Racconti per un libro

Di

Patrizio Marozzi

 

Questi racconti o epigoni letterari sono stati scritti per la pagina dei racconti del sito www.ilmanoscrittodipatriziomarozzi.it

Su un percorso di diversi anni.

Gelato al cioccolato

 

 

 

Strafogarsi di pensieri quasi a perdifiato – insinuare l’orizzonte senza immaginare un desiderio. O sapere ch’è dove la franchezza non può infrangere quel pensiero che conosce quel desiderio e sa come viverlo. C’è un patema un angusto patema quasi in deliquio della parola in un significato, stare o starci.

 

Fibrillano tutti i tempi e allora le belle giornate sono tutte lì, ma forse son troppo sole – non c’è ovviamente la bellezza di essere solitari, perché sono le giornate ad essere così belle e sole.

 

Due persone si affrontano in uno scontro senza affronto, in tempo negativo e un tempo sospeso [una cosa deve piacermi se non mi piace vuol dire che non è giusta o piace ad altri] lasciate che si seppellisca il punto che c’è e che non c’è. Oggi ci sono perché non ci sei, ci sono ci sono io adesso tu sei da un’altra parte. Ò ragione dove? Nello stesso punto.

 

Se io non ci sarò?

 

Dove saremo, ci saremo ci saranno.

 

Oggi c’è soltanto il giorno tutto il tempo è cambiato: SIAMO CHIUSI IN CASA PERCHé FUORI è INVERNO?

 

NON SI CAPISCE chi debba uscire a vedere che clima c’è – tutto un altro genere.

 

Si campa allora dappertutto si fa in modo di voler campare – Siamo sempre in una bella giornata. I suoni non sono sempre chiari, spesso invadenti … se sono spiacevoli uha cerchiamo altro più sorriso, sentimento e sincerità, libertà.

 

Non si riesce a dire basta se chi non c’è deve starci per forza.

 


 

L’amico Fraz

 

 

 

 

 

Certo è strano sarebbe potuto appartenere senza che mai avesse capito cosa fosse. E che dire poi se insieme, tutto potesse essere univoco. Allora nulla aveva se non quel giorno, se poi è possibile dire che quel giorno fosse nulla. C’era quel giorno o tutti i giorni, sarebbe stato così allora per tutto il tempo. Domani ci sarebbe stato e come adesso avrebbe aspettato il da farsi. Ecco questo è qualcosa che in questo momento lo lascia un po’ perplesso, in questo momento non à niente da fare. Ovviamente se nulla d’impossibile lo impedisce da fare qualcosa può trovarlo, e, non è proprio questo già un fare. Ci sono tante cose belle che posso fare da solo, molte altre direi altrettanto belle con altre persone. Che poi se si fanno le cose da soli, si possono trovare altrettanti mondi e esistenze. Già non ti puoi mai sentire veramente da solo, quando sei solo, credo che la solitudine superi qualsiasi presenza e il mondo interiore può andare anche fino a Dio quando sai che c’è. Insomma, fare qualcosa indispensabilmente in compagnia di altri può voler dire anche non sapere cosa fare e può avvenire che si finisca per considerare, non tanto la fantasia o l’immaginazione – ma il possibile come l’unica situazione possibile, e, succede così che la teoria incominci ad andare in tutti i luoghi astratti ma possibili, senza che si giunga mai alla conclusione concreta di cosa fare. Sovente succede, che non ci sia nulla né da creare o immaginare, ma più esattamente se si può così dire – che si cerchi di stare in una posizione, nella posizione in cui ci si trova. Ecco questo credo proprio sia il modo più noioso di non fare niente e nessuna cosa. Allora in definitiva io, oggi non ò nulla da fare, lasciamo stare le cose che si potrebbero fare se … se so come fare le cose vuol dire che le fai e non dici, se, per far finta di fare e non goderti neanche il fatto che non ài nulla da fare. Non stai a lamentarti che non ài nulla da fare per darti importanza con il tuo efficientismo di rappresentanza. Il modo più semplice per fare qualcosa insieme ad un'altra persona è chiederglielo, ma se in definitiva non c’è da fare neanche ciò che ti è venuto di fare, vuol dire che non si fa.

 

Ecco che quindi quando ci troviamo in un mondo che dice di fare qualcosa anche se sarebbe meglio farne un’altra, è semplicemente per il fatto che intende e non immagini, ma sia certo di avere un attributo che nell’ambito della possibilità il potere lo rappresenta - come dire non ò niente da fare ma qualcosa mi dice di farlo, per far sì che altri facciano. Un appuntamento si potrebbe dire è la cosa peggiore che può capitarvi e soprattutto che vi chiede di fare qualcosa mentre voi l’avete già fatto e vi chiede un appuntamento per farla. Insomma è così che si perde il tempo e nascono le guerre, che chiunque vuole farsi dal potere dice ad altri che non ànno nulla da fare di fare qualcosa.

 

Ecco oggi non c’è proprio nulla da fare e non posso passare tutto il giorno a far finta di fare qualcosa con chi dice di avere qualcosa da fare, ma vuole cha la faccia io che non ò niente da fare. Insomma se si vuole sentire così indaffarato e dominare il mondo può farlo benissimo sopra la tazza del cesso e ascoltare il potere che gli dice cosa fare, se poi sa come tappassi il sedere per sentirsi più potente che provi. Insomma se non c’è niente da fare non si può necessariamente incominciare a dominare su tutti e tutto per dire che si à una facoltà superiore se ancora non si è riusciti a non fare la cacca e peggio si cerca di riuscirvi vivendo senza cotanto pregio naturale soltanto per dire che si à qualcosa da fare. Bene allora per chi in questo, mi pongo allo stesso modo, ma appunto intendendo con ciò che sono in bagno e appena potrò lo lascerò libero. Ecco, allora dico che dopo tutto questo bel divertimento di meditare un po’ e starsene un po’ senza fare niente se non c’è nulla da fare e capire che per quando si faccia non saremo mai così pratici come Dio.


 

Carnevale

 

 

 

Nella vita succedono molte cose e certo che la sorpresa più grande che può capitare a Billi occhio di lince è stare con una ragazza. Cosa c’è di strano o d’inverosimile in questo? Credo nulla, anzi nulla, ora che tutti sanno di Billi. Quello d’inverosimile e strano per Billi è quello che Billi sente, meglio dire prova quando vede il corpo nudo della donna, meglio vuole dire la sorpresa e la meraviglia che prova quando vede il sesso della donna. Oggi carnevale Billi guarda proprio ora il sesso della ragazza ch’è con lei, e, prova quello che ogni volta, è, la sua meraviglia. La vagina gli appare così incredibile ch’è come vedere se stesso senza il pene. E questa meraviglia nel vedere la fica, come la vede, ora, così con la sorpresa appena descritta – insieme alla voglia di baciare la ragazza che è con lui e di baciargliela - quasi à voglia di dirsi, ma perché non ànno fatto l’uomo come la donna, ci sarebbero state tantissime donne in più.

 

E la cosa ancora più sorprendete che io, Billi sto ora per sentire l’immensità del sesso di una donna. Voglio dire, certo le donne ànno la vagina di diverse dimensioni, così, in senso naturale, ma la grandezza di una fica che si è trasformata per alcuni parti è sorprendete. Nessuno forse è pronto la prima volta che gli capita di sentirsi così sopraffatto dalla grandezza vaginale, quasi ti lascia esterrefatto, ma una volta che comprende ciò e la donna à voglia di essere grande così com’è, è incredibile e meraviglioso, insieme. Ecco mentre ora sto dentro questa grande fica e sento quasi che le mie palle potrebbero entrarci al volo scivolando sul suo meraviglioso eccitamento, questa ragazza la godo tutta.

 

Penso a questo giorno di carnevale come se le cose fossero soltanto apparse per quel che sono – e che succede, succede che non m’importa del deserto atavico della coscienza, dico quante volte mi è sembrato di non capire certi mondi soltanto legati per margine e suppellettili. I margini sono quelli del mentire ogni volta che la menzogna à un controvalore. Come dire se è questo che sia questo. Ma cosa c’è in una posizione che sembra inevitabile come il significato che ci dice - io ci sono, ma dove mi applichi affinché io ci sia, dopo che ci sono. Dico sembra incomprensibile, già è un’immagine, come dire sì forse ti vedo, ma ciò che mi dici non mi fa più vedere. Insomma mi parli di un paradigma fuggevole, perché vedi per mezzo d’esso, d’accordo, ma quel che mi dici non esiste perché io non ci sono. Sono collocato da queste tue parole, ma il valore del significato è astratto, mentre credi che sia assoluto, soltanto perché un accordo a controvalore à determinato il significato come fosse una verità a contratto. Non basta ciò per guardare, vedere ciò che c’è in “colui” che c’è, se c’è come controvalore del paradigma una posizione, non soltanto parziale, ma che può giustificare un atto e il suo contrario in rapporto del limite stesso del paradigma.

 

Sto godendo dentro questa bella fica grande di questa ragazza, che bacio e stringo in un abbraccio, e, adesso voglio tornare a leccargliela e magari farla godere ancora con la mia bocca piena di baci. Forse ci rivedremo in un’altra storia per dire altro su ciò, forse sui suppellettili, adesso ò le labbra e la lingua che fanno soltanto gemere.


 

Stipite

 

 

 

Cerco in tasca e non lo trovo. Ero sicuro di avercelo messo, qualche momento prima. Come dire l’altra volta. Chissà! Non lo trovo, non c’è. Che direbbe se mi vedesse, Sarà. Io mi chiamo Carlito, e anche se volessi dovrò farlo così come viene. Potrei forse aspettare, sì! Potrei aspettare e fare in modo di ritardarlo. Che devo dire – non sempre ci si riesce e certe volte l’impeto e l’improvviso, non lasciano spazio neanche al pensiero. Così esce impetuoso dal mio naso e il muco si scarica tutto nella mano, la mia mano, ovviamente. Forse qualcuno nel tempo della mia vita à fatto in tempo a soffiarmi il naso, non lo so, sinceramente non lo ricordo. Ecco appunto è soltanto il mio ricordo – non ne sono sicuro. Se fossi un buon ciclista forse sarei stato così bravo, da soffiarmi il naso pedalando, spruzzandolo fuori prima da un narice e poi dall’altra. Non ò il fazzoletto e non sono riuscito a soffiarmi il naso in tempo. Guardo il muco che mi è rimasto nella mano. È abbastanza chiaro – chissà! Penso tra me osservando quell’umore venuto fuori dal mio corpo. Cerco di scrollarlo via dalla mano e finisce in terra, vedo il palmo della mano ch’è ancora umido, lo tocco con i polpastrelli delle dita. Strofino la mano nell’erba bagnata, pulendola del muco. Così piena di pioggia l’asciugo sul cappotto.

 

Riprendo la passeggiata.


 

Cuore ci s’incontra

 

 

 

E il potere dice, tu sarai sempre solo, perché io una cosa faccio, ma la faccio bene.

 

Io dice all’essere che vive di morte: Quando i morti seppelliranno i morti, tu ti sentirai solo. Quando la propaganda parlerà, tutti mentiranno e tu sarai solo, alla fine della propaganda c’è la dittatura e sarai solo, poi c’è la guerra e tutti uccideranno, e ti sentirai solo, alla fine della guerra ci sono i morti e ti sentirai solo.

 

Sarà pure che sarò solo, ma vorrei sapere quando cavolo potrò stare da solo e senza te che continui a scocciarmi.

 

Rispose: Mai!

 

A, ma allora vedi che sei tu che non sai stare da solo e continui a dire agli altri che senza di te si sentono soli.

 

Poi io passo di lì, presso quei due e dico: Siete proprio due fantasmi!

 

Il potere mi disse: E tu chi saresti?

 

Io risposi: Io sono io in virtù di me stesso, ovvio!

 

E il potere mi disse: Ma se siedi su una sedia che rimarrà tale anche senza di te, e, dimmi un po’ chi l’à fatta quella sedia?

 

La possibilità disse: Ma la fatta Giuseppe, il falegname.

 

Aggiunse il potere – Allora, Io, sei figlio di Giuseppe?

 

Certo! Giuseppe mi è padre.

 

E tua madre è Maria, disse ancora il potere.

 

La possibilità aggiunse: È ovvio che sia Maria, chi altre, dovrebbe essere?

 

Il potere: Ma se tutti sanno che Giuseppe l’à sposata già incinta, Maria.

 

La possibilità, allora disse al potere: E che vorresti dire che al fine, io, è figlio di Dio!

 

Risposi, io: E certo, vorrei vedere chi è capace di dire il contrario.

 

Si sente un: Io!

 

E tu chi saresti chiede il potere.

 

Io sono Pasquale!

 

Rispose la possibilità: Ma, vattenné che a te non ti si rizza neanche se Gesù Cristo scende dalla croce.

 

 

 

Sottotitolato

 

Il potere e la possibilità, l’umana coscienza e la schiavitù.


 

Storia di un uomo di marmo

 

 

 

Io sono un uomo di marmo, sono una di quelle statue apollinee di cui s’investe la bellezza mitologica. Qualcuno, leggendo queste mie esperienze potrebbe credere, che con quest’affermazione, voglia intendere di essere un uomo molto bello e desiderabile. No! Io sono realmente una statua di marmo, abbandonata, ma libera. Dico ciò perché sia chiaro, anche che non appartengo a nessuna epoca ideologica che si può rappresentare con la funzione ideologica del materiale che rappresenta l’immagine stessa dell’essere nella storia, come possibile trasformazione del fare e del significato della storia umana.

 

Io sono qui per raccontare una delle mie più belle avventure d’amore, con una donna di marmo, pari in bellezza alla possibile Venere. Quando mi sono incontrato con lei, non sapevo bene chi fosse, voglio dire perché stesse lì nel museo, nuda. Seppi che era stata una donna reale in vita, e, per me che invece ero pura immagine e concetto in un corpo di marmo, turbò un poco, perché mi chiesi cosa volesse realmente l’anima di questa donna, che il marmo aveva reso ormai come Venere o donna molto bella nel marmo? Più la guardavo così distesa nella sua posa e più nasceva in me il desiderio di dare pensiero a quel marmo, a quel corpo – ma in me vi era qualcosa che mi faceva esitare, quasi stupirmi nella meraviglia si osservare quella donna nuda nel marmo, con lo stupore impossibile, dell’impossibile stesso che può avere un essere, nel desiderare la bellezza così raffigurata che mai può essere corpo e carne. Togliendo su di me quest’alone incredibile, tornando tutto di un pezzo, appunto di marmo scolpito, leggo un brano di una lettera che una donna di nome Paolina, scrisse a proposito di questo suo, esser nuda nel marmo, chiedendo di essere coperta perché non vi era più la ragione dell’uomo che l’aveva voluta così, come suo desiderio umano e personale. La donna Paolina Bonaparte Borghese, chiedeva al marito Camillo di non mostrare più il corpo di quella donna di marmo che le assomigliava. Era stato, ciò, dunque che mi aveva fatto esitare nell’animare il mio sguardo, in quella donna di marmo, che dava energia al mio stesso corpo marmoreo.

 

Seppi, dunque che quella mia Venere era sola e che soli nel museo, potevo dare ai suoi occhi i miei, per scuotere la nostra materia in passione e amore. Infatti, come la guardai il suo, corpo prese ad animarsi, le sue palpebre a muoversi, con le mie e le mie labbra. Le mie labbra la baciarono, insù i capelli, sulla fronte, le sfiorarono gli occhi e la sua bocca. E così udii il suo primo sussurro – chi sei? Mi chiese. Sono un uomo di marmo. Lei mi guardò, con stupore, mi rispose, chi? Non ti conosco? Sono un mito che vive nel marmo, un Dio forse. Lei, mi guardò e mi chiese ancora, ed io, io chi sono? Sei il corpo mitologico di una dea che non à più l’anima di una donna. Già! Ora ricordo, sono un marmo rimasto qui nudo. Sei bella mia cara, lascia che ti ami. E senza aggiungere altre parole, scesi con i miei baci sul suo meraviglioso collo, tra i sei e sui suoi capezzoli, sul suo ventre e sotto le vesti che sollevai, la baciai nel folto pelo, finché immersi le labbra e tutto me stesso nella fessura del suo sesso. La baciai la accarezzai, le detti con la lingua le carezze più dolci, finché non sentii e seppi, che anche le statue di Marmo riescono e gemere di Piacere. Le baciai le gambe, i piedi, il morbido sedere di marmo, la schiena. Finché la strinsi tra le braccia, e, baciandola sulla bocca, cercai di fondere il mio marmo nel suo. E tutto ci apparve bello, per un gran tempo – ma in un certo momento successe quello che sempre mi sopraggiunge, per quanto il marmo sembra essere nel marmo, sentimmo quel rumore secco ma preciso, una specie di tac. E rimasi con paolina che gemeva, sì felice, ma si era spaccata in due dalla testa sino ai piedi e a stento riuscivo a tenerla con le braccia marmoree insieme. Lei mi disse felice, adesso che facciamo? Non ti preoccupare Paolina risposi, io non vado in giro con palloncini, ò con me un mastice fantastico che risana qualsiasi marmo. E con calma e parsimonia quasi avessi fatto con lei anche in questo modo all’amore, le davo un bacio e la stringevo forte perché si rinsaldasse. Infatti, chiunque ci guarda, non si accorgerà mai di questo nostro amore.


 

Filiberto

 

 

 

 

 

In una cittadina come le altre – in uno dei soliti forse, paesi, il mondo girava come sempre come impazzendo, e, mentre tutto sembrava fermarsi, il clima d’esaltazione e il livore verso con chi prendersela - riscoteva il peso il successo e le chiacchiere. Un’immaginazione che rimbalzava sul non senso, o su un senso che appunto non aveva un dialogo ma solo un argomento su cui fare opinione. Le giornate scorrevano così e qualche volta anche peggio, ma spesso anche meglio, insomma sembrava che l’umore dipendesse dal tempo – proprio come spesso succede, ma l’immaginare delle invidie e le supponenze e ancor di più ciò che scaturiva, dall’illusione di codeste due era ciò che sedimentava dentro le teste di molte persone.

 

In quest’ameno posto, insomma, Filiberto non era certo l’unico che doveva barcamenarsi e che doveva inventarsi come sbarcare il lunario del pranzo e della cena – ciò comunque era di certo un’incombenza, ma ve ne era un’altra molto più famigerata, i soldi per le tasse. Proprio per questo Filiberto aveva incominciato a creare un mucchietto con il quale almeno uno di questi problemi, quello più imminente, la tassa più urgente poteva assolvere. Era un po’ che accumulava tutto quel che poteva, ma sovente era sorpreso da un’ansia improvvisa al pensiero che tutto quel che stava facendo non bastasse e non fosse per lui risolutivo di quello che doveva. Un bel giorno si accorse che non riusciva più ad accumulare, mettere da parte qualcosa, come aveva sempre fatto, e, allora l’ansia di non riuscire a risolvere il debito, lo sorprendeva all’improvviso, e, sempre più spesso nel mezzo della notte. Ciò sapeva bene Filiberto, era qualcosa che non sarebbe riuscito a, sopportate, il sonno lo voleva! E così in questi dormiveglia escogito un piano a dir poco diabolico – Filiberto sapeva che era qualcosa di molto disdicevole, capì però che in questo modo non soltanto avrebbe ripreso a dormire, ma divenne certo dentro di sé che non avrebbe avuto più nessun problema nel pagare l’imminente tassa. E così la notte prese a uscire ad appostarsi davanti alle case dove vedeva che c’era ciò che cercava e che faceva, perfettamente al caso suo, e, quando la notte era scura e tutti dormivano si avvicinava alla refurtiva e ne prendeva un sacco pieno, doveva essere ben pieno, era meglio così si disse. E un bel giorno qualcuno suonò alla sua porta, Filiberto la aprì e fece entrare il tipo che vide sulla porta, che si presentò per l’appunto come l’ufficiale giudiziario addetto al pignoramento per esecuzione del pagamento delle tasse. Filiberto disse: questo è quel che ò un tavolo per mangiare – volente che mangi seduto senza il tavolo, disse Filiberto all’ufficiale? Disse ancora, ed ecco per l’appunto la sedia su cui mi siedo per magiare, un piatto, una bottiglia per l’acqua, un coltello, un cucchiaio e la forchetta, e, disse ancora, da un po’ ò anche due bacchette cinesi, ma ancora non mi riesce a usarle. Allora ufficiale volete togliermi tutto ciò affinché possiate avere quel che devo per le tasse? Gentile Signore, rispose l’ufficiale giudiziario, non credo proprio che ciò basti per risarcire il vostro debito, se ci fosse del resto, prima che passi alla valutazione delle mura? Del resto! Rispose stupefatto Filiberto, ma non vede il piatto, dove mangio, vi sembra che ci sia rimasto qualcosa è stato così difficile accumulare qualcosa, che non può esserci ancora del resto o più di quel che ò accumulato. L’ufficiale giudiziario guardò un istante Filiberto con un’aria interrogativa, e disse ma allora lei à qualcosa che à messo da parte per me per il riscatto delle sue tasse? Certo, rispose lesto Filiberto, ben più di qualcosa, tutto quello che ò potuto! Bene! Disse l’ufficiale, ma devo ben valutare prima di dirle se basta. Basta! Basta! Disse Filiberto – e si avviò conducendo appresso a sé l’ufficiale giudiziario verso l’altra piccola stanza. Filiberto guardò con un gran sorriso l’ufficiale e disse: guardi, guardi! L’ufficiale guardò nella stanza senza potervi entrare, dall’uscio della porta, e, rimase per un attimo stupefatto da ciò che vide, tanto che il suo silenzio si prolungo, mentre Filiberto rideva e gioiva! Poi ripresosi, disse, ma gentile signore tutto questo che è accumulato qui è immondizia! Vede quanta, l’ò, tenuta apposta per lei, disse soddisfatto Filiberto, e per il fatto stesso, che non ò potuto darvela perché non posso pagarvela ora che ve la prendete, spero la valuterà bene e che pagate le tasse, mi dia anche un resto in denaro per quello in più che ò accumulato sul valore delle tasse.


 

Il collaudatore – “abbozzo erotico.”

 

Chi è colui che collauda, e, perché? Lo sa chi sceglie il collaudatore, e qualche volta lo stesso che esegue i collaudi. Ebbene tutto potrebbe dirsi ben legato alle stagioni – a, le temperature che variano tra una stagione e l’altra. È un po’ come essere dentro di ognuno e nell’altro, mentre si è insieme. Già il collaudatore, l’unico che riesce a comprendere ciò che sta facendo, che sa quali sono le indicazioni giuste da dare, le informazioni da raccogliere e capire, un solitario che comprende. Che cosa c’è da comprendere, un collaudatore collauda sempre oggetti, e, in questo modo che comprendiamo com’è meglio usarli, e quali sono quelli che fanno al nostro caso e uso.

 

Ecco, l’avventizio mondo del collaudo spesso à bisogno della partecipazione di altri come in questo caso. Tutto comincia dal ché il collaudatore – questo collaudatore – sembra aver stabilito quale sia l’importanza delle sue recensioni, in proposito di ciò che avviene durante il collaudo. Allora posso dire che ci troviamo ad ascoltare un collaudatore indipendente che fa dei suoi collaudi, prova di vendita delle informazioni che ne ricava. Si badi, non un venditore di collant, ma un collaudatore in essere, che ci parla del funzionamento degli oggetti usati e del rapporto che à stabilito per usarli. In definitiva quasi un critico letterario che scrive le sue recensioni d’uso.

 

Amici miei, io sono stato per un certo periodo della mia vita un collaudatore, un collaudatore di giaciglio. Ò iniziato per questo a dormire sopra svariati letti e raccontare i miei riposi che in conclusione si rappresentavano nel racconto dei miei sogni. Durate le posizioni comode e i confort, che, traevo dai giacigli.

 

Come tutta la letteratura un po’ mercantile, trovavo in ambito di rivista, chi comprava queste mie recensioni, sulla comodità dei miei riposi in svariati letti e giacigli improvvisati. Ora prima di continuare a raccontare voglio dirvi che alcune delle mie esperienze sono state in ambito erotico, il collaudo consiste in quest’ambito nel dire di quanto fosse possibile beneficiare in amore con tali giacigli. Se c’è dunque, chi non vuole ascoltare ciò può tapparsi le orecchie. Voglio anche dire che ò scelto di parlare di due collaudi di cui non ò venduto la recensione, appunto perché il racconto era più evidenziato su quel che accadeva sopra o attorno all’uso di questi giacigli – e in definitiva sembrò che ciò non fosse proprio prerogativa del giaciglio, chi vorrà comunque saprà farsene un’idea. Che dirvi il collaudo di cui vi sto per parlare con due donne – voglio dire, una donna diversa per due giacigli diversi – si può intendere un giaciglio per ogni donna. Per le donne che potrebbero vedersi in questi collaudi, sappiano, di non esserci mai state, anche se dovessero trovare il racconto simile a qualche loro esperienza. Per quelle che sono state effettivamente compartecipi del collaudo, sappiamo che anche se non è stato un collaudo, è stato un grande amore, anche se è sembrato un collaudo.

 

Era un meraviglioso inverno in una di quelle città dov’è meglio starsene in casa – al centro della stanza c’è l’emblema di quel che si può chiedere per un collaudo - qui cubi che se li apri sembrano una brandina, ma sono ben più di una branda – dove immagini, chissà se reggerà il mio peso e sarà comodo dormirci? Bene il pomeriggio è un po’ inoltrato ed io mi accingo a collaudare questo giaciglio, e tutto à inizio così – Sono sdraiato su di esso e sorprendentemente lei è sopra di me, ci baciamo e baciamo, ci abbracciamo e riusciamo a metterci al contrario io sopra di lei e lei sotto, che la guardo in giù negli occhi e continuo a baciarla, fin quando sopra il brando cubo iniziamo a spogliarci e toccarci. Incredibile, siamo nudi sopra il brando cupo e molto eccitati, e, il brando cubo sembra più stabile che mai, nessuna incertezza, nessuna strana pendenza. Lei è così pronta che sfornerebbe lì dieci gemelli, ma il brando cubo ci sorprende ancora, riusciamo a infilarci il profilattico, e, nella più classica delle posizioni – io sopra e lei sotto a cosce larghe, incominciamo a fare all’amore – calmo più svelto, tutte le variazioni di ritmo. Il brando cubo è eccezionale non sembra un letto singolo, ma il singolare spazio dell’amore. Cambiamo posizione, lei sotto di schiena ed io sopra che le sto dentro, nel sesso naturale, e mentre io mi muovo lei, riesce a trovare il movimento sincrono, forse le se accende così il clitoride. Andiamo avanti e io sento che potrei venire e godere, ma l’aspetto, le chiedo anche se per caso, le manca molto – lei mi dice che forse dobbiamo rimetterci nella posizione io sopra e lei sotto, dice che mi sente di più – ma che dici le rispondo se continui a muoverti con tutto questo piacere. Mi lascio anche sfuggire una parola da collaudatore, questo brando cubo è eccezionale. Lei giunge al piacere e adesso lei attende ancora per un po’ che giunga io al piacere amore mio. Dopo ciò le dico – che dici proviamo ancora, aspetta le dico torno subito. Me ne vado un attimo e sono già di ritorno. Mi chiede cosa ò fatto? Mi sono lavato l’uccello e mi sono infilato un altro pr. L’acqua non è calda, dice. Lo so. Bene mi metto seduto sopra il brando cubo, lei sopra le mie gambe, la bacio e l’abbraccio, le prendo con le mani il suo bel culo, e, nella sua bella fica larga lascio che lei con la mano mi porti l’uccello nella sua alcova. E così tenendola tra le mie mani sul suo bel culo, a cosce aperte sopra le mie cosce, la faccio andare avanti e indietro, verso di me, mentre ci baciamo e ci guardiamo e sbirciamo il nostro sesso che si unisce. Quando lei raggiunge l’orgasmo, cerca di chiudere le cosce, ma io con la mia dolce forza, continuo a farle sentire il piacere, spingendola avanti e indietro verso di me, tra abbracci e piacevoli suoni, continuiamo finché non sono io a sentire tutto ciò. E così, le dico, aspetta facciamolo un’altra volta – torno in bagno mi siedo sul bidè mi sciacquo il sesso con l’acqua fredda e come la prima volta non va giù anzi, sembra che quell’acqua lo ristori. Infilo il pr, e rifacciamo tutto un’altra volta, e, un’altra volta, poi dopo questa. Io, ò l’idea di dire, questo brando cubo è fantastico, proviamo a metterci a sesso inverso, vediamo se la posizione viene bene ed è comoda? – E allora io mi sdraio dalla parte del cuscino, lei si mette in posizione con le cosce aperte e il suo sesso che mi sta proprio sul viso, e non c’è bisogno neanche che tiri avanti la testa che la sua fica bella calda e accesa di rossore tanto l’amore, mi sta sulle labbra e la lingua – e così mentre io incomincio ad accarezzarla in questo modo, lei mi ciuccia l’uccello, il pene. Andiamo avanti così per po’ tanto il piacere ci sta venendo da tutte le parti, che lei, all’improvviso mi dice di fermarmi e che preferiva ciucciarmelo senza che io stessi a baciarle la vagina, o le stessi baciando, e tanto è stato – senza che io capissi bene il perché, che io sono rimasto sdraiato mentre lei, di giù e con la testa parallela alla posizione della mia me lo à ciucciato tutto quanto.

 

Questo brando cubo è unico.

 

Oggi è estate una di quelle meravigliose serate d’estate, e, molti potrebbero pensare chissà quale strano collaudo, nelle svariate serate estive? Sempre del collaudo di un letto parliamo. Possiamo dire dei più tradizionali letti, un letto a molle matrimoniale. Questo letto, posso dire che l’ò collaudato in due giorni diversi per quattro volte la prova collaudo. Innanzi tutto debbo dire che sono con una meravigliosa e bella donna tedesca, e, sembra che per tale genere di collaudo non ci sia niente di meglio, una donna tedesca. Non so dirvi esattamente perché, ma sembra che in un momento di scarsa fantasia il funzionamento per il collaudo di tale materasso a molle possa raggiungere, effetti straordinari, proprio con una donna tedesca. E allora passiamo alla prova – e allora se per due giorni romantici, diversi, abbiamo collaudato questo letto, per ogni volta abbiamo fatto due prove collaudo, che sono consistite in questo. Dopo esserci spogliati in preda a un desiderio sfrenato, ci siamo messi sul letto nel modo più classico. Lei sotto e io sopra, volto volto, dal lato del letto matrimoniale, quello per destra stando io sopra lei, mentre lei quello per sinistra stando sotto di me. Lei meravigliosamente con le cosce aperte ma stese sul letto. Particolare da non trascurare per il buon funzionamento del collaudo. Ora dopo baci e abbracci dopo esserci messi dentro, incomincio a muovermi nel classico modo, su e giù, quando, dopo vari baci, mi metto con le braccia stese appoggiate sul letto, mettendomi su con la schiena, tenendomi con le palme appoggiate sul materasso, per lo più all’altezza delle sue spalle. Incomincio così con il bacino e il ventre ad andare avanti e indietro dentro di lei spingendole le natiche contro il materasso – ciò in modo preciso e leggero e costante – ed ecco che a un certo punto il movimento si amplifica e lei comincia a rimbalzare sul materasso e ogni mia spinta aumenta il rimbalzo, e, tutto diventa fantastico quando il mio sesso entra e esce dal suo perfettamente con la dinamica dei movimento dei nostri corpi nel rimbalzo. Poi tra un collaudo e l’altro mi sdraio al suo fianco e lascio il sesso appoggiato sul suo fianco e, continuo ad accarezzarla e baciarla e quando mi sposto da quella posizione e lei si accorge che à il fianco un po’ umidiccio e mi chiede che cos’è? Io semplicemente le rispondo: è roba tua. Devo aggiungere che in una breve pausa del rimbalzo lei è riuscita a stringermi il pisello con la sua passera come nessun’altra – credo, si sia sospesa per un attimo anche la circolazione sanguigna.  


 

La grande illusione

 

 

 

È tutta una giornata diversa da quella odierna e il fatto non può apparire come quello che può essere definito concreto o reale. Il mondo gira intorno a certe illusioni, spesso, molto spesso, inutilmente spesso. Non s’incontrano poi per essere sinceri, quasi soltanto per scambiarsi le illusioni, già, ma le illusioni non stanno da sole, anzi le trovi nel grande magma del possibile onnipotente, appunto come queste persone che si sono riunite qui, in questo luogo, in uno schema mentale e un’invenzione della rappresentazione del mondo. Siamo in cima o in basso non so – c’è sempre qualcosa che sembra reale, eppure siamo, diciamo sono dentro un gioco che può scambiare le cose e gli attributi, le illusioni e gli inganni.

 

I giocatori, sembrano quattro, come per una partita a poker – non sono di fatti più di quattro ma di cosa dispongono questi giocatori che appaiono più bravi di altri e, addirittura realistici e determinanti come la grande illusione del potere rende possibili. Fuori da questo luogo nessuno immagina quale partita è possibile giocare e quale sorte incredibile può realizzare per i giocatori. Come stavo dicendo, vi dicevo questi giocatori in questo luogo ànno la possibilità, incredibile, di rilanciare illimitatamente è, ovvio che nessuno accetterebbe un rilancio senza le dovute garanzie – che venga poi a partita conclusasi pagato, onorato. I giocatori comunque sanno che per loro stessa consistenza e illusione di potere potrebbero disporre di denaro o credito, anche quando la partita o il rilancio potrebbe apparire non coperto, la dinamica della loro ricchezza è quasi soggetta alla variabilità della stessa partita di poker che giocano – come alla stessa illusione della possibile vincita su ognuno di loro e ciò che immaginano rappresenti la loro ricchezza nel mondo.

 

E con questo principio che molto, tanto tempo fa in questo luogo è iniziata questa partita, fino allo strano gioco che da un tempo così lungo continua a perpetuarsi: I quattro giocatori, ormai da alcuni decenni rilanciano l’uno dopo l’altro a voce, la cifra raggiunta è così rilevante che dopo quel primo vedo, seguito da vedo e rilancio … si è continuato così senza mai smettere, quasi che un’illusione sempre più grande, fosse cresciuta dentro ogni giocatore e nel mondo stesso diffusa, propagata, rilanciata. I quattro giocatori non potevano più pensare o capire di perdere tutto ciò, si poteva soltanto continuare e rilanciare – cosa potesse accadere e a che punto del tempo, sembrava dicessero a se stessi i giocatori, io che avevo forse questo strano privilegio di vederli giocare. La partita continuò così, ancora, molto e sembra proprio che forse debba finire con la loro stessa vita o di qualcuno dei giocatori prima degli altri, la partita è così lunga rispetto alla possibilità di qualsiasi partita a poker che forse ciò è un tempo alterato dentro il tempo stesso e l’illusione stessa. Poi all’improvviso senza che nulla lasciasse presentire qualcosa di diverso da quello che era stato protratto per tanto tempo, uno dei quattro disse vedo, e, basta, null’altro e, con un po’ di sorpresa sto vedendo uno dopo l’altro tutti e quattro i giocatori, accettare il gioco e posare tutte le loro carte in tavola – c’è un attimo di silenzio, poi tutti e quattro insieme dicono è completamente buoi e non riesco a vedere nulla, che carte ci sono sul tavolo? Che dirvi, io vedo bene quali sono le carte, ma questi giocatori così immersi nel vedersi nella grande illusione da loro stessi createsi sembrano che non riescano proprio più a vedere. Sento ancora dire da uno di loro, ma chi à vinto? Nessuno degli altri può rispondergli – ascolto ancora dire, cosa sta accadendo, quando abbiamo iniziato a giocare?


 

Il sogno incompreso o la comprensione di un sogno

 

 

 

Tutti i giorni qualcuno guarda, sembra quasi che incontri. Dove sono eppure lei è qui, vicino a me sembra quasi un ricordo vago quando l’ò vista lì in piedi – dove sono stato – ancora non era ricordato o stava in ogni accaduto così com’era – che strano ricordo, che inconsueta immagine, che pensiero è. Gli occhi sono belli il suo corpo è bello, che cosa sta per accadere, dico una cosa che forse è un preludio e molto probabilmente non c’entra niente, eppure non si sapeva. L’accarezzo l’abbraccio, bacio i suoi seni morbidi che quasi fanno perdere le mie labbra – la tengo tra le braccia mentre facciamo all’amore, forse non sono completamente me stesso, ma mi sembra proprio che ciò non esiste, sono pienamente me stesso e mi abbandono e sento i nostri baci le labbra che si accarezzano e prendono, le lingue che si vogliono, fin quando la stringo forte a me o io l’abbraccio e mi tengo a lei con la voce del corpo che dice ti amo. Un’altra volta e ci siamo ancora visti così. C’è un’immagine che torna che ci guarda ci vede che succede nel sogno – siamo in quel luogo e in molti altri luoghi, e, che sta accadendo? Guido l’auto e sono con un’altra donna – tu sai che io ci sono, mi cerchi cammini molto, finché ci incontri, chiedi se puoi venire con noi – quelle tante o poche o precise parole che non abbiamo scritto che ci siamo detti ti ànno portata, ora qui – ti ascolto parlare con un’altra lingua mentre parli con me e con l’altra donna – ti dico così all’improvviso: ài una voce bellissima dolcissima – nel dire ciò l’altra donna - e tu rimani stupita quasi io, avessi compreso nell’esprimere quel commento cosa vi stavate dicendo. Quando ci lasciammo, ti ricordai quello che ti avevo detto – non potevamo incontrarci così, sarebbe stato possibile e chissà forse lo sarà ti dissi in un modo più vero e più libero. È possibile ora che serve che succede è stato così. Tornai a cercarti, per trovarti, dopo questi brevi incontri, ma non c’eri più eri andata via come ti avevo chiesto, fu l’altra donna e dirmelo. Quando ti vidi nuda e ti guardai negli occhi dissi: “Tu non sei una prostituta?” Mi guardasti e, non dicesti niente.

 

 

 

Ogni riferimento alla realtà casuale è puro.


 

La Tavola

 

 

 

C’era una volta un posto, dove le persone. Voglio dire due persone s’incontravano per parlare di quel che accadeva loro.

 

Un giorno uno di loro – che si chiama, come volete ~.

 

Incomincio a parlare dicendo: Ieri mi è accaduto qualcosa di veramente insolito, ero lì che mi stavo per accingere a disegnare con la tavola grafica elettronica, quando improvvisamente, appare una frase scritta che diceva - Ti amo! Ò preso la penna e ò scritto in risposta: Io non so, perché mi ami? In risposta a ciò compare un’altra scritta che pressappoco diceva: Ti amo, perché mi piace quello che mi fai. E ancora io ò preso la penna scrivendo sulla tavola grafica: Non capisco di cosa parla, io, che cosa ti ò fatto, che per questo ti sei innamorata di me? E subito un’altra frase appare scritta in risposta a questa mia domanda.

 

Non importa perché, non è importante che te lo ripeta, io ti amo, ti amo, ti amo! Rispondo: Va bene, va bene! E di botto la mia risposta appare scritta più grande.

 

Ora Peppo, rivolto all’amico Pippo, dice: Che pensi che la tavoletta grafica abbia iniziato a parlare e si sia innamorata di me?

 

Che dici, disse Pippo, le tavole grafiche non si possono innamorare, sarà stata qualche anima di donna che ti à parlato attraverso essa.

 

   Ma Pippo, che cosa c’entra l’anima o la donna, se ciò che mi à parlato è stata la tavoletta. Se mi avesse parlato o l’anima o la donna, credo che avrei, visto, o l’anima o la donna, invece l’unica cosa che ò veduto, è stata la tavoletta e quel che si scriveva.

 

Ma scusa, Peppo, una tavoletta come fa à innamorarsi?

 

 E che ne so, risponde Peppo, tu lo sai perché s’innamora una donna? Ti dice le stesse cose che sono apparse scritte sulla tavola, e, questo basta per dire che è una donna e non è la tavoletta elettronica?

 

Saperlo disse Pippo di certo ora tu, Peppo non avresti questo dubbio, se ad amarti sia una tavoletta elettronica o una donna!

 

Questa è bella! Sei tu che ài detto che è una donna e la sua anima che parla per mezzo della tavoletta elettronica. Io ò sempre pensato che fosse soltanto la tavoletta a dirmi ti amo!

 

Bene certo! Se una donna ti dice, ti amo per mezzo di una tavoletta, la questione non è molto diversa, se non per il fatto che la tavola elettronica è con te la donna invece no!

 

E già! Peppo sei un tipo veramente perspicace.


 

Il mondo per una sardella

 

 

 

In fondo al giorno in una di quelle giornate strane di questi giorni un pesce non sapeva se dovesse schizzare fuori dall’acqua e guardare cosa sta accadendo. Infatti, il giorno narrava del più grande caos economico in cui il giorno era precipitato quello dell’esproprio contemporaneo. Le nazioni imperversavano nel debito, e anche il più piccolo cittadino che non aveva mai avuto il delitto di una fetecchia di debito, si trovava a dover pagare tasse senza avere nulla in cambio. Voglio dire più esattamente senza riuscire a mangiare, era così dimagrito che per questo la sua pancia si era così ingrandita da sembrare ingrassato. E non sapeva più se dovesse considerarsi un obeso o uno che non mangiava, grazie alla stessa definizione che statistiche del giorno davano dell’obesità o di chi non mangiava, l’importante sembrasse essere, costruire un buco grande come l’ano di quel pesce, in cui far finta che nulla di tutto questo stesse accadendo. In tal modo era evidente che si continuava a procrastinare lo stato che da sociale era diventato, ovviamente asociale. In compenso il sociale si vantava di essere qualcosa di più sociale dello stato sociale, ma non si capiva perché dovesse per questo avere bisogno del denaro dello stato sociale, che appunto non era più stato sociale, perché non aveva più un soldo, ma solo tasse. Difatti il nuovo mondo che aveva sì abolito il libero commercio possedeva una configurazione che dava un nuovo senso alla schiavitù, in virtù del fatto che nessuno più lavorasse, ma non in quanto libero spasso, ma in virtù della spesa anale, che dava al caviale la confezione di un unico uovo di storione. Ciò ovviamente à esaurito anche il caviale – per il fatto stesso che in questa storia si vuol dire che il caviale e lo storione non ànno nulla da dire, ma dire che quel che si spende se non è quello che si guadagna, vuol dire che non si risparmia e prima o poi ciò esaurisce, ogni incremento. A questo punto voi direte cosa fa il pesce quella bella sardella, che sculetta con la coda? Bene decide di sprizzare fuori dall’acqua e, una volta fuori non finisce nella padella, ma fa un’emerita fetecchia verso la terra e i monti e si rituffa in acqua. Ora qualcuno potrebbe dire qual è il significato della storia, ma forse nessuno, di certo comunque la sardella qualcosa, à mostrato, che non si può sempre dirgli quello che deve fare, per poi alla fine per quanto è stata brava metterla in padella.


 

Il figliol prodigo

 

 

 

C’è bisogno di un prologo per raccontare un accadimento così importante? Quale dovrebbe essere questo prologo – l’unica realtà cui possiamo narrare è quella del pettegolezzo e dell’importanza per mezzo della superbia, la rivalsa che insieme all’emancipazione à immaginato modelli esistenziali superiori per importanza alla viva partecipazione alla libertà. Il concetto basilare su cui si è evoluto questo grande sviluppo è consistito del principio burocratico, politico, culturale, tra la differenza tra lo scambio e la dipendenza a favore dello scambio per dipendenza e ruolo immaginato per quel contemporaneo. La più grande spartizione della rivalsa è consistita nel concetto tu sei frocio (omosessuale io no) con la prova che la nascita di un figlio dava. In realtà il dolere nel dare il culo socialmente e per acclamazione è stato sempre di gran lunga più doloroso per il singolo e per tutti, ché, come esserci puramente virtuale e superiormente dialettico, non potrà mai sfociare nella reale liberazione del culo come espressione stessa e reale del libero cacare – quindi c’è chi virtualmente vive una reale stitichezza e, chi realmente un beato piacere. E con questa grande disputa in cui si affrontano i secoli e gli anni, i mesi e i giorni – in questo grande proclama del me realizzato e sociale e con tutto questo bene e questo male, accadde che un bel giorno, ritrovatesi tutti nel giorno del culto religioso – all’improvviso si sentì un grande schianto, era il crocifisso che si spaccava, proprio nel mezzo della predica. I chiodi che tenevano crocifisso Gesù, uscirono furiosamente da dove erano stati fissati, uno colpì un diacono in testa che invece di essere illuminato da tale evento gli spuntò una lampadina a risparmio energetico dalla testa, che era stata donata dalla politica ai cittadini per non si sa bene di cosa risarcirli. Un altro chiodo colpì un laico che cadde in avanti e con il culo rimasto sospeso in aria gli uscì da esso il gas di una perenne scorreggia che subito si accese in una abbondante fiamma. A questo punto Gesù toltosi gli ultimi legni del crocifisso di dosso, attraversò in agili passi il tempio e giunto dinnanzi al religioso in abito talare, per prima gli diede una sberla con la mano destra, tanto che il religioso fece un giro su stesso, si trovo a testa in giù e poi tornò a testa in su, come un grande volo senza toccare terra. Poi Gesù una volta tornato in piedi il religioso, gli diede una sberla, se possibile ancora più forte con la mano sinistra. Successe che il religioso ruotò come con lo schiaffo con la mano destra, ma nel senso opposto. Quando si riposizionò in piedi, Gesù lo guardò e gli diede un cazzotto con il pugno chiuso in testa, che al religioso subito gli si formò l’aureola e si alzò in cielo. Poi si voltò verso quelli che erano nella chiesa e disse a gran voce: “C’è qualcun altro che vuole andare in paradiso?” si udì squillare un telefono e la voce di chi rispondeva che diceva che sarebbe corso subito a casa e, se doveva fare la spesa, per far vedere quando fosse solerte e bravo. Si rivolse agli altri, presenti, e disse scusatemi, ma devo andare. Come si avviò verso l’uscita si udì un gran vociare e tutti dietro, che proclamavano la loro scusa, più o meno morale per uscire e andarsene: tutti i partiti i politici i club, la propaganda e gli stendardi, gli ideologi e i pubblicitari, i cooperanti e volontari le guardie e i ladri i dipendenti e i presidenti il fante l’esercito i re i generali e i religiosi rimasti. A questo punto con soltanto Gesù rimasto lì, comparve San Pietro, che chiese. “Che Faccio?” Gesù gli disse: “Lascia aperte le porte del paradiso, così la finiranno di venire a bussare per vedere chi c’è e dire che ripasseranno, senza questa scusa non oseranno neanche avvicinarsi.”


 

Le parole del Signor Situazione – prima del ritorno del caldo

 

Certi giorni mi sembra che le cose sono soltanto rimandate, poi sovente s’incontrano situazioni e persone che sembra debbano attendere qualcosa che dia loro la risposta che tanto doveva, perché quel che speravano, o meglio che dovesse essere gli permetteva di ascoltare.

 

E allora due innocue situazione - sembravano essere tal e ogni ipotesi deve per questo lasciare libero il silenzio – ma tutto quel che dice deve rimanere, appunto un colloquio, o uno stare lì. Sembra si debba guardare da un’altra parte ma appunto che cosa importa ciò. E allora basta una corsa, un’altra corsa – e se fosse invece un vero dialogo dove esserci e dirsi tutto ciò che sinceramente è vero, senza limiti e confini. Queste parole dirci che stiamo conoscendo – è semplice sincerità o bisogno di sincerità – quasi appesantita che à solo bisogno di essere un po’ vissuta. E allora qual è questa peculiarità in questa situazione che sembrano due - appunto - perché sono due le persone: non altro che per questo. E se non ci fosse nessuno, soltanto un pensiero – sta riflettendo o c’è un bacio, un bacio con le sue parole, o altre parole o la sincerità senza l’incertezza delle parole. Dico le parole non sono incerte e il bacio è placido, poco importa se è legato al desiderio, è, sereno, è, un situazione innocuo. Una situazione sincera non con le parole, ma con le parole dette, con le parole che fanno comprendere, con il pensiero che le trova e che lasciano capire. Poi appunto la leggerezza dell’innocuità, della sincerità, dice che strano potersi toccare e, se fosse solo questo, o più ancora la semplicità di un sorriso e di una carezza, che si lascia ascoltare e comprendere. Che incredibile mistero l’accettazione: soltanto ciò ci dice qualcosa, parla con le sue parole e si ascolta, ma non un’ipotesi o una situazione, qualcosa di là di certe prerogative relative – siamo solitari, ce la facciamo, così come ce la facciamo, se ancor più sinceri e veri, le parole si ascoltano e parlano senza essere ascoltate né parlare, la sincerità non è più un enunciato, ma un bacio. Sono un’innocua situazione o stranamente come un passo che si evita quando una formica solleva qualcosa più grande e più pesante del suo corpo e noi una velocità innocua, ma con un peso superiore. Quel che si tocca non può che essere qualcosa che non si tocca, forse solo così abbiamo qualcosa da dirci nella vita, in una situazione personale.


 

Il registro

 

 

 

Da dove s’inizia quando si va molto indietro, dai frammenti dei ricordi, e allora – correva l’anno 1973,74 e gli studenti erano nei primi giorni di scuola. Io ero capitato in una classe, dove s’insegnava per lingua straniera il francese. Dico che vi ero capitato poiché io per lingua straniera avevo scelto l’inglese, poi c’era anche il latino che ancora non aveva una nazionalità ed era pariteticamente considerato italiano. Io e alcuni altri ragazzi passammo i primi due mesi e mezzo in questa classe in attesa di essere trasferiti in una dove s’insegnasse inglese, la questione dell’insegnamento della lingua straniera era per lo più fatto sull’apprendimento della grammatica e, dato che il francese si considerava avere una grammatica più complessa dell’inglese avevo scelto l’inglese. In quei primi due mesi e mezzo quindi nella lezione di lingua francese non ero obbligato a fare compiti in casa e potevo seguire le lezioni aiutandomi con il libro di un altro studente, dato che io avevo il libro dell’inglese. L’unico particolare che ricordo di quei primi mesi fu il professore di matematica che dopo cinque minuti che cercava di accendersi una sigaretta, gli dissi, professore guardi che à la sigaretta a rovescio in bocca – e non se ne era proprio accorto – la lezione dopo mi chiamo alla cattedra per interrogarmi, ma io risposi che non ero preparato – mi chiese che cosa intendessi, dissi che non avevo letto la lezione sul libro. Mi guardò e disse che per quell’anno non mi avrebbe più interrogato, risposi semplicemente va bene. La settimana dopo all’improvviso mi chiamò per interrogarmi e risposi a tutto quello che mi chiese. Trasferito nella nuova classe e sezione, mi resi subito conto che eravamo un’allegra brigata, forse cresciuta, a omogeneizzati, certo quelli attuali forse raggiungono altezze superiori, nel tempo, ma noi a quell’età si era sviluppati già all’età che avevamo, scusate compreso il giro di parola, appena compreso. Di fatti se io ripenso alle ragazze per me, erano già tutte donne e tra i ragazzi c’erano anche misure eccezionali e chi magari, di altezza normale poteva venirgli qualche pensiero soltanto per questo. C’era Bruno che già era alto più di un metro e settanta e, forse era il ragazzo più buono del mondo, alto e magro. La più alta tra le ragazze era Daniela e anche un po’ cicciottella, sicuramente la più simpatica e comunicativa, l’anno successivo era di banco davanti a me, in un tempo precedente c’erano il calmo Benigni e l’irrequieto De Vito, che, giocando con una matita sulla sedia del compagno che si sedette ed ebbe un gluteo perforato con tanto, si sutura di punti. Daniela finita la scuola fece una dieta ed io feci in tempo a dirle che era bella e bona come poche altre, perché poi morì. Bruno al contrario aveva preso a mangiare oltre modo ed era ingrassato tantissimo.

 

Il secondo anno iniziò ben presto con uno sciopero, era il 1974,75 e, la disputa tra gli studenti e il preside che si ripete per qualche tempo, era dovuta alla non accezione del riscaldamento delle aule scolastiche. Questa questione si ripeté e si protrasse e, anche se a lanciare, la protesta erano stati alcuni della classe terza il resto di noi decise di partecipare. Una volta gli animi tanto si accesero, che una ragazza tornò a casa dicendo al padre che non poteva entrare a scuola e quando tornò con il padre, ci fu un diverbio tra lo studente e il genitore, che, lo studente sentendosi aggredito trascinò tutta la scuola in sciopero presso la caserma dei carabinieri volendo denunciare quel genitore, non so esattamente cosa successe, so che restammo lungo il marciapiedi e la strada per un po’ poi tornammo indietro. Alla fine la si spuntava sul tema dei termosifoni e, gli argomenti venivano superati dalle soluzioni. Una volta finii protagonista in uno sciopero con tale questione per argomento, insieme a pochi altri, quando un bel giorno il preside disse che non avrebbe più accettato discussione e se ne sarebbe parlato più avanti e propose di entrare in classe alla seconda ora. Altrimenti, si doveva tornare a scuola il giorno dopo e, sul libretto delle giustificazioni, ci sarebbe dovuto essere scritto: assenza per sciopero. Rimanemmo fuori dalla scuola sicuramente in quattro, ma il giorno dopo quando andammo in presidenza con la giustificazione, ne eravamo qualcuno in più e, sul libretto avevamo scritto, assenza per sciopero, che il preside firmò prima che noi andassimo in classe.

 

I professori di quell’anno pressappoco erano gli stessi dell’anno precedente e le nostre caratteristiche fisiche, pressappoco erano peggiorate, si era giunti a vere e proprie prove di virilità, per mezzo del prendersi i peli del pube e vedere chi aveva il pelo più lungo, qualcuno iniziava a fumare qualcun’altro smetteva. Alle ragazze spettava soltanto di essere buone.

 

E allora come nell’anno precedente, l’insegnate di inglese, non ricordo se di nome o di cognome, si faceva chiamare Bernardo. Le lezioni d’inglese con lui non erano molto difficili, ma iniziava sempre con il dire che - quest’anno ci avrebbe seguito per tutto l’anno. E allora ci faceva capire come parlava un inglese e come un americano, mimando pure l’espressione corporea e, se anche non ti ricordavi tutto perfettamente il voto, ce la facevi a prenderlo. Un bel giorno venne con degli occhialetti, quelli da presbite, noi tutti gli dicemmo che erano dei begli occhiali, sembrava veramente gasato per ciò, e, quando mi chiamò alla lavagna per interrogarmi lo era ancora. Quando scrissi quella frase che aveva al suo, interno un’enne un po’ più piccola e, lui venne a leggerla sulla lavagna mi disse che non c’era, mentre io dicevo di sì, allora mi disse di riscriverla ed io la feci più grande di tutte le altre lettere – mi chiese perché l’avevo scritta così – risposi per l’appunto, perché non era riuscito a leggerla. Mi disse di andare al posto e che mi avrebbe messo cinque perché mi conosceva. Non tornò mai più con quegli occhiali. La particolarità del professor Bernardo era che partendo in fondo alla classe a passi decisi giungeva sotto la lavagna e vi disegnava un cerchio perfetto come lo avesse fatto Giotto, senza che prima ci avesse avvisato, anche se dopo voleva sapere da noi se era perfetto, ed era perfetto, solitamente quando giungeva al sesto, settimo cerchio disegnato si ritirava dalla scuola per malattia e finiva l’anno, purtroppo solo per lui. La professoressa che lo sostituiva era molto bella, ma sinceramente anche molto stupida. Un bel giorno - quasi arrabbiata, in piedi con noi che eravamo interessati molto alla sua figura, ci chiese che cosa pensavamo stesse facendo suo marito. Ovviamente rispondemmo che non lo sapevamo. Bene ci disse sta ancora a dormire, dicemmo che non era tanto tardi. Poi ci disse che era uno sfaticato senza progetti perché aveva con la scoperta di un brevetto fatto molti soldi e adesso se la godeva. Credo che la professoressa ci prendesse per sfogarsi, fu gentile diciamo, ma sinceramente non condividevamo molto quello che disse. Fatto sta che dopo il primo periodo scolastico per me disastroso in questa materia, feci il secondo che tra orale e scritto avevo dal sette e mezzo all’otto, ora non è che si parlasse molto l’inglese, si studiava spesso a memoria la grammatica di questa un po’ assurda lingua. Bene nell’ultimo compito in classe, invertii una forma grammaticale dell’inglese, ma perfettamente, cioè tutto quello che era sbagliato, era perfetto e coerente e lo stesso tutto quello che non era giusto. Che dire lì, per lì al pensiero delle tette o di non so che cosa, mi ricordai che era quello il verso giusto, che per dirla con un ricordo vacuo, era ciò, ma non chiedetemi qual è il verso giusto che non ve lo dico – yes, you are, o dont not, are you – o viceversa, sarà stato il rosa e rosarum del latino, che non è la poesia di Campana. Fatto sta che al consiglio di classe dei professori questa su tutti prevalse e volle la mia bocciatura. Neanche la professoressa di matematica, che aveva la caratteristica di non farti capire niente per quando andasse, veloce nel parlare riuscì a fargli cambiare idea. I momenti dell’educazione fisica ci facevano rilassare, anche se per i primi dieci minuti, mentre il professore leggeva il giornale, ci toccava camminare e al tre battere il passo, serviva per il riscaldamento, comunque, anche se facevo la preparazione per i giochi della gioventù, per svagarmi un po’ di più, non m’interessava mai andarci, chi è veloce non è detto che debba per forza correre. Un altro mitico professore si può identificare in Calvaresi di applicazioni tecniche. Con lui si studiava quasi esclusivamente il disegno tecnico. Era un accanito e spaventoso fumatore con le mani e la bocca colorata di nicotina. Avevamo capito che gli piaceva raccontare per proporzioni e allora gli chiedevamo le storie sugli animali e arrivò a dirci che il toro era alto quattro metri non ricordo in rapporto a quale altro animale. Aveva anche un’altra abitudine quella delle scapezzate, e, allora bisogna ricordare il simpatico Bisceglie che sembrava sbagliare il disegno per quando incredibile numero di scapezzate prese. Una volta in una supplenza di applicazioni tecniche ci capito un professore che non ci faceva disegnare e che parlava di teoria matematica, applicate alla fisica e alla biologia e, una delle cose più incredibili che disse data la nostra propensione naturale, fu quando ci raccontò che c’era una teoria che se si lascia del seme in mare questo, si trasforma e lo possiamo ritrovare dall’altra parte della terra, sempre in mare. Le professoresse d’italiano. Materia che nello scritto era per me boicottato dal circuito della memoria di dove collocare gli accenti e le virgole. Comunque sia un bel giorno arrivò la bella supplente e ci fece fare un compito in classe. Dopo fatto, ci spiegò, dove lo avevamo sbagliato e, ci disse di rifarlo e dopo averlo rifatto mi detto un otto, praticamente avevo soppiantato la media che avevo con l’altra professoressa titolare. E non ci fu verso per lei quel compito non lo avevo fatto io, tanto che lo annullo, per di più non credeva neanche che io potessi essere tra quei quattro che avevano scioperato. E del resto nell’ultimo anno con un’altra professoressa, fu un vero fuori tema a ristabilire gli equilibri, dove sostanzialmente dissi che non mi piacevo, perché alla scuola non piacevo, anche se mi piaceva il mondo cui piacevo, non c’entrava molto con il titolo. L’insegnate di matematica che si trovò i compiti in classe lì sulla cattedra lasciati dalla professoressa d’italiano, leggendo il mio ci guardò e mi disse che non poteva essere. Ed io dissi è proprio così

 

Quell’anno si concluse con la morte di una nostra bella compagna di classe dagli occhi neri, rimase assente per molto tempo si disse per leucemia, poi ritornò in classe per un periodo, ma la sua pelle aveva uno strano colore giallo e una professoressa gli disse di farsi vedere ancora. Non tornò più in classe e al suo posto c’era un mazzo di fiori, ma non ebbe forse l’effetto sperato, perché, in futuro, ci fu una protesta che sfociò in sciopero e, che aveva per motivo la copertura del tratto di torrente che costeggiava la scuola. Che all’epoca priva di depuratore era diventato una fogna a cielo aperto, tra liquami e detersivi e sovente per un pallone e per altro, qualche ragazzo ci finiva dentro. La protesta di questa questione si finì con la promessa che la provincia avrebbe provveduto quanto prima alla copertura.

 

Non so dire se questi sono ricordi innocenti o deficienti. Sono momenti di vita, senza nessuna immagine, ma che sarebbe la vita se si ricordassero soltanto i voti sul registro, al posto della vita stessa.


 

I polli non ridono più

 

Perché i polli non ridono più? E chi lo sa, forse perché non trovano più le galline.

 

Quella mattina mi ero alzato alla solita ora, ma subito mi sono accorto che il gallo non aveva cantato. Vado alla finestra per vedere che cosa era successo, e, invece del gallo, vedo un tacchino. Lo chiamo e dalla finestra gli chiedo, un po’ urlando; era in alto e lui era giù – perché non ài cantato come tutte le mattine. Lui mi dice, ma io non sono il gallo e fa la mossa del tacchino, e già era proprio un tacchino, come avevo fatto a non accorgermene, forse perché il tacchino canta a un’altra ora. Dimmi un po’ però perché mi è successo questo, di andare nel pollaio e cantare come se io fossi il gallo, perché sai, le galline non son mica sceme e se non sentono il canto del gallo, non fanno mica l’uovo. Certo che queste uova son diventate veramente strane – sembra che sia il gallo a farle, invece della gallina. E, dimmi, dimmi, non saranno mica più buone? Certo che la natura quando ci si mette riesce a fare delle cose incredibili; come l’uomo che fa il gallo e non conosce la gallina. Con questi tacchini non si capisce che ora è, invece con le galline è proprio un’altra cosa.    

 


 

Massimo e il suo “segreto”

 

Come ogni giorno, mi sveglio, mi alzo dal letto e mi tolgo il pigiama. Chiudo la finestra se nella notte è stata aperta.

 

Poi, poi vado in cucina e faccio colazione. Guardo il calendario, leggo il nome del Santo del giorno, faccio questo per sapere se c’è stato qualcuno che à fatto del bene. Sono nomi che appartengono a dei morti, ma sono ricordati perché ànno fatto opere di bene, forse di amore.

 

Ecco ora guardo la casa, per un istante prima di uscire, mi guardo allo specchio mi vedo nudo, come sempre, ed esco da casa.

 

E oggi come sempre, anche se è il mese di Gennaio, andrò in spiaggia con zero gradi e la neve e, mi tufferò per la mia nuotata quotidiana.

 

Il mondo parla tutto insieme dentro di me e, io devo rispondere per comunicare con gli altri, affinché si conosca che c’è tutto il mondo che parla, anche se non sa la mia storia, perché vivo nudo.

 

Vivo nudo nel ricordo, dietro una ragione che non ò compreso, per un fatto naturale che à annullato il senso e il significato, di tutto quello che mi era sempre apparso ovvio e naturale nella mia esistenza. Quando è morto mio figlio, per una malattia sconosciuta, mi è apparso che io avessi sempre vissuto nella più grande illusione, come se fossi appartenuto a un calcolo ovvio della gratificazione e in un sapere, così rassicurato e consolidato, senza nessuna deroga o illusione al dubbio o all’imprevisto. Tutto questo mi sembra di averlo compreso dopo, dopo la morte di mio figlio.

 

Per molto tempo ò fatto la professione di avvocato – fino a quel giorno – ò vissuto in un’agiatezza economica, quella che si confà.

 

Dopo, tutto, il mio pensiero è cambiato, la mia storia, non lo so. Mio figlio è morto per qualcosa di sconosciuto e, il mondo che io, avevo sempre conosciuto mi è apparso come se avesse più di un significato per comunicare con quel che appariva diverso – la morte di mio figlio. La morte di mio figlio era sconosciuta non soltanto a me, ma anche alla scienza e al mondo che conosceva – una cosa rara, o nuova. Decisi di spogliarmi e di trasferirmi in un posto di mare, forse di somigliarmi, lontano dalla città, metodica. E dopo la prima estate continuai a fare bagni in mare, tutti i giorni e in ogni giorno dell’anno. Anch’io forse ero diverso e sconosciuto, come mio figlio e, il mondo doveva in qualche modo comunicare con quest’aspetto. La mia nudità appariva clamorosa, e così ciò che si cercava di conoscere era proprio quest’aspetto. All’inizio la gente cominciò a parlare con me – chi mi prendeva per matto, chi cercava di vedere le mie escursioni al freddo, chi per farsi fotografare con un uomo nudo nella neve. Poi s’interessarono di questo effetto, per me vivido e naturale, anche alcune televisioni, di tutto il mondo, e mi chiedevano, e m’intervistavano. Io continuavo a tornare ogni mattina sulla spiaggia e facevo il mio tuffo.

 

Chissà se un giorno avrei trovato un altro modo per parlare al mondo e rispondere per tutto quello che mi chiedeva e che io stesso dovevo comunicare, parlando anche di mio figlio e di quel che gli era accaduto?

 

(ogni riferimento con la realtà è puramente casuale.)


 

Breve incontro troppa storia – ovvero poca qualità e molto pettegolezzo

 

 

 

Quello che mi appresto a narrare non è un racconto, né una storia inverosimile. Come del resto ciò che te la fa conoscere luogo di pettegolezzo o rendiconto storico. E da come si vedrà da ciò che immagino in questa storia né luogo di possibile accademismo.

 

Il mondo può in un attimo stravolgere se stesso e opporsi a tutto quello che sembra reale e convenzionale. E da questo può nascere quella che è chiamata una mitologia leggendaria. Come per dare rottura a quell’evento, la storiografia cercasse un modo per dare possibile esistenza all’identità, à definitivamente cambiato nella storia che l’uomo in sé à governato nella sua anima. E così sovente avviene che la verità sia l’unico luogo in cui si può conoscere la propria coscienza e ciò che nel tempo l’uomo à vissuto. Di là appunto della narrazione storiografica o mitologica. L’empatia con l’evento non è più un luogo dell’immaginazione, ma una visione della percezione che pian piano matura nel significato interiore come in quello dell’evento reale del fatto avvenuto. Tale differenza del racconto trova da una parte il pregiudizio della conoscenza storica e dall’altro la rappresentazione, spesso stolta dell’interpretazione storica del momento. Il proprio compiacimento nel dominio. In realtà tal evento della conoscenza, sta al silenzio come la percezione stessa di questo evento empirico che lo caratterizza, come rappresentazione e spesso, visione per la stoltezza che vede soltanto un’associazione storica, più che una realtà nell’individuazione personale. E proprio in questo il silenzio e l’imperscrutabilità sono ancor maggiori, come così risolutiva dell’empatia. La storiografia associativa collassa definitivamente e il senso e il luogo ritrovano ogni collocazione, compresa la concretezza di avere attraversato un luogo dell’esperienza, che rende l’atteggiamento storico appunto un piccolo pettegolezzo. Se l’anima à, un luogo questa non media più la visione, ma è parte del senso umano come della reale visione di quel che si rappresenta. Essa pone all’esperienza il suo tempo e non compie oltre il suo tempo compiuto, che compiuto nel suo infinito.

 

 

 

La storia era così che si stava per determinare in quel tempo, l’ideale di conoscenza e giustizia di Artù, la cosmogonia dell’anima oltre il tempo compiuto della visione della creazione di Merlino, stava evolvendo al suo epilogo. Certo le proiezioni d’infiniti narratori di costume o di epoca l’avrebbero rinverdita delle proiezioni sociali in cui volevano collocarla portandola nella storia in una strana memoria. E anche quest’atto che ne avrebbe chiuso il dilemma, proiettandolo nella risoluzione dell’imperscrutabilità divina, nelle possibilità redente della virtù reale della mitologia di Artù, chiudeva un definitivo luogo del tempo per aprirne un altro ancora vivo nella realtà ma appunto finito nella storia. E i racconti su Galvano ce ne fanno la proiezione di tutto quello, che poteva essere il rinnegamento di Artù la scoperta del santo Graal come la redenzione stessa della virtù nella verità, come vicinanza ad Artù, ma anche resoconto incompiuto di essersi allontanato dalla suo mitologia. E incurante di tutti questi racconti avveniva il vero fatto della realtà, l’evoluzione dello spirito come non più soggetto alla virtù di un fare della giustizia dei cavalieri come anima di equità dell’uomo su l’uomo, ma il definitivo chiudere ogni possibilità e illusione.

 

Galgano che à in pugno la sua spada spegne per sempre gli ideali di giustizia di guerra e di virtù e imprigiona per sempre la sua spada nella roccia, per la definitiva fine di ogni guerra, cadute le mura del castello di Artù caduto tutto nel suo trionfo storico. Galgano entra nel suo principio e nella sua fine e raggiunge il miracolo della fede e ne fa anima con chi lo raggiungeva nella sua preghiera, fino a redimere dal peccato e guarire i corpi nella salvezza dell’anima. 


 

Baccalò

 

 

 

Che dirvi esattamente e come farvi capire la mia storia e la storia di parte del mio popolo, che è racchiusa tutta nella mia come unico rimasto, ben presto, al mondo del mio popolo.

 

Io e il mio popolo eravamo poco più di trenta, ma forse voi ne potete ricordare quattro o cinque. Pochi di voi ricorderanno un film di alcuni anni fa, dove si vedevano dei cannibali in carne e ossa mentre facevano i loro pasti. Questo film era fatto da scene reali come queste, e altre di finzioni. Bene nella finzione si vedevano quattro uomini che inseguivano una donna – tutti nudi naturalmente anche la donna, che posso dire, era molto bella. Quando fu, presa, il film fece vedere la scena seguente, dove essa era stata svuotata di quello che aveva dentro, e vi erano state messe delle pietre roventi per cuocerla. Pensate, tra quei quattro che, la mangiavano vi ero anch’io e posso dire che quella donna era molto buona. Queste scorpacciate non soltanto ci servivano per nutrirci, ma anche per acquisire la forza e l’anima di chi si mangiava. E questa era la prima scelta che si faceva per scegliere chi mangiarsi. Questo concetto prese presto piede nel nostro popolo e ogni tanto qualcuno veniva mangiato da qualcun altro e, quando capitava un’anima indigesta non avevano certo il bicarbonato. Dopo un po’ capimmo che dovevamo anche trasmettere le nostre anime senza bisogno sempre di essere mangiati e, così da questo concetto nacque l’era agricola. Vedemmo che dopo che avevamo mangiato qualcuno, pur avendone presa l’anima, quando andavamo di corpo, qualcosa poteva tornare nel mondo, trasformato con parte di noi. Così tutto quello che di vegetale, concimato con la cacca che produceva il nostro corpo, andava a nutrire qualcuno o qualcuna che prendeva parte della nostra anima dentro di sé, cosa che poteva dare alla sua anima quando fosse stata presa mangiandone il corpo, più proprietà, a chi lo aveva in fondo nutrito con la sostanza di una terra arricchita da una siffatta cacca. E così, mangia oggi, si mangerà domani, io fui l’ultimo a mangiarsi il penultimo del mio popolo, e così, io rimasi per ultimo del mio popolo. Ora tutte le anime del mio popolo sono in me. Forse incominciate a riconoscermi anche se mi osservate siffatto. Finito il mio popolo, o meglio con tutto il mio popolo in me. Andai, verso il mondo degli uomini che mangiavano gli animali e che non sapevano realmente cosa significasse la scelta di essere vegetariani per poi poter avere un’anima migliore, come avevo fatto io nell’era agricola del mio popolo. Al più mi sembrava che fossero vegetariani per non mangiarsi l’anima né degli animali né degli uomini e delle donne buone. Così ora ò dovuto diventare vegetariano in tal modo perché tra questa gente non si possono mangiare gli uomini, neanche le donne. E, non avrei io, potuto certo cercare l’anima degli animali. Mi accontento insomma di qualche anima resa vegetale da qualche cacata anonima. Mi accontentavo perché certo come ora mi vedete, non riuscite a capire come sia possibile.

 

Allora decisi di imbarcarmi sulla nave di un capitano, matto, che era ossessionato dall’anima di una balena che aveva mangiato più di mille uomini: La Balena Bianca, che il capitano della nave, un certo Acab, diceva essere maledetta e aveva più forza di tutti i diavoli della terra. Stemmo in mare, molto, tanto, prima che potemmo avvistarla e iniziassimo la lotta con lei. O meglio il capitano Acab più di ogni altro. Fu una lotta dura e spietata, finche la nave non fu distrutta ed io finii mangiato dalla balena mentre il capitano Acab rimase arpionato al suo corpo mangiato dai parassiti. Fui trascinato per molti anni dentro il corpo di questa balena e sinceramente non mi sentii mai di essere cacato da essa. Poi un giorno la balena bianca morì, voi vi chiedete come fu e in che modo, semplicemente di morte naturale, possiamo dire vecchiaia. E, io finii in mare e tra i pesci, e, mi trovai in diversi di loro, tra quelli che vanno a finire in stoccafisso e quelli in baccalà. E ora che sono appeso e mi vedete, conoscete la mia storia, sapete che non sono soltanto un baccalò come mi chiama il pescatore che m’à pescato e che stasera se non mi venderà finirà per mangiarmi e magari qualche pezzo di me sarà per il suo gatto.

 

Che volete, lettori, chissà se un giorno se, c’incontriamo mi riconoscerete. 


 

La tenda

 

 

 

Lui, un tipo un po’ allampanato. Lei che à fatto del tutto nella vita per apparire più chiara – dico nell’aspetto fisico, tingendosi i capelli e curando il tutto come se quell’aspetto fosse quello suo – in realtà è ben visibile a me e, credo anche a voi che nella sua prorombenza, quasi nascosta anch’essa dietro la sua professione di professoressa, che nuda, forse proprio come se la immaginano i suoi alunni. Ci sia una peluria lì sul sesso folto come poche e di un colore che è uno spiccato nero profondo. Ecco e lui mi dice che sono allampanato, e già perché non faccio altro che rompere con il fatto che dico sempre che bisogna essere bravi, che bisogna studiare se ci si vuol fare una posizione sociale solida e, che le cose migliori che il mondo ci offre sono le migliori che abbiamo in quel momento. Bisogna saper cogliere questo momento, sennò si fa presto a passare gli anni. Due o tre che se ne vanno durante il periodo degli studi e, può darsi che così si è perso tutto quello che di utile e importante poteva esserci nella vita.

 

E proprio per questo che lui e lei un bel giorno nel mezzo di un pomeriggio che scemava verso sera, si trovarono davanti alla tenda del soggiorno e sembrò che in quel momento scoppiasse l’epocale problema del tempo. Quello che fa della crisi più alta della storia, il dilemma più importante, ovvero: siamo ormai tutti rappresentanti per l’appunto sociali e non ci sono più autori? Sembra che si competa per l’appunto per essere sempre i primi per riuscire a rappresentare quello che il mondo ci dice migliore e utile e, così dichiarare che anche noi siamo migliori di qualcun altro e per questo più utili. Sembra che per questo la cultura sia più razzista di una razza. E mentre lui alto dirigente d’impresa discute con lei sapiente professoressa d’italiano, l’unica cosa di cui sanno parlare è quella tenda, proprio come se quella tenda fosse l’unico modo per dimostrarsi cosa rappresentano l’un l’altra.

 

Incominciò lui con il dirgli: “Guarda come svolazza quella tenda appena si apre un po’ la finestra, per non dire poi delle impronte delle dita che inevitabilmente vi rimangono sopra ogni qual volta qualcuno la apre per passarci e andare sul balcone.” Lei con un atteggiamento tra il voglioso, non so se mi lascio intendere, e l’indispettita gli risponde. Chi sarebbe qualcuno perché non sei più chiaro invece di osannare sempre un comportamento astratto, che non si sa bene di chi; e che finisce sempre per dire a chi l’ascolta guarda che sei tu che dovresti fare qualcosa perché non accada. Poi c’è anche il fatto che è una vita che questa discussione finisce sempre con la pretesa, come dici tu, che sarebbe meglio ricomprarle queste benedette tende, invece di discutere ogni volta dello stesso argomento. Che vuoi dire che faccio il furbo e non m’intendo di ciò e, che forse non voglio intendere? E che ne so fatto sta che sempre di questo stai a parlare e non ti decidi mai ad andarle a comprare. Bene anche di questo vuoi accusarmi. Come se in fondo non sei sempre stata tu a dire che bisogna pensarci bene quando si decidono le cose e poi guarda caso, non si sa mai chi le deve spiccare queste tende, quando bisogna pulirle. Il caso vorrai dire poiché sono stata sempre io a dirti che erano sporche e se tu fossi stato più perspicace, avresti capito che sarebbe stato gentile, che tu lo facessi. Certo così poi mi avresti rimproverato, magari dicendomi, che le tende erano pulite e non c’era bisogno di toglierle. Non credo dato che ero stata proprio io a dirti che erano sporche.

 

Insomma – disse lui – ci sono cose che vanno dette chiaramente. Non con allusioni e sotterfugi. E allora oggi una volta per tutte mia Cara, usciamo e andiamo a comprare queste tende – guarda proprio stamattina ò vista la pubblicità di un negozio che invita a comprare delle tende nuove con l’opportunità che la metà della stoffa la offrono loro. E certo ché non facevano prima a farcele pagare la metà. Senti vedi che già incominci, andiamo e vediamo, nessuno ci obbliga.

 

Ora l’inevitabile incontro con le nuove tende non può che dare adito a una nuova discussione ovviamente sull’opportunità di una tinta invece di un’altra e sopra a ogni cosa sul colore; discussione che si è protratta per almeno trequarti d’ora, fino al fatidico momento della decisione di quale tenda acquistare, di pagare e portarsele a casa. Se non per un improvviso intendimento di lui, proprio lui incomincia a dire quando sta per pagare le tende, alla venditrice, che le aveva detto quando fosse bello il pensiero che aveva avuto di comprare quelle alla signora che le aveva così gradite e scelte: “Senta, facciamo una cosa, invece di cambiare le tende né compriamo una da mettere in un’altra finestra.” E rivolto alle due donne dice: E allora facciamo così, mia moglie si prende l’altra metà della tenda in due parti che abbiamo comprato, per l’appunto metà della stoffa intesa per gratis e, quest’altra metà, gentile signora rivolto alla venditrice, la regalo a lei in modo gratuito come quella che ò donato a mia moglie. La moglie lo guarda stupita ed esclama: Non è possibile come fai? E lui con la massima calma risponde, ma certo non vedi che è la cosa più utile e migliore da fare. Detto ciò salutò la rivenditrice prese la moglie sotto braccio e insieme uscirono dal negozio. La moglie lo guarda ancora e gli chiede ma come ài fatto? Lo so, lo so, non è sempre facile fare la cosa giusta, però di la verità sei felice della sorpresa che ti ò fatto.


 

Prima dello spettacolo. Dopo i tocchi a morte e prima dei fuochi d’artificio.

 

 

 

Guarda, guarda, egli, lui, la tromba prende le scene del teatro

 

Sollevandole come foglie

 

Lui e il vento è poco

 

La forza del vento à sollevato quelle scene che inerti stavano

 

Il teatro non à più scena

 

Arrivano le attrici lui è rimasto lì

 

Un’altra persona cambia scena per mezzo di un video, mentre è in un luogo senza telecamere e sta parlando

 

Le attrici sono sedute e mangiano con lui, era lì sulla scena che veniva portata via dal vento.

 

Due attrici vanno via

 

Lei che rimane parla con lui

 

Si determina un termine per amicizia

 

Lui le chiede un bacio

 

Poi, parlano del perché in fondo si finisce per avere successo

 

Lui le dice che lei lo avrà, che la sua storia d’amore è pressappoco legata a questo

 

Lui dice che in fondo può essere anche che il suo amore finirà per questo.

 

Lui le chiede ancora di darle un bacio

 

Lei le chiede si gli paga il panino.

 

In un’altra stanza lei con le colleghe e lui che gli chiede quel bacio.

 

All’amica lei chiede di darglielo

 

Lui afferma di averlo chiesto a lei

 

Dice che non può mentre si stanno, lei e le sue amiche cambiando per lo spettacolo.

 

Lui le saluta

 

Dice che non può vedere il loro spettacolo la sera è ormai prossima e deve andare

 

Non si vedranno più

 

I video cessano ma le persone non stanno parlando.

 


 

 

 

 Il recapito

 

 

 

Un giorno, non molto tempo fa, due persone, un uomo e una donna - molto innamorate. Si trovarono, vicine l’una l’altra, e, tanto è il piacere del loro stare insieme, che quando s’incontrano, si scambiano, sempre un gran sorriso, e, sia lui sia lei, dicono, quanto sono felici in questo posto e, in un luogo così bello, dove poter stare insieme non potevano certo sperarlo. Invece il lungo tempo trascorso aveva dato questa grande felicità. Spesso lui era così contento di tutto questo, che se ne lusingava insieme con lei, dicendo, quando erano beati a poter stare lì con la certezza che nessuno li potesse disturbare. Anche lei si compiaceva di ciò, con lui.

 

Del resto erano così innamorati che avevano capito molto tempo dopo che si erano trasferiti qui, e, non avendo più proprio traccia del luogo precedente che era – definitivamente passato – che la gioia di questa nuova tranquillità era veramente imperturbabile. Quando un giorno, lei, dove vivevano trovò una busta, una lettera. Subito ne dette notizia a lui, che sorpreso, nel vederla, disse: “ Come è possibile e perché?” Guardò lui e disse:

 

“Apriamola.” Lei allora tolse l’incollatura che sigillava la busta e la disserrò, tirò fuori il foglio di carta che la conteneva, e lesse:

 

“Cari miei tanti auguri di Buon Compleanno!” Lui a questo punto la guarda e dice: “Avevo detto di non lasciarle lì, quelle!” E lei disse:

 

“C’è scritto ancora qualcosa in fondo alla lettera.” Che lesse 63074 Il Paradiso, fotografie loculo uno e due.  


 

Velluto Blu

 

 

 

Era sera era giorno, forse è stato tanto tempo fa. Non so se è successo anche a voi di viaggiare con un’auto con gli interni tutti in velluto blu, forse un’auto di un certo pregio. Sta di fatto che si viaggiasse più comodi di tante altre auto e, che il significato di possedere un’auto così era proprio questo a prescindere dal suo consumo di carburante – o del perché in fondo consumarne così, tanto. Ed è così che quando uscivamo con quest’auto l’unica cosa veramente piacevole era la scorrevolezza sulla strada e la leggerezza di guida nonostante la stazza non fosse proprio piccola, comunque una macchina comoda per una famiglia senza problemi, ma forse un po’ troppo appariscente per una persona sola. E viaggiando la sera e di notte non era la prima volta che ci fermassimo a guardare qualche panorama notturno, ma quella sera dopo i primi baci chiesi di fare all’amore, lì dove eravamo – se è capitato anche a voi ciò, scoprirete che questo mirabile arredamento in velluto blu può diventare un ostacolo, perché? – si disse potrebbe macchiarsi è meglio di no, ma in fondo proprio in quel momento non si poteva rinunciare a tutto, possibile che i nostri corpi nudi e soprattutto l’organ0 sessuale nel pieno di sé potesse essere così pericoloso per quella tappezzeria, che sarebbe stato un problema smacchiare, sembrava proprio di sì e che non ci fosse verso per giungere ad amarci come volevo, volevamo? Bene riuscii comunque tra baci e carezze a spogliarla e sdraiarla nuda sopra quel velluto blu. Tanto che dopo averle baciato tutto il corpo, stetti lì sul suo sesso a titillarlo e baciarlo, come posso dire, più e più gli piaceva come fossi io a farlo, ma quel velluto blu lo sentiva sulla pelle e non poteva non immaginarlo, e, fu così che tanto il nostro piacere aumentava che lei all’improvviso disse: smetti! Che tanto non sarebbe venuta, goduto nel piacere dell’orgasmo che la faceva gemere e, sapete perché, disse, perché prima di uscire, quella sera aveva goduto eccitandosi con lo spruzzo d’acqua della doccia – bene, lasciamo stare, io non insistei e lei mentre si rivestiva era contenta di vedere il velluto blu dell’auto ancora immacolato e, mi baciò quasi l’avessi salvata. Insomma questo è quanto con un’automobile arredata in velluto blu.


 

 

 

 Incontro tra un uomo e la verità

 

 

 

Un uomo incontra la verità, ma quando la vede, gli chiede chi è.

 

 

 

Uomo – Chi sei.

 

La verità risponde e dice chi è.

 

Uomo – e che ci fai qui?

 

Verità – Non sapevo dove andare e son qui da solo. Nel mondo ci sono molte opinioni come “dominanti di gruppo” che dicono di rappresentarmi.

 

Uomo – Guarda, anch’io sono qui per lo stesso motivo.

 

Verità – dove altro potevamo incontrarci!

 

Uomo – che vuoi dire che non c’è più neanche la libertà, e dove è andata?

 

Verità – Dove il tuo pensiero non viene ucciso e non à bisogno di uccidere.


 

Game over

 

fine partita

 

 

 

che dirvi sembrava il giorno di sempre e invece no. Certo Bert men, sembrava essere eccitata, come sempre. Sì eccitata e sicuramente stava pensando come avrebbe fatto a dare senso a ciò. Era seduta dietro il bancone del locale su una poltrona che quasi la nascondeva del tutto, si vedevano al di là, soltanto la fronte dalla pelle chiara e i capelli rossi e, si sentiva un tacchettio strano. Strano perché se andaste ora di là del banco vedreste che si sta accarezzando il sesso con un fallo artificiale che funziona sia da pila elettrica che da vibratore. Quel ticchettio che si ascolta è il magnete che è al suo interno che attraversando un elettrodo ricarica, quasi eternamente possiamo dire, di energia sia la torcia sia il vibratore. Che dirvi la prima volta che l'ò combinata e vista lì sulla poltrona dietro il bancone con quell'aggeggio che si stava accarezzando – mi è venuta in mente la parola vulva e già la descrizione del suo significato mi à fatto venir voglia di lei. Vulva, complesso degli organi genitali esterni femminili. È formata dal monte di Venere; dalle grandi e piccole labbra; dallo spazio interlabiale, che comprende il vestibolo della vagina, l'orifizio uretrale esterno, l'ostio vaginale e l'imene; dal clitoride e bulbi del vestibolo; dalle ghiandole uretrali e dalle ghiandole di Bartolino. E già Bert non è meglio la bocca di qualcuno che ti bacia e t'accarezza e che sa della bellezza della tua vulva, invece di un eterno vibratore con luce notturna? No! Mi risponde in modo secco. Che peccato quante donne, femmine … avrei potuto. Sempre il mio dizionario, così descrive il pene – o verga, organo copulatore dell'uomo che nel coito à la funzione di portare lo sperma nella profondità delle vie genitali femminili e di favorirne così la fecondazione. Questo e quanto.

 

A un tavolo con tre sedie, anzi quattro è seduto qualcuno che non conosco, à l'aria asiatica, il suo aspetto potrebbe dirci che è un cinese, di fatti sta leggendo qualcosa qui in un'altra parte del mondo che non è la Cina. Sbirciamo sulla pagina che sta leggendo ora -

 

 

 

Estrapolare in questo sospeso suono, lontano da un forse che non richiama che la scorsa sentenza di un percorso troppo ignaro e funesto, ma soltanto in questo ci si appresta. Funesto o per questo tutt’altro che questo me, non di meno sembra certo come una trappola che non indugia che stordisce per eccesso di chiarezza. Se il mondo che parla pronuncia, dove le parole troppo dicono ma non per questo se il sognare è del sognare il vedere dormendo è altro che non il sognare. E se di un gesto o una visione si tratta, è soltanto la fantasia vissuta dalle parole che ne richiama il tempo. Eppure si cambiano le cose. Se il sonno mi dice in questo modo, se non vedo più la notte eppur tutto in questa notte stellata è immerso, come se non ci fosse null’altro che questo in questo universo, dove forse mi agito, o sono tranquillo e immobile come dormo, mentre in questo flusso di parole mi tiene sveglio. Dove sto dormendo in questo momento, e questo momento è lo stesso di ieri sera? Eppure non vedo nessuno con me, non vedo più né l’auto, né la tenda, né lei ch’era con me, sto camminando nel deserto nella notte e attorno a me non ci sono che le sue ombre, fin nella stella più lontana dell’orizzonte che come un sole troppo lontano sorge nella notte per un’alba notturna del mattino. Per il resto l’aria è fitta nei polmoni e tagliente all’occhio, e il gesto lontano di quella stella mi mostra un mare solitario e notturno, un riflesso sull’acqua dove la luce notturna della luna non t’appresta a chiarirti. Non so se sono fermo per timore, o solo per un’incertezza. Credo che se immaginassi saprei come per un’instante medesimo all’atto di camminare e non saprei quando il deserto si tramuta in acqua, tanto che il mare che vedo davanti a me non mostra una riva. Eppure questa immaginazione dove non si può immaginare, non svela chiaramente dove io sia. Questa immaginazione più simile ad un’immagine dentro un’altra immagine non mostra la percezione del presente che vivo, l’assoluta nitidezza del pericolo che incombe e che una strana quanto palese, ma lo stesso misteriosa coscienza fa sì che essa sia rivelazione di calma ed equilibrio estremo in un abbandono dentro cui tutti gli eventi sono dominati, sin nei più terrificanti momenti e dove la stessa paura sta nell’attimo estremo della sua scomparsa, dove nulla può rendere certo l’accadere se non l’estrema forza di quel che accade, sia esso sovraumano, quanto l’umano non disumano che riesce a sopravvivergli, quanto in quel momento a vivere in un istante senza più immagini, né rappresentazioni, ma la pura visione del tempo oltre la stessa visibilità della conoscenza. E da quell’acqua calma uno strano essere vi è sorto, immenso come tutto il mare, ma visibile con il solo occhio umano e un suono profondo incombeva su ogni attimo di quella vista, poi pur vedendolo questo immenso essere appare invisibile e sul mare sono apparsi degli uomini che fermi stanno all’in piedi sull’acqua e la loro visione fa si che la percezione che se ne ha è di un immenso movimento che avanzava a riempire l’intera percezione di tutto lo spazio, seppur immobili la vista di questi uomini dà all’intero apparire questa visione di incombenza, tanto che la vista di quell’essere sorto dal mare ne sembra ridotta e meno pericolosa. Poi all’improvviso il suono profondo di quell’essere avanza sulla vista fino a far temere che essa non possa più contenerne la visione, che rompe il suo limite e una sensazione di fine incombente viene attraversata e ci si scopre ancora vivi, poi un’altra volta quel suono e ancora quella sensazione, e così e così. Quel mondo sorto dalle profondità invade tutto e attraversa tutto ed ora son vivo seppur immerso in tutto questo, non vivo per vedere ciò, ma ancora vivo in tutto ciò. Quel suono è solo, ma il più potente che ci sia e seppur si sentono miliardi e miliardi di voci che comunicano tra loro esse son diventate fasulle, perché quel solo suono del potere soggioga la volontà con la distruzione della vita, quel suono senza più udito che non sa farsi ascoltare da chi lo pronuncia toglie l’azione alla vita, né obnubila il significato in una sicurezza che ne riempie la vista e che dà da vedere la menzogna per verità l’uccisione per la vita, l’odio per l’amore. Quell’essere sorto dal mare di quella notte scruta interrogativo il mondo, chiedendosi, cosa sia quel suono profondo che scaturisce da se stesso, e senza consapevolezza si interroga se il mondo sia quel che vede, se lo sia diventato. Poi emette dalle immense fauci della sua bocca un suono così violento, tra la disperazione e la rabbia come se quel che è accaduto fosse accaduto perché nessuno si è opposto al suo volere, come se la soddisfazione del suo potere fosse la sua stessa condanna che non sa superare oltre la vista di quel che vede e in essa è rimasto prigioniero. Con tutta la violenza del suo corpo s’immerge nel mare, che s’innalza in immense onde che mi precipitano addosso e che mi tolgono per un istante tutta la vista e la coscienza del sapere, ma il mio respiro continua senza che sembra più esserci, poi il buio e in un istante la notte e il deserto.

 

 

 

E su questa scena su tutto il locale il suono di un flipper, il rimbalzo della pallina e un giocatore che s'entusiasma a ogni scrosciare elettronico dei punti.

 

Bert è sempre più eccitata e tra un po' la sentiremo gemere piano mentre gode – ma qualcosa d'improvviso sopraggiunge – già che pensate, clienti soltanto clienti. Clienti a un tavolo e clienti seduti a un tavolo. Bert deve interrompersi, ma è ormai prossima all'orgasmo e, proprio nei movimenti per servire i clienti sente il suo piacere il suo orgasmo, mentre porta il vassoio dal banco fino al tavolo e, serve quei clienti con un gran bel sorriso di piacere. Il flipper suona sempre più forte. Sono rimasti nel locale solo i clienti seduti al tavolo che stanno pagando Bert, e, dopo ora si avviano verso l'uscita – mentre escono il flipper va in over e incomincia a scaricare punti su punti, punti su punti e suona, suona sempre più forte – chissà forse sta per battere il suo record, ma c'è qualcosa di strano e all'improvviso tutto piomba nel buio, il locale la strada, l'intera città. Sembrerà strano ma Bert sente ancora il suo odore e come se vedesse perfettamente nonostante quel bui quasi totale, raggiunge il vibratore accende la torcia, la luce a led rischiara, Bert, indirizza la luce verso il flipper, verso l'uomo seduto a leggere, poi con quella luce si dirige fuori dal locale, si vedono le luci delle automobili, poi prima una poi un'altra e un'altra auto si fermano, si spegne il motore come non avessero più benzina, i conducenti scendono dalle auto, si guardano e sembra non sappiano cosa fare. Bert rientra nel locale e proprio in quell'istante il flipper emana un suono fortissimo e si accende la scritta di fine partita Game Over.


 

Candido Italo

 

Non me ne accorsi subito e non so esattamente quando successe, se durante la notte il mattino dopo. Me n’accorsi facendo la cosiddetta pipi! Guardai il mio sesso ed era diventato di pelle nera della pelle più nera dell’Africa. Già solo sul sesso. Che cosa fosse successo alla melanina della mia pelle in quel punto del mio corpo e perché non so proprio e tranne questo tutto sembrava andasse e funzionasse come prima di questo cambiamento di tinta. Non so bene perché, ma pensai se potesse accadermi ciò, se anche fossi stato nero di pelle, ovvero che mi diventasse il sesso di colore bianco! E già, perché questo che mi era capitato dipendeva da me o dal luogo, il mondo?

 

Voi mi direte che si fa in un caso simile? Io non so cosa si fa e, sinceramente io non feci proprio nulla, o meglio cercai di capirci qualcosa facendo all’amore. E le prime due donne che amai furono entrambe ignare di questo mio particolare fisico – sia prima sia durante e dopo che avevamo fatto all’amore. Non vi sto ora a spiegare come vi riuscii, ma fu così, e, parlando e dialogando con loro non venne loro minimamente in mente la differenza di colore del mio sesso – di esse l’una era di colore bianco e l’altra di colore nero. Non pensate a una piccola orgia, le amai in luoghi e momenti distinti.

 

Dopo di questo, anche se forse non aveva nulla a che fare con questo, successero altre strane cose sul mio corpo. Una mattina mi svegliai e mi accorsi che un mio piede era diventato tedesco e l’altro portoghese. Dopo alcuni giorni mentre camminavo, successe lo stesso ai miei ginocchi uno diventò francese l’altro spagnolo, ma qualcosa di ancor più incredibile successe ai miei glutei, chiappe, una divento greca e l’altra danese. E mi stupii ancor di più quando il mio ano diventò inglese – capisco che in paesi latini ciò è sinonimo di mancanza di un bidè – in realtà il mio ano diventò inglese, perché incominciò a stringersi in modo prensile e aprirsi in conseguenza, insomma sembrava proprio che al tatto avesse un piacere di pronuncia. E ora così com’ero, decisi di mostrare il mio sesso a una donna, e, fu così che conobbi una cinese americana, che me lo ciucciò armoniosamente e gioia e che mi disse che avevo il gusto di tutti frutti. Comunque ero un po’ nel caos e decisi che avrei fatto all’amore con le donne, così come venivano e senza ipotizzare con esse strategie di significato.

 

E allora conobbi una che mi fece le cose più belle ed io a lei, senza proprio pensare a nulla, e, quando dopo, ci tenemmo tra baci e carezze, lei mi “disse” che ne pensi? Risposi, che ne penso; ogni bene! Poi aggiunse – si è capito? E mi guardò. Risposi; cosa? Che sono ebrea! Io rimasi con un par di ciufolo nel pensiero, e dissi – “O cacchio!” che dici forse [avrei dovuto] accorgermi che ti difendevi, o qualcosa mentre io avrei dovuto sentirmi qualche moto di colpa? Che devo dirti, aggiunsi, credo che tutto questo proprio non ci sia stato. E detto ciò io mi sdraiai supino sul letto, mentre lei, mi abbracciava e poggiava la testa sul mio petto. E, a un certo momento, quasi un po’ bestiale, mi venne dentro un’imprecazione e dissi: “Porca puttana!” così rivolto all’astratto – Io sono italiano, lei mi guardò con un sorriso e mi disse – “Forse ò esagerato.” Io la guardai mi venne da ridere e voglia, mentre il mio corpo tornava quello che era sempre stato ed era, la guardai l’abbracciai e da perfetto latin lovers, le dissi – amore mio viva la fica innamorata, viva la fica italiana W W  LA FICA.


 

Una storia [soltanto] drammatica

 

Liberamente ispirato a un fatto di cronaca.

 

 

 

Che fa, chi lo fa? Diciamo che quello scrittore à avuto molti modi di dedicare il tempo allo scrivere, compreso quello di alzarsi la mattina e dedicare quelle due ore, tre, fin verso le dieci, dieci e trenta allo scrivere. Già il tempo è in loco. E oggi dove sta scrivendo questo racconto, con una penna, in mezza mattina, o pomeriggio.

 

Diciamo ch’è dentro quella casa, mentre quella mattina, accade quello che spesso vi succede – sembra strano essere lì tra quelle persone senza che nessuna di esse ti veda – le vedi mentre si svegliano, fanno le cose quotidiane come alzarsi dal letto, lavarsi. La moglie dopo che il marito si è alzato e andato in bagno è, a preparare la colazione – nella casa è rimasto qualcosa della presenza degli ospiti, della sera prima. Lei sveglia i bambini e prende il più piccolo e lo porta a dormire nel suo letto e quello del marito. Poi si veste e fa lavare e vestire l’altro bimbo. Quando il marito esce per andare a lavoro si salutano con un bacio. L’altro bambino gioca mentre attende che la mamma lo accompagni al pullman della “scuola”. Si riordinano le tazze della colazione, qualcuno va in bagno, cose della pratica quotidianità. Mentre fa, questo lei guarda distrattamente o abitudinariamente l’orologio, quando si rende conto del tempo, esce da casa per accompagnare il bambino al pulmino della “scuola”. Mentre la mamma e, e il bambino, insieme, percorrono la strada per raggiungere la fermata, si scambiano alcune frasi su quello che faranno oggi. Rimangono un po’ ad attendere il sopraggiungere dell’autobus, si salutano e il bambino sale sul pullman. Lei torna verso casa, magari accelerando un po’ il passo; apre la porta entra in casa, mette a posto qualcosa che era rimasto in disordine la sera prima, poi va nella sua camera a prendere il bimbo più piccolo per lavarlo e vestirlo – lei quando entra nella stanza la vede copiosamente imbrattata di sangue, la vede ma in realtà non la vede – va verso il bimbo e si accorge che è pieno di sangue e lo sente respirare male, vede che à una ferita alla testa, ma non capisce bene cosa è. Sa che è successo qualcosa di molto grave – in che modo avrebbe potuto impedire quello che è accaduto.

 

La vita può continuare. In che modo riempire quel vuoto, in che modo continuare ciò che si è interrotto. Mi trattengo ancora un po’ – invisibile – mentre lei à un altro bambino, partorito in questo tempo, trascorso. È su un’altalena e cerca di essere felice con i due bimbi, il marito è un po’ più là che li guarda.

 

Lo scrittore messo il punto posa la penna, si alza dalla sedia e va a bere un bicchiere d’acqua. 

 


 

  Memorie di capodanno di Vattelapesca

 

 

 

Che bizzarria che fu quella volata, e ora, al ricordo un po’ mi dispiace. Non so proprio perché o chissà perché!

 

Sembrava proprio aver scoperto come spruzzasse il pene il suo seme, liberamente e anche verso l’alto. Rimase stupefatta a farlo zampillare verso l’alto, a vederlo ricadere. Non le chiesi perché ne fosse così affascinata e ne rimanesse sorpresa. E mentre io ero sdraiato e lei me lo prendeva nella mano, le si vedeva in viso che aspettava di vederlo spruzzare e ridere di gioia per questo, tanto che dopo avermelo baciato e ciucciato era ciò che l’entusiasmava di più. Non sono certo io il primo con cui avesse scoperto i fenomeni del sesso. Del resto il getto delle mie spruzzate possiamo definirlo pressappoco regolare, intorno ai trenta quaranta centimetri, anche per la naturale frequenza con cui facevamo l’amore.

 

Quando ero adolescente nei momenti di intenso arrapamento, potevo raggiungere distanze con il mio getto di un metro e mezzo e anche due e nella mia vita sessuale posso dire che questo non era episodio occasionale. Il desiderio che ti suscita la donna può essere determinante per la liberazione dello spruzzo. Del resto il sesso in se e la voglia di farlo, sembra, sembrano giocare un ruolo importante – e per me in certo qual mondo anche il ruolo affettivo e di fiducia. E allora tale bizzarria del piacere che sembra esprimersi con tanto entusiasmo, sa che deve fare i conti con tante altre cose? Sembra proprio che il piacere dell’amplesso cerchi di riuscire nel suo compimento, intendo la sua espressione fisiologica, e che in definitiva non sembra sapere molto di tutto il resto, di chi incontrerà, del perché e percome, sia per fisiologica, che per amore, scelta sociale e di tutti gli altri motivi che ci sono in essere perché quelle due persone stiano insieme. Tanto che spesso ci si stupisce che avviene la procreazione [ (, )] anche se tutto il resto non è parte della considerazione di tale evento. E allora che dire, per tornare ai miei spruzzi – ché ò perfettamente nella memoria una delle mie spruzzate di maggiore intensità – tanto che non ò aspettato che lei provasse piacere con il suo orgasmo con me – ma tanto era il mio desiderio e piacere di essere con lei che ò sentito forte e intenso, una, due, tre, quattro e cinque spruzzi abbondanti e lunghi, tanto che quando il riflusso e uscito da lei, quello che è venuto fuori era la quantità di mezzo bicchiere per acqua. E lei non rimase incinta per questo perché usava la pillola, ma ciò poteva succedere , anche se lei era in un periodo non fecondo.

 

E ora che lei mi tiene in mano il sesso aspettando che spruzzi in aria mi viene il rammarico pensando alla sua sorpresa, e già, le ò detto di stringermelo più forte e lo tiene talmente forte che ora che sta per venire non riesce a spruzzare, e ora che lei mi guarda non sa proprio cosa dirmi. E proprio non ne parliamo.

 

Per dirla tutta adesso quando il mio sesso è al massimo dell’aspettativa, qualche volta per prima lancia uno spruzzo, ma il più delle volte per lo più tira fuori tutto quello che à dentro come fosse il getto continuo di una fontana che si apre, proprio come una schiuma piena e intensa di una bottiglia di spumante.


 

Il tempo e L’anima

 

                     Giuseppe è stanco – o vorrebbe essere soltanto felice con il suo sorriso.

 

La pioggia cade incessantemente sulle sue spalle e il freddo penetra e forse non se ne andrà.

 

Se ci fosse Gesù – pensò Giuseppe in un attimo – il ricordo ritornerebbe candido e non sentirei più questa solitudine umana; Quando le persone sembrano soltanto vicine.

 

Quando (ri)tornerà il mondo intero e non questi pezzi.

 

Sono sulla panchina, seduto, sotto la pioggia – mentre normalmente giunge la sera. Le luci delle strade si accendono dei colori della festa di Natale e neanche un bue per scaldarmi – dice Giuseppe tra sé – Giuseppe dice ancora; Di asini ne vedo molti e chi scalderanno, aggiunge.

 

Poi nella strada dov’è la panchina di Giuseppe – tutti intorno – le persone si fermano e guardano verso Giuseppe, anche ora che Giuseppe, non vi è più – sembrano tutti continuare a guardare la panchina bagnata dalla pioggia.

 


 

Tutti stronzi

 

 

 

Il bosco trema, il mare è un giorno e più che rumoreggia nella tempesta.

 

Non aspetto più nulla son rimasto così appeso per i piedi e un braccio – e – non son riuscito a capire come potrei fare – già il terzo chiodo quello che ci crocifigge come posso fare? I piedi sono inchiodati una mano anche – e – con una mano libera non riesco a completare la mia croce. Chiedere aiuto, o bella questa, chi vuoi che ti aiuti. Che cosa sarebbe questa una fine incompleta! Forse. E pensando a tutto ciò a questa mia condizione – che posso sperare? C’è forse qualcuno tra tutti quelli che glorificano il sacrificio, di distrarsi da ciò e venirmi a piantare questo chiodo nella mano? Chi son questi degli dei, dei profeti e sacrificanti o amanti, o di giustizia, che oltre che inneggiare, neanche tutti, insieme, ma in adunata – son mai venuti a me in bisognoso, di carità e amore – avevano tutti da fare tutti ‘ste cose e quel che rimaneva era un po’ di odio competitivo. Che neanche avevo chiesto. Tanto è stato che man mano che profusero tanto interesse, veniva a mancarmi la bellezza di un Dio conosciuto e amato nella mia libera volontà d’amare, la presenza stessa di un Cristo redento che dava vita alla mia fede nel vivere la verità e non rubando ad essa. Ecco, così, pian piano mi son ritrovato con la possibilità di piantarmi questi chiodi e crocifiggermi, senza avere neanche la possibilità concreta di riuscirvi. Perché loro così impegnati, allora come ora. Son finito in balia non di Dio conosciuto nella fede e nella libertà d’amare, ma oscuro e incerto – e ora dove trovo un Ponzo Pilato che fa vece di chiodo e martello, quasi fosse la menzogna materiale a sovrastare tutto. Dio conosciuto chi son tutti costoro che neanche si fanno vedere, perché tanto appaiono nel mondo o per il mondo, da non aver neanche il tempo di piantarmi un chiodo: “Roba loro, roba mia, roba di chi?” Chissà! E allora se non si può amare, forse t’insegnano a crepare, com’è possibile? I morti seppelliscono i morti e neanche più ti mettono in croce, tanto che mi tocca farlo da solo – più ami e più ti odiano, proprio per ragion d’amore, ma! Son tutti deficienti ormai e non c’è soluzione il terzo chiodo non ci sta.

 

Ecco succederebbe questo se io volessi fare a meno di un po’ di vita, tanto vale restarsene seduti in attesa di qualcuno se non si può andare da nessuno, se non c’è nessun in mezzo al mondo.

 

 Caro Cristo seppur per un momento di sei sentito abbandonato, non per questo non sei risorto.


 

   Un Episodio

 

 

 

Questo racconto è adatto a un pubblico maturo. Ogni riferimento a persone esistenti è puramente casuale.

 

 

 

Che c’è da dire o da narrare, siamo in un’epoca di grande violenza, anche se spesso, la violenza, sembra essere stabilita a priori. Voglio dire la conseguenza di un atto in qualsiasi modo questo avvenga, è giudicato visto e condannato dall’opinione corrente, spesso in modo schematico e definitivo. I paletti della morale sono fermi e inamovibili ed anche le conseguenze devono essere, conformi; come tutte le morali, spesso, senza amore. E spesso sono conformi perché questi atti che sono violenti, fanno sì che si vengano con essi marchiate anche le vittime, come facente parte di tale essere del fenomeno. Il significato è così determinato che le conseguenze devono stare nella condanna e nel giudizio, quasi inamovibile, per giustificare ogni evento e apparato sociale. So che già dire questo è sconveniente per molti. E allora sembra facile citare i modi di vivere la sessualità di altre epoche della storia umana. Voglio dire il rapporto inteso naturale di certi modi di essere. La mia storia, allora, ve la racconto per sommi capi. La mia scoperta sessuale è avvenuta a dodici anni, con un uomo adulto e l’atto è stato omosessuale. Io sono stato preso dalla mia curiosità, un po’ sorpresa forse, e dalle carezze che volevano essere dolci di quest’uomo. Lui era sposato e aveva dei figli. Andando avanti negli anni anch’io avrei fatto ciò. Se anche son finito nelle convenzioni e nel rapporto marito e padre, il mio desiderio verso il sesso maschile è rimasto parte di me. Il mondo condannò quello che mi accadde, anche se tutto rimase nascosto e senza seguito legale. Era accaduto qualcosa che per tutti doveva essere brutto. Forse poteva esserlo stato, ma non proprio così. Spesso mi sono anche chiesto se quello che era negato non fosse il fatto che anch’io avessi provato una qualche tenerezza e piacere in quel che quell’uomo mi chiese e, se questo dovesse essere qualcosa a priori disprezzabile. In effetti, in seguito ho cercato rapporti sessuali omosessuali, clandestini e fugaci; quasi che il sentimento fosse da considerarsi un po’ lascivo e disprezzabile. Quando venivo preso dal desiderio sessuale in questo modo il desiderio era più forte di me, di amare altri uomini di dare loro gentilezza, amore e piacere, volendo essere amato e apprezzato per questo; ma non poter essere totalmente me stesso mi rendeva disponibile nel mio corpo alle persone spesso false, al giudizio di gente insensibile e a sconosciuti orgiastici. C’erano in me due cose che, sì, dibattevano, il mio orgoglio e il mio desiderio, e in mezzo il mio status culturale, chi dei due non accettava l’omosessualità fino a volerla sublimare nei rapporti occasionali. Forse dire che in quel che mi è accaduto, nel mio caso poteva esserci amore, e che negare ciò poteva voler dire non accettare l’amore che così finiva per socializzarsi, quasi fosse un riparo e per questo un attributo sociale. Dovevo completare il mio rapporto d’amore con mia moglie, lasciare che il narcisismo non superasse l’orgoglio e quel che potevo essere. E tutto il resto doveva cadere nel dialogo come se l’amore fosse un atto naturale e il sentimento che capivo, accettavo e andavo a vivere. Si approssimava forse un nuovo attributo, si placava che io avessi conosciuto e saputo, per conoscenza, si placava un evento che la vita mi aveva mostrato. E che ora la sessualità fosse qualcosa cui io davo un rapporto d’amore. Le parole con la donna che avevo sposato.


 

I bolognesi

 

 

 

Appunti in forma di bozza per un racconto che lo scrittore non scriverà.uragano.JPG

 

 

 

Ho solo un po’ di notizie e un po’ di storia vissuta per questo racconto. La notizia è frammentaria e molto incompleta. Riguarda la morte di un italiano, del sud delle marche, in una cittadina degli Stati Uniti D’America durante una rapina, in una sparatoria con la polizia. Questa è la notizia un po’ frammentaria che seppi qualche anno fa. In realtà avevo sentito parlare di questa persona molto prima che ciò accadesse.

 

Ma chi sono i bolognesi. Per capire un po’ chi sono i bolognesi, questi di questo racconto non racconto, bisogna pensare al concetto base che potrebbe spiegare una storia, questa ipotetica storia, l’ambizione. E cerchiamo di ricapitolare questi appunti in questa bozza, potremmo citare, o potrebbe farlo lo scrittore, di quei casi degli anni sessanta, dove c’era gente che nell’euforia della ricerca dell’affrancamento della lotta di classe arrivava dopo essersi laureato a bruciare la propria laurea, perché non ci fosse differenza tra la conoscenza  e la persona, che non fosse ciò un privilegio. Potremmo immaginare, quelli che studiavano indipendentemente, non privatamente e davano solo l’esame, per il titolo di studio. O altri casi di questo tipo. Ma i bolognesi no non erano così, per loro il concetto dell’ambizione non era riconoscere la libertà, ma la scalata ai simboli sociali che potessero determinare, nel loro essere e immaginare, la superiorità il potere e il controllo di questo. Se avessero saputo che bisognava andare sulla luna e piantare la testa sotto terra, se questo sarebbe servito per la loro superiorità, lo avrebbero fatto. Il concetto base di libertà o l’emulazione di tale individuo di cui avevano sempre cercato in definitiva il superamento, sfociava non nella ricerca di libertà, ma nella voglia nel desiderio di essere rappresentati e controllare un atteggiamento sociale che li identificasse come superiori, la logica di voler essere padroni sfociava nel bisogno stesso che la scalata sociale per una borghesia superiore, trovasse nell’arricchimento lo status dei privilegi. E allora in quell’Italia che è, andava avanti nel dopo guerra, che dall’affrancamento dalla fame, al denaro, li ha portati a desiderare, ai bolognesi, per percorso sociale non la libertà, ma il raggiungimento dello status del sentirsi superiori. Poco importa se ignoranti e consenzienti l’importate appartenere a quel che avevano sempre immaginato, fino alla luna come missili, se ciò, potesse rappresentare essere superiori a quel che immaginavano che fosse. Per lo scrittore questo è un po’ eccessivo come appunto, ma sta forse a significare una metafora del vero sentimento che dentro, queste persone sentivano per gli altri. E allora scalata la catena sociale, a questo comunista non rimaneva che la massima aspirazione, l’università di Bologna città comunista e che rappresentava il miglior sapere, le altre università le più vicine, non potevano essere altrettanto e già questo lo faceva sentire superiore (forse in questo punto degli appunti lo scrittore, ironizza un po’ troppo). Insomma costoro dopo essere giunti al punto superiore, sarebbero poi stati in grado di aiutare, quando dal punto in cui erano partiti, ciò era una condizione proibitiva, e non considerata da chi non era libero? Anche questa notizia la dobbiamo lasciare agli appunti. E ora che cosa sappiamo di quella disgrazia americana, di quell’italiano morto in una sparatoria. Io lo scrittore appunto qui alcune voci che mi giunsero e, non seppi e non so se sono esatte. Venni a sapere per vie traverse e casualmente di un chirurgo già posto in sala operatoria con ottimi risultati e da molti considerato medico, che trovandosi tra il praticantato e lo studio, non ebbe completato quest’ultimo. Un altro “bolognese” sembra coetaneo o collega, non so, pare che fosse informato di ciò che sembrava non conosciuto. Quel che accadde poi è la denuncia di quest’accadimento. E non so dirvi perché, la fuga negli Stati Uniti D’America del chirurgo, e dopo il tempo questa notizia della rapina e della sua morte. Lo scrittore appunta anche che quel che è menzionato in quest’ultima parte degli appunti, può dare motivo di molte interpretazioni, ma probabilmente nessuna è quella vera.


 

L’incompiuta

 

Quel giorno una grande goccia discese sulla casa, precipitata dal cielo; cadde sul tetto e scivolò giù lungo il muro di casa, quando la goccia era per raggiungere la superficie della terra un uomo aprì la finestra e la goccia che di lì stava passando, dal muro al vetro, si trovò sospesa nell’aria e presa dal vento fu spinta dentro nella stanza, raggiunse il centro dove era un grande tavolo in legno, con sopra delle banconote che sparse ne coprivano il piano, la goccia finì per cadere sopra di esse. Courbet L'origine della vita.JPGL’uomo sentita quella folata di vento si affrettò a richiudere la finestra. Tornò al tavolo e rimase a osservare quel mucchio di soldi che vi aveva gettato. Non sapeva cosa pensare; a cosa corrispondesse quel denaro, poteva dire, che in ognuna di quelle banconote ci fosse una persona. Poteva immaginare che queste corrispondessero alla loro coscienza. Si disse, pensandolo; e quale fosse la parte della sua anima. Poteva pensare che in quei soldi ci fosse un’anima, appunto la sua? O soltanto essi erano la conseguenza di una decisione così ben giustificata da tutto, che l’ineluttabilità degli eventi, ponevano in quell’atto costituito, il denaro, l’inefficacia stessa che la decisione inerente quel sistema, potesse, volesse, come logica inevitabile della sua stessa giustificazione non tenere conto delle conseguenze negative che su qualcuno sarebbero inevitabilmente avvenute. Eppure ciò sembrava non essere affatto un motivo sufficiente, né della morale sociale e per questo neanche personale di cui tenere conto, né suo né di nessun altro. Perché le stesse conseguenze positive erano in se perfettamente plausibili e accettabili dalla stessa logica. L’insieme delle cause negative, insieme con quelle positive erano proprio il senso logico di quel sistema. Il denaro sul tavolo, pensò l’uomo, era ormai per questo un suo attributo, il volere stesso del suo io socializzato. Della goccia d’acqua, sulle banconote, non c’era più traccia, si era asciugata ed evaporata con il calore della stanza. L’uomo accese una lampada che rischiarava appena l’ambiente della casa, ormai penetrato dalla notte che era su quella parte della terra.


 

Una strana fantasia

 

Se vi dicessi chi sono e da dove vi parlo, non lo immaginereste, eppure non mi resta altro da fare. Vi parlo da dentro l’ascensore di un grattacielo, e sono per l’appunto il suo inquilino. Ò perso il tempo per dire esattamente da quando sono qui. Passo il tempo andando su e giù con l’ascensore, ogni tanto mi fermo in qualche piano e vi resto per un po’, spesso nei giorni festivi nei piani aziendali che sono disabitati, o sennò nei luoghi pubblici dei piani di questo grattacielo. Del resto faccio la vita che confeziona ognuno degli abitanti di questo posto e ognuno di loro mi crede uno di essi. Se questo fosse un film, ora dovrei parlare delle avventure che dovrebbero essere insolite e avvengono in questo grattabile, o nell’ascensore un cui abito. Di fatti credo che abbiate compreso che questo non è un film ed è inutile che vi parli di cose che non accadono, questa è la realtà più di quanto voi riuscite a immaginare, quindi non m’inventerò avventure didascaliche e piene di strana trama, perché questa è una fantasia del reale. E allora è bene che parliamo dei fatti, prima che potrebbero essere interrotti come in un sogno, da un momento all’altro.

 

Io viaggio in quest’ascensore e non riesco, sono impossibilitato, non posso, sembra, cambiare questa situazione. Come sono finito in questa situazione è già questo un mistero, la stessa formulazione di questa domanda è un mistero; chi è che può formulare questa domanda? E allora vi parlo di cos’è questo grattacielo e la prima domanda che mi pongo è: questo grattacielo per me è nel mondo o è il mondo? Non sono libero, indubbiamente non posso sostenere di esserlo, non mi risulta che possa uscirne! E allora rifletto si è liberi perché c’è una libertà ancora più grande o la libertà semplicemente si espande, io dico che la libertà è in sé. Pertanto io che non sono libero, in questo posto sono in una condizione, che posso definire una condizione del mondo e il grattacielo è il mondo. In cima negli ultimi piani c’è chi lo possiede, voglio dire possiede tutti i piani del grattacielo. Questa è la logica del possesso, se si possiede tutto, si determina la sapienza del bene e del male, possederla vuol dire essere proprietari del mondo e, con ciò, con il possesso determinare la coscienza e la gerarchia del mondo. In questo modo non è poi molto complicata la logica economica che va dal piano più basso del grattacielo fino a quello più in alto, essa cresce di piano in piano. Di piano in piano si è costruito il suo possesso, il possesso del mondo delle cose delle scelte. Bene in questo mondo fatto ci sono io che non appartengo a nessun posto, né dei piani e neanche al mondo del grattacielo, ò quest’ascensore e ci vivo dentro. Se il mondo finisce qui ed io non posso essere libero, che cosa può accedere al mondo, o questo mondo che si genera in modo tutto artificiale, dove i comportamenti di chi ci vive non possono essere che questi; l’aria non si rinnova, l’energia che manda in su e giù l’ascensore è nel potere stesso dell’ultimo piano, e allora io che ci faccio qui dentro con questa luce sempre artificiale? Faccio qualcosa di diverso dalla stessa condizione del grattacielo? Credo che ora così subitamente dobbiamo andare da un’altra parte, questa: “Era di fronte a un vetro, da cui non traspariva nulla, di là di esso non si vedeva niente.” Non sono mai stato in questa parte del grattacielo, sembra un posto fuori da tutti i meccanismi indotti che si riproducono nel grattacielo e, non so neanche se sono in una parte della costruzione dell’edificio, molto probabilmente è un altro spazio, forse, che non esiste nei pensieri delle persone generate dal grattacielo, forse sono semplicemente in uno spazio della mia coscienza. Quel vetro inoltre possiede una finestra e una maniglia, cosa che non avevo mai visto e che nessuno degli abitati del grattacielo à mai visto. Semplicemente non era contemplata dal mondo e dai piani che la coscienza generava nelle persone che vi vivevano. Bene prima di essere interrotto come in un sogno non mi resta che aprire la maniglia della finestra, fare entrare aria libera nel grattacielo, uscire per essa e poggiare i piedi in terra con un breve salto e scoprire l’aria, l’acqua, la luce, la natura che rinnova sempre se stessa. Dico voi che avreste fatto, non credo avreste lasciato la finestra chiusa.


 

Soltanto un ascoltatore radiofonico

 

 

 

Una sera incredibile. Dico, era un giorno che sembrava normale eppure la sua voce mi faceva venire dei dubbi, tanto mi affabulava il suo suono che mi faceva pensare di essere razzista preferendo sessualmente quella voce a un’altra. E già perché la voce che sobriamente cerca di narrare argomenti quasi fossero piacevoli locuzioni del pensiero con cui trovare rapporto e amicizia, quasi scoprirne la sensibilità della persona e, quella voce sembrava giocare proprio su quelle espressioni di gusto. Mi dicevo ma cosa m’importa se mi delude o mi affascina del resto sembra solo un gioco che non può pronunciarsi, e già! Io ascolto esattamente quello che mi dice, posso farlo, ma lei quella di quella voce cerca solo, può solo immaginare quello che io penso e quando io parlo, non può proprio ascoltarmi. Poi c’è il fatto che è una strana romantica; l’ò scoperto, meglio lo so ogni volta che dice di piacergli qualcosa in un libro che gli ricorda quello che in realtà, per me spesso, non è, ma che lei trova entusiasmante, e che in realtà svela qualcosa che non sa, proprio perché quel che sa è troppo ricco d’intuito d’informazione. C’è bisogno di un vuoto che la rilassi e la faccia scrivere, di un vuoto che non gli dia niente se non la libertà. Ah allusivo potenziale che mi fa pensare a qualcosa di oltre e di possibile, senza pensare a un perché, quasi che quel perché non sia già colmo in quella voce, e non abbia proprio bisogno di altro; in realtà come sono è già quel che vorrei e, ciò deve proprio bastarmi. Dico che quella voce può essere così, ma poi so che potrebbe esserci dell’altro. E spesso succede che è tutto lì e nient’altro, lei potrebbe volere il successo, rimango in ascolto, non so per quanto, chissà?


 

Mi stai chiedendo se mi è piaciuto

 

 

 

Sei veramente originale quando dici queste cose, ài voluto infilarmi nel culo prima il tuo dito e poi il tuo fallo con cui ti masturbi, per vedere se così riuscivi a eccitarmi e baciarmi per farmi un pompino. Brava, cosa vuoi che ti dica. Di certo non potrai certo dire che ò l’orgoglio nel culo, come ti piace affermare. E, del resto io non ò pensato che tu avessi il tuo orgoglio nel sesso, sei veramente bella. E allora vorrei sapere di cosa parli, spesso ti sento e ti sentono anche gli altri, quando esalti i tuoi concetti, dicendo magari di qualcuno, ma chi crede di essere, ma che vuole. Tu dici tu, che magari usi il tuo pubblico mentre stai, parlano di qualche grossa produzione, o di quelle circuitate sul finanziamento, e quindi è obbligo parlarne, c’è sicuramente un partito o un politico dietro. E come sei bella quando ti sento parlare con quel galloppinaggio, dietro gli editori. E vai blaterando di chi si crede di essere, tu, che sei così. Che cerchi che vuoi oltre la tua vanità? Non c’è nessun’altra cosa che t’importi veramente, se non fare breccia con la tua cricca d’ipocriti, che un con l’altro mafiosamente si sorreggono, che cercano di nascondere la verità. Non esistono appunto se non fanno riferimento al loro circuito di menzogna: pagano, rubano e si vantano, giudicano per chiacchiere e deliquentemente si appropriano di quel che possono per gestire il consenso. Poco importa il bieco nepotismo e vassallaggio. Mi parli di certa gente e dovrei raccontarti io, qualcosa di loro, di uno per uno; di come si trasformano per il consenso e di come fossero e di quali cialtronerie ànno fatto. Adesso si atteggiano e ripeto rubano e usano il consenso reciproco mafiosamente e, mafiosamente vogliono controllare. Sai che non sto parlano della mafia economica illecita, ma del loro costrutto culturale che li fa così simili. Vuoi sapere se mi è piaciuto, sì mi è piaciuto mi à anche rilassato. Ciò non toglie che tutto quel che ò detto è vero, e anche se ò usato degli eufemismi come la mafia, sai bene che non puoi farci niente e, non puoi portarmi nel tuo giro di gente e cosiddetti amici, io me ne fotto, proprio me ne fotto della tua schiavitù, aspetta la tua sentenza con la tua vanità.


 

La nostalgia

 

 

Sto per sistemare le valigie, dopo di tanto peregrinare per il mondo, finalmente torno a casa. Questo cambiamento produrrà trasformazioni che non tutti, anzi che tutti forse non possono immaginare. Penso semplicemente a tutte le persone che di ciò ànno fatto motivo di vita, di gestione stessa della loro quotidianità, cosa resterà da fare ora a tutti questi uomini e donne, non avranno più neanche un argomento per cui impegnarsi e organizzarsi, come impiegheranno il loro tempo? Già ed io, anch’io sto tornando a casa per questo motivo e, da domani anche per me la vita cambierà. Che farò, sincerante adesso, non lo so, non ci ò ancora pensato. Di cosa si parlerà d’ora in avanti, dico ora stanno tutti, bene a, chi si potrà donare quel qualcosa che sembrava indispensabile, utile, spesso vitale? Non siamo più necessari, forse questo, dovrò pensare di me e di quelli nella mia stessa situazione. Del resto non avevano pensato, credo che nessuno avesse mai ipotizzato tale questione nei termini in cui essa si è verificata. Eppure ciò è accaduto, è cambiato tutto a tal punto che la cosa che può essere più controversa è lo smarrimento di argomentazione che tale accadere à realizzato, quasi ci avesse tolto le parole e il loro significato e, come se anche quel senso ipotetico di preoccupazione che alcune volte, nelle incerte situazioni si verificava nell’affrontare quei casi che sembravano particolari fosse rimasto appeso, senza ancora aver capito a cosa possa servire e, se in fondo ancora esiste. C’è ma è come se non ci fosse. Sono finiti, non ci sono più e mai più torneranno, che cosa accadrà adesso, saremo ancora capaci di accoglierli ora che non ànno più bisogno di noi, in fondo ora che sono come sono sempre stati uguali? Non so forse un giorno saprò rispondere a questo domanda. Sono finiti i poveri, i poveri non ci sono più, ed ora credo che non resti altro che aspettare che finiscano anche i ricchi.


 

Il grande GO!

 

 

 

 Il grande scimpanzé non sapeva come fosse giunto fin lì, ma la proposta che ora gli facevano era molto allettante, se accettava, la sua vita assumeva i connotati del successo, perché quel che gli avevano detto era che per loro mezzo avrebbe trovato l’opportunità per affermarsi e, in certo qual modo lo aspettavano opportunità e vantaggi che ad altri sarebbero stati negati. Tutto quello che doveva dare in cambio, era la sua disponibilità nella gestione e nell’essere dalla parte di chi lo aveva così ben facilitato nella sua carriera, quando gli fosse stato chiesto con la sua notorietà e posizione sociale raggiunta, di essere utile a quella logica di far parte di quella strategia. Il grande scimpanzé non ci pensò molto avrebbe potuto decidere di essere libero, di là del dominio di quegli australopitechi; ma perché pensò? Proprio come un grande scimpanzé, farsi fuggire quest’opportunità economica in fondo che importata quale fosse la natura di quel potere, avrebbe partecipato alla sua conquista. E pensò anche, così avrebbe riscattato la sorte cinematografica che era toccata a King Kong. E così fu, finì per partecipare a tutti i programmi della televisione, a dire le cose, che interessavano alla causa. Poco importa, se sono vere o no, pensava. Ebbe molto successo in molte fiction televisive diventò un personaggio dei talk show. I soldi che lui guadagna erano ben amministrati, tanto lo faceva guadagnare e tanto con quei suoi soldi si finanziava. Era parte perfetta della gestione del circuito dei soldi, da dove dovevano essere presi acquisiti e collocati, con un perfetto sistema dal circuito controllato. Il grande scimpanzé non poteva chiedere di meglio gli bastava recitare la parte di circostanza quando abbisognava, fare le dichiarazioni che servivano e convogliare su di se l’attenzione del consenso della gente. Il mondo non era niente di più e niente di meno che l’amministrazione politica controllata del denaro e del suo accaparramento. Il suo personaggio era parte di tutto ciò. Questa è la storia del grande scimpanzé. Fin a quando un giorno tra i benefici del suo livello di successo pensò a quel che fosse e, si vide in fondo per quel che era: un grande scimpanzé ricco che mangiava banane. Era sempre stato ciò ma per una strana illusione per il sì dato a quella proposta, aveva creduto di essere qualcosa di altro e, tanto era stato istruito per quello scopo e, dallo stesso modo di essere in quello scopo, che non si era accorto che fuorché che fare lo scimpanzé per soldi, null’altro aveva fatto. Certo era ricco e famoso, più di un grande sportivo, perché con la sua popolarità aveva vinto anche qualche elezione politica, a tanto erano servite le fiction cui aveva recitato, ma era sempre stato uno scimpanzé soltanto ammaestrato, proprio nient’altro. Ora ne era proprio certo. 


 

Il bacio

 

 

 

Ora io potrei parlare di tante cose, sostanzialmente complementari alla situazione, potrei affrontare con molte parole differenti la descrizione del luogo e della situazione. Ciò soltanto per il piacere di narrare e ancor di più per giocare con le suggestioni che si creerebbero che si saprebbero plasmare, in realtà c’è qualcosa di semplice e, forse non oserei giocare con la parola, un po’ tronfia se non pronunciata nella semplicità e unica, come la parola: puro, ma è meglio lasciar stare il peso degli attributi. E allora dico semplicemente che parlo del bacio, già quel bacio d’amore per intenderci anche con una certa semplicità dell’affetto, ma con la schiettezza d’animo di esserci per darlo. Il bacio o le labbra, maliziosamente si fantastica, perché tutto può essere baciato e amato, per essere sensuali e, espliciti. Il bacio confidenziale e sulla bocca, amante e passionale di questo parlo ora io. Già io, dovrei dirvi chi sono, descrivere magari la mia personalità e dove sono in questo momento mentre parlo e, se sto baciando, o descrivere la bellezza dei miei baci o dei baci in genere. Sono in attesa forse di un bacio, di molti baci? E allora forse vorrei ricordare, di certi baci. Quei baci che non ci sono mai stati prima e che ti fanno subito scoprire come si compiranno un bacio e un altro. Dico che i miei baci sono stati sin da subito perfetti meravigliosi pieni d’amore, nessuna imitazione, nessuna suggestione di dover fare o essere, del resto i baci son così perché son sempre veri. E allora mi ricordo ancora il primo bacio, sì il primo bacio è sempre fantastico, in qualche modo meraviglioso è qualcosa di certo. Sinceramente non so quanti di voi ricorderanno oltre la bellezza del primo bacio, dell’incontro, io ricordo, anche il primo bacio in assoluto di alcune donne, qualcuna giovane, qualcuna molto meno. Da questo bacio, comprendi quel modo di lasciarsi andare che ancora non sa bene come fare, non solo come dovessero capire le labbra stesse che s’incontrano, ma le sue labbra che bacia per la prima volta mi chiedono mi dicono fammi capire amami, com’è che succede. È già è una grande purezza e bellezza, che qualche volta la frenesia del sesso, sembra quasi mettere in secondo piano. Eppure anche nel momento, nell’abbraccio dell’amplesso i baci sono meravigliosi. Il bacio senza che ci sia quasi come una deriva, l’ansia del congiungimento sessuale, che non è vietata né inibita è lì, ma non sovrasta è disponibile se si vuole, ma non sovrasta, ci si bacia e bacia e si riempiono anche i sensi che si aprono, che danno e cercano, ma allora quasi giro intorno al bacio baciando. Questi primi baci di queste donne che ò amato, erano in cerca, di qualcosa, o cercavano questo bacio, preludio inizio e già compimento? Sì ò dato il primo bacio a delle donne che non avevano mai baciato prima, ò sensibilizzato e liberato il loro mondo, aprendosi ad altre parole. Si dà alla prima volta in cui il sesso ha compiuto se stesso il placido di prima volta, quasi che non sia stato proprio il primo bacio, il primo atto di vero amore e in esso il compimento. Tutto questo forse confonde gli ascoltatori, quasi non sapendo di quale epoca o luogo si tratti, non parlo di questo, ma soltanto di me stesso e lascio che vi appaia questo anche nell’immaginazione. Questi primi baci, di queste donne, e se non vi viene bene di capire che età esse ànno e per questo presumibilmente, quando è accaduto, tutto ciò è, semplicemente perché la peculiarità di ognuno, non à né tempo, né uno spazio se non quello che quella persona gli dà ed è. 


 

Lettera di addio di Peppo perché pappa alla sua Peppa

 

    

 

Mia cara, ò deciso di lasciarti per una sorte migliore. Basta con questo mondo parallelo dove tutto è motivo per un altro. Mi sono sempre chiesto cosa tu provassi per me, perché ài continuato a essere, così generosa dandomi tutto il tuo denaro e, come me ai sempre detto, tutto il tuo amore. Mi sono sempre chiesto e ò voluto anche saperlo da te, perché il nostro amore è così bisognoso del denaro e, perché in fondo ci amiamo per questo? Tu me ài risposto che con soldi siamo più felici e abbiamo più comodità. Non ò mai creduto e non lo credo, forse nemmeno adesso che ò deciso di andarmene perché tu mi ami solo per interesse e a questo non rinunceresti mai. Non so che pensare, forse ami più il denaro che me; perché il mondo ce à relegato in questa condizione parallela, di una cosa per un’altra e sempre soggetta al denaro. Mi dici sempre che con me fai all’amore, mentre con i clienti è solo sesso e sesso economico e, perché dici solo questo, eppure senza quel denaro non faresti all’amore con me, credo proprio che non mi ameresti. Io penso che comunque ciò è strano, se dici che credi all’amore perché non ami senza farti pagare, dico, possibile che non puoi amare nessuno degli uomini con cui vai? Devo riconoscere che per questo, proprio per questo, mi sei più che fedele, sembri quasi pura. Però non vorrai dirmi che questo modo per un altro, non è anche così ben calcolato, tanto che mi dici che il nostro amore ne è beneficiato. Tu mi dici sempre che stiamo bene insieme e non ci manca proprio niente. Eppure io vorrei che tu mi amassi e facessi all’amore con me senza che per questo ci sentiamo rassicurati dal denaro. Sei così, e così me ti sei data, non posso certo rimproverarti per questo. Certo questa è anche la nostra sorte, sembra, non ne abbiamo un’altra; tu dici perché rinunciarci, e, aggiungi che il mondo intero vive questa condizione di vita parallela. Bene io vorrei sentire l’amore senza nient’altro, non mi va di sentirmi amato per il denaro, quando ti abbraccio, non mi va di pensare che possiamo farlo solo per questo motivo.

 

Addio Peppo.


 

Una strana burocrazia

 

 

 

In uno di quegli strani posti che nessuno sembra poi frequentare molto, dico nessuno. Un giorno per chissà quale caso un uomo vi giunge del tutto inaspettatamente tanto che gli uffici e le persone di quel posto non solo non sapevano chi fosse ma neanche perché fosse giunto lì. Si dissero e rapidamente corse voce tra il personale degli uffici, che sì qual volta poteva capitare che succedesse una cosa del genere, ma molto raramente come disse il capoufficio rivolto agli altri. Ora in questi casi aggiunse quel che c’è da fare è un po’ farsi raccontare dal capitato che cosa avesse fatto e chi credesse che fosse. Sappiamo disse ancora che queste persone smarrite in balia un po’ di tutto il da farsi, si depositano in questi nostri uffici e aumentano il lavoro burocratico, che, invece noi siamo qui perché non vi sia più e anche noi possiamo definitivamente chiudere questa sezione. Purtroppo fatto ciò, disse ancora, noi tutti sappiamo che viene a mancare forse l’unico posto dove certi individui, forse anche questo appena giunto, può sperare di vedere snellita la grande burocrazia che ànno accumulato, spesso, nel successo personale lì in quel posto da dove son poi giunti fin qui da noi. Ora vorrei che due di voi si prendano l’impegno di ascoltare l’uomo appena giunto e nel qual caso decidere se vi è qualche possibilità per un suo collocamento; io propongo per tale incarico Lamoetto e Limoetto. Bene vedo che siete d’accordo e allora si proceda pure rapidamente, che non si faccia attendere oltre il dovuto chi si aspetta in fondo qualcosa. Limoetto e Lamoetto tornarono nel loro ufficio e attesero che vi giungesse l’uomo appena arrivato. Entrato nell’ufficio, l’uomo fu invitato dai due a sedersi e, poi resosi a suo agio gli chiesero: “Ci dica, lei, chi è e che cosa à fatto?” l’uomo iniziò a parlare di se stesso, a raccontare quante cose avesse realizzato a come fosse riuscito in queste imprese e come fosse considerato per questo e, aggiunse titoli e attributi. I due, Limoetto e Lamoetto avevano sì ascoltato cose di questo genere ma forse c’era una particolarità nel racconto che essi avevano ascoltato, tutto essi pensarono era andato nel modo migliore per quell’uomo, si guardarono e sinceramente non servì scambiarsi una parola e dissero a quell’uomo. Gentile signore noi potremmo dirle che apprezziamo molto quello che lei à fatto, ma dall’analisi attenta di quel che à detto praticamente ci sorge un chiaro dubbio sulle nostre possibilità per un suo collocamento spazio temporale, lei nel suo impegno à si da dove proviene conseguito successo e consenso e quant’altro ma per lo più ciò è avvenuto per mezzo degli oggetti e delle acquisizione di potere per mezzo di acquisizione sostanzialmente materiali. Certo à detto che questo à portato, anche una certa espressione nei suoi sensi, ma sostanzialmente il succo si risolve nel possedere e, come credo forse avrà un po’ intuito tale questione per noi non à nessuna rilevanza è proprio ininfluente per il vivere qui ché per ogni immaginazione in proposito a una collocazione qui. In sostanza non sappiamo, dove determinarla e l’unico consiglio che possiamo darle è, di vedere se trova sistemazione in qualche deposito di oggetti smarriti, è un termine che qualche volta è stato in uso qui da noi, ma sinceramente non sappiamo esattamente cosa sia, altro non possiamo dirle. Timbrarono il foglio redatto, essi stessi lo consegnarono all’uomo lo accompagnarono alla porta e uscito la richiusero.


 

Una storia felice

 

 

 

Di cosa posso dire, quando ci siamo conosciuti lei, era bella, voglio dire lo è sempre stata. Ci siamo conosciuti e vissuta subito una storia d’amore, intensa passionale e piena di sensibilità. Stare stretti tra le braccia l’uno dell’altra, era un continuo parlare e baciarci e, fare all’amore senza mai lasciarci. Certe volte, ci baciavamo facendo la respirazione a bocca a bocca, lei espirava ed io ispiravo, sentirsi così con il sapore e la morbidezza della lingua. È stata lei la prima a baciarmi, io forse pensavo ad altre cose e non mi accorsi proprio che era il momento di baciarla, m’invitò proprio a farlo. Questo è stato il nostro primo bacio. E poi quando abbiamo cominciato a fare all’amore, era un continuo unisono di piacere e di orgasmo. Be’ certo ero io che la aspettavo, fino a essere pronto al momento perfetto insieme con lei. Una volta è stata lei a dettare i tempi e proprio non sono riuscito ad aspettarla. Avrei dovuto capire che non sarebbe stata contenta di essere meno brava. I primi tempi erano un continuo far progetti, forse lei confezionava un po’ troppi programmi e più che altro si preoccupava di riuscire nelle cose maggiormente convenzionali, casa, oggetti, auto, servitù e, figli, ne aveva programmati tre. Ci sposammo dopo qualche mese e, abbiamo iniziato la nostra vita insieme, certo alcune volte non siamo stati più all’unisono quando facevamo all’amore, ma va ben, anche, e che c’è si varia. Abbiamo fatto due figli e ce ne mancava ancora uno per come si era stabilito, in realtà tutto è andato liscio ed è stata una storia meravigliosa, ed è giunto anche il terzo figlio e siamo andati avanti negli anni e sono cresciuti e noi con il tempo con amore insieme.

 

 

 

Invece: dopo poco che c’eravamo sposati, era un casino totale, per me era tutto un doppio lavoro, prima fuori e poi quando rientravo, non c’era verso che so che scopasse per terra che lavasse anche con la lavatrice e i piatti che si accumulavano e che toccava sempre a me lavarli. Mi rinfacciava che voleva una domestica si va bene, può essere un motivo ma potresti anche fare qualcosa anche tu, invece d’infischiartene e lasciare tutte le cose a me. Abbiamo avuto due figlie ed è stata un’impresa quasi pretendeva che li partorissi io. E poi alzarsi la notte a nutrirli, chi io, e cambiarli, io; lei non poteva doveva uscire o diceva che non era capace. Era desiderosa quasi fobica per gli oggetti e diceva che così i figli non le davano lustro, quasi dovessero pulire per lei gli oggetti che lei comprava. Si era giunti al culmine perché com’era ovvio, spendeva più denaro di quel che guadagnavamo, diceva che non era abbastanza e che voleva più comodità. S’interessava delle cose più cretine e qualunquistiche che ci fossero in giro, e ha quasi preteso che vendessi i miei libri per andare in vacanza tre mesi ai tropici. E già perché come se non bastava, si attorniava di gente più vanitosa di lei e insieme erano un gareggiare con chi esibiva in quantità maggiore le vanità più schiocche e idiote. Poi ignorante appagante com’era incominciò a dire che la sua vita non aveva il giusto quid e, che voleva qualcosa di più e, non facemmo in tempo a generare il nostro terzo figlio, perché lei un bel giorno fuggi per non tornare più con un rappresentante di bigiotteria, chissà così forse ora esibirà tutto quel che le pare, per fortuna mia, lasciatemelo dire.

 

 

 

Invece: dopo una bella storia appassionata, non l’ho proprio più vista. Con tutti i suoi programmi.


 

Ricordi di storie d’amore che sembrano vere

 

 

 

Sì potrei parlare proprio di questo, si disse, e incominciò a pensare.

 

La prima storia di cui voglio parlarvi è quella con la bella Cristin. A memoria ricordo che fosse tedesca, ma potrei giurarci che fosse austriaca. Come conobbi Cristin, non lo ricordo esattamente, quel che mi torna in mente ora è che era con una sua amica sotto l’ombrellone nella spiaggia libera e, credo proprio di essere andato lì direttamente, di essermi presentato e, scherzato sul suo ombrellone e alcune cose che avevano sugli asciugamani o telo da mare. Ovviamente non parlava una parola d’italiano – perché ovviamente? Credo per il perpendicolare accadere che spesso mi succedesse, dico parlava quattro lingue e ovviamente posso dire senza ombra di smentita io ero la causa del perché avrebbe imparato l’italiano, non era la prima donna cui io facessi questo effetto. Del resto mentre l’amica era più resistente e, un po’ ovvia, lei invece sembrava accettare lo scherzo, le mie canzonature e battute che neanche ben capivano, ovviamente all’interno di quel gioco mi proponevo come romantico disilluso che non credeva nelle storie banalmente materiali. Poi a un certo punto avete in mente quei play boy da spiaggia vista l’accoppiata e il mio solitario s’intromise e incominciò a sfoggiare la sua conoscenza del tedesco, Cristin lo usò per tradurre e chiedermi alcune cose. Non ricordo quali, comunque le dissi e le feci capire che ero lì nella spiaggia se lei mi voleva. Poteva cercarmi.

 

Passarono alcuni giorni e non è che ci abboccammo più, era evidente che aspettasse che fossi io ad andare da lei, ma io come le avevo detto ero lì che prendevo il sole e nuotavo.

 

Finché una sera, per caso - c’incontrammo. Lei passeggiava fermandosi ogni tanto davanti alle vetrine dei negozi, io passeggiavo per mio conto, entrambi solitari. Bene non è che proprio ci vedemmo, ma quando le ero abbastanza vicino feci un suono schioccando le dita, catturando la sua attenzione. Mi disse che era sola e che la sua amica era con altre persone. Allora l’invitai a proseguire la serata insieme. Ovviamente accettò, ci perdemmo un po’ a parlare e la portai a vedere un po’ di posti caratteristici, poi l’invitai a visitare un cimitero nell’ora notturna e, quanto la baciai nel mezzo del cimitero, non ricordo che ora fosse si sentirono suonare le campane, non so se fosse per questo, ma lei pensava vivamente che fossi unico. Quella sera in cima a una torre medioevale accadde ancora la stessa cosa, la baciai e suonarono le campane. Le chiesi di fare all’amore, ma tra i baci e i corpi dati per eccitamento mi disse di no, mi disse domani. Non so ma stupidamente ero un po’ arrabbiato, comunque le dissi che in spiaggia non sarei andato da lei perché le dissi, io andavo al mare solo per nuotare e prendere il solo e, volevo sentirmi libero. E così per alcuni giorni lei non venne da me ed io non andai da lei. Poi un giorno preso un po’ dal mio decisionismo mi avvicinai a lei e le dissi che era una ragazzina e che non sapeva decidersi e, da come mi diceva, aggiunsi che insieme alla sua amica perdeva tempo sperando di cercare qualcuno che le promettesse qualcosa di più, mentre in realtà appena ottenuto da lei quel che voleva le avrebbe raccontato la verità che non le aveva detto e, chissà se poi era la verità e l’avrebbe salutata e, che aveva paura di vivere realmente. E quasi in atto di cordiale sfida ci demmo appuntamento quella sera. Ora non ricordo quando di quella sera, di quella sera ricordo che facemmo all’amore, le chiesi che preferivo farlo in macchina, sotto la luna e in un posto bellissimo, lei decisamente preferiva il letto, non era molto sportiva. Comunque quella sera si lasciò andare e prendere, si lasciò baciare accarezzare e amare. Finimmo con il parlare e lei incominciò a parlare con il warum, credo per le mie risposte. Devo confessarlo è stata l’unica volta che ò mentito a una donna. Infatti, le dissi che non volevo avere una storia lunga che non potevo impegnarmi, perché avevo avuto un episodio con un’altra appena finito, lei warum e aggiunsi che volevo soltanto vivere quel momento. Non era vero ero libero e solitario, ma era troppo lunga la storia di spiegarle che volevo essere uno scrittore, non avevamo abbastanza vocaboli. La sera dopo cenò insieme con me, non stupitevi con una bella pizza. Poi nel locale dove a quell’ora non c’era molta gente, incominciai a scherzare con il suo bracciale glielo sfilai, lo prendevo e lo posavo a un tavolo più lontano, lei doveva alzarsi e riprenderlo, lo feci un paio di volte non di più, era un bracciale d’oro di un certo valore e lei mi parlo del fatto che la sua famiglia era benestante, non ricordo, ma sicuramente le dissi una battuta sui soldi delle mie. E stemmo per un poco a nominare il suo cognome perché io non riuscivo a pronunciarlo esattamente. Sinceramente ora non ricordo, ma mi è venuta, molti, molti anni dopo la netta sensazione che quel cognome sia stato lo stesso di un’altra donna con cui ò avuto una storia d’amore, ma chissà! Quella volta la portai a fare all’amore vicino a un vigneto e, avete in mente quelle zanzare piccolissime che stanno in quei posti, bene la sua bella tenera pelle che senza l’abbronzatura era bianca fu assalita da tante piccole punture di quelle zanzare, a me neanche una. La sera dopo quando c’incontrammo aveva bisogno di qualcosa per lenire il fastidio, ora di quella sera i miei ricordi sono un po’ disarticolati. La accompagnai alla croce verde, ma non ricordo se prima o dopo che la sua amica tramite il tizio con cui stava che aveva un amico dottore, che voleva fare il furbacchione dico io, che le scrisse un farmaco su un foglio senza neanche carta intestata e, a ecco adesso ricordo andammo alla croce verde per chiedere quale fosse la farmacia di turno e, suonammo nella farmacia ma nessuno aprì. E qui faccio un inciso, la sua amica stava per ricevere il ben servito dal suo ipotetico amico. Insomma finimmo che la dovetti curare con i baci, ma questa volta non potevo esimermi dovemmo andare nel piccolo appartamento, dove lei alloggiava con l’amica, sul letto. La cosa che non potei non notare era che il letto era diviso in due dai tessuti delle lenzuola e coperte, quelle dell’amica erano di semplice cotone, mentre quelle della parte di Cristin erano seta, il letto era matrimoniale ma per l’appunto diviso e, io ovviamente feci l’amore dalla parte delle lenzuola di Cristin.

 

Qualche anno dopo, lei tornò in quella spiaggia io ero lì che nuotavo e prendevo il sole, erano lei la sua amica, un uomo e un bambino e un cane, non la riconobbi subito e, mi sembrò che lei fosse quella che era con il cane e, comunque io prendevo il sole e nuotavo e lei se m’à riconosciuto à guardato solamente.

 

 

 

Interludio

 

Lui: perché non ci amiamo e siamo fedeli, ti prometto che tutte le volte, che avrò il desiderio di baciare - sarà di te e solo con te.

 

Lei: senti va bene sì, però voglio un po’ di cose, mi va di avere delle amiche con cui parlare e, poi voglio le comodità che si confà tutte le comodità e sinceramente anche di più, sarò soddisfatta quando tu sarai insoddisfatto e cercherai di più per me.

 

Lui: cosa è questa la teoria del somaro e, poi cara ti ricordo che potrei dire io che voglio tutte queste cose cui tu ambisci e, perché non chiederle proprio a te, che sinceramente vivi con un televisore in affitto e non so proprio come faresti e, ma continui a dirmi che non si vive solo di amore eterno.

 

Lei: del resto anche qualora io potessi per gran modo avere tutto ciò e metterlo nella nostra storia non so bene se tu lo accetteresti, è proprio un altro tipo di vita che vuoi.

 

 

 

In effetti del resto che dobbiamo dire, in queste storie e ricordi una cosa per sostanza era sempre presente, il fare all’amore, parlare molto e soprattutto la contemplazione. In realtà è quest’ultima che rende le altre due, veramente profonde, quella semplice bellezza della contemplazione fatta anche di silenzi pieni e condivisi e che rende speciale ogni istante quasi invisibile per chi non vi è dentro, è, in un certo quel modo un atto di grandezza, bene dopo tanto amore e tante e belle e sincere parole quel che è sempre rimasto inalterato è stata la contemplazione vuol dire che in sostanza è con questo che rimanevo, già, ma quanta energia ò messo per questo in ogni storia d’amore, inimmaginabile e, se poi si è detto qualcosa o fatto qualcosa di meno convincente che posso farci io.

 

 

 

Concetti di moda. Una prima parte di una storia d’amore.

 

 

 

Che dirvi sapete quando vi prende quell’amore che un po’ ti rimbambisce, che ti fa dire ma è meravigliosa, anche se fa cose un po’ ovvie. Io me la sono vista la grande esplosione del mondo delle discoteche quella per intenderci della febbre del sabato sera. Ricordo ancora che quando andammo a vedere il film c’erano tre sceme davanti a noi che cantarono per intero la colonna sonora con il falsetto dei bee gees. Roba da pazzi, che questi passavano intere giornate davanti alla specchio a provare le mosse del ballo e si trasformavano nell’abbigliamento prima di entrare in discoteca. E poi i quattro quarti, l’assurdità di quel ritmo, insomma la gente andava in discoteca come nel film, insomma un po’ di anni dopo di questo, l’estate era così. Ed io prendo una voglia per una che era venuta in vacanza con la cugina sedicenne con l’unico, intendo di divertirsi in discoteca e magari, chissà, rimorchiare. Bene dopo qualche sguardo reciproco d’assestamento le becco in acqua che galleggiavano su un materassino, non ricordo neanche di che parlammo lì per lì, ma non ci fu poi molto altro da aggiungere, perché in sostanza ci piacemmo subito e dalla sera iniziammo a uscire insieme – io e Ariane la cugina si era trovato un amichetto nell’albergo. Ora, non parlo di tutte le cose che sono accadute in questa storia che è durata un’estate e un po’ di autunno, ma delle logiche strategiche di una discotecara diciamo. E allora ben presto incominciò il piccolo problema che la cugina voleva andare in discoteca io proprio neanche a parlarne e, allora bisognava accompagnarcela. Insomma Ariane o stava con me o andava in discoteca, la cugina poteva anche uscire con noi, quando l’amichetto sarebbe ripartito. Una delle cose più incredibili che accaddero fu quando subito dopo che avemmo fatto all’amore, mi disse che il giorno dopo, sarebbe partita, all’improvviso, perché aveva avuto la notizia che era morta sua nonna, benedetta donna, dico io. Capii quasi subito che non era vero era stata sopraffatta dalla cugina santropeana un po’ evanescente a spostarsi in un posto dove lei si poteva divertire di più con più discoteche. La guardai e le dissi che non era vero e subito ammise, e che doveva scegliere se, se ne fosse andata, sarebbe finita, anche se lei diceva che dopo ci saremmo rivisti. E lei presa da raptus da scoperta a rubare la marmellata come una semplice Heidi, mi pare si dica così. Fuggì verso la spiaggia di notte, potremmo dire forse per non tornare più. In effetti, dopo un po’ che l’aspettavo, mi chiesi dove fosse finita e andai a cercarla e la trovai sdraiata per terra sulla spiaggia, l’aiutai a rialzarsi, l’abbraccia e mi fece vedere che nella cadutale si era rotta un unghia del dito, cioè per i profani solo l’allungamento. Quando la riaccompagnai in albergo, le confermai quello che le avevo detto. Ora per chiarire non è che se lei non andava in discoteca non avesse niente da fare, la portavo ogni sera a visitare un posto diverso, parlavamo molto. A proposito anche lei parlava diverse lingue e beveva sempre coca cola e fanta, non beveva neanche l’acqua minerale in bottiglia, tanto aveva appreso al corso per Hostess della swissard che in certi paesi era meglio evitare l’acqua perché non sempre era pura, dico dove vivo io c’è la migliore acqua potabile d’Italia. Come ò detto anche lei, era di quelle che parlavano le lingue. Del resto a memoria tranne una bella milanese che parlava l’italiano, mi son sempre capitate donne linguacciute, diciamo. Anche Valeria de Roma sedicenne che mi dava appuntamento davanti all’ingresso secondario del liceo linguistico, tutto bene, è stata la mia prima grande storia, soltanto c’era il fatto che lei era di Roma e io per trovarmi puntuale all’appuntamento dovevo prima percorre la salaria partendo dall’altra parte della costa dell’Italia. Bene un bel sabato ci diamo appuntamento e passiamo la sera insieme, non ci demmo neanche tempo di dire se avevamo fame, ma andammo nei pressi della Roma antica e stemmo a baciarci per tutto il tempo, che sinceramente si era messa del trucco sulla faccia magari per coprirsi i brufoletti che a forza di baciarla ricordo che me lo mangiai tutto. Ma state a sentire che dopo averla riaccompagnata a casa, io non molto pratico delle strade di Roma, forse ci misi un po’ troppo, comunque dopo dovetti tornare all’albergo, che era ancora da tutt’altra parte tanto avevo usato dei riferimenti per orientarmi. Il liceo era quello linguistico in via cola di Rienzo o Renzo non lo ricordo, insomma andando avanti per quella via c’è piazza del popolo, che l’estate dopo gli cantai le canzoni di Baglioni compresa quella del matrimonio e del piccolo grande amore. Insomma la domenica pomeriggio, pioveva, l’aspetto al solito posto al liceo e lei da buca, a una certa ora le telefono a casa e mi risponde la madre, che forse la sera prima l’aveva vista senza, più il trucco e mi dice che Valeria è uscita con le amiche e che la sera prima aveva fatto tardi. Io le dissi signora tante scuse ma che ci posso fare se sua figlia non vuole che venga lì, comunque le dica che riparto e me la saluti, ci saremmo risentiti per telefono. Non mi piace parlare delle spese telefoniche, ma sinceramente in quel periodo riempii le gettoniere dei telefoni. Per di più quella sera uscendo da Roma sbagliai strada trovandomi in un flusso automobilistico pazzesco per tornare indietro tanto che quando vi riuscii, una Opel sfiorò l’angolo della mia panda che sembra una contraddizione in se, scoprii essere il punto più duro e consistente della panda che sfoderò il fianco della Opel, dove c’erano delle persone che tornavano da un fuori porta e che usavano quell’auto che non era loro ma dell’azienda”. Va bene dopo le rassicurazioni che avrei denunciato il fatto all’assicurazione, ripresi la strada del ritorno, e nel bel mezzo della strada salaria la vecchia salaria non la super strada di adesso incappo in una bufera di neve che faccio appena in tempo a superare che la mattina la salaria era bloccata. Le volte successive che tornai a Roma lo feci insieme con altre persone, amici e amiche, sempre m’incontrai con Valeria e una volta perché avevo portato un mio amico in crisi di pellegrinaggio, con tanto di orazioni prima di dormire o digiuno meditativo, Valeria porto una sua amica, una certa Monica saputella che misi apposto con due battute. Quella sera finii in lacrime tra le braccia di Valeria sotto la sua casa con il mio amico che girava con la macchina intorno all’isolato senza trovare parcheggio finché io mi decidessi di salire in macchina, non so quanti giri fece. Perché è finita questa storia è un’altra storia. Allora tornado alla discoteca e ad Ariane è bene dire che una sera ottenne da me l’assenso di uscire soltanto con la cugina e andare in qualche discoteca. Sapevo che prima sarebbero andate a fare delle spese; io non uscii proprio con quell’intendo, voglio dire di agganciarle facendo finta di niente, ma successe propri così, allora dissi va bene giacché mi trovavo, avrei passato il resto della serata con loro due. E mi portarono dinanzi alla discoteca, dove volevano andare e, pensate un po’ invitate da fantomatici, dico io sciapotti, tanto che l’avrebbero, fatte entrare, e che ne so magari fare ambiente per la discoteca. Insomma non era cosa e dato che non si presentava nessuno, fui costretto io a portarle da un altro posto. In quel periodo dei miei parenti avevano una discoteca, che era tra le più note dell’Italia centrale, perlomeno si sarebbero divertite io, fui esente da spese di sorta, scambiai pure delle battute con dei tipi che provarono a fare rapina e aggancio, senza molta fatica e disturbo e passai una delle mie poche serate in discoteca della mia vita. Questa prima parte di questa storia finisce con il fatto che dovetti prestare dei soldi ad Ariane perché non sapeva se le bastavano per la benzina per il ritorno. Questo è quanto.

 

 

 

Luoghi posti e racconti di storie d’amore.

 

 

 

Bene che devo dirvi pensate ciò che volete, dico chi pensate che io sia, l’autore di questo racconto o il narratore che è dentro il racconto?

 

E allora ora vi parlo di un paio di luoghi che sono stati parte seconda di alcune mie storie d’amore. Ora non stupitevi se non parlerò proprio della storia d’amore, ma più di come vivevo in questi posti quasi che stessi da solo e non insieme con lei, che devo dirvi anche se non la stessa, appunto per posti e luoghi.

 

Il primo racconto è ambientato nei pressi della Maremma. In linea con lo stesso parallelo tra il mare adriatico e il tirreno, appunto spostandosi nel mezzo della maremma, attraversati anche i monti Sibillini e, così giunti prima di Siena, senza entrarvi e svoltando verso sinistra, si scende giù per una statale, percorsa per un tratto la quale c’è un cartello o c’era che indica Roccastrada, svoltando a destra per questa località e giuntovi si deve attraversare e andare oltre fino a raggiunge Roccatederigi, in questo già piccolo ma bel paese, c’è una piccola frazione ancor più piccola Meleta, ed ecco che qui c’è una piccola casa nel bosco, o c’era c’è stata o ci sarà, comunque un giorno si potrà dire che io vi ò passato un periodo, pacifista e all’epoca vegetariano e non come Garibaldi. Il viaggio fin lì era stato tranquillo, a quell’epoca c’era il divieto di velocità stabilito per tutti di centodieci chilometro orari, sia per alcuni tipi di super strade che autostrade, gli Italiani pur avendo l’obbligo non portavano se non volevano la cintura di sicurezza e la pubblicità in televisione era una cosa appartata, insomma in quell’anno gli incidenti automobilistici scesero clamorosamente, tanto clamorosamente che qualcuno forse se ne impaurì. E ora mi trovavo lì in questa casetta nel bosco, con lei e per qualche giorno con suo padre. Come ò detto non racconterò i particolari di questa storia, ma il mio stare e visitare, quei posti e ve lì racconterò quasi fossi stato da solo. In quella piccola casa da poco abitata da questi nuovi inquilini, non c’era acqua corrente, o meglio c’era ma si doveva attingere da un pozzo a un centinaio di metri dalla casa, dove un motore di quelli azionato tipo un motoscafo portava l’acqua al serbatoio della casa, in media ciò doveva esser fatto ogni tre quattro giorni e, quando il padre partì e restammo io e lei volli farlo io. In realtà dopo poco che ero lì, notai, che proprio nel giardino di casa vi era un rubinetto dove l’acqua usciva spontaneamente e a pressione, tanto che dissi perché non utilizzare quella. Il padre mi disse che ancora non era stata analizzata e non sapeva se fosse potabile. Ora qui è bene fare una piccola specifica – tanto che gli dissi goliardicamente, adesso la provo e vediamo – bisogna dire che stiamo parlando di svizzeri, dove può accadere che ci sia il panico se non si à l’assicurazione sull’assicurazione che potrebbe non funzionare e per ogni cosa e per ogni dove. Ora voi potreste dire cosa aveva portato a scegliere di vivere in quella casa nel bosco suo padre. Ché lei non pensava proprio di vivere lì in quella tranquillità, bene questa è un’altra storia, ma qui io, sto visitando luoghi. Quando il padre partì, fece rifornimento prendendo la benzina da una tanica che aveva nel bagagliaio, voi penserete che perché in quella casa con il solo telefono e un registratore portatile con radio che aveva regalato alla figlia, non ci fosse neanche un distributore di benzina? Non proprio la Volvo, macchina sicura, che aveva era un’automobile a benzina verde, che in Svizzera era facile trovare, ma che in Italia era disponibile solo sulle autostrade. Bene ora ero in quella casa da solo con lei e, che cosa pensate che adesso io vi racconti i momenti d’amore, no no, qui parliamo di luoghi. Il quel periodo lessi due libri, l’unico della mia vita al mare. Passare le giornate in quella casa nel bosco per me era piacevole, ma spesso ci spostavamo e, diciamo che tutto è a un tot di chilometri, per dire molti pochi, ma! Insomma. In effetti, l’unico suono che ascoltavo in quel posto era quello della natura, ma che dirvi dalla parte dell’adriatico tutto è più vicino a tutto, le montagne alla compagna, questa al mare e c’è più luce, questa è la mia impressione, anche se il carattere della gente tra i due posti è un po’ diverso, in effetti, anche lei aveva questa impressione riguardo la luce. Sarà stato per questo ma si era messa in testa che la luce dell’est di Battisti, fosse in parte la nostra canzone. Giungemmo a questo compromesso altrimenti avrei dovuto ascoltare cose assurde. Comunque seppi che Eros Ramazzotti spopolava tra le donne svizzere che lo immaginavano quasi come ideale di bellezza, almeno quelle della svizzera tedesca. All’epoca, agli inizi della carriera, in Svizzera, questa era quasi una fissazione. Bene dove andavo con lei al mare, più spesso era a Follonica, che quando vidi l’isola che vi si vedeva e lei mi chiese che fosse? Io risposi, ma! Sarà la Sardegna?! In realtà era l’isola D’Elba che si vedeva, scura e napoleonica. E un bel giorno con il mare un po’ agitato, ma senza molta corrente presi a nuotare quasi per raggiungerla, sarà stato il vento sarà stato il gusto che proprio non sentii niente ma quando tornai a riva, mi disse che c’erano state un sacco di persone con i fischietti, dissi come con i fischietti, che mi chiamavano che era stata lei a farli smettere, dicendo, che tanto io lo facevo sempre. Insomma da quelle parti i bagnini usano i fischietti, ora dopo questa dichiarazione credo anche qui da noi, chissà. Comunque è tanto che non frequento le spiagge affollate e non so se già li usano. Un giorno sospetto che lei fosse un vampiro. Stando tutta la giornata lì si pranzava sul posto e un bel giorno mangiai un’insalata mista, fresca e con l’aglio, non ricordo come si chiamasse. Bene quel giorno lei evitò con strani stratagemmi di baciarmi. Tra le giornate al mare ne passammo una o due a Castiglione della Pescaia. Una volta andammo a vedere le barche a Punta Ala e, lì per lì mi venne in mente di diventare uno skipper, tanto che nell’inverno, iniziai la scuola per prendere la patente nautica. Ma poi, ero già santo, un poeta e che dovevo diventare un navigatore con la patente. Forse aveva ragione Roberta un’altra mia storia che mi diceva che io ero troppo, non per lei, ma troppo. Quando restavo a Meleta, andavamo a mangiare a Roccatederighi, nel piccolo ristorante e credo che anche se fossi vegetariano di aver provato alcune buone pietanze del posto e, una sera a una cena medievale i gentili commensali mi approntarono lì per lì alcune cose che potevo magiare anch’io. Una sera si proiettava all’aperto la storia infinità, film che non avevo visto – nel vicino paese di Ribolla, che non so se à a che fare con la ribollita, il libro comunque è un bel libro. Poi una sera capitammo a Grosseto a mangiarci una bella pizza, anche se prima andammo a vedere un film assurdo di guerra, di cui ò obnubilato il perché, ma! E sapete com’è forse, io ancora interrogativo con lo sguardo s’incrocia con una che per certo verso fisicamente assomigliava a lei e che fissò lo sguardo in modo persistente su di me, mentre il suo lui guidava una Porsche. Lei s’ingelosì, ma di cosa era lui che doveva ingelosirsi. Che comunque una di quelle notti particolari dove dalla casa nel bosco si vedeva un cielo di stelle come non l’avevo mai visto, gli dico: io telo regalo. Che quando raccontai questo episodio a una di quei club … e si a me regali le stelle. In effetti, preferiva fare l’optional alle Porsche. La notte quando si andava in macchina si doveva stare attenti perché poteva attraversare la strada qualche cinghiale, all’improvviso. Come mi raccontò uno del paese una volta investito il cinghiale, perché si pensava morto lo caricò in macchina, ma dopo un po’ il cinghiale si svegliò. Qualche volta siamo andati a passare il pomeriggio e la serata a Marina di Massa. Che, io puntualmente, pronunciavo Massa Marittima, un altro posto. Ancora qualcuno aveva in mente il film che ci aveva girato Bellocchio con quella bella attrice francese e, il ballerino greco, sul sabba, non ricordo il titolo. Che poi se non sbaglio Massa Marittima, è quel posto, dove si diceva che ci andavano in vacanza i pizzicagnoli e, tutti a dire che non ci dovevano andare e non ò mai capito perché, ma! Bene dalla piccola casa nel bosco o mentre si mangiava nel piccolo ristorante, si sentivano i tuoni dei primi temporali d’autunno. Ancora qualche giorno e saremmo tornati sulla costa marchigiana.

 

 

 

Una città dove si vola

 

Quale città vi viene in mente? Non so voi ma io parlo di Milano. E sì questa è la sensazione, sarà che era la città da bere, che per questo forse voleva essere leggera. Io dico che è una città dove si vola, perché io ò il ricordo e percezione di Milano, dove se penso al duomo o ai navigli, alla stazione centrale, al cimitero monumentale, a castello sforzesco, al parco Lambro, o all’idroscalo, a un altro parco che non ricordo che si chiudeva con i cancelli, al quartiere fieristico, alle case dove sono stato, agli alberghi. Ciò che collega queste cose la città con le sue strade, per me non esiste quasi, non le percepisco. Perché e che città è? Che dirvi a Roma, anche se c’è, il Pincio mi successe che mi manco l’orizzonte del mare. A Milano quello che percepii fu la mancanza delle nuvole, dopo un po’ che il cielo è grigio e piatto, mi mancò proprio la forma delle nuvole che come le ò sempre vissute io sono una pittura continua e mutevole nel cielo. Ora se io dovessi dirvi dove si trovano i posti che vi ò menzionato, sì certo direi Milano, ma sinceramente se dovessi dire dove a Milano, potrei dirvi solamente in mezzo alla pianura Padana. Perché credo, di non aver mai osservato una piantina della città di Milano. Perché non so. Giusto c’è anche la scala, sicuramente in mezzo alla pianura Padana. Che dirvi quando andavo in macchina con lei, questa è la via tot, questa si chiama così, qui ci sono i negozi, credo di avere attraversato molte strade di Milano e, spesso ero io a guidare, ma come le dicevo, dimmi dove andare, ma poi una volta fatta la strada, non me la ricordavo. Eppure le strade di Milano sono tutt’altro da quelle che ci sono a Roma, è tutto più lineare, anche quelle che attraversano i palazzi per chilometri. Insomma dove ero collocato io, che mi sembrava quasi di volare su quella città che aveva strade cui non c’era verso di affezionarsi in qualche modo. Quando giungevo alla stazione centrale ed entravo nella galleria con quella voce che annunciava i treni, quella voce sembrava ultra terrena, io ero arrivato. Lei mi veniva a prendere e dovunque andassimo era lei che lo sapeva e le strade lei le conosceva e a me bastava. Del resto quando ripartivo era lo stesso. Mi accompagnava alla stazione e se era tardi tornava a casa e io aspettavo il treno, da solo e qualche volta parlando con qualche povero che magari per un po’ di soldi, per una minestra presa nel retro del ristorante della stazione, restava con me a parlare e mi raccontava tutta la guerra del don per dirmi che l’aveva fatta e non capiva perché ancora non gli arrivasse la pensione, appoggiato ad un paio di stampelle per la sua invalidità di guerra. Forse Milano era una città fatta per il taxi, ma se lo prendevo e poi non trovavo un altro taxi per tornare dove volevo? Era lei a venirmi a prendere e riportarmi lì. Quando ero in albergo, era ancora lei a venirmi a prendere per uscire e riaccompagnarmi per dormire dopo che avevamo passato la serata o la giornata insieme. Qualche volta di giorno andavo a casa sua e anche se mi dicevano che a Milano c’erano musei e cose così, restavo a casa aspettando che tornasse lei. A Milano mi sembrava tutto uguale pressappoco, parte ottocentesca e non, chissà se forse fossi uscito dopo due isolati per la somiglianza mi sarei perso e, ogni condomino era una chiacchiera di quartiere o di ringhiera. Ascoltavo i suoni di questi ambienti, qualche volta restavo a guardare un po’ di televisione, c’era già la stereofonia per alcune private. Una volta ricordo che senza un motivo plausibile cadde fragorosamente a terra un quadro appeso alla parete. In quei posti di Milano che ò menzionato prima ci sono andato con lei e con lei oltre che guardare ci siamo sbaciucchiati e parlato. L’aria di Milano mi chiudeva i pori della pelle del viso, del resto l’aria dove si prendevano i taxi alla stazione centrale per concentrazioni di polveri era considerata la più inquinata d’Italia. Il corso d’acqua del parco Lambro sembrava l’uso della lavatrice per schiuma esposta del Marcovaldo di Calvino, quello interpretato da Nanni Loi. Durante i miei voli, a Milano, da un posto all’altro sono i rumori delle stanze che ricordo, quelli negli alberghi, delle persone che entravano nelle stanze passando nel corridoio o ne uscivano. Una volta in attesa che lei arrivasse restai a guardare fuori dalla finestra nel palazzo di fronte ad un piano più in basso, era il periodo di Natale e stavano tagliando a fette un panettone per mangiarselo. In quel periodo alloggiavo in un’abitazione ancora da abitare, ero solo in quell’ambiente che ancora non era stato completamente arredato. La mattina quando mi svegliavo ascoltavo i rumori del palazzo, l’altra gente che si svegliava, chi prima chi dopo facevano tutti le stesse cose e, anch’io. Raccontai questo a lei quando venne e anche che in una stanza avevo sentito quelli dell’appartamento accanto, molto probabilmente fare all’amore, del resto, la notte, sembrava silenzioso. Anche se ricordo il rumore di un tram, ma non ricordo ora se questo rumore fosse di un'altra città. Un pomeriggio lo passammo a fare all’amore, per tutto il pomeriggio, fino all’ora di cena.

 

I laghi, il lago Maggiore.

 

Al lago le cose cambiavano, l’aria era migliore e la pelle mi respirava meglio e quindi ci si baciava meglio. Anche il posto, Baveno – mi ricordo, è giusto? - e la casa che era più in collina o, le isole e il resto, insomma non mi sentivo volare come a Milano, il mio orientamento era più che soddisfacente, anche se non salii sulla testa di San Carlone. I baci e le carezze con lei del resto non erano mai diminuite. I rumori della casa erano cambiati, a parte quelli che con un letto, la notte, io e lei facemmo. C’era un frigorifero che non mi dava fastidio, ma che decisamente quando si accendeva faceva un bel rumore, del resto il più silenzioso dei frigoriferi finisce sempre per sibilare un po’. Quello della casa non sibilava, era un rumore più pieno. Tornado dai laghi ero io a guidare, lei fiduciosa si sdraiava con la testa sulle mie gambe, forse ero diventato un pilota automatico che azzeccava le strade. Poi quando mi riaccompagnava alla stazione, aspettavo il mio treno, ascoltavo la voce che rimbombava nella galleria della stazione: Milano, stazione di Milano. E tornavo.

 


 

tutto è possibile eppure no?

 

 

 

Questa mia non è proprio un racconto, ma una narrazione per sommi capì di un atto decisionale.

 

Mi chiamo Bernardo Joyce e credo voi non sappiate molto della mia vita, se non per quei brevi brani e libri in cui compaio. Nella mia vita che è stata attraversata da diverse esperienze sentimentali, ve ne sono state alcune, che forse non ànno dato adito a se stesse. Allora perché parlarne, potreste dire, pertanto quel che non è accaduto non può essere del tutto personalizzato e, anche se, perché dovrebbe trovare qualche forma d’interesse. Sono cose che capitano a chi capitano. Del resto una volta più compiutamente detto di che si tratta, lo farò tra breve, in questa ipotesi per un racconto, possiamo veramente dire che queste decisioni non siano soltanto le circostanze del mondo ad averle determinate, più che il mio volere, o il dialogo stesso in cui sono esse avvenute? Ora la questione che ò qui premesso passo a dirvi. In un certo tempo della mia vita, avendo l’occasione di conoscere delle donne che mi facevamo, dichiarandomelo in loro intendo ad avere una storia d’amore con me, io mi sono trovato nella circostanza di queste situazioni, ad affrontare un dialogo che chiarisse a codeste donne che era meglio che la qual cosa non accadesse, perché ipotizzavo che prima o poi quello che sembrava una premessa per condividere la vita insieme, loro, io dicevo, l’avrebbero trovata non corrispondente e io avrei finito per dover accettare il trasformare a tal punto me stesso, forse a faticare nella stessa spiegazione di me stesso e, così molto probabilmente il nostro rapporto sarebbe cessato, anche se a codeste donne ciò pareva non dovesse mai accadere. Ora tale decisione ai primordi della storia possibile, voglio dire questa dichiarazione dialogica e, questa decisione, comportava che ogni possibile crescere sensuale o sentimentale, tra noi, s’interrompesse, proprio per questa questione in animo. Ribadisco ce ne fosse bisogno che come ò detto tale determinazione di fatti si evidenziava, chiaramente e con chiaro dialogo. Posso dire che non sono state poche codeste situazioni, almeno otto. Ora è stato bene rinunciare alle possibilità che tali persone, donne mi ànno offerto, d’amore? Io credo vivamente che chi dia o vuole amore non si debba mai rifiutare e ci debba essere una buona capacità che adatti la sincerità alla possibile confidenza, ma è indubbio che l’energia per affrontare una storia che si può ritenere assoluta, spesso è molta e per una persona come me, può anche volere dire se poi non si realizza quel che pensavo, dissiparla - allora per un certo periodo, o forse tutto il tempo ò preferito concentrarmi e darmi nella creatività e nello scrivere. Quando per questo, volere, son caduti nell’imbroglio di se stessi, appunto per percorrere tutte le occasioni, le persone che sovente, si trovano a non voler rinunciare a nulla, per astenersi spesso alla sincerità. Se per ciò, si può dire la rinuncia sia stata poi indispensabile, come si è voluta ritenere, pensando a queste donne libere da ogni legame sentimentale che volendo unirsi a me ànno trovato, queste mie parole e, non so se queste siano state pertanto un’educazione sentimentale, quale può apparire a voi che qui leggete. Così è stato quando mi è avvenuto ciò e, pertanto anche giusto, credo. E ora che dovrebbe accadere? Con questa domanda voglio finire questa narrazione.

 

 

 

 

 

 

 

 tutto è possibile eppure no?

 

 

 

Questa mia non è proprio un racconto, ma una narrazione per sommi capì di un atto decisionale.

 

Mi chiamo Bernardo Joyce e credo voi non sappiate molto della mia vita, se non per quei brevi brani e libri in cui compaio. Nella mia vita che è stata attraversata da diverse esperienze sentimentali, ve ne sono state alcune, che forse non ànno dato adito a se stesse. Allora perché parlarne, potreste dire, pertanto quel che non è accaduto non può essere del tutto personalizzato e, anche se, perché dovrebbe trovare qualche forma d’interesse. Sono cose che capitano a chi capitano. Del resto una volta più compiutamente detto di che si tratta, lo farò tra breve, in questa ipotesi per un racconto, possiamo veramente dire che queste decisioni non siano soltanto le circostanze del mondo ad averle determinate, più che il mio volere, o il dialogo stesso in cui sono esse avvenute? Ora la questione che ò qui premesso passo a dirvi. In un certo tempo della mia vita, avendo l’occasione di conoscere delle donne che mi facevamo, dichiarazioni d’amore, io mi sono trovato nella circostanza di queste situazioni, ad affrontare un dialogo che chiarisse a codeste donne che era meglio che la qual cosa non accadesse. Perché avrei finito per dover accettare e trasformare a tal punto me stesso, forse faticare nella spiegazione di me stesso e, così molto probabilmente il nostro rapporto sarebbe cessato, anche se a codeste donne ciò pareva non dovesse mai accadere. Ora tale decisione ai primordi della storia possibile, voglio dire questa dichiarazione dialogica e, questa decisione, comportava che ogni possibile crescere sensuale o sentimentale, tra noi, se interrompesse, proprio per questa questione in animo. Ripeto ce ne fosse bisogno che come ò detto tale determinazione di fatti si evidenziava, chiaramente e con chiaro dialogo. Posso dire che non sono state poche codeste situazioni, almeno otto. Ora è stato bene rinunciare alle possibilità che tali persone, donne mi ànno offerto, d’amore? Io credo vivamente che chi dia o vuole amore non si debba mai rifiutare e ci debba essere una buona capacità che adatti la sincerità alla possibile confidenza. È indubbio che l’energia per affrontare una storia che si può ritenere assoluta, spesso sia molta e per una persona come me, possa anche volere dire se poi non si realizza, dissiparla - allora per un certo periodo, o forse tutto il tempo ò preferito concentrarmi nello scrivere, che astenermi spesso dalla sincerità. Se per ciò, si può dire la rinuncia sia stata poi indispensabile, come si è voluta ritenere, pensando a queste donne libere da ogni legame sentimentale che volendo unirsi a me ànno trovato, queste mie parole e, che queste siano state pertanto un’educazione sentimentale, quale può apparire a voi che qui leggete. Così è stato quando mi è avvenuto ciò e, pertanto anche giusto, credo. E ora che dovrebbe accadere? Con questa domanda voglio finire questa narrazione.


 

Pensate quanto è possibile ancora gonfiarlo

 

 

 

Non so esattamente come, è che mi è piaciuto sempre di più farlo, l’ho scoperto per caso. Un giorno mentre passeggiavo con la macchina per la strada vidi delle donne che sembrano aspettare qualcuno. Erano ferme sul suo ciglio e, con un abbigliamento alquanto succinto - quando, con mia sorpresa una di esse mi fece un cenno e, proprio m’invitò a fermarmi, e così feci. Mi disse se avevo voglia di stare un po’ insieme con lei. Io lì per lì gli risposi che sì mi avrebbe fatto piacere, ma quel giorno desideravo proprio passeggiare in auto da solo e, guardarmi un po’ intorno, così senza una meta precisa. Lei un po’ scontenta, disse che andava bene, magari ci saremmo rivisti un'altra volta. Al ché risposi, e come sarebbe stato possibile ciò, giacché io non sapevo niente di lei e lei niente di me, in che modo e dove ci saremmo potuti rincontrare? E lei con mia sorpresa, mi rispose che l’avrei trovata lì, quando volevo ad aspettarmi. Le risposi che era molto gentile e, che probabilmente presto avrei trovato il tempo per tornarla a incontrare e andai via con l’auto. Questo incontro mi lasciò un po’ meravigliato, era in fondo stupefacente che una donna così gentile volesse in modo così partecipativo stare con me, che so magari a parlare o chissà che altro, sinceramente non avevo nessuna idea in proposito. Così feci proprio non immaginando a cosa, che cosa mi sarebbe successo. Ora posso dire che non avevo la più pallida idea di quel che avrei scoperto mi piacesse, tanto da non riuscire a smettere. Così un bel giorno torno da lei e, lei tutta gentile e contenta mi dice che vuole stare con me e così sale in macchina e, così seduta, al mio fianco, le vedo le sue belle cosce e, le dico sorridendo bene dove andiamo? Lei mi dice che poco più avanti c’è un posto dove possiamo fermarci. Io le rispondo, certo così possiamo anche un po’ parlare tranquillamente. Dopo un po’ che siamo fermi così, lei si apre la camicetta e mi fa vedere i seni, devo dirvi che sono proprio belli e, mi chiede se voglio il palloncino. Io lì per lì non so esattamente di che tipo di palloncino parla, ma la cosa sicuramente mi piace. E lei tira fuori da un involucro proprio un palloncino accartocciato e mi dice di mettermelo. A me viene da ridere, e dove vuole che me lo metta quel palloncino, in testa, io rispondo caso mai possiamo gonfiarlo e, proprio così faccio. Lei mi guarda un po’ sorpresa, ma sorride e sembra divertirsi, in effetti, il palloncino si gonfia proprio bene, anche se ogni volta che cerco di legarlo per trattenervi l’aria dentro, mi scivola dalla mano e spernacchia volando in giro per la macchina. Gli dico ch’è un po’ scivoloso, img709.jpge lei mi dice è meglio è fatto proprio per questo. E già se non fosse così come, potremmo divertirci a cercare di legarlo. Dopo un po’ che provo riesco a legarlo e, chiedo a lei: né ài un altro, così possiamo divertirci ancora? E lei me ne dà un altro e poi un altro e, passiamo così un po’ di tempo io e lei divertendoci proprio tanto. Poi lei mi dice che non può più stare con me, io credo che le siano finiti i palloncini e, non sa come dirmelo. E allora le dico: Scommetto che ài finito i palloncini? E sì fa lei, sono palloncini speciali e oggi non ò abbastanza soldi da comprarne degli altri, ma teli do io le dico, quanto costano. Effettivamente devono essere particolari proprio per questo fanno divertire, gli do i soldi e le dico: se pago io i palloncini, ci possiamo rivedere e così giocarci ancora? Lei mi dice che va bene che l’avrei trovata sempre lì a quel posto sul ciglio della strada. Che bei palloncini e che donna simpatica, Be’ certo ancora si diverte con i palloncini. Chissà la prossima volta le chiedo se vuole anche giocare a indovinello, però quei palloncini sono proprio divertenti.


 

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Il cane arrabbiato guardava stupefatto, mentre invano due uomini parlavano – sembravano proprio parlare, nel senso che le voci uscivano dalle loro bocche, uscivano parola. Nella stanza accanto, una donna stava morendo e, qualcuno pensava che l’indomani tutto sarebbe stato come voleva. Anche se intorno, il mondo - possiamo dire come egli disse: sbaragliava. Costui più capiva e più stava bene e più gli affanni del mondo sembravano soltanto cercare esibizione, sì! Soltanto, proprio questo, gli affanni sono l’ossessione con cui mostrare il mondo per mettersi in mezzo a quelle persone che parlavano, o meglio era proprio l’io che se ne appropriava. Che cos’è che sfocia nella pazzia dell’invidia quell’io che sembra sempre doversi frapporsi a ogni argomento quasi per impedire e controllare l’espressione, quasi per non dare la pronuncia alla condivisione. E più l’io cerca di frapporsi e, le voci si sovrappongono e non c’è né condivisione né ascolto – l’ascolto è pregresso all’impostazione dell’io parlante e si spera postumo per affermazione surrettizia. Un platano perde le sue foglie e una donna è profondamente ottusa, guarda e non capisce perché. Un uomo perde la sua curiosità quasi obbligata dalla stoltezza cui deve interessarsi, o frapposta all’io che non sa ma si esibisce. Morto un cane se ne fa un altro e scorre l’imbecille vacuità nelle immagini. Le figurine parlano e le figurine si ascoltano a stento e con inutilità possiamo pronunciare la parola televisione. Un fulmine si schianta sulla terra e spegne ogni suo attributo – i due uomini tacciono e si voltano e prima che possano immaginare, sperano che l’immagine sia spenta per sempre, che non debbano più competere con un io per frapporsi alla verità – il cane abbaia e comincia a ululare, quasi tirasse fuori tutta la sua pazzia e la pazzia del mondo che à guardato.


 

Non si giunge mai prima del fulmine

 

 

 

Quel giorno come tutti i giorni si era alzato, e aveva fatto quel che pressappoco faceva tutte le mattine. E ora era seduto guardando fuori la gente che camminava mentre un gran temporale stava precipitando sul quel posto della terra.

 

Dopo un po’ si trovò a guardare il fulmine e ascoltarne il rimbombare – disse a se stesso quale attualità può essere vissuta prima di un fulmine? Sovente in quel periodo era stato avvicinato da persone che non so per quale stato confusionale del tempo e della sua velocità, immaginavano che tutto quel che loro stavano vivendo, in un modo strano quanto il loro processo interpretativo, fosse migliore di quel che non soltanto stava vivendo lui, ma lo ritenevano quasi incapace di capire e di qualsiasi esperienza esistente. Con quest’atteggiamento ritenevano e comunicavano una certa capacità e autorità su di lui che non era certo idiota. In realtà la visione di costoro consisteva in una percezione del loro io attualizzato, che si riteneva superiore a quello di lui per il solo fatto che lui non era più in grado di contrapporre nessuna forza fisica né verbale in quando la sua condizione fisiologica era debilitata nelle possibilità di movimento e fatica intellettuale. Ciò creava intorno a lui nelle circostanze di questi io attualizzati, un senso di supponenza e di pervicacia psicologica che era pura imbecillità del significato, cui lui non poteva molto liberarsene dato che era molto debilitato nelle energie psicofisiche. Ciò aveva determinato in questi io attualizzati la protervia di un ragionamento privo di qualità rispetto quelli che lui ancora sapeva e poteva in qualche modo riuscendovi a vivere e determinare. La questione era appunto che non poteva opporsi, ma fortunatamente non poteva neanche esserne intaccato nelle possibilità di vita. Era questione di avere pazienza e capacità, annullare la percezione dell’idiozia e della cattiveria, detta così può apparire quasi una tortura – non è da escludere che molti potessero praticare, molestie e disturbi a tale fine – bisogna perdonare gli stolti e superare in capacità gli idioti. Il talento à il principale motivo di essere per superare con le proprie forze ciò che appare insuperabile con le forze degli altri, non per apparire o per far vedere agli altri quello che non amano per contrasto. E allora se l’aiuto poteva venire fuori da ogni logica e per esperienziale – il disturbo, dalle persone del contrasto o dell’atteggiamento precostituito, o da chi nella debolezza vedeva qualcosa con cui poter superarlo. Bisogna saper perdere non sempre si può vincere e soprattutto quando non si vuole gareggiare e ti si provoca per questo. E non c’è niente da fare se gli idioti immaginano di sapere quel che neanche capiscono e t’incominciano a giudicare, lasciali fare vivono in un mondo sociale prigioniero che celebra se stesso nel vuoto del talento, che non sapranno dimostrare neanche a se stessi quando sarà, ànno vissuto per immaginarlo visto e perpetrato dagli altri è, un modo e mondo senza vera grandezza né conoscenza. Ecco mentre guardava quei fulmini e ascoltava i tuoni, aveva pensato a quest’attualità che cerca di distruggerti a questi io che cercano di dire e parlare come sapessero mentre non conoscono e non immaginano neanche la più piccola parte delle tue esperienze – vivono per lo più di un’immagine sociale, con cui cercano di prevaricare il talento, anche approfittando di una fatica fisica. Ecco guardava fuori il temporale e tutto quel che sanno quelli dell’attualità dell’Io - è a non avere mai tempo, à giudicare la vita non dal tempo che le si dà in quanto anima e disponibilità alla libertà del pensiero, ma al tempo che ad essa riescono a rubare, a tutta l’attualità con cui cercano di dominare – non ànno tempo per nulla, ne ànno il diritto, ma appunto non sanno costruirvi neanche la possibilità di riconoscere, rispettare e capire.

 

Il perdono ci sana e ci libera dalla stoltezza.

 

 

 

Per sfatare il racconto - il protagonista finito, il temporale, uscì da casa e ripensò alle possibilità che gli erano venute, da chi in qualche modo era riuscito ad aiutarlo, andò oltre quel giorno poi uscì da casa.


 

Matti da legare?

 

 

 

Quel giorno, quel giorno – già in uno di quei giorni o negli altri, quasi fossero tutti contemporanei e in posti diversi – insomma accadimenti. Ecco l’africano che cerca di vedere, alcune volte entrando in un negozio con gli stessi articoli, e, prova a fare una morale come fosse un grande magazzino, supermercato che spaccia marketing sociale. Una lunga fila di persone che passano e chiedono soldi. Questo africano di cui non conosco il nome mi dice che fa freddo – rispondo che in Africa è caldo. Non ò nulla da comprare) gli offro venti centesimi, ma non li accetta sono troppo pochi, gli dico che uno zingaro che fa l’elemosina avrebbe accettato. E lui incomincia a parlarmi dei suoi problemi come dovessi essere io quello che “deve” risolverli. Gli faccio notare che io sono un singolo individuo e quello oggi posso dargli, anche perché altri passeranno. Sì, mi dice che lui è venuto da Ancona (l’elemosina a largo giro) Certo rispondo ma durante la giornata altri ne passeranno e io non posso dare di più come ò sempre fatto. Ribadisco che non posso essere l’unico a fare offerte e non può pretendere che sia io l’unico a dargli una mano. Tutti dicono che ànno fame e per questo bisogna che mangino, ieri un altro voleva che gli comprassi un panino – oltre al menù il prezzo fisso. Un giorno, mentre ero seduto su una panchina, un africano venditore di suoi libri, pretendeva di avere i grandi problemi dei grandi editori, doveva vedere per magiare – e ancora non capisco cosa pretende da me, che problemi dovrei risolverli. Pochi singoli che aiutano? Andate dalle organizzazioni. Dico – volete dignità e aiuto quel che si può, in realtà non gli importa molto di chi sei e perché non puoi aiutarli. Troppo il bisogno, troppa la necessità, troppa l’immaturità. Magari parlano pure più di una lingua, ma non si rendono conto dell’altro singolo individuo – loro ànno il loro problema e tu devi risolverlo – assomigliano a quei telefonisti dei call center che a un certo punto incominciano a dirti che loro lavorano, che il loro lavoro è fatto così e quasi devi starli a sentire per forza come se l’unico scopo della tua vita sia questo, senza avere neanche la responsabilità di ascoltare quello che dici. Il tizio se ne va senza neanche i venti centesimi. In un altro posto qualcuno guadagna su questo mondo, le notizie dicono che gli affamati crescono, che si spendono egoismi con cui fare soldi – basta un euro, ma quanti. Dico a un altro, che andasse a chiedere in banca o a chi a molti soldi – mi risponde che non è possibile e allora è solo un fatto di comunicazione e per questo, io posso risolvere il suo problema, ma che cosa succede nei loro paesi o nei mondi dell’economia – mondi senza parola. Se non si aiuta o collabora con la libertà di chi propone chi ascolterà chi dice che devi risolverli il suo problema – non sa come altro fare, ma lo stesso vuole ottenere di più di quei venti centesimi da me. Ci prova e spera che ci riesca. Sono i soldi o le persone ormai pazzi da legare?


 

Senza godere

 

 

 

È in alto che guarda. E che c’è in fondo a questo pubblico? Cristo è sulla croce così tra un po’ lo diranno e, tutto il pubblico del mondo è lì sotto a osservare, mostrarsi e sembra che quasi con giubilo gli dicano, già, quel che un giorno gli diranno – guardaci come siamo felici come siamo contenti, non sei felice per noi per tutto quello che facciamo – questi figli, così parlano a chi agonizza sulla croce, ricordando per questo il giubilo del suo sacrificio, la loro salvezza. Chi sono questi figli del mondo, quelli appunto che sono sotto la croce, per mestiere e giudizio. Cristo che puoi farci? Sono appunto questi lavoratori e giudizio economisti e facenti. Che cosa puoi aspettarti per questo da costoro se non il placido consenso, l’autocelebrante gioia di se stessi. Sono in graduatoria o nel giudizio e, tu sei lì appeso a una croce fatta pure da un falegname – che scontento questo mondo che si giubila nella ricchezza e che da man forte alla povertà tutta e, con quale carità, amore, sei lì in croce. Proprio come a chi è detto che non fa niente, solo perché, come nel tuo caso à dato l’amore al mondo, un po’ deturpato da quegli avidi dell’arricchimento. Quei lavoratori che per far ciò ti ànno preferito, fino a perdere la loro divina essenza di creature, quell’uomo e quella donna che uniti e con quel po’ di prole, ora son lì sotto la croce, a dirti: guarda che bei figli non sei forse, contento. Già sono contenti com’erano scribi e i farisei, che per questo elogiano il lavoro di chi l’à fatto e allora sotto la croce - speravano nella morte di Dio – la legge è legge e non bada a spese, romanamente. Insomma io non godo e non ò mai goduto a vederti in croce, magari auto compiacendomi per quando elogiassi me per te. Gli sconsiderati dicono che uno non fa niente perché non comprendono quel che fa e, allora discutono di cosa sia giusto per fare, appunto senza capire e compiacendo per questo gli altri che così lavorano chiedendoti la benedizione. A te mentre sei sulla croce a guardare costoro che proprio non sanno quello che fanno – e appunto per quello che dicono che non esiste, appunto Dio, ti ànno messo lì ora che muori e ami tutti con il loro bel lavoro totale sulla terra, per uccidere non soltanto quest’idea - ma Dio stesso, dimmi tu che bel lavoro che si è fatto, bene a me questo non fa proprio godere.


 

Lei disse lui dissi viva te nuda (raccontino)

 

 

 

 

 

 

 

Già non ce ne sono più disse a se stesso.

 

Disse a se stesso di donne nude.

 

Una volta una donna sapevo che voleva, perché la cosa più naturale, era, è, quella di essere nuda – di poter essere senza nulla indosso, per sentirsi stringere in un abbraccio, accarezzata, baciata e dico anche leccata nei posti più succosi.

 

Proprio senza nessun inganno, anzi, per essere più vera.

 

Nuda senza nulla indosso, insieme e soli. Come la rilevazione stessa della bellezza e della fiducia. Senza seduzione ma per essere amata, guardata, piaciuta, in un gentile godimento.

 

E così passeggiava tra donne incinte a panze nude con scollatura vertiginose sui peli del sesso. Donne con mutandine messe in mostra, reggi seni che abbracciano scollature, e magliette e così via. E pudiche donne che mai oseranno tanto. Poi passando in una strada, legge una pubblicità che dice: “ Solo baci e abbracci sul mio corpo nudo.”

 

E pensa in tutto questo turbinio se tutto sia, questo non c’è più nessuna donna nuda che desideri di essere con me? Forse dovrei telefonare a chi à me messo questa pubblicità e chiedere se ciò è possibile – credo che otterrei solo un altro spogliarello.

 

Ora chiude la porta di casa e va verso il divano per sedersi e rilassarsi, e trova ad attenderlo, seduta, una donna completamente nuda.

 

Dopo seppe che era un’autentica prostituta, che doveva fingersi per lui la donna nuda di cui tanto parlava in giro e, che doveva ritenersi il suo regalo di compleanno da parte delle sue migliori amiche più care.

 

 Saputo ciò a tutte codeste amiche, volle restituire i soldi che avevano speso – dicendo loro – L’unica cosa con cui si può rappresentare la parola è la parola stessa e la parola scritta è la forma più “neutra” di tale rappresentazione. Le altre rappresentazioni sono tutte traslitterazioni. Comunque vi amerei se nude da me.


 

Il racconto senza immagini del reale invisibile di un’epoca attuale

 

 

 

Dice,

 

Nelle storie d’amore, amicizia, di relazione è bello essere gentili, attenti e dolcemente cortesi – non è un discorso unilaterale, siamo entrambi quelli che parliamo e amiamo. Eppure tutto questo cessa e si rimane soli – cos’è accaduto dove siamo? E perché?

 

C’era qualcuno che continuava a dire: Ti voglio bene. Chi ascoltava?

 

Succede che ogni forma d’amore cessa quando la competizione, la sopraffazione vuole determinare la verità.

 

E questa verità cos’è? È l’assorbimento sociale che non risponde più all’amore, alla gentilezza personale.

 

Quando io trovo in questo modo l’altro cessa ogni verità e ogni bellezza, compete per vincere la frustrazione su ogni punto dell’Io che vuole appagarsi e affermarsi, che néga ogni mio atto d’amore.

 

Quella voce continua a dire ti voglio bene, e il senso della persona, mi fa stare in ascolto.

 

La civiltà del conflitto del bene e del male come sola origine della vita dell’amore?

 

Eppure anche qui c’è bisogno di un primato sulla libertà del mio amore, relazione concreta dell’accettazione non di un rapporto utilitaristico, ma nella libertà della conoscenza e dell’amore: la semplicità e il pensiero.

 

Il mio disinteresse verso ogni significato di convenienza per il motivo del rapporto e per questo di competizione dell’io è cosciente, nella volontà della libertà e nella gentilezza di voler bene, nella sincerità della parola che cerca di essere vera – ma la competizione che cerca il sopravvento nasce incredibilmente dall’incoerenza dell’ostilità, nel desiderio represso che non vede l’egoismo né il motivo interessato del rapporto e della competizione, ma vede l’attualità sociale in cui il culto pregnante di questo altro che mi si contrappone cerca il sopravvento, inneggiando dove l’individuo non ama più del motivo di una forma, più o meno attualizzata e rappresentata. Sento ancora la voce dire ti voglio bene. Tutte le mie relazioni umane sono finite, quando questi miei altri ànno incominciati a voler competere con me, con i mezzi dell’assorbimento sociale e rinnegando ogni forma d’intelligenza – sconfiggendo se stessi per assenza di competizione, disperanti cercando di negare questo esprimersi libero.

 

Allora l’incapacità d’amare, ma più praticamente l’illusione dell’esaltazione; l’allontanarsi invece dell’avvicinarsi – l’allontanare.

 

Quella voce continua a dirmi ti voglio bene. Io l’ascolto.


 

La stanza del grande Nord

 

 

 

Ci sono molti luoghi sulla terra e, molti di questi luoghi spesso si trasformano con il tempo.

 

Uno di questi posti forse ameni e semplicemente normali è una stanza.

 

Pensare alla stanza di una casa che potrebbe essere una delle tante stanze che ogni persona conosce o identifica precisamente in una casa, o anche più esattamente nella casa in cui abita, è il suo pensiero.

 

Una stanza in una casa sulla terra, tutte diverse eppure tutte uguali si potrebbero dire.

 

Alcuni distinguono una stanza da un’altra perché in alcune di esse si prendono decisioni importanti; qualunque, queste, in fondo siano.

 

 E allora è importante chi ci abita e quel che vi si fa e per questo un preciso luogo della terra può essere pertanto più importante di un altro; ma parliamo in definitiva di un mondo sociale più che della vita e della verità. Una stanza, una storia, o la storia del mondo per un attimo del suo tempo, e allora tutte le stanze per questo o per quant’altro motivo si trasformano e rimangono immemori del proprio tempo, per una strana memoria senza più presenza reale; simulacri di oggetti.

 

Anche la stanza di cui ò presente il tempo si è spesso trasformata per le persone che ci ànno vissuto, e per il modo. Ci sono per me tanti momenti e ricordi e ancora vita in questa stanza. Dalla disposizione dei mobili agli oggetti che sono stati in questa stanza e il racconto di tutto questo tempo richiederebbe un luogo racconto, e molte persone di cui parlare, i loro e i miei momenti gli incontri e le scomparse.

 

Questa stanza per dormire o studio o posto per creare, in silenzio al buio o con la luce, una stanza in una casa.

 

Tra le donne che ò amato due sono state in questa stanza. Con una ò fatto all’amore, l’altra vi à dormito – vi ò baciato un’altra donna e di un’altra non ò capito che voleva amarmi – poi ci sono i ricordi di persone conosciute che vi sono state, in tutti gli altri momenti ci sono stato io e il mondo.

 

Questa stanza è collocata verso Nord e sembra che tale posizione influenzi il suo modo di percepire e farsi percepire dalle altre stanze della casa. Può essere luminosa o buia e anche come tutto lascia intuire più fredda delle altre stanze, anche se la stanza è ben isolata, ma questo Nord è un mistero. È che per quanto sia ben isolata e non abbia dispersioni termiche, la sua temperatura è sempre inferiore a quella di là della sua porta. Nei periodi miti dell’inverno la differenza è minima, in quelli più freddi può raggiungere anche i tre gradi e non c’è verso, sia se la porta della stanza è aperta o chiusa, la situazione non cambia.

 

Questa stabilità tarmica da un metro all’altro e senza barriere, manda in confusione tutti i concetti di termodinamica e il relativo stabilizzarsi dell’aria nella sua uniformità in un ambiente unito e comunicante. In questa stanza del nord una volta accadde che un gioco elettronico per motivi sconosciuti neanche si accendesse, cosa che non avvenne in nessun altro posto dell’intero paese.

 

E poi che successe, chiese quel bimbo a chi gli racconta questa storia. Un giorno chi aveva vissuto in quella stanza aprì la porta e vi vide il grande Nord con i suoi ghiacci e il grande cielo, s’incamminò su quel posto, quando a un certo punto, guardò intorno a sé e non vide nient’altro che neve e cielo, capì che la stanza era diventata il luogo stesso del suo pensiero e, in questo gran freddo incontrò una fanciulla che nuda gli sorrideva. Nel vedere la fanciulla quel’uomo le disse che avrebbe preso freddo, così com’era e, in quel momento il grande Nord incominciò a riscaldarsi finché tutti i ghiacci furono sciolti e il sole risplendeva caldo su loro due. La fanciulla così come era apparsa si avvicinò all’uomo e gli fece una promessa, dicendo: sarò per te l’amore che ài dato, ti comprenderò per quanto tu comprendesti, sarà attenda e leale come tu lo sei stato, manterrò le mie promesse come tu ài fatto e ti amerò per sempre in ogni luogo. Tranquillo e felice quel bimbo si addormentò.


 

Il 25 del mese

 

 

 

Il giorno è bello e alto. La terra à modificato il suo asse cambiando leggermente i tempi di rotazione; si disse. Nel solstizio d’inverno il sole à scaldato l’equatore e l’aria calda è salita sulla terra, e quella fredda è scesa, dal polo nord, cambiando i rapporti tra i climi della terra; si disse. Il polo sud lentamente si scioglie, chissà se è cambiato il rapporto gravitazionale dello spazio tempo dell’universo, che allargandosi à cambiato leggermente la rotazione terrestre; si disse.

 

Ora a parte questo la cosa più incredibile capitata oggi – mi disse e mi dissi – è l’aver trovato una penna; persa non so da chi. È mangiucchiata in cima; e anche il cappuccio nello stelo e un po’ ovunque, il cappuccio, à segni di mordicchiamento. La canna dell’inchiostro con la sfera è un po’ lenta nell’involucro, quando la penna si allontana dal foglio, tende a uscire, un poco. Il segno scritto con la penna non è scorrevolissimo, ma la penna, scrive, come sol dirsi: bene. Molto probabilmente è di una giovane persona: una ragazza o un ragazzo; o chissà? Forse una donna adulta. Credo sia improbabile poterla restituire.


 

La cura del successo

 

 

 

 

 

Il teatro in cui si svolge il fatto è quello, di una persona seduta di fronte a un’altra.

 

Uno dei due dice all’altro: Mio caro esimio consigliere, io, dunque ò seguito il suo consiglio, ò guardato, ascoltato, letto soltanto, ciò che è connotato dal successo. E per un po’ posso dire di avere avuto la felice sensazione che tutto quello che vivevo, facesse quella che posso dire la perfetta soddisfazione – quella di essere parte di un mondo dove tutto accadeva da un’altra parte, di cui io percepivo quello che il mondo o la mia parte di esso dava come dimostrazione di quel che io vivevo. Per questo stato, ormai ero dentro un ripetersi del motivo collettivo cui davo le mie emozioni, pensiero e consenziente partecipazione. Questo esser parte, appartenere alle cose, persone per la loro popolarità e ricchezza economica, faceva sì, che questa verità cui io partecipavo, fosse in definitiva la cosa, più ovvia, e, vera. La manifestazione del mondo che desideravo era quella, io aderivo per la verità stessa delle mie emozioni – e – ò continuato la cura come à detto, soltanto cose e immagini personali di successo e la verità che questo rappresentasse. Era come appartenere a un mondo virtuale che prendeva sostanza in rapporto alla partecipazione collettiva dell’evento e dell’identificazione che queste immagini avevano in me. La mia vita doveva perseguire questi fini, questo essere conosciuto per desiderio di soldi e popolarità, a ogni costo rimanere a guardare e osservare per essere parte di questi fenomeni. Non so dire se la quantità di questo che aumentava in me, potesse essere il risultato di un sistema così orchestrato che rappresentasse il plagio stesso della mia coscienza, che serviva per questo, per persuadere se stessa attraverso gli altri e per gli altri, sconosciuti o immaginati o virtuali che fossero dentro di me che li guardavo. Vede consigliere la cura sortiva i suoi effetti e sinceramente ciò mi faceva pensare di essere così forte e persuasivo nell’affermare la mia superiorità su ogni altra dimensione che si diversificava, o persona che non aderisse a ciò. Anzi il mio denigrare ciò che non vi apparteneva, mi dava piacere. Ora consigliere questo forse è il potere che modifica se stesso, fino a essere oggettivo e vivere per suo conto e, dove appunto per questo era meglio per me aderirvi. E ora, consigliere, quando penso a ciò, al mio ruolo, al suo consigliare, la struttura del potere mi appare, per così dire, svolgente una relazione e vivificante. Cos’è che è subentrato a distruggere questa cura, in me, poiché tutte le logiche erano così ben fatte e il controllo organizzato dei contenuti della persuasione? Cos’è consigliere che non à più funzionato, in questa cura, che ancora, come lei sa, è ancora presente in molti? Bene un bel giorno le cose che osservavo, che frequentavo per questo successo ànno iniziato ad apparirmi diverse. All’inizio à incominciato a girarmi un po’ la testa, poi un leggere senso di nausea, e, poi una tranquillità un po’ triste, ma che mi mostrava quelle cose com’erano: un rigonfiamento, una prosopopea che ripeteva continuamente, soldi, popolarità, ammirazioni, verità collettiva delle emozioni – e continuamente i cosiddetti media ripetevano soltanto e sempre ciò, mostrarsi e apparire. Non capivo, più, se ciò fosse vita o finzione della rappresentazione, falsità o morte virtuale, che si travestiva di popolare effetto. E allora consigliere, mi son chiesto, se esistesse la verità e se ciò fosse possibile vivere personalmente, se tutte le immagini controllate collettivamente, fossero altro dall’esperienza, la verità come realtà e, se l’incontro potesse essere fuori dal clamore, della baldoria dell’esaltazione. Nella normalità, semplice della qualità. E così con questa strana nausea per questi riti ò cominciato a cercare la vita e la libertà, di là delle classifiche delle opinione, nella persona e nelle cose vere che fa, cercando di essere con me stesso per parlarvi.

 

Consigliere, ora le dico, che questa cura a me non serva più, con i migliori auguri di un ritrovato essere umano.

 

Se ogni persona potesse sostenere la verità, consigliere, non ci sarebbe bisogno né del successo, né della fama per questo, cesserebbe la schiavitù e il potere sarebbe sostituito dalla sincerità.  

 


 

Il tema per un racconto

 

 

 

Il tema per questo racconto è un sogno. Nell’episodio, in esso scaturisce in un’improvvisa grande ricchezza economica, quest’episodio nel sogno procura una profonda tristezza, come la perdita di tutto.

 

Il protagonista del racconto è seduto davanti a un portone e ci parla del suo timore, ché quando aprirà quel portone possa capitargli in un modo, che pensa possibile in una delle varie modalità del mondo, che però non sa immaginare quale possa essere, che questa immensa ricchezza economica riesca ad acciuffarlo.


 

Il racconto di una storia d’amore

 

 

 

 Ci sono molte cose da raccontare di una storia d’amore, e, più passa il tempo in quest’amore e più cose sembrano ci siano da raccontare. In realtà le storie d’amore non sono quelle che si raccontano ma quelle che si vivono. Per questo che i giorni dell’amore sono quelli in cui li vivi. Le mattine i pomeriggi, le sere, i giorni interi.

 

Cosa altro potrei raccontarvi.