Patrizio Marozzi

Lara Bel, pag 51

 

 

 

 

 

  Lara Bel

 


Se quel giorno con quelle nubi sospese nel cielo.

Gli occhi profumati o il sentire che se una carezza poteva raggiungerla era come dire qualcosa, perché ci sono momenti che non possono essere premessi e la parola è già dimostrata e allora che cosa è la carezza che lei immaginava, senza neanche accorgersene, quasi che ci fosse qualcuno che desiderasse tanto, senza ancora neanche sapere dell’esistenza di lei. qual è questa immaginazione che appare come se già tutto si sapesse, ma che non dà adito ad altri sentimenti, che parla di un dubbio attraverso la certezza, che appare così in chi la vive o la immagina.

Lara Bel passeggiava e tra se e se immaginava che quel qualcosa che le stava accadendo non avesse altra spiegazione, era un desiderio o una fantasia, o più esattamente lo sguardo che voleva ma che non accadeva. Lara Bel ha i capelli lunghi e lisci, è alta un metro e sessantanove ha dei bei seni e un passo tranquillo, in certi momenti sembra scura e decisa in altri sembra avere un corpo dolce e calmo. Mentre passeggia lungo la strada, tra un marciapiedi e l’altro ed ora proprio nel mezzo di un isola pedonale, non sta pensando a quella carezza, osserva il cielo e rimane a contemplare il suo colore, in sottofondo avverte il rumore del traffico, provenire da un’altra strada e, quando guarda dinanzi a sé vede qualche persona che attraversa l’isola, chi con un giornale sotto il braccio, chi con una carrozzella da passeggio per bambini.

 

Guardo questa mattina e rivolgo lo sguardo a chi mi guarda, l’aria è fresca ma non fredda e c’è gente che siede nei tavoli fuori dai locali. ora mi sento proprio bene i colori oggi sono proprio belli, mentre guardo lo spazio ch’è davanti a me immagino di chiedermi qualcosa ma non so cosa, e allora è meglio lasciarsi andare e osservare, pensare. Due persona parlano ad un tavolo un po’ lontano, alle mie spalle.

-          “ho notato che nel libro, mancano tre virgole all’inizio e un apostrofo dove dice un idea, cosa che non è nella presentazione che si legge in internet.”

-          “Sembra quasi che nella presentazione, abbia cercato di ammorbidire l’inizio, un po’ di respiro all’interpretazione del lettore.”

Vedo poco lontano un cassonetto dell’immondizia, guardo le mie mani pulite, afferro lo sportello del cassonetto e vedo che per fortuna è quasi pieno.

 

Ho trovato due panini in una busta, ancora cellofanati e, mentre sto seduta qui su questa panchina vedo osservarmi, da qualcuno.

 

Vedo una donna piacevole seduta con la schiena eretta, che mangia un panino, ha le gambe lineari e lo sguardo tranquillo, mi avvicino e mi siedo sulla panchina.

-          Salve! Bella giornata?

-          Meravigliosa!

-          Credo che comprerò un panino anch’io, c’è un negozio qui vicino?

-          Non so … lì ho portati da casa, io … ne vuole la metà di quest’altro? a me basta questo.

-          Perché no grazie. … buono, come lo ha preparato?

-          Così con quello che ho trovato questa mattina in casa, un panino di fortuna.

-          Molto buono, grazie … sa la stavo osservando, prima, non so se mi ha notato farlo?

-          Be’ sì.

-          Sa mi sono detto … o meglio forse l’ho pensato senza dirmelo, mi sembra che non stia aspettando nessuno, ma non ha fretta, può darsi che qualcuno possa anche diventare qualcuno, anche se qualsiasi. Forse è un po’ rude come pensiero, concetto.

-          Sì! qualcuno o nessuno non è detto che debba essere chiunque, nel senso che chiunque non è detto che non debba essere una persona, o debba per forza apparire qualcos’altro.

-          Già in effetti ho dato l’impressione di pensare a qualcosa che appare, ma forse perché il mio pensiero era qualcosa tra l’immaginazione e la possibilità, e l’apparizione era nell’incertezza di qualcosa che non sapevo come sarebbe stata, accaduta, in effetti ero in un pensiero in un tentativo, che lì per lì avevo osservato senza sapere esattamente che cosa accadesse, credo che stessi facendo qualcosa e al contempo stessi immaginando di farla, credo che stessi pensando a me come al possibile chiunque, sa in effetti non avevo timore di sedermi qui, ma forse c’era nella mia sensazione un desiderio di impossibile, appunto, forse un’immagine presente ma latente che nelle infinite possibilità di quel che può accadere, stava lì e mi osservava nel suo possibile. forse era semplice curiosità, o un atto della vita più importante … ma in fondo era solo che desideravo sedermi e starle più vicino.

-          Quante cose accadono in un giorno, e quante volte lasciamo che la verità si fermi in un limbo inesorabile senza esistenza, quanto spesso si fa finta e in fondo è solo una finzione o una convenienza quello che giustifica l’apparenza, ed è come se questo relativismo della giustificazione, la sua accettazione giustifichi persino la stessa parola e il suo significato, che quel che vogliamo sia già accettato, un’acclarazione soltanto, che si manifesta, che sta lì a giustificare e parlare della realtà come del bene supremo che si manifesta, che si determina, che stabilisce la misura e la regola, proprio in mancanza di essa, è come conoscere senza capire, come capire dicendo che tutto è stabilito, spiegabile, e ancor di più giustificabile … anche questo mezzo panino che le ho offerto … e allora cos’è questo che si manifesta, lo stabilire in che modo, porre dei termini e delle opportunità alle giustificazione, quasi esse rendano certe e vere tutte le incertezza morali, e i voleri sociali. L’amore è diviene un atto della giustificazione non della verità del proprio essere, o di ciò che dell’essere appare, cosa mi giustifica in questo apparire? Chi mi giustifica? E chi è l’altro se non questa convenienza, in definitiva a questo si riduce. Ma poi c’è bisogno di un altro nel sistema che si giustifica o esso diventa necessario e conveniente, appagante per la spiegazione, chi autorizza l’autore ad essere così se non qualcosa che dice ch’è giusto ciò che appare solo perché è giustificabile e pertanto da ciò deriva anche quel che appare come ingiusto, in fondo è un po’ come quelle misure che stabiliscono i regimi della verità dove la riproduzione sistemica ed in realtà impersonale della realtà dà alla libertà dell’arte la sua ragion d’essere e la giustificazione alla vita sociale come cultura perfettamente giustificata dal regime e dalle sue organizzazione sociali, questa apparenza di libertà come evento omologante stabilisce e giustifica la graduatoria in cui si sta, come vita e realtà regimentata, dai fini prioritari della cultura delle giustificazioni. Se la misura dell’amore di Dio ha una misura, quale sarà la giustificazione e l’apparenza che per essa stabilirà e determinerà la verità della possibilità che dà all’uomo la facoltà di amare Dio, e chi stabilirà chi deve amarlo e chi no, e la cultura siffatta, alle sue organizzazione di verità, al sociale che appare, con quali convenienze e giustificazione, la sua graduatoria di bene e di male, se non in fondo con cosa apparirà più conveniente, al di là di Dio dell’essere umano e forse anche dell’altro. chiunque non è più nessuno, non ha più grandezza, perché non ha più il silenzio di una persona. Mi scusi in queste ultime frasi, mi sono quasi messa a pensare da sola … ma sa quale organizzazione sociale non cerca la giustificazione alla sua convenienza, e in fondo più per potere che per conoscenza e comprensione, un amore con il bilancino delle opportunità, cosiddette reali e che partecipazione di milioni e di miliardi di uomini, tutti con un bilancino su cui giustificare il proprio essere in ragione dell’apparire della convenienza.

-          Quanti anni ha?

-          Ventotto, ma sa certi giorni penso di averne trenta tre o trenta cinque o trenta sei, sarà che mi sento anche io di apparire?

-           Vado a prendere una bottiglia d’acqua con due bicchieri, torno subito.

-          Vedo quest’uomo sulla quarantina che si allontana, e già lo immagino tornare con la bottiglia in mano, non fosse anche perché di già lo vedo che l’acquista, chissà se c’è una fontana qui vicino? Ma perché tra un po’ berrò.


Quando passaggio come in questo momento, o anche sono seduta a guardare, mi chiedo se la contemplazione sia quell’osservare tutto, al di là di quel che solo interessa e guardare tutti i significati in una scoperta senza che il fine abbia una necessità, e allora forse, ma credo proprio senza nessun forse appare ciò ch’è libero e armonioso e ciò che non lo è, la sua essenza più che la sua derivazione. E allora se tutto è in equilibrio tutto anche si infrange, ma se c’è un luogo che in ragione di ciò vuol capire o essere, prendersi profondamente quasi nel bisogno che la più perfetta natura sia più naturale del possibile equilibrio senza che nessuna volontà ci sia a tale scopo, ce ne è uno che distoglie perché tutto in preda al controllo, un disturbo da cui distaccarsi, nel distacco stesso che ci fa sentire quel che osserviamo in armonia. E allora le persone alcune volte non so dirvi se appaiono o sono come un evidenziatore che si scrivono addosso e che con esso scompaiono per il loro tanto apparire, alterati quanto in cerca di dimostrazioni con cui determinare un’opinione al loro vedersi in funzione di o molto più spesso contro chi. Se gli esseri hanno bisogno di sentirsi amati e belli, in quel che di vero è, nel dare, che arricchisce il silenzio e la reciprocità, essi così scompaio per apparire. E se mi sento distaccata quando contemplo in una naturale essenza del momento, come del momento che mi appartiene nel distacco, così chiamato, non necessario, devo far silenzio delle immagini che si rendono tali e prive di profondità, espressione di un sentimento superficiale, di un giudizio a cui stare in apparire di un’opinione che non ha nessun dialogo o relazione, ma che tende a determinare un controllo che guarda se stesso e niente altro, per mezzo di questa riga che si son passati addosso, che li evidenzia.

Mi sento sola o solitaria ora mentre passeggio, forse né l’una o l’altra cosa, sono tranquilla e me stessa, non c’è né noia né fretta ed anche quella libera conoscenza della libertà di contemplare spesso solo osservare, non si distoglie più di tanto nell’ansia di incomunicabilità delle immagini che si rendono tali, che esprimono un’opinione soltanto attraverso la loro visibilità, stando in silenzio quando devono dire la verità o fanno baccano quando la devono ascoltare. Se avessi il distacco dalla rabbia che può avere un uomo, forse, ma chissà forse è anche questo quello che ho e allora sono sola senza sentirmi solitaria.

Mi siedo sotto il sole e le “fronte” di un albero, spostate dal vento ogni tanto mi fanno ombra sul viso, alcune donne mi osservano mentre mi passano davanti, altre sono prese a parlare le une con le altre. Gli uomini sono strani, sembrano disponibili ad essere manipolati dal consenso che riescono ad ottenere. E del resto le donne che vedo per lo più cercano e rappresentano una condizione sociale più che morale, le loro opinioni come quelle degli uomini il ceto economico e i sentimenti degli uni e delle altre le loro relative ambizioni, e giustificazioni di convenienza, il loro dirsi appagate come maliziosamente insoddisfatte, il parlare della loro soddisfazione come della loro insoddisfazione sempre in prima persona derivata, e sempre di se stesse o se stessi. Del resto anche io che le osservo, che spesso le ascolto mi trovo in una condizione consona al loro apparire, ma questa potrebbe essere una mia percezione, se mi dessi disponibile ad aprirmi e mettermi anche io una striscia colorata sopra per darmi un’immagine con l’evidenziatore, costoro si sentirebbero ancor più nel loro ruolo e nella giustezza della loro condizione e tra l’arroccamento egoistico e la democratica elargizione troverei e mostrerei il mio giusto ruolo, corrispondente alla verità delle loro immagini, ed anche la mia immagine avrebbe una giustificazione sia che sia rifiutata o accettata ed io conoscerei il motivo di questi sentimenti e la ragione del perché debba provarli, contemplerei il mondo e me stessa attraverso la mia immagine e la rabbia o la giustificazione che sarei.

Nessuno si è accorto che ho fame, c’è chi ha guardato i miei capelli puliti, alcuni uomini i seni e le gambe pochi le mani, soltanto tre o quattro persone il mio sguardo, e basterebbe poco per trovarmi addosso, contro, una voglia sfacciata di prevaricazione, non ho visto una persona che avrebbe accettato una conversazione autentica. Mi alzo dalla panchina dove sono seduta e mi avvio camminando in cerca di alcuni cassonetti dei rifiuti, a quest’ora molti sono impraticabili ed è difficoltoso prendervi qualcosa, per la loro profondità, ma alcuni possono riservare dei privilegi e dei favoritismi, tipo questo che ha posato al suo fianco delle cassette con due pomodori non proprio di prima scelta, e vuoi vedere che dentro c’è anche del pane, tò eccola qua, pure a portata di mano.

 


Guardo gli occhi e il mio viso riflessi sul vetro, seduta davanti al finestrino del treno che scorre. Chissà se i treni continueranno ad esistere … ci sono due donne sedute di fronte a me e le ascolto parlare, parlano della politica e poi passano dall’argomento della politica a quello dei figli, dai figli al costo dell’ultima vacanza, la persona al mio fianco risponde che quest’anno non ha potuto, proprio, andare in vacanza, non mi ero accorta che era con le altre due, che aveva rinnovato l’appartamento e che il costo della vita stava proprio riducendo il loro tenore di vita. e come si fa continuava a dire, non è certo indispensabile, utile che si rinunci a quel che si può avere, in definitiva a quello che ci gratifica, quasi ci fa sentire apprezzati. Io se non curo certe cose nella mia vita sento di non amarmi, disse l’altra. Tutti a protestare per quello e per quell’altro, proprio perché è un modo importante per sentirsi apprezzati. Sono piccoli gesti, che vuoi un auto nuova o l’abito o la retta per la scuola per non essere da presso agli altri. Chi non vuole apparire riuscito. Dio mio hai visto che problema con il parcheggio, non si riesce a spostarsi più da qui a lì, ma del resto come si fa.

Che cosa è questa strana pazzia dell’ammirazione per mezzo degli oggetti, queste immagini che fanno sentire le persone di amarsi perché ammirate, quasi che sia l’unico scopo del loro utilizzo, l’unico motivo per cui impiegare il tempo nella loro vita, darsi una rappresentazione e protestare per i diritti degli oggetti di quella rappresentazione, dove sono i pensieri l’emozioni e i sentimenti, la profondità che li raccoglie? Nei diritti degli oggetti che fanno sì, che il loro possesso dica qual è il grado dell’amore che ognuno a per se stesso e per chi come lui possiede quegli oggetti. Dov’è la libertà dei contenuti umani. Pagare se stessi per vedersi rappresentati o rappresentarsi come qualcosa che chi ha prezzo guarda, la verità del sentirsi amati, nel gratificarsi di questo e competere per questo per dare una rappresentazione al proprio gratificare. Gratificare il prezzo che si dà alla propria rappresentazione a quello strano gioco del consenso, non so perché chiamarlo gioco, che fa invidiare chi dice la verità come colui che non sa amarsi che rappresenta quello che non si può non vedere, e che non sta in ragione di, ma soltanto perché. e l’impurità si evidenzia ovunque, uccide completamente la spontaneità. Forse non è esatto dire impurità, eppure è proprio così quando, ci si ama autenticamente, ciò ch’è falso, il vedere rappresentato non l’amore ma il suo opposto, che genera e da i modi a tutto, sia alla stupidità che alla rappresentazione dell’intelligenza, questa cosa stupida dell’orgoglio dell’amarsi senza guardarsi, del fare finta di niente di non vedere neanche e pensare assurdamente che ciò non esista, non ci si ama e non si è capaci di dare, e “quanto sembra giusto dare amandosi così, il dare e l’avere del proprio interesse della propria curiosità, del manifestarsi stesso dell’amore, che più grande non può apparire, il giusto dare, la convenienza di rappresentare e il sesso da espletare. Quando ci si ama così, si dice, profondamente come non essere riconosciuti e pronunciati nell’amore di tutti quelli che condividono questo scambio che merita giustizia e attenzione, dove chi dà riceve, fino a chi si ammira si lascia libero di fare, ha la nostra ammirazione e di quelli che la rappresentano.

Mi guardo riflessa sul vetro, amore mio, guardo la campagna, amore mio, gli alberi che la popolano, le sementi che crescono, amore mio, il cielo è all’imbrunire, amore mio, ma poco fa l’ho visto azzurro e attraversato dalle nuvole, amore mio, vedo gli uccelli beccheggiare tra la terra, che cambia colore e intensità tra dove è più o meno umida, amore mio, vedo qualcuno dentro una casa, in una stanza illuminata, mi passa davanti per un istante e la guardo dal treno che scorre, amore mio, i tetti delle case e i paesi, amore mio, cerco l’aria sulle “fronte” degli alberi, quelli più lontani dalla ferrovia, amore mio, penso alle cose che succedono e a quelle che mi succedono, amore mio, penso ai ricordi, ma ancor di più alle riflessione più vicine, ai pensieri profondi che mi vengono in mente ora, amore mio, amore mio quanto mondo e quanto silenzio, e quanto sono semplici certi momenti di Dio, amore mio. Mio amore il treno sta per arrivare, tra un po’ scenderò dal treno, scenderemo, scenderai con me, amore mio.

 

Scendo dal treno e la voce che riecheggia nella stazione è quella che annuncia la partenza e l’arrivo dei treni, passo attraverso questo via vai di persone, di luoghi che si spostano, quasi fosse solo questo il perché dell’incontrarli. Fuggevoli al passo. Appena fuori l’androne, lo spazio dei taxi, un barbone, clochard, non so in quale altro nome è chiamato. È anziano e appoggiato ad una stampella, si ferma a parlare con me, parla della sua storia della guerra, mi chiede qualcosa, sembra che possa tornare se stesso, mi chiede dei soldi, per una minestra, che gli danno nella cucina di un albergo ristorante, lì vicino, mi è in tasca una moneta tra le più piccole che ci sono in giro, gliela do e lo saluto, e gli dico che non posso di più, mi fa cenno che va bene e se ne và. Appena fuori dall’aria della stazione, mi trovo in mezzo al traffico, bloccato da un corteo che manifesta, sul marciapiedi cammino in mezzo alla folla del corteo, spostandomi ogni volta per evitare di essere urtata, tra divise e rappresentanze, tutti in attesa della loro risposta, come e quando più o meno intenzionati, tutti in corteo, a parlare in coro e mostrarsi, le opinioni che si pesano i modi che si mostrano, la presenza di dire e fare perché, c’è un mondo che si mostra e che per questo vede la sua opinione, non si ascoltano le opinioni, né si hanno in definitiva se non si guardano in cotanti, non è un modo anche questo per affermare qualcosa più che conoscere e sapere, non è un modo per far fare al di là di ciò ch’è vero, non è un sadismo fuori luogo quello che per esistere cerca di distruggere per dare a ciò che si costruisce una visibilità, un consenso al di là, che dà alle conseguenze il protagonismo a cui si deve partecipare e solo in visione di questo capire. senza un’opinione che dia un senso a ciò che accade, perché la soluzione appaia senza bisogno di mostrarsi, per conoscere e pensare, non la rappresentazione del bisogno, ma viverne il senso, e allora si può scoprire la verità anche nell’opinione di qualcuno, con qualcuno, senza che perché essa esista sia demistificata in questo processo del consenso, dove soltanto prestare attenzione a se stessi per mezzo della conseguenza generabile. Non ho scelta, sono costretta a spostarmi in tempo per evitare che qualcuno mi finisca addosso e rimane incerto per me, se costoro non possono muoversi da dove sono o soltanto si sentono in diritto verso di me di lasciare che li attraversi, senza osare spostarne il passo, o, ma non sanno prestare attenzione, sono in una direzione già determinata ed è ovvio che non ci si possa muovere altrimenti, ci sarà uno spostamento improvviso un gesto improvviso, ma non ci sarà nessuno che urlerà la verità, da solo, tanto che tutti si fermeranno, e se tanto fosse la verità e, tutti fossero costretti ad ascoltarla, tutti farebbero in modo di tornare a pensare a se stessi per continuare tutti insieme, sembra non ci sia altro modo per dare convenienza alla verità che si mostra, per dire che si è ascoltati e che si partecipa, ci si rassicura e si giudica, e le forme di potere sembrano fare qualcosa per conto di non si sa chi, che se smettono di urlare sembra che possano fare quello che si vuole, ma non si sa per conto di chi e per che cosa e una sorta di apatia torna a sconvolgere, l’esperienza e le persone, una noia del pensiero che giustifica la menzogna come un atto di realtà, come la migliore scelta possibile, come la ragione comune più giusta e inevitabile, le conseguenze ritornano per richiamare l’attenzione non nel capire e dare un senso, ma affinché ordinino il da farsi a ognuno, al di là della coscienza e dell’intelligenza, o di un’opinione. sinceramente l’amore ch’è la reale dimensione umana di ogni anima, persona, individuo, si spegne nella paura e l’odio controlla l’intelligenza e le sue rappresentazioni di opinione e l’azione è tutta rivolta all’affermazione di esse, come unica possibile salvazione dall’immanente conseguenza, una vita vale un mondo, e la pace senza una vita non vale il mondo intero, non cresce niente se non un’apatia sempre più grande un’illusione e una ragione falsa, che non possono che mostrarsi nella falsificazione della vita, del pensiero e della sua espressione d’amore, se la forza è stolta l’amore deve essere libero e reale, comunicando nel presente tutto e non solo nella visibilità di un mondo che non sa cosa fare e cerca di darsi l’amore per imporsi sull’odio, come conseguenza dell’amore, ciò è la differenza tra le convenienze, non la conoscenza dei limiti della conoscenza stessa. Sono oltre tutta questa gente, ho attraversato sia la limpidezza che il protagonismo delle dimostrazioni di questo corteo e solo alcuni mi hanno fatto strada, se ti muovi sei costretta a spostarti, se incontri qualcuno fermo, finisce che sei costretta a spostarti, se incontri un corpo sei costretta ad accostarti al muro delle case, a camminare guardando in fretta i piedi e le espressioni, spesso assenti, verso di te che stai camminando, quasi che tutti sapessero che cosa si sta lì a fare, fin nei luoghi delle scelte del potere. Ho superato la gente quella che era rimasta e adesso posso camminare più liberamente per uscire dall’abitato e vedere il bosco.

 


Inizio a camminare tra gli alberi, nel sottobosco e sento il suono dei miei passi tra l’erba, quasi si avvertisse il movimento di tutto il corpo. Lo avverto nelle gambe nella schiena sull’addome, ed è un suono tra il silenzio, tra i respiri che accompagnano il camminare. Camminare tra gli alberi in questo bosco non è difficile e ogni tanto gli alberi si allargano e lasciano lo spazio al prato sotto il cielo. Cammino silenziosa con i pensieri che stanno lì senza affollarsi nella testa e nei respiri, nella luce che cambia colore alle foglie, che dà al colore dei tronchi l’intensità e il profumo, con l’aria che ne accarezza le fronde fogliate, più o meno che sia stagione calda o fresca o dal tipo di albero che attraversa le quattro stagioni. Il pomeriggio viene avanti e la luce è già un po’ attenuata, e io cammino, cammino senza pensare o incontrare, senza chiedere oltre quello che sento in questo momento, senza ascoltare nessuna voce, con il silenzio che non cerca i ricordi e, ché mentre penso rifletto, semplicemente ai sentimenti che sento, alle cose che si vedono. Il canto di alcuni uccelli sembra avvertire del tempo ch’è trascorso nella giornata e mi siedo su di un tronco d’albero, caduto al suolo, rimango così a guardare la luce tra gli alberi, respiro profondamente e sento l’odore della terra un po’ più umida, quasi cercasse la mia mano per essere toccata, mi vedo nuda come se in fondo avessi voglia di spogliarmi, di sentire i miei piedi nudi nell’erba, l’aria sui seni, e forse qualcuno che mi accarezzi. Ma non è una sensazione di nostalgia, non è cercare di immaginare qualcosa che non esiste, non come se non appartenessi a questa solitudine, non cerco ciò che non c’è, non perché non voglio che ci sia, ma perché non c’è ed io sono in un altro posto, sono eccitata e mi accarezzo qui seduta sull’albero, mi accarezzo l’inguine e il sesso, tutto, sono umida e odorosa e sento il mio clitoride, vorrei che lui stesse qui mi entrasse dentro, che fosse lento e pieno di carezze, che cambiasse intensità e tempo, che mi accarezzasse prima di eccitarmi e baciasse con passione e poi con delicatezza, che mi entrasse dentro piano, e senza cedere al mio desiderio, come sa fare, lentamente, come una carezza, senza quasi me lo aspettassi, mi sentisse il ventre e il sesso che spasimano con la mia voce, vorrei sentirlo che mi stringe tra le braccia mentre si lascia dentro di me. Sono da sola qui nel bosco e vedo tante donne e molti uomini che si sentono più delle copie, che come unici e possibili, e le donne che in fondo cercano mille pratiche che non osano dire, che in fondo basta un sesso, un organo finto, e forse meglio qualcuno che lo muove dentro, mentre magari le bacia e cambia il fallo finto e la forma, son pratiche più della praticità, tanto da non capire più quale necessità si abbia per una funzione sessuale fatta di ruoli e potere. Sono seduta sul tronco, con le mani appoggiate sulla corteccia, le mie scarpe sono un po’ bagnate dall’erba che qua e là appare un po’ umida, mi tocco il corpo e sento i vestiti un po’ freddi sulla pelle delle mani e ho pensato a queste cose seduta così, quasi fossi nuda veramente, questo leggero desiderio vissuto. Cammino continuo a camminare, la luce del giorno incomincia rapidamente a scemare, come sempre in questo periodo dell’anno, incomincio a sentire l’acqua del fiume che scorre, ma ancora non lo vedo, tra un po’. Cammino nella sera, con la giornata o il tempo d’essa che fin ora ho vissuta dentro me, il bosco si apre e il prato nella sera che avanza ritrova un po’ di verde, il suo colore un po’ impiastricciato dalla terra, intravedo il suono del fiume e vedo casa, ora so che il fiume è lì.

 


Rimango fuori casa mentre il buio della sera trasforma il cielo e le stelle e il firmamento appare sempre più intenso. Mi siedo davanti la porta, il verde degli alberi è diventato scuro e la luna ne attenua un po’ il colore. Se qualcuno fosse qui ad ascoltare quello che penso forse riuscirebbe ad udirlo, tanto è calma e profonda la sera. Sento un po’ la stanchezza nelle gambe, per il camminare che ho fatto in tutta la giornata e nonostante la bellezza della natura mi sorprende uno sbadiglio. Mi alzo e mi avvio sulla porta, cerco la chiave nella tasca destra dei pantaloni, poi la prendo in quella di sinistra. Accendo la pila con il neon che ho appoggiata vicino alla porta, l’ambiente si rischiara tenuemente, mi avvicino al divano e mi ci sdraio con la gamba destra fuori e il piede appoggiato al pavimento. Ho fame ma preferirei proprio dormire, resto una decina di minuti in questa posizione, poi mi alzo e mi siedo, penso che ci sono delle patate e delle castagne, queste ci sono sempre, potrei coltivare un piccolo orto, per avere pomodori e insalata, qualche gallina, ma poi vi rinuncio ogni volta che penso, che sono fuori anche per diversi giorni, non sempre ma in alcuni periodi sì. sbuccio due patate e con un po’ di sale le mangio così. Forse rovino quel meraviglioso silenzio, ma mentre mangio accendo la radio e trovo una stazione in lingua italiana che trasmette del teatro, ascolto le parole dal punto in cui ho acceso mentre continuo a magiare le patate. Penso che sono stanca e proprio non mi sono sentita di bollirle. Mi viene di osservare la batteria, perché penso che forse l’ho lasciata staccata dal pannello solare, non ricordo se l’ho staccata quando sono andata via, vedo che era rimasta in carica e, torno con lo sguardo nella stanza e ascolto le parole della radio che non so da quale satellite piovono in questo posto, sono a metà della seconda patata, mi alzo e mi verso dell’acqua nel bicchiere e bevo senza fretta, torno a sedermi sul divano e finisco la patata. Sono troppo stanca per continuare ad ascoltare la radio, mi alzo dal divano spengo la radio e vado a distendermi sul letto, ho un letto ampio, su tavolato appoggiato a dei tronchi d’albero, fatto nel bosco,  mi preparo per dormire mi infilo nel letto, prendo dal comodino il cappello di lana che vi avevo appena appoggiato, lo infilo e dormo. Con chi stavo pensando? Con me stessa, con me stessa.

 

Libertà libertà, penso, penso a qualcosa che non ricordo dove … di qualcuno che urlava questa parola e continuava a ripeterla

 


Non posso fare il bagno nel fiume, perché è freddo, e rimango seduta sul tronco e guardo il fiume che scorre. Potrei dire che non c’è proprio niente per cui raccontare. Sembra che non accada niente e io oggi rimarrò qui, forse leggerò. Mi viene vicina la solita capra che non so da dove sia fuggita e, come sempre lascia che l’accarezzi. Dovrei forse essere piena di rabbia, ma qui veramente non c’è nessuno che disturba, che cerca prevaricazione, che con la cafonaggine trova comprensione dagli altri, tanto è labile il distinguo che molti riescono a fare sul senso e il rapporto con la verità dei propri comportamenti, per lo più consociativi e per questo privi di un connotato altruistico, la persona cafona deve essere compresa è nella norma e del resto chi non è cafone deve sentirsi per forza emarginato, a disagio, la derivazione è l’unica conseguenza del sentire se stessi, l’unico concetto dell’amore per il prossimo, tutti si rimettono a qualcosa e al proprio egotismo, devono render conto sempre  e pur solo per se stessi si consociano e si plaudono e comprendono, come mi conviene, come mi conviene. Chi in fondo rende conto a Dio, alla verità, quella che non ha bisogno di interpreti o mediatori. Dovrei avere mille volte la rabbia dentro e, non dubito che sembra che sia così, ma solo per un motivo, perché le parole che hanno la verità dentro sembrano urlare in chi le ascolta, per i cafoni. Io sono qui in questo posto e sono lontana molto lontana dal sentimento che può pensare un mentitore nell’ascoltare queste parole, se lo potesse, penserebbe che sono arrabbiata. Chissà forse troverebbe consolazione a questo fatto consociandosi con altri in tal pensiero e tutti insieme completamente nella menzogna, calunnierebbero per mezzo della loro percezione alterata, patentati in cafologia che acquisiscono autorità in base alla menzogna o all’effetto interpretativo di tale menzogna, o ancor di più ipotizzando una cosa e poi dimostrare attraverso la consociazione l’effetto o l’atto su di me. È così capillare tale sistema ch’è professionalmente retribuito, non solo nelle patenti per cafoni quale quelle delle scienze della comunicazione o degli psicologi, ma strategicamente sviluppato nei settori delle sezioni militari, delle organizzazioni pubblicitarie, che tramite il loro organizzare acquisiscono autorità sui partecipanti della società civile che via via si behaviorizza e paga, ma ancor più si narcisizza. Pensare, che in Inghilterra ci sono sezioni e reparti anti behaviorismo, non so se in fondo per giustificarlo. In effetti qualsiasi agente privato può produrre effetti, o moltiplicare la psicosi behavioristica a discapito di me, solo se volesse, sia per conto personale che per organizzazione criminale o altro stato. È così capillare tale fare e essere che vi è partecipazione in questo in ogni dimensione della vita consociativa, e si acuisce quando viene determinato per fare del male, ma lo è sempre, male. Sono piena di rabbia, per nulla è solo che c’è un modo consociativo e organizzato che non accetta che io creda nella felicità, che mi raggiungerebbe anche qui, con le loro manichee persone con le tecniche behavioristiche con cui spesso si realizzano omicidi senza né ragione né movente. naturali.

Non ho rabbia e tutto questo è per me da tempo passato, ma come dicevo il tempo della prevaricazione e della cafonaggine è sempre lì pronto a molestare con il suo fare competitivo e arrogantemente superficiale, vanitoso ed egocentrico. Ed è quasi un miracolo che qui, ancora, qualcuno così molesto non mi abbia visto, quasi non ci fosse nessun altro che possa ascoltare i miei pensieri, che cerchi un pretesto per determinare un atteggiamento molesto per affermare la sua identità sulla mia, con concetti faziosi e che perseguono solo la molestia e il plagio, non solo verso di me, ma il tentativo di usare me per plagio della verità, dell’emozioni come dei sentimenti, delle parole e la calunnia dei comportamenti, del significato e della vita stessa.

Continuo ad accarezzare la capra che bela contenta, guardo il fiume, aspetto che il sole sia alto, poi a metà del giorno mangerò qualcosa. Mi alzo e raccolgo con le mani un po’ di acqua dal fiume e la porto al viso, è fresca e desiderosa di vita come me.

 

Il pomeriggio mi distendo sopra una coperta sul prato e lascio che i raggi del sole che ancora mi illuminano, mi riscaldino il viso, credo che dormirò, un po’, poi farò una passeggiata risalendo il fiume. Cammino percorro, il bosco, il fiume che con la sua corrente indica la strada che scende verso il mare. Libertà libertà, cammino pensando a queste parole che non ricordo in quale occasione o chi le abbia dette, profumo l’aria respirando a pieni polmoni, avverto il bosco con la memoria che sente il suo odore. Libertà, quasi che non fosse più di un secolo che si dice e si blatera, ma da sempre, come la volontà ha scelto di condizionarsi. Sento il rumore dei miei passi che risalgono lungo il fiume, le foglie che si comprimono sotto di me, i fiori che non si vorrebbe mai calpestare e l’erba che sembra rinfrancarsi. Fuori fuori e ancora fuori, qui nel silenzio nell’inevitabile cammino, sono lontana dai spenti richiami dell’orgoglio e della volontà, non c’è nessun diritto divino o umano che possa accettare il fatto che per sopruso di qualcuno volontariamente o in associazione di alcuni o di molti, per mezzo di tecniche psicologiche si voglia far plagio della mia libertà di scelta, del mio volere, della mia responsabilità, non esiste crimine, no, ancor più dannazione più evidente di chi adopera la volontà per manipolare la coscienza e la mia libera espressione, di chi cerca di determinare le mie intenzioni e ancor più interpretando il mio agire dice il significato del mio agire, senza neanche chiedere o parlare con me, qualora ve ne fosse un vero motivo, non esiste nessuna spiegazione alla follia in cui si chiudono queste persone con la loro volontà, nella loro totale eredità morale e perdita del significato di morale umano della libertà, malversatori del volere, che inficiano la realtà, come patetici esecutori del male. Mondi interi che spariscono, competizioni che si giustificano, memorie ed emozioni che si annientano, legislazione per quanto inutile irreale, virtuale, dispotica e mortale. Un arbitrio senza coscienza, una demenza che ha attraversato il labirinto umano fino alla sua definizione scientifica. Via da me tutti questi pensieri via da me tutte le guerre e tutte le angherie quotidiane, tutte le guerre e tutte le infamie, tutti i dannati beharovizzati, mobbizzati o malvagi, i malvagi della volontà. Guardo il bosco, vedo il cielo, ascolto gli uccelli e non c’è nessuna tecnica che manipola i miei sensi che dà alla mia coscienza una volontà da condizionare e manipolare, non ci sono orgogliosi o malvagi con me. L’acqua del fiume è pulita e da bere, e solo questo piccolo miracolo è sufficiente a impiccolire l’incoscienza del dominio della volontà, a rammentare che la conoscenza non ha da competere con niente, tanto meno con i condizionamenti che obnubilano l’anima, non ci sono intenzioni da difendere, o orgogli a cui reagire, la mia vita non ha bisogno di malvagi a cui è permessa la loro malvagità, il loro autentico guazzabuglio della superiorità della volontà, come espressione di crimine o altro. io sono sola ed anche in mezzo a tutti i malvagi resterei e mi sentirei ancora meravigliosamente sola con me stessa, con la libertà di appartenere ad un assoluto o a Dio che io sento pensare al di là dei limiti della volontà. Cammino sono sola e libera e so che la bellezza è vera perché autentica, sempre autentica. La sera sta scendendo e i pensieri delle malvagità li lascio, ai secoli o agli anni o a quelli di ora, alla fine della loro libertà e coscienza, al sopruso e all’inganno del dominio dei sensi, della loro manipolazione e alla schiavitù del loro stimolo o legge.

Serenamente respiro l’aria della sera, mi siedo in terra e rimango così a pensare in silenzio, ho ancora sulle labbra il fresco dell’acqua appena bevuta dal fiume e mi sento rilassata e assorta nel silenzio che i suoni del bosco solitario mi rimandano, resterò qui seduta ancora per un’ora, poi tornerò verso casa, guarderò il cielo e le stelle, proprio quando sarò ormai quasi giunta, sarò ricca come sempre, senza il bisogno della ricchezza, senza neanche il bisogno di pensare ad un esempio di qualcuno, a qualcosa che me la rammenti e le immagini della violenza sono nei loro esecutori.

Entro in casa bevo dell’acqua, la capra è rimasta vicino la casa. Dopo aver mangiato, accendo la radio e mi stendo sul divano

 

È sera, ed anche oggi ho trascorso una giornata, piena intensa e tutto sommato tranquilla, non so bene quale sia la giornata che hai trascorso tu, spesso mi dici cose che non mi fanno capire bene quale sia il tuo stato d’animo. Mi chiedo spesso perché non ci si possa più vedere e parlare come si faceva una volta, sembra che quello che non si po’ fare chiuda ogni altra possibilità, quasi che la questione sia tutta nel non avere più niente da dirsi, meglio sarebbe dire, condividere. forse perché manca la coerenza per mettere in discussione ciò che appare vero, forse è vera un po’ di realtà nel farlo, tanto che blocca ogni altra cosa, ma allora più che il tentativo, la discussione, è proprio che si deve essere onesti con se stessi e non cercare alibi nella giustificazione della convenienza, come se questa fosse la cosa più ragionevole da fare. E allora se c’è la realtà che si verifichi quello che per ragionevolezza non vuole che ci sia, bisogna che tu sia coerente con questa impossibilità, o per viltà o per ingiustizia, o inganno a cui non puoi dare scuse, o accetti che accada, oppure non rimanere nel limbo della tua irragionevole condizione di dipendenza dalla ragionevolezza della convenienza. Questa, tua, più che pigrizia, è, oserei dire cecità omologante senza scelta né coraggio, e non può nascere così repentinamente, come te ne fossi appena accorta, di fatti non hai messo in conto nulla e tutto, l’altro, se pur di un altro hai ipotizzato, esso non sta da nessuna parte se non, proprio nella realtà che tu hai voluto che vivesse, e cosa dire, hai lasciato che tentasse di fidarsi, che provasse a vedere quanto tu potessi essere coerente con ciò che provavi. E qual è il tuo atteggiamento, forse hai dato tu una possibilità di essere acquisita e quasi comprata, ma nella ragionevolezza della convenienza, ma ciò obbiettivamente non potevi dartelo, prima, ed anche ora sembra un tentativo maldestro, una superiorità della tua consapevolezza su quella dell’altro, ben sapevi che se fosse stato così non avresti avuto nulla di ciò che hai avuto, non avresti ricevuto liberamente, voglio dire con amore ciò che quell’amore preziosamente aveva, e non ti saresti sentita nella possibilità di essere tu quell’amore, di scoprire non soltanto come si ama, ma esserlo così tanto e in modo neanche immaginato, come del resto nessuna redditizia convenienza può immaginare, tanto da non sapere più come giustificare il senso della tua esistenza in riferimento all’unicità della realtà e della verità, in confronto a ciò che tu davi alla rappresentazione e visibilità della tua realtà, in realtà hai barattato la tua paura con la consolazione dell’apparire. non nella bellezza, nel vero essere, nell’osservazione dal mondo per la verità che si viveva, e che in definitiva ti faceva sentire osservata, senza che tu ne capissi il vero motivo. proprio in questa unicità in cui tu ti sentivi provata, ma che avvertivi, pensando che fosse qualcosa d’altro, giacché pensavi la stessi vivendo tutta da sola, senza neanche capire che cosa fosse, bene forse questa tua presunzione non era tutta tua, ma era tua la vanità che concedevi alle lusinghe che ti facevano credere tale cosa, e non si può dire che l’altro fosse condannabile per quello che tu ne vivevi e non capivi compiutamente, appropriandotene, con la stupidità dell’egocentrismo, nel trasformare le attenzioni e l’intelligenza ricevuta come espressione della propria qualità, come riflesso stesso verso il mondo, che dà al proprio io la sensazione di qualcosa mai provato prima, e che lascia all’altro l’atto presuntuoso della compiacenza, questa tua vanagloria era completamente irragionevole come la presunzione, che nelle convenienze della ragionevolezza indipendentemente dall’altro, si potessero realizzare, le compiacenze, e sei davvero diventata così ammagliata da te stessa, tanto da provare a replicare la vita come una riproduzione della sensazione, indipendentemente dall’altro, chissà forse ti sei sentita così presa da questa parte, interpretazione che hai provato a replicare le stesse cosa che hai ricevuto, per dimostrare a te stessa di quanto fossi capace, più che per verità dall’amore. ti dici io riesco a fare quel che ha fatto con me, che io ho sentito, con chiunque, perché sono sempre io che do una possibilità, anche nella ragionevolezza delle convenienze, al di là della ragionevolezza della vita e delle possibilità dell’amore, come possibilità che si rappresenta migliore nel momento e piena di virtù, la stessa che ho provato al di là dell’apparire, ma di cui era tanta l’osservazione ricevuta che hai creduto che fosse la stessa virtù che dà convenienza all’apparire della virtù che meglio si mostra. Se tu capissi quanto fosse stupida questa vanità, sapresti e comprenderesti che il vedersi ora non è null’altro che stare senza nessuno, con l’altro, che quello che non accade è soltanto nell’orgoglio della vanità che dà il penso di sé a chi è schiacciato dalle rappresentazioni della convenienza, più o meno naturale la si voglia intendere. Ora, forse non c’è più, in noi, quel qualcosa che ha determinato la volontà di viverci, anche se così impropriamente, dico quel che si è senza bisogno di dimostrazione, proprio in un dare autentico, ma pieno di un riconoscersi infinito, e impropriamente perché tu l’hai inteso come qualcosa d’altro da questo, quasi infine, fosse qualcosa con cui competere e gareggiare, questa è la più grande pigrizia, oltre le parole e la vanità, e perché questa necessità se non per dimostrarti e rendere visibile anche nel silenzio dell’intimità, che solo i ladri senza coscienza cercano di rubare, ed è con la coscienza di una ladra che hai dato credito a codesti ladri, che hai messo in conto la convenienza di una vita senza vera intimità, una vita ragionevole più che vera. Per questo forse non si riesce a parlare come una volta, io sono astrazione senza intimità, non l’altra vita a cui partecipare, ma ciò non tanto come reale conseguenza, ma perché tu stessa sei e ti rappresenti con l’altro senza intimità, e quasi questo rende impossibilitati a chiedere, ma mentre in te c’è una negazione, che cerca l’evasione, in me c’è sempre la coscienza di vivere la vita e la negazione non mi mostra altro che l’altro che cerca l’evasione, senza che ciò intacchi la mia intimità sia nella solitudine che con l’altro, soltanto la mia intimità.

 

 

È giunta la sera e, dopo questa giornata nonostante che mi senta molto stanca, voglio scriverti, forse così mi sentirò meno angustiata. Vorrei chiederti che cosa stai facendo e se anche oggi tutto è andato bene, lo so sembra una domanda senza senso, eppure sappiamo lo stesso che questo tutto bene significa più che altro essere ancora vivi. Siamo in mezzo ad un mondo impazzito, ma forse ciò non basta a dire se anche io non sia completamente pazza, o non so cosa d’altro, a stare qui a trascorrere il tempo, in questo modo, ad essere così diversa da come sono sempre stata, già, eppure sono così per un assurdo inganno dei luoghi e del tempo, che mi ha fatto quasi pensare che così, non so come spiegarlo tanto era il terrore sarei stata in salvo, quasi questa fosse una scelta di comodo. E tu lì, sei ogni giorno in preda a quel terrore da cui io ho voluto scappare, mi sembrava la cosa più vera e semplice. Non so casa pensi di me tu, che cosa credi sia ora la mia vita e se mi giudichi con severità o ti senti arrabbiata magari quando immagini di dovere essere ancora lì, è difficile da capire questo, come il mondo che impazzisce e sconvolge ogni senso, o forse come mai prima, si pensa che possa esistere tanto odio e, tanta miseria da tenere il sentimento dove non era mai stato prima, di vedersi in modo strano come se tutto quello che era sempre esistito, d’improvviso non esistesse più, e non si comprende più cosa è giusto essere e, fare, come se il mondo è così cambiato che sembra inutile essere quello che si era sempre state. ma cosa eravamo, che cosa ero io? quando l’odio fa impazzire tutto, ci si accorge che tutto era possibile, perché era la cosa più conveniente, forse ovvia, e non è forse con questa stessa ovvietà che come una pazzia naturale tutto è degenerato, e tutto è sembrato dover cambiare e ancora doversi cambiare per continuare a sopravvivere, come non dovesse esserci altra strada. Sembra un paradosso, non so se hai pensato la stessa cosa che ora è venuta in mente a me, proprio su una strada passo la maggior parte del tempo della mia giornata. E tu non puoi quasi farti vedere in nessuna strada perché ne potresti morire, uccisa da qualcuno che ora sa tutto e crede di comprendere tutto. Chissà se è qualcuno che abbiano conosciuto prima, chissà se si è messo a pensare alle cose che gli stavano accadendo, a vedere quello che succedeva e, dall’odio e dalla vendetta “a” deciso di stare in cima, o non so da qualche parte “ha” sparare alla gente che vede, perché questo serve al nuovo mondo che è cambiato, alle nuove circostanze, chissà se gli sarà sembrato facile e naturale cambiare in questo modo, o anche lui sarà stato motivato da un odio più profondo, magari dalla vendetta per qualcuno ch’è morto della sua famiglia, o dal semplice delirio del potere, di essere in questo un suo artefice. Penso spesso continuamente, alle tue giornate, all’impossibile incertezza di non sapere cosa accadrà il momento dopo ogni istante che trascorri, eppure c’è una difesa ad oltranza della vita, che in qualche modo deve farci rimanere liberi, che deve farci sentire di potere essere belli come esseri umani. Spesso sulla strada, magari un chilometro più in là c’è una ragazza, una donna ch’è della stessa, come chiamare nazione, etnia, distinguo culturale di quel cecchino che aspetta di sparare alla gente mentre attraversa le strade, e non c’è niente che in fondo ci divida sia io che lei, siamo nella stessa condizione e, spesso mi chiedo se dobbiamo litigare per quello che sta succedendo, per la guerra che si sta combattendo, eppure credo che anche lei sia qui, come me per paura, per paura della guerra che ti uccide, per paura di qualcuno che ti possa uccidere. O forse per lei è più facile, i soldi già le hanno fatto dimenticare tutto, o forse non è per questo che ha incominciato, questo stare qui sulla strada è qualcosa che gli è riuscito più facile, quasi già lo facesse, ma del resto che cosa è questo distinguo di pensiero che cerco di fare ora, quasi che io senta in maniera più profonda. Del resto non capisco se dentro di me c’è una giustificazione, se dentro di me, quello che provo sia vero, in certi momenti non capisco più cosa provo, che cosa sento, e il mio corpo mi stravolge, mi vesto più provocante di quando sono arrivata per attirare l’attenzione e richiamare i clienti, ma in certi momenti non capisco più che cosa sta accadendo dentro di me, mi si sconvolgono le percezioni, e divento sempre più funzionale a quello che faccio, cerco di non lasciare, che nessun sentimento, mi coinvolga, e allora mi sento come se il pensiero si allontanasse da me, che i desideri cercassero un appagamento senza che appartengano a nessuno, neanche a me credo. Quando sono arrivata qui un anno fa cercavo di fare all’amore, di non pensare ad altro, mi sentivo fuori da tutto quello che accade lì, come fossi in salvo, e se c’era qualcuno che voleva parlare, che mi chiedeva delle cosa, gli chiedevo di fare all’amore, se c’era qualcuno che mi piaceva, mi sentivo come se anche io gli piacessi e che lui avesse proprio voglia di stare con me, che fossi proprio io quella con cui voleva stare, che non cercasse solo del sesso con chiunque fosse. Ma poi facevo quello che mi veniva detto, comandato, ero come dovevo essere in questo posto. Ora ogni incontro mi sembra stravolgente, i soldi mi appagano e l’altro è diventato, mi sembra una parte di me che non comprendo, che mi dà piacere ma con cui io non sono, che sento ma che scorre via, mi difendo da chiunque cerchi di più dai miei sentimenti, la mia bellezza il mio vestirmi in modo eccitante serve solo per fare quello che faccio, e in certi momenti mi sembra di non capire, ed essere niente altro. non so se sia un bene che io ti parli di tutto ciò, cosa può venirtene nella situazione in cui tu sei, nei giorni che sei costretta a vivere, affrontare in quel modo, ma mi sento di doverlo fare, di non sentirmi oppressa dalla paura di averlo fatto e, credo che in questo momento non posso che farlo con te. L’altra sera c’è stata una persona, tra i clienti della serata, che mi ha parlato di come ero un anno fa, tanto era passato dall’ultima volta che era stato con me e, mi ha detto raccontato il mio modo di essere e di fare e le parole che gli dissi, come le ho appena dette io a te, ed io non mi ricordavo affatto di ciò, e gli ho detto che ora in certi momenti mi si girava il cervello, che non mi ricordavo di quel che mi diceva, e quando lui mi ha detto che voleva parlare con me, andare in un altro posto, fuori da quella strada, gli ho detto di no che non lo facevo mai, che c’era, se voleva un’altra ragazza lì con me, sulla strada, che, non gli importava di passare altro tempo con qualcuno, soltanto per stare in compagnia, lui mi ha risposto che lo aveva chiesto a me, ma io non potevo, non volevo, gli ho detto. Non so se queste mie parole ti appaiono vicine o lontane, ma forse il mio desiderio è di essere lì con te senza paura, di trascorrere il tempo, forse in un altro modo, salutami gli amici vivi e i conoscenti, che puoi, anche se tu sola sai quale sia la mia vita – perlomeno non sono una donna che fa la guerra – sono senza fucile, e saluta i tuoi e i miei genitori, ho scritto anche a loro, spero che riuscirai a ricevere questa lettera, che non sia troppo tardi,

tua

Natashia

 

 

È sera, o meglio notte, e guardo il quaderno in cui scriverò domani, è nascosto sotto il materasso e neanche le mie compagne di stanza si sono accorte che ho un quaderno. Forse domani mi lasceranno in pace e mentre dormono potrò scrivere, se nessuno verrà a prendermi. E scriverò … non ricordo come sono arrivata in questa nazione, non ricordo se sono stata io che ho preso il battello, e tutte quelle ore in macchina, da un po’ dicevano che l’Albania era libera era finito il comunismo e io ero per strada, poi dove sono andata come sono finita qui, qualcuno mi ha preso o ci sono voluta venire io. Mi hanno costretta a stare sulla strada, è un posto strano, degli sconosciuti vogliono venire con me per fare sesso, e io non ricordo con chi lo abbia mai fatto, mi hanno sedotta o forse violentata, non so e poi mi hanno detto cosa dovevo fare, qui sulla strada. Mi danno dei preservativi che devono corrispondere al denaro che guadagno, dicono che loro mi danno quello di cui ho bisogno, basta che faccia quello che dicono, mi hanno anche picchiato. Uno dei primi clienti, persone, con cui ho fatto questo per i soldi che dovevo guadagnare, mi ha chiesto delle cose, alcune le ho capite altre no, mi ha detto che non avevo fatto molto all’amore e io non capisco se sia giusto che lui dica questo se ho sbagliato, poi mi ha detto che non era giusto che io stessi lì, che era meglio che non ci tornavo più in quella strada, e io non capisco se mi dice questo perché non vuole pagarmi, non ho saputo chiedergli i soldi prima, non rispondo e rimango in silenzio. Mi chiede che cosa significasse quell’anello che portavo al dito, gli rispondo ch’è passato, che non esiste più, poi non dico più niente. Mi dà i soldi, mi riaccompagna sulla strada. È tornato un’altra volta, poi ogni tanto lo vedevo che passava. Su questa strada spesso dobbiamo nasconderci e non farci prendere, nelle retate, perché non abbiamo il permesso di stare qui e quando le forze dell’ordine, fanno queste cose, qualche volta non ci fanno andare a lavorare alla solita ora. Ogni tanto vengono delle persone che mi insultano, che si avvicinano con le auto, e mi dicono che devo vergognarmi, che faccio una cosa scandalosa, che devo smettere e andare con loro, mi urlano che faccio schivo che devo cambiare, non so che cosa vogliono da me e ho paura che mi scoprono quelli che mi fanno stare sulla strada e mi picchino. Con il passare del tempo sono dimagrita, mi dicono che adesso sono più bella e attiro più clienti, sono più brava, qualche volta mi fanno sniffare della polvere con il naso, dicono che mi fa stare meglio. Ma non so il mio corpo sembra che non si è abituato a tutto questo, che non so fino a che punto lo voglia. Stasera ho rivisto quello della prima volta, si è fermato e sono salita sulla sua macchina, ci sono stati diversi, molti, clienti questa sera. Mi guarda e mi dice che sono dimagrita, io sto per sorridergli, ma lui mi dice: non ti sarai mica presa l’aids, eri meglio quando eri un po’ più grassa, rotonda, poi mi chiede dove deve andare con l’auto, io mi sento strana perché ho preso, sniffato come mi hanno detto di fare, mi spoglio e lui mi domanda delle cosa su di me sulla mia famiglia, io sono nervosa, rispondo con degli ah ah, poi gli dico che cosa vuole perché mi chiede tutte quelle cose, mi fa altre domande ah ah, gli dico di fare e gli prendo il sesso e me lo metto dentro, sente che sono asciutta, mi dice che non ne ho voglio che non ce la faccio, che sto a fare lì, e allora glielo prendo e glielo metto di dietro come mi hanno insegnato, ma lui, si accorge e dice che non vuole così, lo vuole fare nell’altro modo e allora glielo rimetto davanti, dopo un po’ mi dice che dobbiamo smettere, mi dice, ma che stai a fare qui, perché non torno a casa, poi mi dice che se voglio mi aiuta, che mi accompagna dalle forze dell’ordine, che mi porta fino a brindisi per mettermi su un traghetto per l’Albania, io ascolto ma non dico niente, quando torniamo sulla strada, scendo e apro lo sportello e rimango lì in piedi, lui mi chiede le stesse cose, rimango lì in piedi non so quanto tempo, e sto zitta in silenzio, non so che fare, poi mi dice guarda che io non tornerò più con te, deciditi, ma io non so che fare e rimango lì ferma ad aspettare, poi lui mi saluta e io chiudo lo sportello dell’auto, qualche volta l’ho visto tornare e andare con la ragazza che era vicino a me, e io non sapevo che fare, non so se ne ho parlato a qualcuna delle altre ragazze, che cosa gli ho detto di lui. Domani scriverò tutto sul quaderno, domani mattina se mi lasceranno in pace, o forse no forse mi deciderò cercherò in qualche modo di salvarmi.

 

 

È proprio notte anche s’è sera quando stiamo lì. O meglio sono lì con le altre, di solito, o meglio da un po’ ci mettiamo in quattro l’una vicina all’altra, ci sono io, un'altra di un altro paese africano, una ragazza del mio stesso colore ma inglese e una latino americana, che ha la pelle che sembra sempre abbronzata più che scura. L’amore i sentimenti è un modo strano questo per pensare a ciò, come se tutto quello che facciamo tutto il giorno, o in parte della giornata, riguardasse ciò, ma in un modo stralunato, se posso dire così, ricordo che quando sono arrivata qui, la gente che incontravo era gentile e quando mi chiedevano che ci facevo con i soldi, dicevo che ci avrei comprato dei rossetti, una macchina e dei vestiti, così potevo andare in giro. I sentimenti erano proprio strani, erano perché ora non ci faccio più molto caso, al fatto che ti vogliano accarezzare o baciare i seni, i primi tempi mi sembravano strani e dicevo che no quelli erano per i bambini, mi sembrava strano che volessero i miei seni. Ma si cerca di stare allegre, anche quando le cose sono strane e non tutte le persone sono gentili, e certe volte alcune di noi diventano sgarbate e presuntuose. Ogni tanto, qui, quando succede qualcosa per il mondo arrivano delle nuove, certo anche se sembra non succedere niente di strano per il mondo, ci sono sempre delle ragazze. Forse le prossime saranno le russe o le ucraine come si sente chiamarle. La ragazza inglese da un po’ sembra sentirsi importante, perché ha scoperto di essere come una cantante statunitense e quando non gli dicono che assomiglia a lei, è lei a dire alle persone, non ti sembra che assomiglio quella cantante americana… un giorno ha incontrato uno che gli ha detto: guarda che tu sei meglio. È un tipo diverso e un po’ ci viene voglia di starci. E già, pensiamo di nuovo ai sentimenti e certe volte capita che ci si senta eccitate, anche, e ti viene voglia di farlo con qualcuno che ti piace, e che qualcuno con cui vai ti piaccia. Una volta la latino americana, è andata con una persona di cui avevamo già parlato tra noi, e quando gli ha detto che aveva una pelle morbida, veramente particolare e bella, a lei gli è venuto ancora più desiderio, ma non ci si lascia mai andare e non lo si fa veramente capire, bisogna sempre cercare di mantenere un vantaggio, qualcosa con cui potersi difendere e non rischiare di non essere pagate. E mentre faceva all’amore con lui continuava ad accarezzarlo con una mano sotto il torace, perché gli era venuto proprio tanto desiderio, sembra strano dire così, ma chissà da quanto … non faceva all’amore, e quando lui è venuto e gli ha chiesto che voleva farne un’altra, la prima cosa che è venuta di dirgli è stata: ce la fai, certo gli ha risposto lui, che forse aveva capito, e ha continuato ad amarla fino a quando” lei non ha sentito proprio tutto il piacere dentro di sé, e ha sentito il suo corpo palpitare, il suo sesso sussultare, pensando che lui non se ne fosse accorto e lui ha continuato ad amarla, ma dopo un po’ lei non sapeva più se era giusto, doveva farsi pagare e sentiva che si stava concedendo troppo, non era la regola, e ha incominciato a dirgli alcune cose sgarbate per farlo smettere, lui l’ha accarezzata, le ha dato un bacio sulla fronte, e le ha detto, che c’è sei venuta, lei ha fatto segno di sì con la testa, lui le ha detto che andava bene di stare tranquilla, ha visto che era ancora eccitato, ma senza guardalo, come se cercasse un modo per essere gentile, e quando l’ha riaccompagnata, si sono ringraziati e salutati. Ora l’altro giorno, mentre l’altra ragazza africana faceva cenno ad uno che passava di fermarsi, quello gli ha risposto che non poteva, e lei la latino americana gli ha detto bravo, e quello gli ha risposto grazie. I sentimenti, che baraonda.

 

Quando esco la sera per andare sulla strada, cerco sempre di prendere alcuni clienti con l’autostop, sono venuta da Bologna qui, per cambiare e magari stare al mare la mattina. La strada è buia e spesso mi sporgo un po’, per farmi vedere, forse non ho pensato che la gente qui è spesso nervosa o ansiosa, e ancor più che finisce per correre. L’altra sera un tizio si è fermato, procedeva normalmente con l’auto, e ha giocato un po’ con me a non capire che cosa volessi, tanto che non ho capito se dovevo dirglielo io, e una volta che ci siamo capiti mi ha detto che mi avrebbe solo accompagnato fin dove gli avessi detto, siamo stati a parlare per un po’, poi mi ha chiesto se avessi, se non pensavo che avere qualcuno a cui voler bene, se avevo qualcuno, gli dissi quello che è, che sì c’èra stato qualcuno, ma poi non dura non sono veri e propri amori, è sempre la stessa storia, poi mi ha chiesto se poteva incontrarmi di nuovo per parlare, che non mi avrebbe pagato, proprio solo per parlare, e mi è venuto di dirgli sì, che andava bene. Oggi è la sera ‘dopo e come sempre faccio l’autostop, o meglio qualche istante fa ero lì sulla strada che lo facevo, poi un auto mi è venuta addosso, adesso non sono più in nessuna strada, oggi mi riposerò un po’ e domani vedrò questo nuovo mondo.

 

 

Stasera non so come finirà questa storia. La gente urla e grida tutta insieme, ride per oltraggiare schiamazzando senza senso, e con quei gesti indicano e dicono senza senso. È peggio di una persecuzione, che se qualcuno è organizzato in tutto questo è un folle senza speranza. Sono tutti folli. Dicono cosa così insulse che diventa inutile non solo rispondere, ma faticoso essere obbligati ad ascoltare. Ed io continuo a non sapere dove andare. Una volta sembravo invisibile, si accorgevano di me, quasi per isbaglio, e come mi vedevano per lo più erano scocciati di vedermi, ora sembra che non facciano altro che cercarmi, come in un gioco senza senso, stanno lì per determinare la mia volontà, per urtarmi con i loro modi e le loro intenzioni, con le loro false attenzioni che poi si rivelano degli inganni, provano piacere a farsi i fatti più intimi, miei, cercano di insinuarsi nelle mie cose più private, nei miei ricordi più intimi e con quelli, creano una serie di molestie contro di me su cui stabiliscono la loro forza e superiorità. Oramai il mondo sembra pieno di porte a cui bussare, ma in realtà, ma in realtà vogliono solo che tu faccia quello che a loro serve, non gli importa un fico secco della persona, devi appartenere alla loro rappresentazione, per poi fare finta che non esisti se hai un’opinione o esprimi la verità, le democrazie dicono che non danno opinione alle minoranza, dicono che l’unione fa la forza, e questo sembra vero, ma vi posso garantire quasi mai la verità, la verità è solo un tornaconto una convenienza su cui stabiliscono se stessi, un ipotizzare sulla tua vita avendo loro la facoltà di dire ciò ch’è bene o male, fanno finta che tu rappresenti qualcosa se gli conviene sennò con la stessa convenienza, fanno finta che la verità non esiste come tu che magari la dici, e non sai più bene per quale miracolo riesci ancora ad esprimerla. Ma poi ora è ancora peggio, ora è solo una persecuzione, continua, una volontà che cerca di determinare condizionare l’opinione degli altri versi te stesso, verso di te di altri che tu neanche immagini chi siano, che sono in diritto di stare lì a molestarti anche loro, perché possono credere quello che gli Pare sulla verità. E continuassero a rubare la vita, continuassero a dire e parlare con la menzogna, continuassero così per farmi reagire ai loro ingannevoli insulti, continuassero a gesticolare ad urlare come matti senza senso, a parlare di cose futili e superficiali, a muovere la manina mentre gli sono davanti per poi ridere come dei dementi, sono diventate delle immagini associate a cui sono appesi dei gesti degli arti, e delle espressioni superficiali nel volto. Alcuni si sentono sofisticati e professionali, giustificati da questa loro condizione sociale, da cui dipendono per sapere chi sono e perché e allora sono in diritto di molestare professionalmente, possono fare esperimenti come li chiamano, a cui decidono chi e come bisogna partecipare, altri ancora guardano le statistiche e i risultati e altri ancora cercano di fare accadere, le cose come vogliono che siano, che se poi non sanno quello che fanno lo interpretano come più gli conviene, c’è posto in mezzo a tutto anche per le giustificazioni più criminali, per le pratiche più sconvenienti moralmente, tutta la società con grandi e piccoli sono tutti impazziti, tutti sconvenientemente convenienti, tutti persi nell’invidia nell’ignoranza e nella prepotenza, e competono a chi ride più stoltamente tra di loro, o a chi interpreta la stoltezza, nel modo più conveniente per chi li ascolta. È una persecuzione che non so dove finirà a cui non basta più neanche il silenzio per salvarsi, tutti protagonisti per menzogna conclamata. Io continua a camminare, portandomi dietro, tutto quel che ho dentro alcune buste di plastica, sono chiusa in un cappotto vecchio, ed io non so quanti anni ho, perché continuano a perseguitarmi, ho solo delle idee che neanche sanno che esistono, e anche se non gli importa niente di me, continuano a molestarmi, per far finta di non sapere chi sono e che fanno, per non sapere che sono in preda alla follia, perché è con questo modo che costruiscono la loro autorità, la loro identità. Og… di cer… e com…

 

Un temporale si è messo proprio qui sopra, sento la pioggia cadere e dei tuoni, mentre la radio perde il satellite coperto dal temporale, la spengo e mi sdraio sul divano e guardo, ascolto la pioggia che cade e ogni tanto ne intravedo le gocce nella notte. Non so da dove provenisse quello che ho ascoltato, quale radio dramma fosse, ma mi è venuto in mente dostojeschi kerkergaord, quasi che la possibilità non stia solo nel capire, ma in una liberazione dalla volontà che ci fa capire come essere, ma ancor di più dov’è la verità e quel che siamo. Mi appoggio al cuscino del divano e rimango con gli occhi aperti nel buoi, ancora per un po’, contemplo quel che vedo.

Se le gocce d’acqua, che così simili appaiono, tanto che poi si confondono e si mischiano, stanno le una all’altre senza che nessuna si senta per questo, associata alle altre, come una similitudine che per questo fatto, che si somiglino, debbano avere per forza un motivo per stare insieme, difatti il fatto che stiano insieme dice bene, che più o meno esprimono la stessa situazione, ma non è certo, anche se probabile che si incontrino tutte, cadono in luoghi molto lontani le una dall’altre e per quanto esse esistono sono insieme a delle altre, perché per lo più vi si son trovate. Eppure per queste gocce, non si pone la questione se per tale scusa debbano essere amiche, o associate alle altre perché stanno fungendo ad una funzione ed hanno per questo un’immagine da rappresentare dentro di se, per la loro espressione, nella situazione in cui sono. Le gocce d’acqua si esprimono naturalmente, e naturalmente si rappresentano. Ciò per le persone è improbabile non perché non vi siano grandi bellezze di pensiero e di conviviale armonia, come del resto di meravigliosa solitudine e riflessione, di amicizia o di amore, anzi sono proprio queste le cose più autentiche e meravigliose che bisogna riconoscere e vivere, ma l’essere umano per essere in armonia e dare alla propria espressione naturalezza, non ha derivazione dalla vicinanza, per cercare una scusa e un motivo per stare insieme, non che sovente proprio questo sia quello che accade, ma è nel bisogno di verità che poi ci si riconosce simili, non è questo che avviene quanto ci si riconosce associativamente nella scusa o nella finzione, esclusivamente, per rappresentare la giustezza dello stare insieme, quasi come delle gocce d’acqua, che nulla, veramente nulla chiedono e pertanto sono così naturali, ma manca loro quella possibilità che le fa essere generose, quella possibilità che dà alla spontaneità l’ascolto del silenzio, esse sono forse perfette in quanto tali, possono essere amate, ma di fatti forse, non amano. Le gocce cadono e risuona il loro raggiungere la notte e la terra. Io sono qui in questa mia vita senza scuse, senza associazioni convenienti, o losche e menzognere, non sono stimolata ad essere simile, solo perché è la cosa che più appare giusta, ma il mio essere diversa non è un contrasto, come vi può essere tra un simile e un altro simile, quasi per stabilire chi guarda chi e ne emula la convenienza più che essere simili per verità di coscienza, che forse non basta, ma del resto rende più partecipi. Non ci sono amici qui nel bosco e non ci sono perché nel bosco ci sono solo io, se gli amici ci sono potranno stare qui o altrove. Di certo non saranno solo un’informazione, una tecnica con cui stabilire una modalità che rappresenti la verità al di là di quel che la vita è senza tecnica, il rispetto non è convenienza, informazione sulla tecnica per la convenienza, ma è conoscenza senza bisogno, realtà che accade e non che bisogna che accada e che necessariamente appaia per nascondere quel che accade. Io ci sono insieme all’altro quando l’altro è, e non cerca solo di rappresentarsi, io posso anche riflettere e pensare da sola, o con Dio. Già si crede, si fa spesso che le persone che si vuol rappresentare, debbano essere non quel che sono, ma appunto che vengano rappresentate perché più persone credano di essere come loro, così nel minor impegno possibile e con la maggior convenienza, ora se l’esempio può far tanto, quanto meno il pensiero di immaginare per quell’esempio sia profondo e pieno di senso e di significato. Come può esserci ricerca di verità nell’amicizia senza ciò, e come può l’amicizia e ancor di più l’accettazione per amore essere reale e verificarsi anche nella concretezza di una condizione spirituale nella materia, o nella bellezza del corpo, lascio libere le similitudini, senza ciò!? Sono donna, non nego il mio corpo la mia carne, ma non sono contrapposta al verificarsi, alla pienezza della solitudine e del silenzio.

La notte è avanzata e dal divano passo al letto, mi addormento e aspetto così senza saperlo, il risveglio nella mattina.

 


La mattina il cielo è frammisto di nuvole e di sereno, sento l’aria sulle guance, mentre sull’uscio giro la chiave nella porta. Mi avvio verso il bosco, per tornare nella città, non so bene cosa debba aspettarmi dalla giornata di oggi. Mentre cammino penso, e quel su cui si riflette più spesso è proprio sui pensieri che si hanno, in fondo è contemplando i pensieri che guardiamo dentro di noi, o cerchiamo di capire gli altri, ma c’è anche quell’intuizione che fa sì che il pensare sia così rapido che spesso ci spiega le cose subito, non so poi credo che abbandonarsi alle cose dell’istinto sia qualcosa di ancora più spontaneo, non che per questo mi racconti per illusioni, ma è come se le possibilità e la scelta siano così vicine l’una a all’altra, che afferrare quel che accade debba essere di gran lunga più spontaneamente maturo e riflessivo, forse come se la bellezza e il desiderio ti spingano in ciò ch’è vero subitaneamente, senza scuse ma solo con la possibilità di esserci. Non so se le donne siano ancora così profonde, ma io se non vivessi solo della mia solitudine lo sarei. Anche e sopratutto nello slancio di un uomo che ti rende partecipe di sé non nelle cose, non nei modi che si rappresentano convenzionalmente importanti, ma del suo essere, del racconto dei suoi pensieri, del suo ascolto che avvolge i miei mondi, le sue parole non mi parlerebbero di quel che appare, ma di un mondo semplice e realmente visibile, che per se è già meraviglio e incredibile, ma le sue parole mi porterebbero verso gli stessi gesti, che come pensieri, avvertirei non visibili ma presenti e li toccherei come reali. Cammino dentro il bosco e guardo gli alberi che silenziosi stanno quasi in perenne osservazione del tempo. Ma se questo slancio in un uomo, è l’unico vero e possibile che mi faccia sentire il mondo, tanto che non cederei alla paura ascoltando le sue parole e non anche nella maestria e verità delle sue carezze, vorrei provare paura, ma lascerei che le mie parole sgorgassero dalla parte più profonda di me quella più vera e meno controllata, quella che non dimostra ma è, e con queste mie parole lascerei che quest’incontro si svolga. Guardo il bosco e penso al mondo più in là, e che rimane del mondo, non le carezze più vere e più semplici, non l’essere in sé meravigliosamente, ma un’eterna morte competitiva, dove tutto si è trasformato in regole economiche con cui controllare e dominare se stesse, le opinioni e le informazioni, in un monopolio del consenso, dove la donna è lo zimbello preferito e l’uomo il suo corrispettivo, tanto che la natura a quest’immagine debba soltanto uniformarsi, in un mondo senza esperienza ma colmo di informazioni non condivisibili, che non possono neanche capirsi interiorizzate, perché hanno bisogno di mostrarsi per esistere, un gioco delle parti senza né autore né interpreti, questa è la realtà che domina ogni percezione, che annulla la coscienza e dà alibi e giustificazione ad ogni conseguenza auspicabile da chi interpreta il volere, in cui tutti vogliono sentirsi partecipi, nella modalità più conveniente, quella di apparire mostrarsi, senza verità ma solo per vedersi guardati, in che tipo di esperienza è ingiustificabile, la più falsa possibile, in cui riconoscersi, anche senza pensare, come dei sosia che guardano se stessi, continuamente riprodotti, ovunque, per sentire di essere visti e guardarsi ovunque. Non so se quel che sento è la nostalgia dell’amore, forse è la sensazione che nel torpore del competere ogni tanto mi si libera e da ciò ricorda spontaneamente quel ch’è vero, che ancora conosce e anche se non c’è, sa il modo in cui può esistere. Esco dal bosco e i rumori della città, che poco fa incominciavano ad udirsi sono tutti presenti e rappresentati nei miei occhi, che poi si distraggono senza cercarli. camminando lungo i marciapiedi, mi inoltro nelle vie e guardo quello che mi appare, dalle case ai negozi, le strade intere con l’osservatrice acuta che in me cerca sempre la spontaneità. Ma che dire è un modo che ormai è così lontano da quello che si vede, è lontano nelle profondità di un potere economico basato sull’usura della coscienza, dell’essere umano stesso, come un assurdo debito morale nei confronti della guerra. Che bello è il sorriso! La gente è tutta coordinata e sembra che ogni persona abbia uno scopo per fare quello che fa, anche quelle persona che forse non appartengono più a nessuna rappresentazione sociale, sono in quel posto, magari a chiedere la carità proprio in rapporto, allo stesso mondo che dà loro questa rappresentazione, sembra che tutto in fondo corrisponda a tutto. Questo realismo dell’immagine è come la sostanza che dice chiaramente, dove sia ciò che determina il senso della coscienza di ognuno, e che all’inevitabile, non tanto alla libertà o all’intelligenza appartiene, non all’autenticità dell’essere umano ch’è diverso o malato, o ha il proprio rapporto con il tempo e lo spazio, in un luogo altro da quello stabilito ritenuto vero e giusto, tanto da rendersi ingiustificabile, nella tabella ipotetica delle giustificazioni del tempo e dello spazio riconosciuto, come rappresentativo del tutto, e allora l’estraneità di questa cosa è, una sorta di occultamento della verità, come negazione stessa della sua visibilità e rappresentazione giustificata. Ciò che è e pertanto non ha bisogno di giustificazione non deve essere rappresentato, perché ha in sé o la soluzione o il pensiero come vita e non rappresentazione giustificata dal consenso o dall’apparire del dissenso.

Sorrido ad una persona che mi viene incontro, che mi passa accanto e, va nella direzione opposta alla mia.

E allora mi trovo intimamente a condividere il mondo, a lasciare che viva dentro di me la mia consapevolezza del suo manifestarsi e, della verità che non smette di esistere, mi difendo, perché costretta dallo squadrismo sociale della folle arroganza della dimostrazione della propria dimensione di conoscenza, per dimostrazione giustificatrice di superiorità gerarchica all’interno delle figure che si rappresentano, e che si stabiliscono le una nelle altre, individui gruppi o etichette. Mi siedo in una panchina in un piccolo spiazzo, con qualche altra panchina e una fontana che zampilla, mentre intorno scorre il traffico. Su un grande manifesto, visibile all’altra parte della strada, c’è scritto a caratteri grandi, che ci sarà un’incontro dibattito, tra editori indipendenti e non a cui interverranno alcuni degli autori da loro scelti, con il patrocino di una multinazionale del supermercato, proprio nel momento in cui osservo quell’immenso manifesto pubblicitario, dinanzi ad esso, sotto, vedo passare una persona che dalla figura assomiglia a Van Gogh e venirgli incontro nella direzione opposta un tizio che assomiglia in tutto e per tutto ad una autore invenduto in vita, lì per lì mi viene in mente che sia un trucco di qualche agenzia di pubblicità, tanto sembra congeniale all’attenzione e all’identificazione dei più, tanto che anche io me ne sento un po’ turbata e arrabbiata, quasi non mi senta lasciata in pace, come se fossi cercata e obbligata a reagire, tanti sono i condizionamenti, che, o si diventa aggressivi e stupidi o si cerca di salvare se stessi, e a cosa devo pensare io alla bellezza alla profondità, al senso di quel che so ch’è vero, e non alla tecnica che cerca di farmi interpretare la verità, con sensazioni che portano verso la calunnia del significato. Rimango assorta mentre due persone indicano il manifesto che informa in fondo che una persona libera non ne può far parte se non conviene con la problematica che vi si tratta e che governa la questione tutta, ma questa è una mia constatazione, molti cercano di apparire nel contesto per essere famosi e sentirsi riusciti!?

Le dispiace se mi siedo qui vicino a lei, mi dice un uomo di mezza età con delle buste di plastica in mano e un gran cappello in testa, sa un po’ di compagnia fa bene, e dato che qui intorno ci siamo solo io e lei, ho pensato di sedermi sulla stessa panchina dove è seduta lei. Ha fatto bene, non credo che sia qualcosa di disdicevole che un uomo e una donna siedano sulla stessa panchina. E già potrebbe essere propri così, ma sa questo mondo è diventato come un calderone dove si butta dentro di tutto e tutto si rimescola in uno strano modo, tanto che poi c’è chi dice chi può entrare e chi no! Durante il giorno non posso non osservare, questo via vai di gente che continua a impazzire a fare cose con la più assoluta non curanza di quel che vogliano dire, le fanno senza capire quale sia il loro scopo, sono così informati su quello che devono fare e che succede, che quando parlano tra di loro è una malversazione continua, negano continuamente per affermare, più che altro non quel che sia quello che vogliono comunicare, ma quello che immaginano sia quel che pensano gli altri, devono anticipare le loro stesse intenzioni, che dopo qualche istante non sanno più neanche quali siano e allora più che ascoltare il senso delle parole, associano i termini, ha in mente cane gatto, pioggia freddo, caldo fastidio, e giù continui giudizi di merito per determinare la valenza del proprio io, in modo completamente demenziale, quasi che dicendo una parola si possa obbligare l’altro a parlare per forza di quel che si vuole e a fargli pensare quello che si pensa, come se quello che si esprime sia soltanto un volere da mostrare per quanto associato, si parla senza capire niente dell’argomento, né perché se ne parla, come una pubblicità di se stessi, si continuano a ripetere le informazioni più dette e nei modo più detti, indipendentemente dalla propria esperienza, che spesso per tali informazioni si annulla, tanto non potrebbe essere espressa in questo dialogo, non sarebbe conveniente, come del resto la comunicazione della propria conoscenza, perché l’argomento in gioco è la supremazia o l’esistenza del proprio io in riferimento, non solo alla contrapposizione ma alla dimostrazione più mostrata o biecamente rappresentata. È vero quel che dice e, spesso ciò è organizzato in modo consociativo, associativo, un po’, se non come la calunnia a Socrate. Ma è tanto psicotica tale condizione sociale, umana, così uniformata che hanno annullato la persona l’individuo come possibilità stessa di verità e virtù, come espressione singolare di se stesso, l’individuo non è più solo, ma emarginato dall’emarginarsi incosciente di interi gruppi e società che hanno scelto le pulsioni primarie, di sesso e fame, per la superiorità della loro opinione e morale collettiva, che diventa vera mostrandosi, nelle possibilità sublimate dell’appagamento e del controllo, per essa del bene e del male come della paura, il diritto legale come espressione autentica di fede e giustizia. Mi chiedo in definitiva se tale condizione così presente per me uomo che in fondo è ai margini della società, tollerato fin tanto che ci sarà una fontana che sgorga acqua liberamente, tanto che fingere tale ipocrisia … se essa smettesse si giustificherebbe la mia ingiustificabile posizione, come non più tollerata, tanto è regolato il senso, tanto che se si vedesse un profanatore del senso umano e finanche del rispetto sociale, avrebbe più proprietà in essere di esistere dello stesso mio non apparire. Ma mi dica lei cara donna che è rimasta qui ad ascoltare queste mie parole, ma non si è forse visti, non sono io visto come una persona incapace di comunicare, chiuso in un’immagine non comunicante, e sa, crede che nessuno saprebbe o si concede la sapienza finanche di pensarmi come un solipsistico sé, forse è proprio che io non debbo avere sé, se non bisogno, qual che sia il significato tra il termine carità e la sua valenza mostrata, io non posso ambire a tanto, alla dignità di essere solo, anche così, ma dinnanzi all’universo intero, finanche a Dio, al massimo io posso essere uno che insegna la carità senza averla che informa gli altri per necessità e non per sapienza, giacché che sapienza può venire da uno così, da qualcuno che insegna per mezzo della sua vita, come fosse Socrate, ma non è tale perché chi apprende, apprende dal suo esempio dalla sua stessa capacità di essere superiore perché ha qualcosa da dare ai miei bisogni, ma se sono solo io l’artefice di questa mia condizione come si spiega questo mio stato? Sono forse io che l’ho determinato? O io sono un uomo e un’eccezione nel variegato mondo dei barboni materiali, perché tale mi sento, per quanto abbrutimento ci possa essere in tale condizione tale mi sento, non altro. Se parlassi così, sempre, sarei tacciato di ingratitudine individualistica, e non emarginato, perché come avrà capito tale atto è inverecondo come il suo dimostrarsi, ma palesemente osteggiato anche nella mia condizione, con uno strano atteggiamento d’odio che non saprebbe a cosa appellarsi per rappresentarsi, se non alla sensazione stessa per chi lo prova.

Ma ora cara signorina bisogna mangiare e se permette le offro una mela e del pane.

Accetto volentieri!

È poca cosa rispetto all’attenzione che ha mostrato, ascoltandomi.

Mangiamo in silenzio, con i rumori del traffico. E io ascolto i pensieri delle parole appena dette, in silenzio mordo la mela e il pane, mi affaccio su me stessa in silenzio, mi vengono in mente altre cose ma le lascio subito andare via dalla memoria.

Cara signora guardi, è un bel libro e se permette glielo regalo, in questo mondo di assurdi riconoscimenti, dove la più palese ignoranza viene scambiata per fama e conoscenza, e dove ormai proprio tutti pensano soltanto a riconoscersi più che conoscersi e capire in un’opera d’arte, la invito a leggere questo libro, non è detto che ci trovi se stessa o il mondo nel modo in cui le appare di viverlo, anche se lei sicuramente, credo, saprebbe farne un’analisi interiore, insomma parliamo di un libro e di un autore vero, non di una rappresentazione fittizia dove vedersi mentre si fanno le cose più insignificanti o ancor peggio senza realtà interiore, tanto per dire di essere i protagonisti o come i protagonisti, tanto per classificare e classificarsi, ma mi scusi per l’eccesso della mia spiegazione ha sicuramente capito quello che intendo.

Grazie! Lo leggerò volentieri. Lo infilo nelle tasca della giacca, mi alzo dalla panchina e stringo la mano all’uomo. Ci salutiamo io torno a sedermi ancora un po’ sulla panchina, mentre l’uomo attraversa la strada e si allontana, dopo un po’ non lo vedo più.

Non me ne accorgo neanche ma come distolgo lo sguardo dall’uomo, vedo vicino a me un ragazzo che mi chiede dei soldi. Dammi dei soldi, ne ho bisogno, dammi dei soldi. Non ne ho proprio. Mi guarda poi mi fa non ne hai, come non ne hai il mondo intero gira su quello che faccio io, per me vengono finanziate tutte le borse, le multinazionali, falliscono con i con i fatturati in attivo, per poi essere riempite di nuovo, da quello che io produco, l’intero apparato della dittatura del liberismo behaviorismo si regge su quello che faccio io, me lo ha detto ieri uno che me lo ha spiegato per bene, che ormai se l’economica mondiale regge è solo per me e per le armi e la guerra, ma io con queste altre cose non c’entro. Dammi dei soldi!? Non li ho, veramente. Ma come non vedi tutta la pubblicità che c’è, non vedi quanti tecnici ovunque, nel commercio, nello stato nei privati, non vedi la televisione, c’è una fiction con il linguaggio di uno stop pubblicitario, la pubblicità con lo stesso linguaggio il varietà lo stesso, il documentario parla della vita e della morte come lo spot, la gente della televisione è messa lì per far fare e pensare alla gente in un certo modo, ma a che cazzo servo lo spot se non ha manipolare la gente, a drogarla e rincoglionirla, questo di drogarla e rincoglionirla lo dico io, non me lo ha detto quel tizio di ieri, dammi dei soldi, sono un drogato, non la vedi la televisione è fatta con i soldi miei! Scusa ma non so di cosa stai parlando, non mi interessano queste cose, non mi interessano affatto, voglio fare la mia vita, queste cose proprio non le voglio. E neanche io le voglio, dammi dei soldi ne ho bisogno, non ne ho caro amico non ne ho. Passa vicino a noi un persona, lui mi dice be’ lì chiedo a lui … è tutto un behaviorismo uno squadrismo, sono tutti controllati dalla mafia o chi per loro, ma no quella di una volta e l’unica cosa di cui si preoccupa la gente è di farne parte, co i soldi miei, ciao vado a chiedere i soldi a quello là. Ciao!

Ciao.

Mi alzo dalla panchina e riprendo a camminare, attraverso le vie della periferia e quelle del centro, come suol dirsi … poi mi trovo a passare su un punte chiuso alle automobile e mi siedo su una panchina da dove si vede il fiume che scorre sotto e l’orizzonte che per un gran tratto si apre alla vista, tra colline e cielo e colore, resto così in silenzio a contemplare la luce del giorno che scende nel pomeriggio inoltrato, vedo arrivare sul punte una donna che ogni tanto si lascia andare a dei saldi, come fosse una ballerina, ma nel modo, all’in su, sembrano più quei saldi che fanno i ballerini e volteggia con un mantello leggero, che come si muove e galleggia nell’aria dà alla persona che lo porta come la percezione di appartenere ad uno spazio quasi altro da dove mi appare, eppure è proprio qui, sul ponte, sembra incredibile. Quando mi raggiunge vicino la panchina dove sono seduta, mi guarda e mi saluta con un gran sorriso ed un inchino: “Armando La Rochelle”, mia dolce amica, mia cara amica. Armando pensavo fosse una donna, con un leggero sorriso di approvazione, faccio rivolto a lei. Sono donna e sono uomo, mia cara amica, due sono i sessi e non altri e in ambo i due io gioco il ruolo della rappresentazione, sono uomo e donna di teatro e la vita è uno svolgersi di profonda riflessione, di-svelo e rivelo, la coscienza e le sensazioni, i pensieri e gli inganni della mente, il dramma e la profondità dei suoi pensieri; cosa può approdare alla vita se non la vita stessa, che per se è già vera, e allora se il gesto sembra non apparire è pur sempre lì presente nel significato delle parole, quando recito, e il di-svelamento del mio corpo, scopre solo il torpore della coscienza di chi ascoltava, di chi interpretava, e forse anche compiacendosi del proprio io. Si mi segua nel discorso, ascolti. Si compiacciono del proprio io gli spettatori quando ascoltano!? Possiamo spessissimo affermare che la loro coscienza si intorpidisce e non vede quel che realmente gli si mostra, sono spesso dei mostri saccenti di insensibilità. In effetti ascoltandomi lei penserà che è uno strano ruolo quello che mi fa interprete a attore di me stesso, sono vero come è vera la mia interpretazione, come sono autentici gli atti che in scena mostrano e quelli che nascondono, di fatti, o del resto, non è proprio su questo che la coscienza dello spettatore si fa chiusa o aperta, spesso si annulla o essi stessi si annullano, perché perdono il di-svelamento di se stessi, si fingono rappresentati, proprio nei loro pensieri profondi, spesso, a teatro, non si riconoscono più, però, e perché immaginano le informazioni che hanno imparato, si appiattiscono su questo, in una rinunzia beata e beota, della sensibilità e dell’intelligenza, in una compiacenza di sé, quale giudice e interprete della volontà della coscienza, nella piccola codifica, d’immaginazione priva di vera profondità e libertà, in un atteggiamento in cui credono di rappresentare il sapere e la giustezza di esprimerlo, un atteggiamento consunto di una realtà fittizia, arruolata nei ruoli stessi della convenienza della coscienza che sostà alla compiacenza di un’opposizione o di un’economia, quale riflessione intelligenza, realtà, come può penetrare in codesti quando così si, essi sono, e dicono anche di rappresentare, confondono la vanità per modestia, il talento per consenso, il teatro per un palcoscenico senza palco, la parola scritta, per ciaceria del ripetersi delle loro chiacchiere che non si guardano e non si ascoltano si ripetono, soltanto, tra di loro, con loro, per loro, tutto qua. E allora io son sempre io, uno il mondo e infinito, due i sessi che vi appaiono, cosa essi son, quanto si rappresentano, sono sempre essi e lo sa Iddio. Vedo che giunge la sera è lei è stata quei a vedere sentirmi, mi lasci essere ancor gentile, mia cara amica, mi lasci e mi prenda e andiamo insieme come due care amiche e come due rappresentativi io che si moltiplicano, ma pur sempre due sono, … andiamo a cenare insieme, che il desinar della sera mi è gaio oggi, e silenzioso di pubblico, che il teatro giace in me, in me soltanto.

Mi ha portato in un posto dove la luce riscalda e tovaglie ricamante adornano i tavoli, dove i pavimenti respirano e i lampadari brillano d’oro e cristalli, il damascato delle stoffe che adornano i muri, toglie il tempo a quel che sta accadendo fuori di qui e, pasteggio e sorseggio contenta, si credo proprio contenta, è così improprio tutto questo.

Mentre a sera inoltrata verso notte, ripercorro il bosco verso casa, ogni tanto mi viene da sorridere silenziosamente, ripensando alla serata che ho appena trascorso con Armando La Rochelle, poi torno silenziosa orientandomi nel bosco, per non perdermi.

 


Al risveglio la mattina, il sole ogni tanto distoglie le nuvole e riscalda l’ambiente, e mi accorgo che il tempo trascorre, trascorre forte e silenzioso e le parole vengono da sole, quasi si potessero, e si possono scrivere poesie senza carta, lasciate alla memoria e a quel momento solitario, quasi tutte dimenticate ma vissute, quante meravigliose poesia, che se la fede non si fosse persa ogni volta che ha trovato qualcosa, e invece, magari fosse stata così in attesa come queste poesie, non sarebbe forse diventata un coniugatore di follia o di morte con la giustizia. E non di uno strano momento si ricorda, ma della profondità introspettiva e della sua liberazione, poesie vissute attraverso quelle persone che hanno vissuto tutte le follie umane, che la storia e i mondi collettivi generando si assolvono e condannano, la fede che nega, la fede che innalza tutto nel crogiolo della paura della storia umana. Ma è un po’ triste pensare a queste cose, qui, se basta un’anima per capire, perché così sovente, generazioni e generazioni di esseri umani rimangono in balia del tempo e dei suoi errori senza capire comprendere, eseguendo irresponsabilmente quel che sentono, quel che percepiscono. E allora quando è semplice l’amore riempie il tempo, sente le cose piene e i momenti veri e gli esseri umani non più superficiali, mai più, che si stupissero e incuriosissero delle cose profonde vere, quelle che sono semplici per questo, veramente. E allora qualcuno non ricordo quando, mi chiese, ma io ho deciso di credere e che cosa devo fare in fondo per convertirmi di me stesso, se non credere in Dio e nell’amore, nell’amore senza bisogno d’altro, per credere in Dio, ho bisogno di questa semplicità. Ci vuole verità, ci vuole verità. E ascoltare senza consenso, senza distogliersi dall’amore.

 

 

 

 

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