi oltraggi difendendoti dal mio bisogno di amarti, o forse oramai di amare. Nel rileggere queste parole nel silenzio, l’uomo guardò lo scorrere dell’acqua, che era ancor più aumentato e fu preso come da un impeto e bisogno di parlare. Incominciò a parlare ad alta voce, e fu tanto preso da ciò che quando una persona gli passò vicina e gli chiese che stesse facendo, non vi badò, non se ne accorse neppure.

Caro mondo non mi ricordo quando è stato che ti ho visto per la prima volta, forse non me ne sono accorto, o forse tu sei stato così presente da non darmi la possibilità di osservarti da una distanza che mi permettesse di vederti, di capire che eri lì; forse non mi aspettavi e io non sapevo che potevi aspettarmi, sta il fatto che ci siamo incontrati senza saperlo. Sto qui e non so bene cosa possa esserci che mi fa dire che ora ti vedo, ma sei poi tu quello che vedo, forse sì, sei proprio tu e allora sono sicuro che mi stai ascoltando. Che follia l’averti abbandonato, io non l’ho fatto, non ci ho provato perché è stata troppo forte la fatica impiegata per restare qui con te, e allora credo che sia giusto che ti racconti quello che ti sta accadendo, che mi accade a me che sono qui con te. Forse non è poi importante iniziare dal principio se poi sapessi quando è stato il principio, incomincio da adesso, da questo momento.

Mi trovo in questa trappola del mondo, dove satana ha perso lasciando i suoi dannati abbandonati, liberi di tormentare i rimasti soli, i pochi consapevoli della fine che stai facendo mondo. I giochi sono stati molti, finora, ma sempre lo stesso, la menzogna l’inganno, la voglia di strappare l’anima a chi aveva scoperto l’inganno; la partita è al disopra del soggetto che inganna, lui nella sua patetica vanagloria, nella sua mente dannata pensa di essere l’artefice di qualcosa, sappiamo che non è così. Lo strumento di satana non ha nessuna visione di se stesso, tormentando nella follia, tormenta senza nessun ritorno la realtà che lo soggioga senza nessun bisogno, è questo che lo fa imbestialire che risveglia satana dagli inferi, che l’invidia demoniaca cerca la dannazione degli altri come puro nutrimento di satana. Hanno spaccato il mondo in un unico pezzo, in un unico frammento indeformabile, in una trappola senza mutamento, hanno cambiato le carte in tavola lasciando le stesse carte del primo mazzo, della prima partita giocata; e il mazziere di satana distribuisce le carte per una partita che non si può giocare, una partita dove si vince sempre, dove ci si gioca l’anima del mondo, di chi vuole abitarlo. Il mazziere vince il giocatore vince, il mazzo vince, in questa follia della vittoria il mondo non riconosce più il gioco, non si accorge più della partita. Le regole sono conosciute e dimenticate solo dal mazziere che inebria il giocatore delle vittorie del suo gioco. Satana si gioca l’intero piatto, tutta la posta in gioco un’umanità che ormai sa solo vincere, che non conosce il gioco, un’umanità che si è identificata con le carte da gioco: ogni carta un’anima, ogni piatto un’anima, ogni gioco un’anima giocata, il mazziere di satana ha passato la mano a satana e il mondo si è accorto che ha sempre giocato la solita partita senza regole dove si vince sempre, ma ha detto che non era vero, ha avuto paura di perdere una mano della partita, ha voluto vincere ancora, satana ha preso il piatto, tutto il piatto e ha continuato a giocare con l’umanità. Ogni carta un’anima, ogni piatto un’anima!

Caro mondo non vuoi più giocare, ti capisco, non ci sono più giocatori onesti, la partita non ha più giocatori, ma solo carte da gioco, il denaro di satana ha comprato tutte le partite e l’ipotesi continua a perpetuare una vittoria senza realtà. Caro mondo io e te abbiamo bisogno proprio di questo della realtà, di toccare i nostri corpi e far vivere la nostra anima.

Si guardò intorno per vedere se qualcuno avesse ascoltato le sue parole, se ci fosse qualcuno perché aveva dimenticato dove fosse. L’acqua del fiume ora, vedeva, che aveva preso a scorrere più lentamente. Fece un luogo respiro e nel trovarsi ancora quel foglio da taccuino nella mano lo gettò in acqua. Il giorno dopo, non poté, più giocare.


 

 

 

il cammello nella minestra

 

 

 

 

per  quello che posso dirti non possiamo sapere esattamente perché le cose siano andate come stiamo per dire tutto è accaduto come non fosse mai accaduto prima ma in effetti tutto è già accaduto e non per spaglio o per altra ipotesi. dimmi disse il soldato assente non c’è tempo per il resto delle cose da fare non possiamo continuare in questo modo,  esattamente perché non sappiamo dove siamo. e se fosse stato per questo non potremmo mai dire se ci fu un’altro evento, come a dire perché quello che tutti continuano a ripetere non ha alcun riscontro, meglio sarebbe profferire che nulla accade di nuovo sotto il nuovo sole incandescente. quel giorno la donna che possiamo chiamare ipoteticamente, per nome disse in questo stato di parole scritte che sappiamo tali perché le stiamo leggendo: non sopporto che mi si dica esattamente quello che penso. e ecco che possiamo dire che sappiamo già qualcosa ma cosa può rivelarci del mondo questo carattere che questa donna e non altre ci mostra. non lo sappiamo e credo che non lo sapremo mai, non c’è proprio niente insomma non ce lo dice e ruotiamo ancora intorno a un vuoto ipotetico, che non ci assolve. Dove siamo dove siamo, disse un gatto con lo stivale. io vorrei ma non lo faccio disse quella donna di prima, come a dire sono soltanto in un universo parallelo e non sopporto altre storie oltre la mia. certo rispose il maramacchi, ma che cosa si può fare per cambiare tutto quello che in fondo non sappiamo che deve essere cambiato; niente e poi niente! e allora che la luna sbatta contro il cielo, c’è niente altro, no! perché dovrebbe non so mi pareva fosse così che cacca proprio oggi che dovevo andare. La luna aveva una frittata in testa ed io ‘stavo a osservarla, cosa sarebbe accaduto forse l’avrebbe smossa dalla testa scuotendo la testa stessa. era chiusa infognata nella cella che sarebbe accaduto pochi potevano prevederlo ma che importava. il pappagallo spegnava l’ombrello come fosse qualcosa che il cielo sapeva a dirmi che le cose non potevano essere in questo modo e soltanto in un modo diverso, mi sembrano tutti matti ma chi sono gli altri e chi lo sa. certo che il ciabattino sognò spesso la scarpa arrosto come fosse qualcosa da vedere o da dire, la scarpa arrosto che non ha mai compreso esattamente cosa facesse in un posto così caldo, è un ombrello senza testa che le cose non sanno mai dove stanno, forse dietro un paravento o di fianco a qualcosa che non sapeva che nome avesse, ma il paravento era bucato e tutto lasciava pensare che l’aria non lo facesse passare, fuori non c’era niente di nuovo, un cesso ambulante come speranza di una diarrea abbondante, per il resto poteva essere solo il rutto di un passante che non sa cosa sia il dilemma della nostra ipotetica coscienza senza fondo ammissibile. che stanno a fare seduti per terra perché non si siedono da un’altra parte, del resto quando l’anatroccolo batte il becco non si può più pensare alle cose come a qualcosa che non ha neanche un significato, e l’arrosto poteva bruciarsi ma fece in tempo a spegnere il forno a capire che era meglio farlo prima non serviva tanto tempo tutto era già stato cucinato. era comunque diverso per il resto era un prato azzurro i fiori crescevano sopra gli alberi, come quando l’acqua accese un gran silenzio che le fiaccole sembravano spegnersi di luce, quando si grattava era come dire che era pomeriggio ma non c’era tempo al resto, che cacchio di tempo, tutto quel giorno non sapeva altro che di nuovo tempo indietro e che dire dell’orologio. e su per giù diceva sempre che il merlo aveva beccato il dattero, la cacca non sapeva cosa dire, non spettava al giorno dire che bella pappa che c’è oggi non capisco di cosa stesse parlando quando diceva che perché il brodo era scaldato tutto il minestrone si era ritirato e l’erba era cresciuta sotto la pentola. La casa aveva un polpettone attaccato ad una delle pareti esterne, mentre alle altre una pizza una bistecca e sul tetto era spalmata una salciccia, i bigodini spettinati rompevano l’equilibrio delle cose e non c’era verso di dare al mondo il dilemma della caccola del tempo del resto non c’era nulla da ritirare sotto l’albero appeso, il pendolo del crimine batteva la fiacca e tutto era circondato da un alone di stupida ipocrisia, erano in attesa di vedere se quel facevano fosse quel che poi potesse convenire a quel che avevano in mente. il brodo rispecchiava sotto la minestra che non sapeva che farsene della pastina mentre degli idioti erano conviti di essere eterni. Non ho detto nulla di nuovo sulla volontà aggiunse un pazzo scatenato è solo che la bistecca mi è calata su una chiappa che non sapeva della sua bocca, il cammello camminava nella minestra e la fiaccola volava giù dalla finestra, dimmi cosa c’è nel mondo non è forse un sentiero sconosciuto o è soltanto un altro equilibrio dell’albicocca sotto la canna cerbotta invano quello che batte l’acqua con la massa e non sa quello che gli altri non hanno ancora ben compreso su le cose che il mondo germoglia come fossero piselli addomesticati, che cosa mangi per cena disse che non sapeva forse il coriandolo sbatteva con l’aria e la cosa poteva dirsi idilliaca se non fosse per il fatto che il resto del posto non aveva coriandoli ma soltanto fesserie di soppiatto, basta disse ingordo il maggiordomo che indomito non sapeva più a chi obbedire, neanche per soldi che si appiccicavano sotto le scarpe e batocchi da zavorra non si sapeva che cosa sbatteva sotto l’oleandro dell’albicocco scemo, scemo non hai detto altro che i pistacchi sono scemi come i castagni beone incontentabile che rende vano ogni te.

 


 

Adamo

Il buio incombeva d’un tratto sugli occhi di Adamo, che con la mano cercò quella di Eva. Che è successo Adamo? Siamo dove il tempo e l’atto ci hanno portati. Eva guardava assorta il chiarore della luce che tornava, incominciando a intravvedere l’aspetto di Adamo. Adamo sembrò, prima di guardarla come assorto sul mondo che vedeva. Non sembrava diverso ma la coscienza che Adamo ed Eva ora sentivano, dava loro quell’attributo che gli faceva capire il mutamento avvenuto. Venivano da un luogo senza potere, compiuto. Ora invece si era generata l’antitesi tra la vita e la morte, o più semplicemente, l’impossibilità della coscienza di generare senza morire, di essere nella terra un mondo cosciente che non può sussistervi. Tante volte si plasmerà la forma, ma la sostanza germinerà e tornerà nella volontà del potere.

Adamo cosa farai?

Non lo so, sarò semplice, ma non basterà? E allora non dovrò ricadere nel peccato; o l’amore potrà far sì che ciò non accada. Sarà stabilito tutto un tempo che attraverserò, tanto basterà a me per capire quello che non ho mai saputo, che non ho creduto? So forse di Eva più di quanto lei sappia di me? E il dolore che proviamo, è ora più di quanto noi sappiamo. La gioia e l’amore forse ancor di più. Vorrei pace, prima che tutto si confonda, vorrei pace per trovare la chiarezza. Credo che tutto debba essere nuovo e allo stesso tempo è nella vanità delle suggestioni. Dialogherò e aspetterò l’amore amando, ma, tutto è immerso nelle generazioni. E il tempo si svolgerà.

 

 


 

Ponzio Pilato. Anno 1 D.C.

 

Pilato, era tra il fresco del suo giardino.

Vano era stato il suo pallido tentativo di salvare Gesù, quest’uomo pensava, tanto temuto soltanto perché libero dalle leggi di questa terra, al punto da incarnare il sogno stesso della gente che ha voluto tale sorte per lui.

Eppure, erano state chiare le parole che quell’uomo aveva pronunciato, quando io Pilato nel tentativo di salvarlo, mi rivolsi a lui dicendogli. “Non sai che ho il potere di liberarti e il potere di crocifiggerti?” Egli mi rispose. Non avresti nessuno potere su di me se non ti fosse stato dato dall’alto. Che sarebbe rimasto di ogni stato sociale, ogni forma gerarchica, se quest’uomo avesse ragione? Cosa sarebbe rimasto del prestigio e dell’immagine del successo? Chi gli uomini avrebbero ammirato, temuto e in cosa si sia trasformata l’invidia. Lo stesso concetto di stato e nazione stessa. Questo fatto di quest’uomo, questa libertà, data e chiesta da lui, non avrebbe portato la realtà a sconfiggere la rappresentazione del male? E questo male non avrebbe forse anch’egli cercato di primeggiare. Che sarebbe stato dell’invidia tra gli uomini?

Pilato, parla da solo nel giardino.

Ci saranno giorni, forse, in cui il ruolo dell’uomo, anche il mio che ho qui rappresentato, ammirerà la libertà di chi vorrebbe essere, ma ne cercherà solo il prestigio sociale, materiale. Elogerà quel che pensa di aver raggiunto per emulazione, ma vorrà essere superiore e avrà bisogno del mondo sociale. Un uomo comunque non è un modello compiuto, e molto probabilmente la sua libertà avrà un valore, ma se è in quest’uomo. E ciò non darà all’emulazione maggiore invidia. E non sarà tutto relativo questo prestigio nel mondo che vuol primeggiare? E questi Dei forse non avranno più alcun senso. Come mi disse quest’uomo, il mio regno non è di questo mondo. Quali esseri cercheranno nel male la sopraffazione di quest’uomo, quale momento storico cercherà di annientare il suo significato? E le nazioni, non, avranno che famiglie, dove l’emulazione non avrà che il desiderio di un demone umano di superarsi, e dove la libertà troverà l’uomo nell’affrancamento dal sociale e dove la nazione cercherà nell’invidia la sopraffazione dei valori della libertà dell’uomo.

Pilato, restò ancora un po’ in questi pensieri, in quel mondo che sembrava non capire, come un uomo del futuro, ma nel pensare ciò pensò al nome di Adamo, come fosse lui stesso in quel mondo.


 

Il tempo e l’incontro

 

Che facciamo, dove andiamo oggi?

Non lo so, andiamo per di qua, seguiamo questa pianura fino alla montagna.

Oh guarda, chi sono quelli?

Lettori, libri. Libri che leggono i lettori.

Qui sotto la montagna, e come sono fatti i libri?

Ma, guarda, con le parole.

E che fanno, parlano?

Le parole si guardano, i ciechi le toccano.

E quelli che libri leggono?

E chi lo sa?

Ci fermiamo voglio leggere anch’io?

E come fai, non vedi quanti lettori, tutti i libri saranno impegnati.

E come si fa?

Andiamo, saliamo ancora nella montagna.

 

Dopo un po’ che camminano.

 

Fermiamoci qua, mi fanno male i piedi, e anche le gambe.

A me no! Che sarà?

È amico mio è il tempo. Che vuoi ce lo portiamo dietro sempre appresso, e ogni tanto anche lui si stanca.

 

Raggiunto il luogo.

 

Oh guarda quanti libri di chi sono?

E chi lo sa, guarda se c’è scritto il nome sopra?

Sì, c’è scritto! E si possono leggere?

Leggi, leggi. Che fin quassù son pochi quelli che vi giungono.

 

Passò del tempo e il nostro amico lesse anche quei libri.

 

Quanti pensieri ci sono nei libri. Le parole servono a questo per guardare i pensieri, anche quando le persone sono da un’altra parte? Come si fa a scrivere?

Vieni, riprendiamo il cammino, e andiamo in cima alla montagna.

 

I nostri amici faticarono ancora, ma raggiunsero la vetta della montagna.

 

Oh guarda che bel panorama, sembra di stare sopra al cielo?

E gli aeroplani che ci stanno?

Non lo so gli uccelli non volano meglio? Guarda quello lì tutto solo che fa?

Non vedi bene, quello è uno scrittore, è venuto qua a fare quello che vuoi anche tu.

Sembra un matto? Che faccio scrivo pure io?

E scrivi, scrivi, ma non pensare che sia così facile.

E che ci vuole stiamo in cima alla montagna?

 

Il nostro amico incominciò a scrivere, mentre l’altro nostro amico, rimase ad aspettare.

 

 


 

Tra sacro e profano. Favola sulla libertà, e in aggiunta la fatica per esserlo dei nostri due amici che passeggiano.

 

Mondo, mondo, mondo, quanto è bello il mondo.

Mondo, mondo, mondo, quanto è bello il mondo.

Canta, canta, che ti fa bene. E sì il mondo è bello!

 

I nostri due amici andavano camminando insieme.

 

Come si fa a essere liberi?

Eh! La libertà stanca, che accadrebbe se tutti fossero liberi e volessero fare quello che vogliono?

Che accadrebbe! Non si risolverebbero tutti i problemi, la gente non sarebbe più felice?

E chi lo sa? La libertà salva il mondo, e cos’è che ci fa liberi, ci vuole a essere santi, forse.

Come faccio a essere santo?

Eh! La libertà la santità, quante cose, e poi dimmi, che cosa hai tu da dare?

Tutto, prendi, prendi. Posso cantare ed essere felice, respirare e ridere. Mondo, mondo, quanto è bello il mondo!

Ma dimmi non ti è mai capitato di dare a qualcuno, qualcosa di speciale e prezioso?

Non so non mi ha chiesto mai niente nessuno. Un sorriso!

E tu hai chiesto mai niente?

Ah! Ah! Ah! No!

E allora, caro, non so forse sei libero.

E santo! Come si fa a essere santi? Ah! Ah!

E che posso dirti fa quello che diceva Madre Teresa di Calcutta.

E che diceva?

 

L’uomo è irragionevole, egocentrico: non importa amalo!

Se fai del bene ti attribuiranno secondi fini egoistici: non importa, fa’ il bene!

Se realizzi i tuoi obiettivi, troverai falsi amici e veri nemici: non importa realizzali!

Il bene che fai sarà domani dimenticato: non importa, fa’ il bene!

L’onesta e la sincerità ti rendono in qualche modo vulnerabile: non importa sii sempre e comunque franco e onesto!

Quello che per anni hai costruito può essere distrutto in un attimo: non importa costruisci!

Se aiuti la gente, se ne risentirà: non importa, aiutala!

Dai al mondo il meglio di te e ti prederanno a calci: non importa continua!

 

Vedi figlio mio non è tanto facile la libertà, c’è sempre qualcuno cui non fa piacere.

Ah! Ah! Faccio queste cose e poi divento santo. Ma dimmi perché le persone sono così prima per farti diventare santo, e dopo dicono quanto eri santo! Non è meglio che amano prima? E perché guardano come diventi santo e non fanno niente, poi dopo, solo dopo ti dicono bravo?

Caro mio, quanto è strano il mondo che ama sempre quello che apprezza, ma non sa apprezzare chi ama.

Ah! Ah! E la libertà non basta, si può essere soltanto, liberi?

Dillo al mondo se lo sa, ma non meravigliarti della santità. Comunque prova vedessi ti riuscisse a essere libero.

 

E i nostri due amici continuarono la passeggiata.


 

La divisione senza universale

 

Oh! Guarda, guarda, che sarà?

È una parola.

E che fa. Perché sta lì?

E chi lo sa, forse ha litigato con qualcuno.

E chi può essere? Che si lasciano così le cose, come non servissero più. E poi come si fa a rimetterle insieme?

È, un problema certe volte si dividono le persone stesse: Un pezzo di un corpo da una parte, e un altro da un’altra parte.

E com’è che una parola lascia le cose così?

Non sono le parole.

E cos’è?

La gente va!

Ah! Ah! E così non è brutta la gente?

La bellezza è libera dice il vero e vede le cose vere. È disponibile, accogliente e propositiva. E che ci si può fare la gente spesso sta da una parte e la bellezza da un’altra parte. Che forse le persone belle, così, vogliono questo?

E chi è che lo vuole?

E chi lo sa, le persone belle credono nell’universalità della bontà umana.

Ah! Ah! In tutto il mondo si può essere belli, tutti possono farsi belli! E perché non è così?

Dico, ma proprio a me lo devi chiedere? Che forse so tutto io, mettiamoci in ascolto.

Di cosa, non si sente niente.

Fa silenzio, ascolta piano piano.

Oh, senti senti. Chi sono questi che urlano?

E, caro mio, certe volte il mondo è strano. Vuole la bellezza, ma litigano, e spesso… zitto, zitto se ascolti meglio si sente che gli danno fastidio le persone che gli appaiono belle.

Ah! Ah! E che sono scemi?

E non dire queste cose. Magari fossero solo scemi. E non dire queste cose. È che la bellezza, se la vogliono comprare.

Per questo si arrabbiano! Se la comprassero, beati loro che possono. Ah! Ah!

E caro mio, fosse così facile, tutti avrebbero un grande animo. E non ci sarebbe più egoismo. Vedi la bellezza è prima di tutto dentro; e costoro la vedono anche fuori, nelle cose più vere e belle.

E che cosa è questa divisione?

Questa strana divisione dell’uomo che vuole la bellezza senza la libertà, forse è l’invidia.

Ah! Ah! E cos’è l’invidia che fa stare arrabbiati?

Caro mio certo non fa stare allegri. È vero forse non basta, quello che fa stare paggio è la cattiveria.

E che fanno l’invidia e la cattiveria, stanno insieme?

A parole forse sì, ma nei fatti spesso l’una non vuole sapere niente dell’altra. Tanto l’una vuole essere superiore all’altra.

È per questo che  stanno arrabbiati, e gli dà fastidio la bellezza?

Pare di sì! E lasciano le parole da sole.

Ah! Ah! Io sono bello! Viva la bellezza! Viva l’amore universale!

Canta! Canta e sorridi. (che mammeta ha fatto gli gnocchi!)


 

Conquibus – a ciascuno il suo

 

La foresta imbacuccava il silenzio. Non un suono, non un elemento estraneo al suo formarsi. Pioggia disse in quel momento il bambino alla madre. E la pioggia tra le foglie degli alberi scorreva giù tra la terra.

Alcune persone stavano discutendo.

“Un aborigeno non sa cosa sia il denaro. Come può essere concepibile una vita che delimita gli spazi e dove il vivere è una mediazione economica.”

Accontentiamoci di prendere solo questa frase, concetto dalla loro discussione.

Potremmo dire noi, con ciò!

Una donna disse: Dio?

Rispose un uomo.

Far conoscere cristo come può farsi in un mondo, che dalla natura deve dare un senso all’amore, orientandosi nella conoscenza, senza che questo bene abbia un concetto economico. Eppure l’amore di cristo sta nella rivelazione di Dio che parla all’uomo, e ne rivela la sua compiutezza. Ciò che dio sa la natura ne rivela un senso di conoscenza innato.

Disse un suono.

Per quanto tempo abbiamo preso il senso e la vita dalla natura, e la natura tutta ci ha donato. Ha dimorato la spiritualità nei luoghi della terra, con le voci dei canti. E abbiamo dato alla spostarsi e al luogo, non un limite nella funzione, ma alla libertà della natura la ricchezza del suono della spiritualità, la libertà si è donata e ha vissuto la spiritualità. Ora sappiamo da un mondo di uomini e donne che non conosce questo, che Dio ci ha parlato e che lo spirito ha una compiutezza nell’amore; ma non c’è più spazio per la libertà, se non dentro l’essere umano, che deve liberare il gioco stesso delle trasformazioni umane, dalla schiavitù del controllo, dalle mediazioni dell’egoismo.

Un internauta sta scrivendo.

Ci suono luoghi sulla terra che sembrano dire alle persone che vi nascono; “Non c’è posto per te”. E ciò è causa dell’eccessiva importanza che si dà al denaro, e all’arricchimento come conseguenza della conoscenza. Ci sono soluzioni che non possono essere attuate per questo motivo.

Un conferenziere sta dicendo.

Ci sono persone che stanno aspettando che si taglino gli alberi della foresta, per avere della terra da coltivare e produrre economia per vivere, non solo dal legname tagliato.

Il titolo del racconto.

Ci sono troppi problemi causati dall’eccessiva importanza che si dà al denaro. Dobbiamo ridurre l’importanza del denaro. Il denaro è informazione, che il suo possesso sia libero per tutti. L’informazione deve essere libera, comunicabile e scambiabile senza l’obbligo della sperequazione della ricchezza.

Il denaro.

“Chi non conosceva il raffreddore, è stato costretto ad accettare la ricchezza e morire per un raffreddore.”

 


 

Alla conquista del tempo nel dominio dello spirito, il sassone.

 

La giornalista era appena arrivata e stava intervistando un passante. “Mi dica come le è successa questa cosa?” “ Chiaramente non ho compreso il momento, so, che ho sentito qualcosa sfiorarmi il ginocchio, quando ho guardato, ho visto il sangue.” “Ma cos’è che la condotta fin qui, ci sarà pure un motivo perché le è accaduto ciò?” “Credo sia un po’ azzardato parlare di una determinazione precisa, anche se effettivamente il sangue al ginocchio potrebbe far supporre il contrario. Le dico che questa mattina mi sono svegliato pensando al mondo delle ombre e degli spiriti cinesi, e ragionando e riflettendo sono uscito da casa, continuando a pensare a queste cose. E mentre camminavo tra la gente nel caos un po’ di questo giorno, ho pensato che il mondo è in una nuova fase in cui il dominio del tempo, lotta con lo spirito e la spiritualità. Ciò mi ha ricordato la parabola di Gesù sul tempo della mietitura, per separare la zizzania dal grano, mi sembra indicasse ciò la parabola?” “Be’ sì, mi sembra di sì.” “Ciò mi ha fatto riflettere sulla questione, in definitiva che la zizzania è la lotta dell’uomo che vuole il tempo con il suo spirito. E ho riflettuto ancora su questo e ho pensato, come il mondo si organizzi per fare ciò. A come nel suo culto maggiore per tale venerazione sembra, voglio proprio il mele, volevo dirle il male, sarà stata una reminescenza evatica, ed anche il controllo della socialità deve ambire a questa fine, in una sorta di epilogo ossessivo dell’esaltazione, e Dio stesso può diventare o trasformarsi in un attributo ostacolante, occultamente o palesemente o storicamente, nella mutevolezza della zizzania, che Dio sembra in qualche modo torna ogni volta a soggiogare. In definitiva mi son chiesto la fede, ci libera da tutto ciò, e allora chi crede si salva da questo, ma allora ho pensato quando il tempo e il dominio dello spirito, tornano a ramificare, tessere reti infinite di mutevolezza e rappresentazione per la supremazia, mi sono detto Dio non ci potrebbe mettere una pietra sopra, sopra al più piccolo e più grande. Ed ecco che nel silenzio più assoluto è arrivata questa grande pietra.” “Quale mi scusi?” “Quella appoggiata lì, a non più di dieci metri da dove siamo noi.” “ Ma è molto grande, non è sempre sta qui?” “No è piombata giù dal cielo poco fa, proprio mentre ho pensato, quello che le ho appena detto, ha schiacciato l’intero edificio, in un assoluto silenzio, fino a raggiungere la terra, e l’unica cosa che a fatto in tempo ha schizzare via prima che la pietra si chiudesse al suolo è stata la scheggia di vetro, che mi ha ferito il ginocchio.” “E mi scusi ma chi c’era nell’edificio?” “Pensi vi erano riunite tutte le rappresentanze del mondo sia occulto che non che nella conquista del tempo e nel dominio dello spirito, si erano organizzate per dominare il mondo.” “Come fa lei a sapere questo, io per esempio non ho mai saputo nulla di questo posto?” “Mi scusi, sa, ma cosa può essere quel luogo lì, per verificarsi un fatto, circostanza così precisa, tra quello che stavo testé pensando e questo accaduto, e per di più come può osservare, come lei tutte le persone che ora passano qui credono che questo immenso sasso è sempre stato qui e che sotto non ci sia nessun edificio, prima con dentro qualcuno.” “E allora mi dica, cosa farà per il ginocchio?” “Dopo averlo disinfettato, ci metterò un piccolo cerotto.” “La ringrazio per l’intervita e buona giornata.”


 

Lo stacco

 

 

…. verbosità del concetto.

Appunto che cosa vuoi dire?

Che cosa vuoi che ti dica, il sociale è un’invenzione della coercizione e, la coercizione in realtà non dà nessuna libertà, non è un fattore di dipendenza, ma già di schiavismo.

Perché trovi verboso questo concetto, non è forse chiara questa condizione, se il mondo cerca di prendersi un concetto con il privilegio della coercizione, non è forse lecito ogni significato.

Appunto questo mi vuole dire, lo stare in atto del sistema sociale, come atto stesso della coercizione che cambia per essere sempre lo stesso concetto. E non ti pare verboso questo. E allora il grande stacco solo Cristo l’ha fatto, nel vangelo di Giovanni – l’odio del mondo – hanno odiato me prima di voi; è questo uno stacco netto tra la socialità e l’amore della verità di Dio.

Amatevi come io vi ho amato, c’è anche.

Già affinché l’amore sia espressione stessa della verità, ma l’odio del mondo ci dice anche, che l’amore per Dio può essere l’unica condizione del sentirsi amati, se Dio ti ama, non puoi scegliere l’amore come privilegio degli altri. Se l’odio del mondo può in qualche modo, essere superato, che il tuo amore per un prossimo che per tale odio si mostra assente, sia anche fattore di fede ché Dio ti ama. È uno stacco assoluto tra la socialità e la coscienza dell’amore. L’amore di cristo sembra non essere così in nessuna sfera del mondo della coercizione.

 E allora s’infrange il senso stesso del cambiamento, non è più la ricerca del pratico della coscienza, ma è la coscienza stessa che cerca di liberare la verità, per renderla più vicina a se stessa.