Patrizio Marozzi - Nessuno pag.205

 

 

                                                                               

 

 

     NessunO

                 Sul piano astratto degli emisferi cerebrali

 

 

 

 

 

 

 

 

 

se le immagini hanno rappresentazioni, alle parole è giusto dare significati, altrimenti invertendo le parti il significato non è lo stesso e le parole non hanno più bisogno delle immagini e i significati debbono essere - non solo "rappresentati". mancando una parte non si acquisisce una parte mancante - rappresentazione - ma un'altra parte, non solo rappresentata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Patrizio Marozzi Via IV Novembre, 19

63037 Porto D’Ascoli A.P.

 


La Repubblica.it Forum

La Rai del centrodestra – cosa ne pensate…

 

ancora pensare? [1800 caratteri sono troppi per pensare]

 

Autore: Patrizio Marozzi (---.27-151.libero.it)
Data: 17-04-02 11:32

IO non credo che sia più il caso di pensare, a meno che non si riesca a farlo insieme a qualc-uno o da soli; ma ciò non apporterebbe nessun cambiamento, in quel che sono i fenomeni sociali di massa - dove da tempo non solo non si pensa, ma non è neanche possibile ragionare (parte del pensare), e allora nella irragionevolezza degli urli in coro, chi urla più forte dice la verità - che poi la realtà non abbia nulla a che fare con la verità, la dice lunga su quale sia la nostra capacità di pensare, perché se la verità è la realtà, allora il volume rappresenta la misura con cui dimostrarla . ciò in un certo qual modo mi ricorda i rapporti di forza, di machiavellica concezione - allora chi è più forte dice la verità e costruisce la realtà, in conclusione qualunque essa sia. C’è poco da fare, se non forse tornare a pensare, per sapere che la realtà è parte della verità, che spesso non si riesce a capire fino in fondo; a questo punto si può anche ipotizzare che ci possa essere dell'etica, con la sua morale - forse non sarà la totale consapevolezza della verità, ma può bastare per quell'equilibrio che contiene l'etica in un ambito di altruistica responsabilità - senza super IO proiettivi con cui interpretare la realtà. Nella società di massa, mondiale e contemporanea, poco lascia le speranze perché ciò non accada. Continua

 

ancora pensare? 2 [1800 caratteri sono troppi per pensare]

 

Autore: Patrizio Marozzi (---.27-151.libero.it)
Data: 17-04-02 11:32

Pertanto è consigliabile uscire da tali fenomeni ed individualmente iniziare a pensare, fare una scelta autonoma e coniugarla ad altre scelte autonome, a quel punto poco importa quali strumenti useranno, se la televisione o la pubblicità o la propaganda, la libertà di pensare rimane inviolabile - se poi la forma di potere in atto, è su questo che vuole agire, la questione rimane aperta e il prezzo della libertà sono solo quelli che pensano a pagarlo responsabilmente - gli altri sono tutti gli irresponsabili che vivono nella “realtà”.

 

 


           DOCUMENTARIO

                        Continuiamo a farci del male

 

A e B inviano un messaggio nella casella postale di C  e C genera “Y”

----- Original Message -----

From: A

To: B

Sent: Thursday, February 07, 2002 11:28 AM

Subject: Ma che bella robina!



>

> Sull'Espresso di questa settimana c'e un articoletto che spiega che

> recentemente il Parlamento ha votato all'UNANIMITA' e senza astenuti un

> aumento di stipendio per i parlamentari pari a circa 2.200.000 lire al

>mese.

> Inoltre la mozione e stata camuffata in modo tale da non risultare nei

> verbali ufficiali.

> STIPENDIO 37.086.079 AL MESE

> STIPENDIO BASE 19.325.396 al mese

> PORTABORSE 7.804.232 al mese (generalmente parente o familiare)

> RIMBORSO SPESE AFFITTO 5.621.690 al mese

> TELEFONO CELLULARE gratis

> TESSERA DEL CINEMA gratis

> TESSERA TEATRO gratis

> TESSERA AUTOBUS - METROPOLITANA gratis

> FRANCOBOLLI gratis

> VIAGGI AEREO NAZIONALI gratis

> CIRCOLAZIONE AUTOSTRADE gratis

> PISCINE E PALESTRE gratis

> FS gratis

> AEREO DI STATO gratis

> AMBASCIATE gratis

> CLINICHE gratis

> ASSICURAZIONE INFORTUNI gratis

> ASSICURAZIONE MORTE gratis

> AUTO BLU CON AUTISTA gratis

> RISTORANTE gratis (nel 1999 hanno mangiato e bevuto gratis per 2.850milioni

> di lire)

> si intascano uno stipendio, hanno diritto alla pensione dopo 35 mesi in

> parlamento mentre obbligano i cittadini a 35 anni

> INDENNITA' DI CARICA (da 650.000 circa a 12.500.000)

> 200.000.000 circa li incassano con il rimborso spese elettorali (in

> violazione alla legge sul finanziamento ai partiti), 50.000.000 ogni anno

> ciascuno e fondano un giornaletto. (Es: la sig.ra Pivetti, l'auto blu ed

>una

> scorta sempre a suo servizio)

> La classe politica ha causato un danno al paese di 2 MILIONI E 446 MILA

> MILIARDI.

> La sola camera dei deputati costa al cittadino 4.289.968 AL MINUTO

> Far circolare.......stiamo promovendo un referendum per l'abolizione dei

> privilegi di tutti i parlamentari............queste informazioni possono

> essere lette solo attraverso Internet in quanto quasi tutti i mass media

> rifiutano di portarle a conoscenza degli italiani......

>

> PER FAVORE CONTINUATE LA CATENA.

> GRAZIE!!

>

>

 

-----Original Message-----
From: C
Sent: lunedì 11 febbraio 2002 10.55
To: B
Subject: qual è il problema...

...che tu sia rimasto fuori da quanto "sopra" o che io debba pagare quanto sotto?

(ddd)

 

----- Original Message -----

From: B

To: C

Sent: Monday, February 11, 2002 10:55 AM

Subject: RE: qual è il problema...

 

ma chi sei scusa?

ci conosciamo?

 

 

-----Original Message-----
From: C
Sent: lunedì 11 febbraio 2002 11.21
To: B
Subject: R: qual è il problema...

Codesta domanda tu devi rivolgere a te stesso. Dato il tuo proclama.

...o vuoi conoscermi?

Cordialmente

Patrizio marozzi

 

 

----- Original Message -----

From: B

To: C

Sent: Monday, February 11, 2002 11:21 AM

Subject: RE: qual è il problema...

 

Guarda, deve esserci stato un qui pro quo, io non ho fatto nessun proclama, ho ricevuto una tua mail ma credo di non conoscerti, tutto qui.

 

 

-----Original Message-----
From: C
Sent: lunedì 11 febbraio 2002 11.28
To: B
Subject: R: qual è il problema...

Allora comunica con chi ti ha mandato il proclama. Grazie.

 

 

----- Original Message -----

From: B

To: C

Sent: Monday, February 11, 2002 11:28 AM

Subject: RE: qual è il problema...

 

tu me lo hai mandato!

 

 

-----Original Message-----
From: C
Sent: lunedì 11 febbraio 2002 11.36
To: B
Subject: R: qual è il problema...

Se sai leggere leggi il tutto. (ddd) - o ti sei già perso.

 

 

----- Original Message -----

From: B

To: C

Sent: Monday, February 11, 2002 11:37 AM

Subject: RE: qual è il problema...

 

Senti, la conversazione con te sarà anche estremamente piacevole, però a me interessa poco sia degli stipendi dei politici di cui mi hai fatto una dettagliata sintesi, sia di comunicare con l'autore del proclama.

Best regards.

 

 

----- Original Message -----

From: C

To: B

Sent: Monday, February 11, 2002 11:45 AM

Subject: R: qual è il problema...

 

Per cortesia data la tua palese e dimostrata cafoneria. eviti in futuro per qualsivoglia motivo di disturbarmi.

 

Cordialmente

Patrizio Marozzi

 

Ipotesi di variabile

 

X-Originating-IP: [217.141.1()4.122]

X-Originating-IP: [217.141.1()4.123]

 

Return-Path: <A@hotmail.com>

Received: from smtp4.libero.it (193.70.192.()) by ims3a.libero.it (5.5.042)

        id 3C478DB9004E7551 for C@libero.it; Thu, 7 Feb 2002 11:28:26 +0100

Received: from hotmail.com (64.4.19.1()) by smtp4.libero.it (6.0.040)

        id 3C48678F02E5E8C0; Thu, 7 Feb 2002 11:28:52 +0100

Received: from mail pickup service by hotmail.com with Microsoft SMTPSVC;

             Thu, 7 Feb 2002 02:28:24 -0800

Received: from 217.141.1()4.123 by lw12fd.law12.hotmail.msn.com with HTTP;

            Thu, 07 Feb 2002 10:28:24 GMT

X-Originating-IP: [217.141.1()4.123]

From: "A" <@hotmail.com>

To: B @nextrasgr.it

Bcc:

Subject: Ma che bella robina!

Date: Thu, 07 Feb 2002 11:28:24 +0100

Mime-Version: 1.0

Content-Type: text/html; charset=iso-8859-1

Message-ID: <F101OJXsNQptgFrYILo000108c3@hotmail.com>

X-OriginalArrivalTime: 07 Feb 2002 10:28:24.0809 (UTC) FILETIME=[2C7E8590:01C1AFC2]

 


La Repubblica.it Forum - Parliamo di Siddharta

 

Dimmi!

Autore: Patrizio Marozzi (---.27-151.libero.it)
Data: 31-01-02 10:26

...mi sembra una cosa a dir poco strana - che? - Che la Repubblica abbia deciso di editare una serie di libri che oggettivamente sono stati tutti...letti - che poi la parola letti sia una specifica assonanza con il significato di mobile adatto al sonno, mi fa apparire incredibile la circostanza-sostanza che questi "letti" abbiano, granché avranno, ancora un grande numero di lettori avuti, ma che forse non hanno ancora letto i letti -

 

Dimmi! 1

Autore: Patrizio Marozzi (---.27-151.libero.it)
Data: 31-01-02 10:26

ma ciò che mi sollazza e mi sobbalza, dentro, non so ancora in quale parte è ancora la parte che chi non ha letto i letti sono molti di quelli che vanno a letto con le decelebrazioni del grande fratello. (che per una strana alchimia dell'informazione alcuni di loro si siano svegliati?) - di quale parte e in che parte non so - e che si torni a celebrare forse...è un po' angusto il significato ...se di quella parte è solo la parte della scuola a celebrare o quelli del Maurizio Costanzo dove l'importante è leggere come in un buon paese di analfabeti e in questo vi è una valenza oggettiva della lettura [virgola] continua...

 

Dimmi! 2

Autore: Patrizio Marozzi (---.27-151.libero.it)
Data: 31-01-02 10:27

che poi la letteratura possa essere anche arte, sembra diventata un'ipotesi...? Peccato, speranza fu e speranza è che alla fine di tutti i letti qualcuno si svegli e comprenda che la possibilità di avere nuove soluzioni [nella propria forma mentis (...)] ci dà la possibilità di scegliere di essere liberi, se poi qualcuno prima dei letti letti ha talento può scegliere quali letti leggere, e saprà capire la differenza tra un libro da leggere e il suo letto, trovando entrambi magnifici. P.S per la redazione
- le righe son più di quindici, ma lo spazio è quello da voi inteso. Grazie alla redazione e ai lettori.

 


Le accuse di Moretti

 

viva Moretti

Autore: Patrizio Marozzi (---.27-151.libero.it)
Data: 03-02-02 20:45

...e chi se lo scorda il primo amore. In una sera di una adolescenza di qualche anno fa, in seconda serata, sul "secondo", vidi - Io sono un autarchico. Chi cavolo è questo...? Poi il cinema americano, il digitale al posto del super otto... Poi la fama e la gloria, ma Moretti è rimasto lì, c'ho avuto qualche timore, ma in fondo perché. E ora viva Moretti mi respira un po' il cervello, vedo, che qualche artista che pensa c'è e l'indipendenza intellettuale è una componente indispensabile perché ciò accada. Che sia Moretti a ricordarci anche di Pasolini, vi dirò, a me lusinga.
viva Moretti

 

Leggo i messaggi del forum, ma ho come l’impressione che gli elogi a Moretti non siano tutti sinceri. Allora telefono ad un mio amico informatico; mi dice che forse gli elogi a Moretti sono fatti per dare più forza alle sua accuse. Ma allora come si fa a sapere se sono sinceri o no; già! Come si fa a saperlo.

“Che dici invio un altro messaggio? E se dopo c’è altra gente che imbroglia? …Sì! No! Non lo mando.”

Dopo aver salutato il mio amico informatico, decido di scrivere un altro messaggio al forum.

 

la poetica è superiore alla politica

Autore: Patrizio Marozzi (---.27-151.libero.it)
Data: 04-02-02 10:31

Che la forza dell'arte, con il relativo impegno morale e intellettuale sia cosa incontrollabile, e che chi ha bisogno di potere ambisca ad avere le capacità di controllo su tale forza ne è piena la storia. E che Moretti abbia parlato con le parole di Bertinotti - che Rutelli gli abbia risposto con le stesse parole che rivolse a Bertinotti - che Moretti il giorno seguente ha dichiarato che la colpa della perdita del centro sinistra è stata di Bertinotti, che se ne compiace come fosse arrivato quinto nel campionato di calcio - e che il centro destra abbia denigrato Moretti con le parole che espresse Emilio Fede, mentre Moretti chiedeva in un suo film a D'Alema di Parlare per non cadere nella logica degli slogan televisivi di Berlusconi. Ci spiega chiaramente che IL Modo di fare politica è fatto dalle persone e che le parole acquistano per questo un loro significato - in questo c'è molto della poetica artistica di Moretti.

Continuo a leggere i messaggi del forum e noto che ce ne sono molti che ora dicono che Moretti non è un artista, che Moretti farebbe bene a prendere una posizione indipendente nei suoi film. Una donna dice che Moretti non ha parlato come artista, ma come uomo. Poi La Repubblica pubblica una lettera di Moretti. Decido di salvarla sul mio computer, perché credo che potrà servirmi per il mio libro.

 

 

Il regista spiega il suo "schiaffo da elettore"
dopo il discorso di sabato in piazza Navona


"I leader dell'Ulivo
imparino ad ascoltarci"



di NANNI MORETTI

 


IO SONO un moderato. Infatti voto Democratici di sinistra; ma essere moderati non significa essere passivi, rassegnati, abituati alle peggiori anomalie e anormalità italiane. Del mio intervento di sabato scorso, qualcuno ha detto: non era quello il modo, non era quello il luogo. Rispondo: ma se non ora, quando? Cos'altro dobbiamo aspettare? Non mitizzo quella che viene chiamata "società civile". Penso che la politica debba essere fatta dai politici di professione, che sappiano però ascoltare il loro elettorato.

Noi siamo imbarazzati, siamo a disagio di fronte all'inadeguatezza dei dirigenti dell'Ulivo. L'espressione è un po' brutale, ma noi elettori siamo i datori di lavoro di quei parlamentari; se prima non sono stati capaci di intuire il nostro disagio, oggi devono saper ascoltare quando cominciamo a parlare. Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, è stato processato e lo è tuttora per
accuse gravissime. All'estero basterebbe un centesimo dei punti interrogativi che gravano sulla sua carriera di imprenditore per fargli smettere di fare politica.

La situazione italiana è pazzesca, anormale, e però è irreversibile: a Berlusconi è stato permesso, unico caso nel mondo democratico, di avere tre reti televisive nazionali; è stato permesso, contro una legge esistente, di essere eletto, poi di diventare presidente del Consiglio (e tra alcuni anni, chissà, anche presidente della Repubblica). Sì, c'è una legge che vieta l'eleggibilità di chi abbia concessioni pubbliche, e giustamente Sylos Labini ce lo ricorda da tanti anni. Ma ormai c'è una situazione di
fatto: ci sono state elezioni legittime che hanno visto vincere una persona che illegittimamente siede in Parlamento. Oggi bisogna fare i conti con questa situazione
assurda in una democrazia.

c'è uno speciale e nuovo, rispetto alla vecchia Democrazia Cristiana rapporto tra Berlusconi e il suo elettorato. Un rapporto di identificazione da parte di persone che nulla hanno a che vedere con lui. Il suo elettorato crede che i comunisti abbiano governato per cinquant'anni perché lo dice Berlusconi, crede che la maggioranza dei giornali e delle televisioni siano in mano alla sinistra, crede che Berlusconi sia perseguitato dalla magistratura, crede che il capo di un'azienda possa far bene il capo dell'"azienda Italia" (anche se la crescita e l'affermazione delle sue aziende è viziata, secondo molte inchieste, da innumerevoli e varie irregolarità ma questa non è materia politica).

Qualsiasi cosa Berlusconi dica o faccia che metta in dubbio la sua onestà o capacità, non gli provoca la perdita di un solo voto. Berlusconi fa il pieno del suo elettorato
potenziale (riuscendo a trascinare anche i seguaci di Alleanza nazionale, che con il partito-azienda di Berlusconi non c'entrano proprio niente). Nel centrosinistra c'è bisogno di qualcuno che con la sua autorevolezza riesca a fare il pieno dell'elettorato
potenziale del proprio schieramento, che sappia parlare all'anima, alla testa, al cuore degli elettori.

Ci sono tante persone che sembra non aspettino altro che un segnale di tranquilla fermezza, di serena decisione. Devono ricominciare a sentirsi rappresentate, mentre l'impressione è che i dirigenti dell'Ulivo siano in attesa degli errori di Berlusconi, senza che a loro tocchi fare nulla.
Paradossalmente, dopo la vittoria di Prodi e dell'Ulivo nel '96, è stato proprio il centrosinistra a riqualificare politicamente Berlusconi, che veniva in quegli anni
considerato come perdente dal suo stesso schieramento, che infatti si era già messo alla ricerca di un nuovo leader.

Dopo il '96, alcuni dirigenti del centrosinistra hanno
cercato addirittura di riscrivere la Costituzione assieme a lui, regalandogli la patente di "statista". Ora a me sembra che Berlusconi sia proprio il contrario dell'uomo di Stato: la democrazia è qualcosa che gli è estranea, che non riesce bene a comprendere, e comunque gli fa perdere tempo. Sta facendo delle leggi a suo uso e consumo e a questo proposito è sconcertante come dai partiti suoi alleati non giungano voci di dissenso. Altri errori sono stati fatti in quegli anni, dal centrosinistra: mancata legge antitrust,
mancata legge sul conflitto d'interessi.

Credo, e la cosa è ancora più grave, più per sciatteria che per calcolo. Ma il governo Prodi aveva un'autorevolezza e una credibilità inimmaginabili per un governo italiano. Il declino dell'Ulivo è cominciato dalla caduta del suo governo, voluta in Parlamento da Rifondazione comunista (autunno '98). In quei mesi si poteva (e si doveva) andare alle elezioni politiche anticipate. L'Ulivo non ha avuto quel semplice coraggio, anzi, un dirigente della sinistra ha dichiarato pubblicamente: "Non possiamo andare alle elezioni, perché altrimenti consegneremmo il
paese alla destra".

Che concezione della democrazia può avere una persona che dice una cosa del genere? Non andando alle elezioni, l'Ulivo ha permesso a Berlusconi di battere e ribattere per anni sullo stesso tasto: il governo D'Alema non è legittimo. Un governo è legittimato dai voti che trova in Parlamento, però è vero che dalle elezioni del '94 è come se sulla scheda noi elettori indicassimo il nome del candidato premier. Era insomma un governo più che legittimo in Parlamento ma, è vero, il premier D'Alema non era legittimato dal voto popolare. Ed è necessario ricordare che l'elettorato cattolico dell'Ulivo ha vissuto come un tradimento, dopo la caduta di Prodi, la nascita del
governo D'Alema.

Nelle elezioni del maggio scorso, Rifondazione comunista sembrava indifferente al risultato finale delle votazioni, che vincesse Rutelli o Berlusconi. Temo fosse un sentimento comune al partito e ai suoi elettori, tutti più che altro interessati al raggiungimento del quattro per cento che gli avrebbe garantito una rappresentanza in Parlamento. Ma i politici dell'Ulivo dovevano ugualmente tentare, avevano il dovere di cercare di coinvolgere quel partito e la lista Di Pietro in uno schieramento più ampio. Mentre invece apparivano rassegnati a gestire una sconfitta che loro stessi avevano annunciato da mesi.

In quella campagna elettorale, a poche settimane dalle votazioni, lo "statista" Berlusconi aveva dichiarato che l'Ulivo aveva vinto nel '96 grazie ai brogli elettorali (e in quell'occasione forse sarebbe stata opportuna una parolina del Presidente della Repubblica, non genericamente rivolta a svelenire gli animi, ma particolarmente rivolta a
un uomo politico che minava le basi della democrazia).

Mi è stato detto: "Non era quello il luogo, non era quello il modo". Ma anche nel mio lavoro non ho mai avuto paura che le mie critiche alla sinistra potessero essere usate
o strumentalizzate dalla destra. Non sono mai stato d'accordo con la pratica stalinista della doppia verità, che dice: "Le critiche ce le dobbiamo fare in privato, in pubblico invece dobbiamo apparire monolitici, tutti d'accordo". No, secondo me i "panni sporchi" vanno lavati in pubblico. E, a giudicare da alcune reazioni, mi sembra che il mio sfogo non sia stato inutile.

I dirigenti del centrosinistra hanno preso tanti (troppi) schiaffi dagli avversari, forse sarà salutare lo schiaffo di un elettore.

(5 febbraio 2002)

 

 

Vedo che su la Repubblica c’è un nuovo forum, decido di intervenire: sull’articolo 18 che la maggioranza vuole togliere, che dice che non si può licenziare senza giusta causa. Parlo anche delle privatizzazioni.

 

Forum - Lo scontro sul lavoro


ho fatto all'amore con Moretti 18 volte e ho pure goduto - ma non parlatene con lui.

Autore: Patrizio Marozzi (---.27-151.libero.it)
Data: 11-02-02 15:31

…poco importa che Berlusconi si sia formato sotto il massimo splendore del partito socialista, poco importa che Craxi in parlamento si sia giustificato con la prassi comune e che mani pulite a dire di Berlusconi si sia trovata dalla parte sbagliata. Poco importa che per privatizzare le opere pubbliche italiane ci sia Berlusconi, che è quello che ha più privato in Italia, come ex socialista. Poco importa che l’unica morale del denaro è di non avere morale, ma essere profitto e poi potere, per poi diventare, prima potere e poi profitto. È una storia vecchia quanto il mondo. Poco importa che in un sistema basato sul potere privato abbia più potere chi ha più profitto e che chi ha più profitto un pezzo per volta trasformi il suo profitto in potere per rendere legittimo il modo per aumentare il potere, ops, volevo dire profitto - ma forse ormai è la stessa cosa – con il consenso del sistema, fin quando il sistema raggiunga una logica che non permette più un’inversione di marcia, per diventare un regime e poco importa se democratico o no: l’importante è il profitto o il potere: non ricordo. Poco importa che per essere più bravi tutti vogliano privatizzzare, forse già non c’è più ritorno. Poco importa che ci sia gente che finge di essere quel che non è per cambiare il significato alle parole, ce lo ha insegnato Emilio o lui per chi e Poco importa che tutto ciò faccia parte più del disturbo del comportamento che incomincia ad essere maggioritario, e che la politica non abbia più un equilibrio, che altro. Ma naturalmente non pensiamo che tutti i meriti siano di Berlusconi o Emilio. Questa è la dimostrazione della perfezione del sistema e dell’articolo 18, non sapremo mai chi veramente dovremo ringraziare. [forse il modo di sbaglio fasullo, o sondaggio]

 

Poi c’è anche un forum sui libri pubblicati da la Repubblica, che vende anche senza il giornale: “Il vecchio e il mare di Hemingway.” Allora decido che voglio fare anche un altro intervento nel forum - “lo scontro sul lavoro.” In questi giorni c’è lo sciopero degli addetti alle pulizie delle ferrovie; nuovi subappaltatori offrono manodopera a costi più bassi degli appaltatori che hanno deciso di licenziare i loro operai, un po’ come il modello americano e inglese.

Le mie lettere non vengono pubblicate e non capisco perché. Telefono al mio amico informatico e mi dice che il problema non è informatico. Decido di scrivere a problemi di repubblica, che aiuta a risolvere eventuali problemi informatici. Penso che forse, il fatto che abbia mandato la mia lettera al forum de “Il vecchio e il mare”, divisa in quattro parti sia il motivo della censura. CHE COS’è QUESTA LA CULTURA DEI RISVOLTI DI COPERTINA! CHE COS’è QUESTA LA CULTURA DEI RISVOLTI DI COPERTINA! O DELLA PUBBLICITÀ! La cultura ci cambia, ci deve rendere migliori, ci aiuta a capire, non è omologazione, LA CULTURA NON è OMOLOGAZIONE!

La mia lettera a problemi@repubblica.it non ha avuto nessuna risposta. Mi chiedo perché, qual è il motivo e, perché non pubblicare nemmeno la mia lettera al forum: “lo scontro sul lavoro. Decido di scrivere al direttore de la Repubblica Vittorio Zucconi.

 

----- Original Message -----

From: Patrizio Marozzi

To: vzucconi@aol.com

Sent: Thursday, February 14, 2002 7:01 PM

Subject: I: informazioni

 

----- Original Message -----

From: Patrizio Marozzi

To: problemi@repubblica.it

Sent: Thursday, February 14, 2002 3:12 PM

Subject: informazioni

 

Gentilissimi di Repubblica ho scritto un messaggio diviso in quattro messaggi, nel forum di Hemingway. potreste dirmi, dato che i messaggi che leggo sono riferiti ad ieri, se c'è qualche problema, oppure ho preteso troppo. Nel qual caso spero almeno li leggiate voi. Vi ringrazio e vi saluto cordialmente,

Patrizio Marozzi

patrizio.marozzi@libero.it

 

 

Egregio Direttore, non so perché ma non riesco ad editare nei rispettivi forum: Hemingway e lo scontro sul lavoro, due miei interventi. Perché non li pubblica nell'edizione cartacea del giornale? Grazie.

Cordilamente

Patrizio Marozzi

 

Forum Hemingway

Sono quasi giunto a leggere pagina 94 di "Americana" di Don DeLillo, ma credo che finirò per interrompermi. Non che non sia un libro accorto, purtroppo – scritto nel 1971 – è anticipatore di molto altri libri e il tema trattatovi anticipa embrionalmente molti tratti sociali che di lì a poco avrebbero caratterizzato l’America e il mondo, un po’ di tempo "più in là" (quanto è vecchia la politica di Berlusconi). Comunque sarà che sono poche le cose che mi stuzzicano l’appetito, che una volta compreso lo stile …che mi fa intendete andrà avanti fino alla fine del libro, ho il netto convincimento che a dir poco ci siano perlomeno 100 pagine in più…già! (devo continuare!)

vi è un richiamo al romanzo americano del passato [alcuni nomi mi vengono in mente…] e non che non abbia una sua modernità, eppure ciò che lo differenzia da il vecchio e il mare di Hemingway è che quel “pensò” de il vecchio marinaio, pronuncia Hemingway come l’autore del libro - il pensò di Don DeLillo di "Americana" gonfia i personaggi del tempo vuoto che vi si rappresenta – sarà una grande cifra stilistica, ma 379 pagine non mi va di leggerle, la televisione che non guardo è già abbastanza, e in questo il libro di DeLillo credo sia grandioso, la sua dimensione concettuale notevole, non come altri libri che non mi va di leggere.

(devo continuare!) E che dire di quel pensò di Hemingway, forse ha avuto il suo tempo? Eppure a pagina 94 del libro "Body Art" di Don DeLillo “…Indossava una giacca imbottita e nascondeva la mani. Le mani erano strette a pugno e infilate nelle maniche, al caldo,…” questo è un libro che ha un notevole equilibrio, parla della morte di un uomo, l’arrivo di un altro nel sentire di una donna nella – loro - casa… "la mani" – I Mani: presso gli antichi romani spirito dei defunti a protezione della casa. Quando ho letto questa frase, questa espressione, che non lascia intendere niente di quel che vi si può nascondere, ho pensato il meglio: questo è ciò che piace a me, un salto nel significato dell’autore, un pensò che scompone la sintassi. …che sia un lapsus della traduttrice o di chi ha composto il libro – pensò il lettore – quando lessi il libro. " Era un vecchio che pescava da solo su una barca a vela sulla Corrente del Golfo…

Cordialmente

Patrizio Marozzi

 

Forum lo scontro sul lavoro

A proposito della pezza di lana per pulire i treni.

Non ho ben capito cosa stia succedendo per l’appalto delle pulizie dei treni, ma non capisco come si può continuare ad abbassare i costi di una parte della popolazione, per aumentare i profitti di una parte della popolazione e lasciare una parte della popolazione fuori da questo gioco. Finisce che poi le porzioni in gioco non reggano più neanche il gioco dell’ipocrisia sociale - che gli aeroplani cadano senza neanche volare, questo quando sembra che le cose vadano bene. Comunque sarebbe il caso che qualcuno riflettesse che evitare la guerra con sistemi basati su tale logica – di Dio per tutti nessuno per gli altri, sia pressoché impossibile e che quando succede, come sta avvenendo, non faccia finta di non saperne il perché. Abbassare il costo della vita, vuol dire abbassarlo per tutti, anche per evitare che la democrazia perda la sua "parvenza", purtroppo,[con energia pulita] e comunque senza scomodare l’ultimo film di Ken Loach – Paul, Mick e gli altri - che sembra che ripeta se stesso senza niente di nuovo, ma in realtà evidenzia le labili, solo in apparenza, dinamiche delle logiche del comportamentismo sociale, tanto vecchio quanto nuovo nella concretezza della sua ineffabile evidenza – dico almeno di vedere Pane e Rose sempre di Ken Loach, per capire quello che l’evidenza dei fatti del mondo sembra non riesca a far capire. Lo Consiglio anche al Presidente del Consiglio Berlusconi, che lo guardi con onesta intellettuale e dimostri di essere capace di una sana autocritica, che non sia anch’esso un pènso.

 

Non ho avuto risposta, allora decido di copiare una parte del risvolto di copertina, di una delle edizioni che ho a casa de “il vecchio e il mare” e la invio al forum.

Forum - Il vecchio e il mare

Ignoro chi sia questo autore

Autore: Patrizio Marozzi (---.27-151.libero.it)
Data: 15-02-02 12:52

Alla fine della propria carriera di scrittore Ernest Hemingway rimedita i temi fondamentali di tutta la sua opera nella cornice simbolica di un'epica individuale, e insieme ripercorre i grandi modelli delle storie che, come Moby Dick, hanno reso unica la letteratura americana.

 

La sera vedo il tg1 e mi viene in mente quella frase tra parentesi quadre: [con energia pulita] che sta lì come un pensiero fuori dalla sintassi, forse questo è stato troppo. Ma che significa troppo. Sullo schermo compaiono Blair e Berlusconi, hanno firmato un accordo che rafforza l’economia di mercato a vantaggio della sterlina, degli interessi privati di un’economia filo Stati Uniti, al di là di una politica sociale nell’area dell’euro. La cronista del tg1 non fa più menzione come nell’edizione del giorno del nome di “America”, ma sulle dichiarazioni di Berlusconi parla di un’Europa più forte. Poi si vede Berlusconi che in audio televisivo dice che lui non è come il partito comunista veterosindacalista, che si occupa solo di chi ha lavoro, ma che lui pensa a chi il lavoro non ce l’ha; e la telecamera si sposta su Blair che annuisce con la testa. Vi ricordate quei cani di plastica, con il pelo finto, che si mettevano dietro le automobili e che con un contrappeso bilanciato muovevano la testa… be’ chissà quanti italiani “stanno facendo” lo stesso davanti al televisore… Berlusconi parla di un sondaggio che dice che la maggioranza degli Italiani la pensano come lui, come lui.

Basta! non mi va di continuare questo libro! Va bene, continuiamo a farci del male.


                                 Mana

 

A questo punto del libro non dovrei introdurre questo argomento, e soprattutto un’esprimersi sintattico diverso da quello che avevo in mente per questo punto del libro. Comunque.

A detta di Jung, l’uomo contemporaneo ha perso la percezione dell’evento mitopoietico – e non è tanto questa la materia della riflessione che sto per leggere – ne è argomento essenziale, ma non la clausola del discorso compiuto. Ciò ch’è detto in esplicito nella non clausola del discorso è che la perdita dell’evento mitopoietico nella cultura umana, non ha affatto attenuato quelli che sono i suoi effetti sulla psiche umana, ma ha spostato la “causuale” di tali eventi nella sfera esogena dei comportamenti dell’umanità. In questa sorta di inglobamento globale la clausola si evidenzia nella non clausola che acquisisce l’essenza di particella causale dell’evento della clausola, che diventa non più la clausola, ma la non clausola casuale. La clausola perde la connotazione di determinazione, non è più né particella causale, né tantomeno può esserne origine. La clausola non ha più motivo di esistere, perché non vi è più un motivo causale. Il significato della parola clausola perde la sua ragion d’essere, non ha più una connotazione letterale, le sue possibilità transtoriche diventano nulle e soggette alla compulsività degli eventi esogeni della storia umana, la scienza acquisisce l’a-casualità ed il suo esogeno sviluppo la determinazione dell’effetto causale della non causa. Il nessun luogo a procedere è il motivo stesso, non solo della procedura, ma del procedere stesso, l’arbitro dell’arbitrio procedurale. Ma si badi bene il nessun luogo a procedere è tutt’altro che astratto e privo di conseguenze, ma è espressione di un ordine non causale, manifesto nei suoi effetti storici compulsivi - ma questa stessa affermazione non ne può essere prova – giacché particella senza clausola, il nessun luogo a procedere non esiste, ne esistono solo gli effetti a cui non è più possibile dare un significato, se non nell’ambito di una ipotetica non clausola nell’ordine di un potere storico temporale virtuale.

La perdita mitopoietica fa che il significato perda una parte del tutto e la sua ragion d’essere il senso del perché. Il tempo non chiede più come, ma dice così. E in un così senza come, perché non ha più significato. Non vi è più nulla che ne rappresenti un’immagine, la rappresentabilità stessa non  c’è più, queste stesse parole non esistono, il mondo guarda senza più vedere. Si assolve e condanna nel paradosso del “nessun luogo a procedere.” E allora che cosa resta del Sé junghiano, del sentire il Sé, e non averlo raggiunto e del processo d’individuazione e del Sé raggiunto, che cosa può più contenere la psiche umana dandogli la possibilità di non aver paura. Credo che mettere in discussione gli archetipi e quel che ne deriva sul piano collettivo è a dir poco puerile, seppur rendere esplicito il loro significato è cosa ardua. La storia collettiva umana ne è piena e in tutti i deliri di onnipotenza che ha manifestato, il loro influsso è stato tutt’altro che nascosto. Che sia rimasta prigioniera di essi in una fase Mana sembra ancor più evidente, nella rappresentazione della storia che ripete le sua tragedie sul piano collettivo – che non riesce a vincere la paura, non ha il coraggio di abbandonare quelle sensazioni che fanno dei sentimenti la ragione della propria affermazione, schiavo di un Sé lontano, L’uomo contiene se stesso e Dio nell’illusione del potere, nel bisogno di percepire l’affermazione delle sue non clausole, senza il coraggio di lasciare il potere, il suo non luogo a procedere senza perché. In questa epoca come in ogni epoca la rapida – efficace apparente – della soluzione del problema sociale in essere, da l’informazione di efficacia della soluzione del problema, immediatamente, anche se non è la reale soluzione del problema, ma disinformazione. La non clausola della complicità dell’astrazione della causa/e con la disinformazione, determina il consenso strutturato, la non clausola dei codici della soluzione dei problemi che si omologano informazionalmente, pensò. Tirò via il foglio dal tamburo della macchina da scrivere, lo accartocci, poi strappò (stracc) e lo buttò via. Come fece…

 


A e B inviano un messaggio nella casella postale di C  e C risponde a A

 

----- Original Message -----

From: A

To: B

Sent: Tuesday, February 19, 2002 11:41 AM

Subject: : resistere



>>

>Ricevo e giro

>

>FEBBRAIO 1992 - FEBBRAIO 2002

>DIECI ANNI DI MANI PULITE

>CORTEO TELEMATICO

>

>Il prossimo febbraio saranno dieci anni dall'arresto di Mario Chiesa che

>inauguro

>la stagione di Mani pulite. Triste anniversario se non sara l'occasione per

>svegliarsi,

>per tornare a farsi sentire, scrivendo, protestando, togliendo la fiducia,

>se disgraziatamente gliel'abbiamo data, al nuovo padrone.

>Dieci anni dopo, e tempo di tornare a protestare.

>Giustamente Saverio Borrelli, nel suo ultimo discorso da

>Procuratore generale, ha invitato a resistere sulla linea del Piave della

>legalita.

>Resistere, resistere, resistere, tre volte resistere.

>

>Fino ad oggi il Ministro Castelli si e dimostrato un burattino

>nelle mani di Berlusconi: ha svolto "coscientemente" sin qui il compito

>affidatogli,

>cioe quello di impedire che si svolga il processo Sme.

>Prima di lui Taormina era servito da "ariete" per tentare di delegittimare

>i Magistrati. Rogatorie, falso in bilancio, riduzione delle scorte ai

>giudici,

>mandato di cattura internazionale, attacco alla magistratura, lo scopo e

>solo

>uno:

>azzerare per sempre le pendenze giudiziarie di Silvio Berlusconi.

>

>PER QUESTO ABBIAMO ORGANIZZATO UN CORTEO TELEMATICO (NETSTRIKE) PER

>MERCOLEDI' 20 FEBBRAIO 2002

>DALLE 15 ALLE 17

>

>Con questa azione (simbolica e nonviolenta) vogliamo BLOCCARE TOTALMENTE IL

>SITO

>www.giustizia.it dalle 15 alle 17 di MERCOLEDi 20 FEBBRAIO,

>per dare voce alla nostra protesta: non siamo disposti ad accettare

>ulteriormente

>che il gruppo attualmente al potere usi le istituzioni per i propri usi

>privati,

>crediamo che oggi in Italia sia necessario ripristinare la legalita.

>

>COSA PUOI FARE?

>

>Prima del 20 febbraio: diffondere il piu possibile l'iniziativa

>

>Spedendo questa e-mail ad amici, parenti e conoscenti ANCHE ALL'ESTERO!!!

>

>Raccogliendo adesioni (da spedire a net_giustizia@hotmail.com),

>gruppi, associazioni, partiti e individuali.

>Diffondendo il banner ed il suo collegamento che puoi trovare a

>www.bobi2001.it

>Scaricando e diffondendo il volantino: VAI A www.bobi2001.it/netstrike.htm

>

>Il 20 febbraio dalle 15 alle 17: collegati e fai collegare piu gente

>possibile al sito

>www.giustizia.it

>

>PIU' SAREMO E PIU' LA PROTESTA RAGGIUNGERA' LA SUA EFFICACIA!!!!

>

>Bobi2001: www.bobi2001.it

>Gruppo NoBerluska: http://it.groups.yahoo.com/group/nob

>

>Manda apiu persone possibili

 

 

 

----- Original Message -----

From: C

To: A

Sent: Wednesday, February 20, 2002 11:04 PM

Subject: R: resistere

 

...Ma ricevi da chi? "Non dall'angelo sotto berlino: A, che a suo dire non sa chi tu sia e non gliene può fregare di meno del posta giro e dell'argomento." da come è formattato il messaggio, non si capisce nemmeno chi sia con certezza che gira, se il Cherubino o tu per lui, o qualcun altro per non si sa chi. il concetto di notizia ed informazione nel messaggio, non ha nessuna fonte precisa, trasformandosi più in un'ipotetica delazione, che occulta la responsabilità dell'azione che vorrebbe determinare; l'istigazione seppur puerile è sempre fastidiosa. A non ti tedio "oltre" in spiegazione, perché il "proclama" è scaduto e le parole hanno perso il loro contenuto e l'azione non esiste più se non nelle coscienze, di chi non so - non so se il proclama abbia determinato un cambiamento nella chiarificazione della "domanda", o se invece il tutto si sia risolto nei processi con cui manipolare l'informazione per determinare il cambiamento - comunque ciò non modifica quel che sapevo e neanche le relazioni consapevoli della mia coscienza che influenza le informazioni. in sostanza la mia consapevolezza non si è modifica e nemmeno gli strumenti di relazione per "autenticarla" - "l'unione fa la forza, ma la forza non fa l'unione," se chi è deputato al cambiamento usa la forza, l'informazione non crea "una relazione", ma aumenta la confusione sul significato della relazione, fino a generare disinformazione, a vantaggio di chi nella confusione vuole alterare la reciprocità del rapporto di relazione responsabile: nella coscienza individuale, e "individuale-individuale", ch'è parte della base su cui stabilire la realtà, autenticità dell'informazione, premessa per l'autenticità della dinamica della relazione tra ogni essere vivente e non.

Non effettuare nessun "postagiro" del presente messaggio e conserva la mia e-mail in un luogo sicuro.

C.


[Terze parti della risposta di C ad A] [prolessi ipotetica]

 

 

...Ma ricevi da chi? "Non dall'angelo sotto berlino: A, che a suo dire non sa chi tu sia e non gliene può fregare di meno del posta giro e dell'argomento." da come è formattato il messaggio, non si capisce nemmeno chi sia con certezza che gira, se il Cherubino o tu per lui, o qualcun altro per non si sa chi. il concetto di notizia ed informazione nel messaggio, non ha nessuna fonte precisa, trasformandosi più in un'ipotetica delazione, che occulta la responsabilità dell'azione che vorrebbe determinare; l'istigazione seppur puerile è sempre fastidiosa. A non ti tedio "oltre" in spiegazione, perché il "proclama" è scaduto e le parole hanno perso il loro contenuto e l'azione non esiste più se non nelle coscienze, di chi non so - non so se il proclama abbia determinato un cambiamento nella chiarificazione della "domanda", [nella chiarificazione della domanda può esserci un aumento di energia del significato, qualora l’azione che determina la domanda non alteri il contenuto del significante, indebolendo il significato della domanda, che così può essere manipolata nell’irresponsabilità (di un arbitrio fazioso) della risposta] o se invece il tutto si sia risolto nei processi con cui manipolare l'informazione per determinare il cambiamento - comunque ciò non modifica quel che sapevo e neanche le relazioni consapevoli della mia coscienza che influenza le informazioni. in sostanza la mia consapevolezza non si è modifica e nemmeno gli strumenti di relazione per "autenticarla" - "l'unione fa la forza, ma la forza non fa l'unione," se chi è deputato al cambiamento usa la forza, l'informazione non crea "una relazione", ma aumenta la confusione sul significato della relazione, fino a generare disinformazione, a vantaggio di chi nella confusione vuole alterare la reciprocità del rapporto di relazione responsabile: [manipolando e indebolendo l’assunzione di responsabilità tanto di chi fa la domanda, quanto di chi “vuole rispondere”, per manipolare il significato del significante e porre così domande che non hanno nessuna responsabile risposta, ché (- ma - senza nessuna autenticazione di consapevolezza) irresponsabilmente viene delegata a chi fa la domanda] nella coscienza individuale, e "individuale-individuale", ch'è parte della base su cui stabilire la realtà, autenticità dell'informazione, premessa per l'autenticità della dinamica della relazione tra ogni essere vivente e non.

Non effettuare nessun "postagiro" del presente messaggio e conserva la mia e-mail in un luogo sicuro.

C.

(stracc)
”Analessi letteraria”

 

 

----- Original Message -----

From: A

To: C

Sent: Thursday, February 21, 2002 11:28 AM

Subject: ho capito!

 

Ciao C,

Ho capito che certi giri di posta non ti interessano! Va bene !Non ti inoltrerò nessun tipo di messaggio di quel genere....Comuque non sono abituato a fare questi giri di posta. Solitamente non aderisco a nulla. Questa volta ho creduto nell'iniziativa più per il valore simbolico.

un saluto

A

(stracc)

 


nell’ipotesi del 

lettere dell’autore

 

 

1

----- Original Message -----

From: Patrizio Marozzi

To: vendrame@temaceleste.com

Sent: Sunday, February 24, 2002 10:00 AM

Subject: abbonamento?

 

 

Porto D'Ascoli, Domenica 24 Febbraio 2002

 

Gentili di "Tema Celeste" , nella giornata di ieri tramite le poste italiane, in forma non elettronica ho ricevuto la cartolina di invito all'abbonamento alla vostra rivista, ma credo ci sia stato un malinteso. La vostra rivista è a me nota, ed in passato ho avuto modo di comprarla, ed ovviamente leggerla - e sin dalla direzione di Paparoni e poi anche in quella della Sig.ra Vendrame, ho anche inviato alcune lettere e mie opere. La mia posizione per quel che riguarda il sistema dell'arte vi è quindi nota. Nell'ultima opera donata alla Sig.ra Vendrame, al di là di ogni mio interessamento, per una qualsivoglia vostra menzione sulla rivista, ho detto, che se pur nella capacità di distinzione di "Tema Celeste", non rientrava più nel mio concepire l'arte l'acquisto di alcuna rivista d'arte.

Apprezzo la vostra adesione all'attività di Emergency, trovandola sensata e opportuna; si distingue dalle confezionali attività filantropiche legate all'arte, dove il beneficiato ha solo l'opportunità di usufruire della meschinità del filantropo che quantizza il valore dell'opera nell'ambito dei suoi privati interessi commerciali e del gusto autoreferenziale del sistema, acclarando una filantropia che non ha alcuna conseguenza sulla percezione morale dell'opera, che andrebbe opportunamente destinata o a chi è direttamente artefice dell'attività filantropica per un uso libero e spontaneo della sua fruizione, di chiunque ed ovviamente del beneficiato, o meglio al beneficiato che ne farebbe un uso di custode per la libera e gratuita fruizione dell'opera che ha già svolto il suo significato economico sul beneficiato, rendendosi non più soggetta a tali parametri di giudizio. Credo che voi, per ciò detto, non rientrate nell'ambito dello scambio merceologico dell'arte e, il vostro "arbitrio di gusto" mi auguro non determini ciò. Aggiungo ce ne fosse bisogno che l'emergenza estrema a cui è soggetta l'attività di Emergency non giustificherebbe nessun uso improprio della funzione dell'arte come significante, ché interagisce con il cambiamento delle cause che hanno determinato tale emergenza - se venisse meno tale funzione l'arte e l'attività filantropica acquisirebbero connotati così sgradevoli, che finanche la volgarità lascerebbe il posto alla mancanza di onesta.

Gentili di "Tema Celeste", nell'inviarvi i miei più cordiali saluti, e naturalmente non essendovi in questa niente che possa precludervi la vostra attività pubblicitaria, vi consiglio di tener conto di quanto sopra. Grazie

Patrizio Marozzi

 

 

2

----- Original Message -----

From: Patrizio Marozzi

To: galmarconi

Sent: Saturday, February 23, 2002 9:52 AM

Subject: R: I PESCI ABBOCCANO SE NON AMANO



Cerchiamo di essere seri per sempre

 

"Essere artisti non c'entra nulla con la fama, quella cosa intangibile che ha bisogno di integrità. Penso però che sia necessario confessare di voler diventare famosi, altrimenti non si può essere artisti." (M. Cattelan)

 

Proprio il "desiderio" di voler esser famosi senza fama fa che

"I PESCI ABBOCCANO SE NON AMANO" e può accadere che il tutto infama: arte artisti e pesci. Non tutti gli artisti hanno slogan pensanti, tanto da aver la fama per meritare di essere famosi e riducono il significato di fama, sol, nella sua prima parte: voce, notizia che si diffonde rapidamente e universalmente - E il lor esser famosi sta solo in questo, solo in questo sta il liberare la fama dall'intangibile integrità - la stagnazione della forma e la privi-tà dei contenuti e, il tutto, non è niente altro che vanità. (Patrizio Marozzi)

 

 

testo “scritto” dell’…ennesima risposta dell’autore al comunicato stampa…

----- Original Message -----

From: Patrizio Marozzi

To: galmarconi

Sent: Tuesday, March 19, 2002 6:20 PM

Subject: R: I PESCI ABBOCCANO SE NON AMANO

 

se le immagini hanno rappresentazioni, alle parole è giusto dare significati, altrimenti invertendo le parti il significato non è lo stesso e le parole non hanno più bisogno delle immagini e i significati debbono essere - non solo "rappresentati". mancando una parte non si acquisisce una parte mancante - rappresentazione - ma un'altra parte, non solo rappresentata. checché ne dicano Marilyn Monroe rappresentata o Cattelan, non non-immaginato o chi per lui.

 

Patrizio Marozzi

 

Tra parentesi […] sono sottaciuti i nomi che loro malgrado sono nella lettera

----- Original Message -----

From: Patrizio Marozzi

To: galmarconi@siscom.it

Sent: Thursday, March 28, 2002 4:35 PM

Subject: lettera

 

Porto D’Ascoli giovedì 28 marzo 2002

 

Certe volte viene da chiedersi se l’attività dello gnorri sia qualcosa di congenito alla dabbenaggine, alla carenza caratteriale o alla convenienza auto giustificatoria. In realtà credo che queste cose siano partecipi in eguale misura alla "gnorrità". In fin dei conti i nostri luoghi si distinguono così bene per una carenza morale che fa di un moralismo sociale la base che fonda il motivo di rivalsa, la delega cialtronesca dell’emancipazione con cui si auto proclama e legittima lo status sociale dei comportamenti derivanti, nel titolo dei servi che cercano la loro servitù. Se in un contesto siffatto la chiarezza degli intendi” diventa aleatoria e volgare, il servire tale situazione porta la dimensione morale, lì, nella subalternità da cui voleva affrancarsi, togliendole anche la più labile essenza di nobiltà, che finisce per essere malamente compensata con la prevaricazione della presunzione e della vanità. E bada bene ciò non riguarda particolari ceti sociale, ma bensì l’intelligenza e la generosità etica dell’individuo, nella sua singola individualità. La cialtronesca emancipazione non si distingue affatto da una formale nobiltà aristocratica, ma vanno bensì a braccetto e si alimentano l’un l’altra. Io per mia costituzione tutt’altro fatta di un formalismo di rivalsa sociale, applico la mia nobiltà con chiunque ha le capacità critiche per stabilire un modo di comunicare, che sa far maturare in modo di relazione consapevole – sia costui il primo ladrone o l’ultima prostituta, o/e un convergente per me intelletto e morale. Non ho avuto mai bisogno ed ho sempre fatto a meno dei pregiudizi con cui così bene si costruiscono le proprie dissociazione culturali, morali e di comportamento, per darsi un affrancamento legittimo nell’applicazione del rispetto altrui. E le convenienze del momento, a tale scopo, le ho sempre trovate poco dignitose.

Ora nella tua gnorrità mi domando se tu abbia mai tenuto in conto il fatto che nella dimensione pragmatica, il concetto di teoria, trova riscontro in qualcosa che solo in tal senso può essere dimostrato, ma partendo da qualcosa che ha un consolidamento fattuale. Ora partendo dalle tue supposizione teoriche, tipo quella ultima da te pronunciata e da me ascoltata, quale la supposizione, tua, di un mio eventuale desiderio della chiusura della tua attività - non ho capito se in toto o artistica - mi fa necessità ricordarti, che nelle reminiscenze della nostra conoscenza - seppur lungi da me un giudizio effettivo sulla tua competenza artistica - mi fa specie ricordare…che il mio intento in tal senso era di gran lungo pregresso il tuo, …tanto per ricordare, "la vostra congrega studentesca dall’atteggiamento artistico" – che vorrei riassumere con quell’episodio in cui entrammo nello studio di Ferrari, e dopo una mia considerazione sensata, ne segui una studentescamente insensata di Mauro […] che ci "aprì" l’altra porta dello studio dell’artista da cui fummo gettati fuori. Vengo a sapere che Mauro adesso insegna, finalmente, così l’ambiguità è completa ma non più ambigua, perché io credo che non ci sia niente di necessariamente immorale nell’adempiere in un supporto sociale un proprio status di emancipazione. Ma permetterai che i miei propositi sono sempre stati ben altri, e pur avendo le possibilità di evitarle, le conseguenze pragmatiche ben maggiori rispetto a quelle di quattro studenti, alfabetizzati e poco altro. Questo tanto per mettere qualche punto fermo. Ora mi fa necessità ricordarti anche e, non so se ce n’è bisogno, che per quanto riguarda la tua attività di galleria, il mio contributo iniziale si è collocato in un momento dove per tua stessa dichiarazione non riuscivi a trovare disponibilità da parte dei critici, e dopo la mia offerta dello scritto su Pino Monaco su tua richiesta, da me accettata con disponibilità e a titolo di favore - ho collaborato - sempre a titolo di favore oltre a quelle in cui ero direttamente interessato, anche in aiuto collaborativo di quelle successive, anche dove" non ero direttamente interessato. Ti ricordo che il mio scopo è stato sempre improntato alla qualità in ogni forma del rapporto. Non posso dire altrettanto da parte di certe tue collaboratrici artistiche, non posso non ricordare la sconclusionatezza di […], se ben ricordi non tutta per sua colpa, o negli atteggiamenti presuntuosamente infantili, di una […], dove il mio rapporto amichevole di collaborazione era presente, anche se io non ero direttamente interessato. Ti ricordo che le mie motivazioni sono sempre state chiare e che tu hai avuto per tuoi motivi la necessità, di dire alla critica […] che mi pagavi e, che successivamente da te dettomi, ti ho amichevolmente abbonato. Poi per tua necessità intrinseca alla tua personalità, hai introdotto in collaborazione qualche prociuttaro del tipo di […] che per evidente constatazione di merito non so come avrebbe fatto a trovare certi riscontri, a meno che non abbia incontrato altri prociuttari consoni ai suoi ideali. Ma in fondo è la strada più facile e di maggior reddito recondito. Ti ricordo, credo sia necessario, anche i lavori a scopo pubblicitario che h”a titolo di favore  - ti ho fatto. Insomma a quel punto non era più il caso di mettere il mio pragmatismo a frutto anche per altri, e in relazione con il mondo dei dona prociutti. Ti ricordo alcuni di questi particolari per dirti che se tu nelle tue elucubrazioni intellettualoidi finisci per mettermi in relazione con un tuo ipotetico desiderio, che io desideri la tua disfatta – è un fatto che fa parte della tua personalità, non della mia; il mio rapporto con te - come ogni altro "mio rapporto" - è stato improntato sempre alla qualità, non è sensato pretendere di meno, e io non sono un insensato, ma se tu hai bisogno di esserlo lungi da me l’ostacolarti. Voglio aggiungere un piccola "postilla"; per il fatto che per cause che teoricamente hanno bisogno di accertamento, ma che purtroppo poggiano su un terreno del tutto aleatorio e di conseguenza anche la teoria risulta fastidiosamente inefficace - mi chiedo come è mai possibile che ogni volta che "quattro" "giocolieri" capitano nella tua galleria finiscano inevitabilmente per rompere le palle a me. Voglio dire, d’accordo la cronica inappetenza generazionale, di costoro, ma ogni tanto c’è bisogno di cambiare aria, sempre che costoro siano capaci di respirala. Ed è per questo che finanche una mentecatta si è permessa di fregarmi un mio video. E non venirmi a dire, adesso, che hai il suo indirizzo.

Cordialmente

Patrizio Marozzi

patrizio.marozzi@libero.it

 

 

lo spirito di rivalsa di un cafone

----- Original Message -----

From: galmarconi

To: mailto:Undisclosed-Recipient:@main.siscom.it

Sent: Friday, March 29, 2002 6:52 PM

Subject: AUGURONI LAZZARONI

 

GALLERIA MARCONI

c.so Vittorio Emanuele 70

63012 Cupra Marittima (AP)

www.siscom.it/marconi

galmarconi@siscom.it

 

La Galleria Marconi ringrazia la simpatia e la pazienza per avere seguito le sue attività, auguri di buona Pasqua a tutti, anche se non avete il tempo o la voglia di venirci a trovare.

Seguiteci ancora è primavera e sta tornando il caldo.

Tanti auguri da Franco e dal suo staff

un abbraccio forte ciao

 

 

“dopo l’ennesimo dell’ennesimo comunicato stampa”

 

----- Original Message -----

From: Patrizio Marozzi

To: galmarconi

Sent: Tuesday, April 09, 2002 1:31 PM

Subject: R: I PESCI ABBOCCANO SE NON AMANO

 

Se tu sia un pesce - fa parte delle crisi d'identità - tutt'altro che poetiche o metaforiche, se poi la frigidità intellettuale non è una specifica solamente femminile, neanche questo mi sorprende - che poi la frigidità maschile sia quell'impotenza intellettuale che cerca compensazione nella sessualità frigidità psicofisica di donne così fatte, neanche questo mi sorprende, in fondo il mondo è composto di amplessi compensativi, di sesso tra impotenti, di scopate involute di persone terrorizzate nel non sapere che la prostituzione è più evoluta della chiarezza delle loro relazioni. Quindi non mi sorprende che tu in tutto questo non ci abbia capito niente, nel terrore della creatività tutto si rappresenta niente si crea e tutto ipocritamente si giustifica, pure le puttane. Quindi cara puttana non credo tu possa propormi qualcosa che abbia a che fare con il fare all'amore - l'atteggiamento propositivo, in tal senso, sarebbe così chiaro che non potrei non riconoscerlo - Pertanto nella tua constituzionalizzata impotenza, non mi sorprende il fatto che tu abbia "i-n-gnoramente" ignorato la realtà dei tuoi comportamenti "infantilmente giustificabili"; ...e mi sarei aspettato maggiore maturità in risposta alla mia lettera, ma in maggior ragione di spiegazioni del fatto specifico del tuo comportamento. Di conseguenza non è qualificabile il tuo atteggiamento "generico propositivo". Spero che il tono di questa ti dia la possibilità di una giustificazione-auto, o di un'improbabile atto di intelligenza.

Patrizio Marozzi

----- Original Message ----- From: galmarconi To: mailto:Undisclosed-Recipient:@main.siscom.it Sent: Monday, April 08, 2002 7:31 PM Subject: I PESCI ABBOCCANO SE NON AMANO

Perchè i pesci che non amano siano disposti ad abboccare resta un mistero, a noi piace pensare che i pesci che non amano siano semplicemente troppo occupati da notare gli ami, oppure siano già vittime di un altro amo.

Un caldo abbraccio: la Galleria Marconi

(pensate che fatica essere abbracciati da dei mattoni!)

"I PESCI ABBOCCANO SE NON AMANO", la rassegna d'arte contemporanea…

 
                         
In attesa del titolo

 

 

La Repubblica.it Forum
L'allarme terrorismo

 


L'ordigno esploso a fianco del Viminale fa riemergere l'allame terrorismo. E arriva al termine di una settimana di segnali inquietanti. Iniziata con l'arresto Roma degli estremisti marocchini, che secondo gli inquirenti sono in contatto con la rete terroristica di Bin Laden, e stavano preparando un attentato a Roma. E terminata con le parole del ministro della Giustizia Castelli che, commentando la manifestazione sulla legalità al Palavobis di Milano, aveva detto: "Credo che non si ripeterà la storia degli anni di piombo, ma sono certo che andremo incontro a qualche episodio di violenza".

Meno di due giorni dopo, ecco l'attentato a due passi dalla sede del ministero dell'Interno, che per fortuna non ha provocato vittime, ma sta accendendo le polemiche. Con il presidente del consiglio Silvio Berlusconi che parla di "segnale preoccupante", e invita ad abbassare i toni. Ancora una volta facendo riferimento alla manifestazione del Palavobis. Provocando la reazione sdegnata del centrosinistra, che nega ogni legame tra i due episodi e parla di strumentalizzazione.
Su questa polemica, e sui rischi di un nuovo allarme terrorismo, Repubblica.it invita i propri lettori a discutere.


AVVERTENZE (leggetele prima di intervenire)

L'indirizzo del mittente del messaggio apparirà nel forum

NON VERRANNO PUBBLICATI

* i messaggi che non si attengono strettamente al tema del forum;

* i messaggi inviati privi di indirizzo e-mail o con indirizzo e-mail palesemente falso;

*i messaggi anonimi;

* i messaggi che eccedono le 30 righe di lunghezza (il sistema avvertirà automaticamente quando il limite viene superato, invitando ad accorciare il messaggio);

* i messaggi pubblicitari.

NON SONO AMMESSI

* i messaggi con polemiche personali e non attinenti al forum;

* i messaggi con linguaggio offensivo o provocatorio;

* i messaggi che contengono turpiloquio;

* i messaggi con contenuto razzista o sessista;

* i messaggi il cui contenuto costituisce una violazione delle leggi italiane (diffamazione, istigazione a delinquere o alla violenza eccetera).

(25 febbraio 2002)

contro la strumentalizzazione, "Spegnete la televisione se avete coraggio." Non parlate di terrorismo.

 

Autore: Patrizio Marozzi (---.27-151.libero.it)
Data: 26-02-02 16:43

A che serve discutere di pluralismo – quel che conta è la libertà e le capacità – anche professionali - che un sistema libero fa esprimere. Questa mattina dopo tempo immemorabile mi è capitato di guardare il Costanzo Show, non che non ci siano programmi peggiori e…, ma per sua malaugurata sorte stavo ascoltando tramite l’impianto stereo la sinfonia concertante op. 25 di Prokofiev con Rostropovitch al violoncello – e quelle immagini senza il loro audio mi sono apparse veramente brutte, e qualcosa di peggio, sperare che l’audio le avesse arricchite tanto da farmi interrompere quello che ascoltavo sullo stereo è a dir poco una cosa pazzesca. Naturalmente per chi non avesse capito, non sto parlando delle qualità tecnologiche del televisore rispetto all’impianto stereo.

 

 

"strumentalizzazione" 2

 

Autore: Patrizio Marozzi (---.27-151.libero.it)
Data: 26-02-02 16:46

Nell’ora di pranzo, mi sono imbattuto in una pubblicità, dove un grazioso infante, era tutto preoccupato, e diceva all’interlocutrice (conduttrice di programmi sulla natura, dove ovviamente tutto è naturale) che aveva paura che quando sarebbe diventato grande non gli avrebbero dato più la cioccolata… e lei candidamente gli risponde che lei mangia la cioccolata. È stata sostituita la frase, già astratta se fai il buono avrai la cioccolata, che si dice ad un bambino, con il fatto che un bambino “rassicurato” dal mondo degli adulti, quando sarà grande se sarà bravo gli daranno la cioccolata. Naturalmente l’infante non comprende ancora che potrà comprarsela, perché anche se ciò fosse, non è detto che “gliele diano, e perché non gliela danno, perché per avere la cioccolata bisogna far parte di un sistema che ci dice perché siamo buoni, così ci rassicura e ci dice cos’è il bene – se ti puoi comprare la cioccolata e dipendi da questo fatto, “saprei sempre di essere nel bene, sia che tu sia un piccolo infante o un adulto. E il “bambino grande” o l’adulto al suo posto, capirà che chi gli dà la cioccolata gli vuole bene e fin quando avrà la cioccolata saprà sempre di essere bravo, tutti gli altri sono i cattivi, quelli che gli vogliono rubare la cioccolata.

La cultura autoreferenziale della televisione che trasversalmente attraversa ogni forma della convivenza civile, può togliere spazio alle diverse forme creative della libertà, asservendole in un significato condizionante e convenzionalmente manipolabile.

 

 

"strumentalizzazione" 3

 

Autore: Patrizio Marozzi (---.27-151.libero.it)
Data: 26-02-02 16:47

Spegnete la televisione se avete il coraggio, pagate il canone
rai e che tutti lo possano pagare, ché tutti possano spegnere la televisione quando vogliono senza aggiunte di spesa immotivate e chi non vuole pagarlo che spenga lo stesso la televisione quando vuole. Ci sono tante cose e persone - fuori - che non c’entrano con la televisione, che non fanno parte di gruppi autoreferenziali grandi o piccoli, ma hanno a che fare con il diritto alla qualità di essere liberi di produrre qualità: “Credo che mi troverò a mio agio, sempre con un minoranza di persone” – gli individui.

 


                 In attesa del titolo

 

 

Il sole era alto e come tutte le mattine il fare della gente faceva del tempo i suoi orari, era come se quel ritmo regolare che governava le giornate, indicasse quale fosse lo scopo che determinava l’esistenza delle persone. Attraverso il ricordo di una di esse, di cui non conosciamo il nome, guardiamo al di là dei vetri delle finestre di una di “quelle case; scopriamo che quel gesto che ora sta facendo colui che in questo istante vediamo attraverso la finestra – guardarle la sveglia che ha appena suonato, sedersi sul lato del letto, ravviarsi i capelli mossi dal cuscino, su cui nella notte appena finita è stato a guardare la sconosciuta che ha dormito al suo fianco. Non ricordava come l’aveva, se l’avesse incontrata la sera prima o molto tempo fa, forse due o tre anni fa. L’unica cosa certa era che quella donna ora era lì nel suo letto, o nel letto di tutti e due, ma la cosa che pensava mentre la guardava respirare, ascoltando l’aria che entrava e usciva dai suoi polmoni, era che quel letto sicuramente non apparteneva a nessuno dei due; loro erano solo lì di transito e, quelle ombre sul lenzuolo, di lì a poco sarebbero svanite, confuse tra mille altre, di mille altri letti. Non gli restava che ricordasi perché si fosse svegliato, perché il rumore della sveglia lo avesse stordito al punto da non riuscire più a capire dove fosse, cosa avrebbe fatto da lì in poi di se stesso. L’accarezzo sulla spalla, la baciò tra i capelli. Lei si stese sulla schiena e lasciò che il braccio le cadesse sul cuscino sopra la testa, si accarezzò appena i capelli e lo guardò. Rimasero così per qualche istante, poi lui le accarezzò le labbra con le sue, una due volte, lei lo abbracciò si baciarono; e mentre le labbra si cercavano, le lingue accarezzavano si fermarono a sentire il loro respiro attraversarli, mentre lei espirava lui respirava, così uno dopo l’altro.

La sconosciuta che stava osservando, sentì bussare alla sua porta, ma non rispose, non rispose mai più

 


                   In attesa del titolo

 

 

Il sole era alto e come tutte le mattine il fare della gente faceva del tempo i suoi orari, era come se quel ritmo regolare che governava le giornate, indicasse quale fosse lo scopo che determinava l’esistenza delle persone. Attraverso il ricordo di una di esse, di cui non conosciamo il nome, guardiamo al di là dei vetri delle finestre di una di “quelle case; scopriamo che quel gesto che ora sta facendo colei che in questo istante vediamo attraverso la finestra – guardargli la sveglia che ha appena suonato, sedersi sul lato del letto, ravviarsi i capelli mossi dal cuscino, su cui nella notte appena finita è stata a guardare lo sconosciuto che ha dormito al suo fianco. Non ricordava come lo aveva, se l’avesse incontrato la sera prima o molto tempo fa, forse due o tre anni fa. L’unica cosa certa era che quell’uomo ora era lì nel suo letto, o nel letto di tutti e due, ma la cosa che pensava mentre lo guardava respirare, ascoltando l’aria che entrava e usciva dai suoi polmoni, era che quel letto sicuramente non apparteneva a nessuno dei due; loro erano solo lì di transito e, quelle ombre sul lenzuolo, di lì a poco sarebbero svanite, confuse tra mille altre, di mille altri letti. Non gli restava che ricordasi perché si fosse svegliata, perché il rumore della sveglia l’avesse stordita al punto da non riuscire più a capire dove fosse, cosa avrebbe fatto da lì in poi di se stessa. L’accarezzo sulla spalla, lo baciò tra i capelli. Lui si stese sulla schiena e lasciò che il braccio gli cadesse sul cuscino sopra la testa, si accarezzò appena i capelli e la guardò. Rimasero così per qualche istante, poi lui le accarezzò le labbra con le sue, una due volte, lei lo abbracciò si baciarono; e mentre le labbra si cercavano, le lingue accarezzavano si fermarono a sentire il loro respiro attraversarli, mentre lei espirava lui respirava, così uno dopo l’altro.

Lo sconosciuto che stava osservando, sentì bussare alla sua porta, ma non rispose, non rispose mai più

 


                   In attesa del titolo

 

 

Il sole era alto e come tutte le mattine il fare della gente faceva del tempo i suoi orari, era come se quel ritmo regolare che governava le giornate, indicasse quale fosse lo scopo che determinava l’esistenza delle persone. Attraverso il ricordo di una di esse, di cui non conosciamo il nome, guardiamo al di là dei vetri delle finestre di una di “quelle case; scopriamo che quel gesto che ora sta facendo lui che in questo istante vediamo attraverso la finestra – guardare la sveglia che ha appena suonato, sedersi sul lato del letto, ravviarsi i capelli mossi dal cuscino, su cui nella notte appena finita è stato a guardare lo sconosciuto che ha dormito al suo fianco. Non ricordava come lo aveva, se l’avesse incontrato la sera prima o molto tempo fa, forse due o tre anni fa. L’unica cosa certa era che quell’uomo ora era lì nel suo letto, o nel letto di tutti e due, ma la cosa che pensava mentre lo guardava respirare, ascoltando l’aria che entrava e usciva dai suoi polmoni, era che quel letto sicuramente non apparteneva a nessuno dei due; loro erano solo lì di transito e, quelle ombre sul lenzuolo, di lì a poco sarebbero svanite, confuse tra mille altre, di mille altri letti. Non gli restava che ricordasi perché si fosse svegliato, perché il rumore della sveglia lo avesse stordito al punto da non riuscire più a capire dove fosse, cosa avrebbe fatto da lì in poi di se stesso. L’accarezzo sulla spalla, lo baciò tra i capelli. Lui si stese sulla schiena e lasciò che il braccio gli cadesse sul cuscino sopra la testa, si accarezzò appena i capelli e lo guardò. Rimasero così per qualche istante, poi lui le accarezzò le labbra con le sue, una due volte, lo abbracciò si baciarono; e mentre le labbra si cercavano, le lingue accarezzavano si fermarono a sentire il loro respiro attraversarli, mentre lui espirava lui respirava, così uno dopo l’altro.

La sconosciuta che stava osservando, sentì bussare alla sua porta, ma non rispose, non rispose mai più

 

 

 
                          In attesa del titolo

 

 

Il sole era alto e come tutte le mattine il fare della gente faceva del tempo i suoi orari, era come se quel ritmo regolare che governava le giornate, indicasse quale fosse lo scopo che determinava l’esistenza delle persone. Attraverso il ricordo di una di esse, di cui non conosciamo il nome, guardiamo al di là dei vetri delle finestre di una di “quelle case; scopriamo che quel gesto che ora sta facendo lei che in questo istante vediamo attraverso la finestra – guardare la sveglia che ha appena suonato, sedersi sul lato del letto, ravviarsi i capelli mossi dal cuscino, su cui nella notte appena finita è stata a guardare la sconosciuta che ha dormito al suo fianco. Non ricordava come l’aveva, se l’avesse incontrata la sera prima o molto tempo fa, forse due o tre anni fa. L’unica cosa certa era che quelle donna ora era lì nel suo letto, o nel letto di tutte e due, ma la cosa che pensava mentre la guardava respirare, ascoltando l’aria che entrava e usciva dai suoi polmoni, era che quel letto sicuramente non apparteneva a nessuna dei due; loro erano solo lì di transito e, quelle ombre sul lenzuolo, di lì a poco sarebbero svanite, confuse tra mille altre, di mille altri letti. Non gli restava che ricordasi perché si fosse svegliata, perché il rumore della sveglia l’avesse stordita al punto da non riuscire più a capire dove fosse, cosa avrebbe fatto da lì in poi di se stessa. L’accarezzo sulla spalla, la baciò tra i capelli. Lei si stese sulla schiena e lasciò che il braccio gli cadesse sul cuscino sopra la testa, si accarezzò appena i capelli e la guardò. Rimasero così per qualche istante, poi le accarezzò le labbra con le sue, una due volte, l’abbracciò si baciarono; e mentre le labbra si cercavano, le lingue accarezzavano si fermarono a sentire il loro respiro attraversarle, mentre lei espirava lei respirava, così una dopo l’altra.

Lo sconosciuto che stava osservando, sentì bussare alla sua porta, ma non rispose, non rispose mai più

 

 

 


                   In attesa del titolo

 

 

Il sole era alto e come tutte le mattine il fare della gente faceva del tempo i suoi orari, era come se quel ritmo regolare che governava le giornate, indicasse quale fosse lo scopo che determinava l’esistenza delle persone. Attraverso il ricordo di esse, non conosciamo il nome, guardiamo al di là dei vetri delle finestre di “quelle case; scopriamo che quel gesto che ora sta facendo lei che in questo istante vediamo attraverso la finestra – guardare la sveglia che ha appena suonato, sedersi sul lato del letto, ravviarsi i capelli mossi dal cuscino, su cui nella notte appena finita è stata con uno sconosciuto, che ha dormito al suo fianco. Non ricorda come l’aveva, se l’avesse incontrata la sera prima o molto tempo fa, forse due o tre anni fa. L’unica cosa certa era che quell’uomo ora è lì nel suo letto, o nel letto di tutti e due, ma la cosa che pensa mentre lo guarda respirare, ascoltando l’aria che entra e esce dai suoi polmoni, è che quel letto sicuramente non appartiene a nessuno dei due; loro sono solo lì di transito e, quelle ombre sul lenzuolo, di lì a poco sarebbero svanite, confuse tra mille altre, di mille altri letti. Non gli resta che ricordasi perché si fosse svegliata, perché il rumore della sveglia l’ha stordita al punto da non riuscire più a capire dov’è, cosa avrebbe fatto da lì in poi di se stessa. L’accarezzo sulla spalla, lo baciò tra i capelli. Lei si stese sulla schiena e lasciò che il braccio gli cadesse sul cuscino sopra la testa, si accarezzò appena i capelli e lo guardò. Rimasero così per qualche istante, poi le accarezzò le labbra con le sue, una due volte, l’abbracciò si baciarono; e mentre le labbra si cercavano, le lingue accarezzavano si fermarono a sentire il loro respiro attraversarle, mentre lui espirava lei respirava, così un respiro dopo l’altro.

Esse che stavano osservando, bussano alla porta, ma non rispose, non risposero mai più

 

 

 
                          In attesa del titolo

 

 

Ho scelto di fare un lavoro con le foto bidimensionali, perché credo che il patrimonio culturale, che deriva da esse, non sia affatto insufficiente per interrogarci sul perché del manifestarsi della rappresentazione. Non credo che in questa epoca l’immagine bidimensionale, della fotografia, del cinema o della televisione, non riesca più ad interrogare il significato del perché della nostra consapevolezza, a spiegarci quello che poeticamente l’immagine può darci. In fin dei conti la possibilità di un’alternativa, ponderata e voluta, del linguaggio bidimensionale, riporta la questione sulla imponderabilità del linguaggio ultimo, quello che per intenderci determina il processo ultimo delle possibilità tecnologiche.

All’interno del massimo sviluppo della tecnologia, il messaggio la poetica, trova la sua poetica nell’intenzione reciproca dello scambio informazionale, tra chi si esprime attraverso la tecnologia e le trasformazioni che da ciò influenzano le trasformazioni della tecnologia, ma ancor più importante la sua percezione all’interno della consapevolezza umana, che in tal modo investe di senso, la tecnologia con il significante umano. La parola che stai vedendo stampata è l’esempio più avanzato e il massimo equilibrio di tale senso; comunque le forme del linguaggio e attraverso il suo uso la comunicazione, ha altre forme che determinano un equilibrio nell’abito delle differenziazioni delle possibilità sensoriali, “percettivi, degli individui, che in conseguenza di queste hanno un livello di rappresentatività, peculiare, dove ci sono finanche le possibilità espressive degli iposensoriali – i sordi ciechi e muti acquisiscono una percezione tridimensionale, attraverso il tatto, se mancasse anche il tatto, l’evoluzione si esprimerebbe attraverso un rapporto di forma come spazio che determinerebbe il tempo. Il proporre dunque la bidimensionalità dell’approccio visivo, riconduce l’espressione nell’ambito della riflessione sulla poetica del significato, ma nell’ambito della percezione comune dell’avvenuta acquisizione della rappresentabilità attraverso le possibilità ultime della tecnologia. La trasformazione che la nuova tecnologia ha prodotto supera – credo si possa dire – molto quella che è avvenuta con l’elaborazione dell’immagine virtuale, fino alla iper virtualità, dove il rappresentabile svolgeva di fatto la sua possibilità autenticandosi nell’alterazione e modificazione del reale, sconvolgeva il senso, che così si manifestava come significante umano sconvolgendo quello autentico, che restava inibito dalle manipolazioni esogene che agivano sul sistema esogeno dell’individuo, ché nella iper virtualità alterava le possibilità della coscienza e la “realtà” della consapevolezza. È evidente che ora non siamo più nel virtuale, l’evoluzione della tecnologia dell’immagine ci ha condotto alla possibilità massima della percezione del senso visivo. Non assistiamo più alla rappresentazione del reale, ma alla “visione del reale”, per quando i mondi rappresentanti possano essere immaginari, la “visione del reale” ce li rappresenta per quel che sono, il nostro senso della vista è consapevole che quella è la visone del reale rappresentato, sia che esso esista o no, non vi è oltre questa espressione della tecnologia che la realtà, al di là della visione del reale, la realtà che è espressione della nostra consapevolezza morale. Lo stimolo sensoriale interagisce con la realtà solo in quanto “visione della realtà” all’interno della nostra consapevolezza che la certifica come espressione del nostro apparato percettivo visivo, la rappresentazione non è più virtuale, ma realistica, ma oltre i canoni – credo si possa dire – della rappresentazione estetica, la discriminazione morale sta in quel che viene mostrato nella “visione della realtà”.

Se tutto questo poteva essere percepito, già dalle prime immagine di fotografia olografica, o ai primi esperimenti concreti della televisione olografica, con l’avvento dei processori a 0,1 micron. Con l’esplosione dei processori fotonici, l’ologramma ha generato una, la più diffusa forma espressiva-comunicativa di massa, che ci sia stata nella storia umana, nell’ambito della tecnologia, anche le e-mail stanno acquisendo questa forma e soltanto la scrittura riesce a differenziarsi a tal punto, da rimanere autonoma e pertanto complementare. Ora come è a tutti evidente la tecnologia dell’ologramma, non solo ci dà nuove immagini, ma fa del patrimonio di tutte le nostre immagini, anche passate, una “visione della realtà”, tutto ciò ch’è appartenuto alla bidimensionalità, ora può essere ripercepito nella realtà dell’ologramma, acquisendo la tridimensionalità della “visione della realtà”, dimensione in molti casi neanche immaginata, nel tempo in cui furono create alcune delle immagini bidimensionali pregresse questa tecnologia.

E ancora

Non so quando accadrà e se accadrà, ma è ipotizzabile che nello sviluppo delle possibilità della percezione visiva e naturalmente nell’ambito della “visione della realtà”, si riesca a portare l’immagine dell’ologramma fuori dagli attuali contenitori, per determinarla, magari in una stanza all’interno di uno spazio domestico; attraverso dei proiettori magnetici che interagiscono con le molecole dell’aria; se si raggiungerà ciò, non so se sarà più necessaria, la creazioni dei processori molecolari all’idrogeno.

Dunque è in questo ambito che io ho deciso di usare delle immagini bidimensionali e se riflettete un attimo vi rendere conto da soli, che tale scelta non ha nulla a che fare con quelle percettive pregresse dell’immagine bidimensionale. Vi invito pertanto ad approfondire il significato del linguaggio delle mie opere, capirne i contenuti e le motivazioni estetiche innovative.

 


                   In attesa del titolo

 

 

Sospesi nell’aria, un po’ decentrati, rispetto al centro della scene - ci sono due persone nude che stanno facendo l’amore, lei sembra guardare qualcuno tra il pubblico, la sua testa è reclinata sul cuscino verso la platea, lui ha appena percepito questo e mentre l’abbraccia e si muove dentro lei, il suo sguardo fa per spostarsi verso il pubblico, ma sembra fermo su quello di lei, come avesse percepito qualcosa di quello che lei sta pensando, e solo con un movimento appena accennato della testa, lui guarda anche verso il pubblico. E quel che c’è nell’intensità dei loro corpi, nell’attimo in cui lo spazio e il tempo sembra fermarsi, è in quei pensieri che la sospensione del loro sguardo mostra alla platea, che loro guardano vedendone il significato al di là di quel pubblico seduto.

 

Si sente una voce venire dalla profondità della scena, il suono che si sente, quelle parole pronunciate, come se qualcuno stesse per comparire, creano un interrogativo, un’attesa:

 

Credo che questi due corpi siano composti attraverso la composizione controllata della luce laser incrociata in uno spazio magnetico, creando un ologramma nell’aria. Ma il fatto che stiano così perfettamente immobili, quasi che la loro coscienza si sia messa in una stasi contemplativa, attraverso il momento in cui hanno percepito una domanda, un interrogativo sulla condizione, loro personale investita dall’incoscienza dalla condizione ignara! dell’umanità, mi fa supporre che facciano parte di un istante fotografico. Credo siano incisi su una lastra di vetro, con il processo olografico, a grandezza naturale, lasciati così, sospesi nel vuoto per percepire l’esistenza dell’umanità e noi nella “visione della realtà” che ci è data di loro l’aprirsi del nostro pensiero con il loro.

 

L’unica possibilità che hanno è di credere di sapere di non sapere, così possono affermare che quel che sanno è la verità – e ancora di credere di non sapere che so e, così credere di affermare la propria non coscienza, sulla mia coscienza e qualità del mio sapere.

 

Disse uno dei due. Disse la voce che veniva dalla profondità della scena, mentre il pubblico osservava quelle persone “sospese.”

 

- Da qualsiasi posizione guardi la visione della realtà dell’olografia, la loro espressione i loro corpi sono sempre nella medesima posizione, perché non hanno voluto che da posizioni diverse si percepisse una diversa condizione delle persone sospese? che il pubblico potesse differenziare la sua percezione. Disse uno dei due.

 

- In ogni epoca la rapida ed efficace apparente della soluzione del problema, dà un’informazione di efficacia della soluzione del problema, ch’è manifesta immediatamente, anche se non è la soluzione del problema. E con la complicità dell’astrazione della causa/e si determina il consenso strutturato dei codici della soluzione del problema, che diventa soluzione dei problemi, che si omologano nell’informazionale, che ha, alterati i tempi dinamici (rapidi o non) negli effetti riportati della soluzione del problema a vantaggio di chi vuole quella soluzione del problema, nell’ambito dell’acquisizione del controllo della strutturazione della struttura dei codici, per la soluzione comune. Modo dell’accettazione della soluzione del conflitto attraverso le sue varie forme di guerra. Disse uno dei due.

 

 

Roma 12:38: Sciopero ferrovieri Orsa, circola un treno su due

Trento, 12:35 Disinnesco bomba, riaperte autobrennero e ferrovia

Gerusalemme, 12:00: Morto uno degli israeliani feriti nell'attentato di ieri

Berna, 11:47: Svizzera al voto per ingresso all'Onu e orario di 36 ore

Gerusalemme, 11:40: Uccisi due palestinesi vicino a Ramallah e Nablus

Houston, 11:30: Columbia, riuscito l'aggancio al telescopio Hubble

Trezzano sul Naviglio, 11:27: Incendio: morte cerebrale per bimba e babysitter

Sirte, 11:07: Medio Oriente, ecco il piano di pace di Gheddafi

Washington, 10:35: Bombe termobariche Usa su caverne dell'est Afghanistan

Tel Aviv, 10:22: Caccia israeliani bombardano Ramallah

Tel Aviv, 10:21: Attacco palestinese a Ofra, i morti sono nove

New Delhi, 10:12: Precipita elicottero, muore presidente parlamento indiano

Gerusalemme, 10:07: Israele accusa: offensiva terroristica lanciata da Arafat

Rocella Jonica, 10:04: Nuovo sbarco in Calabria: 57 cingalesi tamil

Ramallah, 10:00: Violenza continua nei Territori, ancora vittime

Gerusalemme, 22:55: Brigate al Aqsa rivendicano uccisione agente israeliano

Creta, 22:40: Caccia Usa precipita nel Mediterraneo, muore pilota

Gerusalemme, 22:12: Attentato, dura condanna di Washington

Gerusalemme, 21:24: Brigate dei martiri Al Aqsa rivendicano l'attentato

Torino, 21:12: Troppa neve, coda di 10 km al traforo del Frejus

Gerusalemme, 21:00: Trovato ucciso un agente israeliano

Roma, 20:56: Superenalotto: nessun 6, un 5+1 da 3 milioni di euro

Gerusalemme, 20:46: Attentato, sono dieci le vittime

Catania, 20:40: Avvistata una nave con 50 clandestini a bordo

Roma, 20:30: Casa delle libertà: Ulivo sfida vana, Paese con noi

Washington, 20:28: Soldati Usa morti, era un'azione contro Al Qaeda

Gerusalemme, 20:28: Attentato, per Israele è colpa di Arafat

Gerusalemme, 20:24: Kamikaze si fa esplodere tra la folla, è strage

Brescia, 19:44: Bipop-Bancaroma, via libera a piano aggregazione

Gerusalemme, 19:33: Attentato nella città Santa, cinque morti

Roma, 19:35: Terrorismo, rilasciato il pachistano fermato a Fiumicino

Washington, 19:28: Soldati Usa uccisi in battaglia in Afghanistan

Roma, 19:08: Ulivo, Rutelli fa ascoltare Berlusconi su pensioni: fischi

Ahmedabad, 19:08: Conflitti religiosi, 300 persone bruciate vive in India

Gerusalemme, 18:33: Attentato nella città Santa: morti e feriti

Roma, 18:32: Palazzo Chigi, su art. 18 nessun passo indietro

Roma, 18:25: Rutelli: ci vuole quello che chiedete, unità

Islamabad, 18:20: Sette capi villaggio afghani uccisi a un banchetto

Aosta, 18:05: Bimbo ucciso: sentiti altri quattro testimoni

Roma, 18:03: Questura: 120mila persone in piazza San Giovanni

Roma, 18:00: Ulivo, Schifani: ma il Paese è con Berlusconi

Roma, 17:50 : Fassino: destra vuole lotta di tutti contro tutti

Assago, 17:48: Congresso Lega, Bossi: resistenza contro norme Ue

Roma, 17:37: Leone, Fi: la sinistra in piazza si moltiplica per cinque

Roma, 17:25: Ulivo, Maura Cossutta: siamo in 800.000

Roma, 17:15: Ulivo, Bachelet fa alzabandiera prima dei comizi

Roma, 17:15: Lainati, Fi: nel '98 in piazza noi eravamo un milione

Gardez, 17:15: Battaglia sulle montagne contro talebani irriducibili

Roma, 17:07: Manifestazione Ulivo, per Casarini è un funerale

Roma, 17:02: Ulivo, Rutelli: così tanti non me li aspettavo

Assago, 17:00: Congresso Lega, Arcigay: iconografia ha sapore gay

Roma, 17:00: Ulivo, Selva: non spostare dibattito in piazza

Roma, 16:55: Alemanno: corteo Ulivo va rispettato e valutato

Assago, 17:02: Congresso, Calderoli: Lega non può vivere senza Bossi

Assago, 16:55: Congresso Lega, Maroni: entro 2010 piena occupazione

Roma, 16:45: Biondi, Forza Italia: l'Ulivo non si faccia illusioni

Roma, 16:43: Ulivo, in corteo anche l'ex leghista Formentini

Assago, 16:44: Congresso Lega: Borghezio, no a parificazione dell'islam

Roma, 16:37: Ulivo, il corteo sfila ancora verso piazza S.Giovanni

Manfredonia, 16:00: Lavoro, D'Amato: articolo 18, intesa possibile

Roma, 15:10: Ulivo, si unificano i cortei di Pdci e Italia dei valori

Roma, 15:03: Ulivo, Diliberto: Berlusconi non sa cos'è democrazia

Roma, 14:55: Ulivo, Di Pietro: ponti d'oro a chi capisce i propri errori

Londra, 14:50: Pacco tossico, era per la moglie di Blair

Palermo, 14:50: Banco Sicilia, approvata fusione con Banca di Roma

Ahmedabad, 14:40: Scontri religiosi, 8 morti in rogo doloso panificio

Roma, 14:42: Ulivo, nel corteo arriva Francesco Rutelli

Roma, 14:38: Ulivo, applausi per Veltroni che arriva nel corteo

Roma, 14:35: Ulivo, arriva D'Alema: Massimo resta con noi

Roma, 14:28: Partito il corteo: "Contro la destra che divide"

Roma, 14:18: Ulivo, stazione Termini: Fassino, tieni duro e mangia

Caltanissetta, 14:15: Agip Petroli, procura respinge ricorso contro chiusura

Roma, 14:05: Ulivo, striscione: contro la destra che divide

Manfredonia, 14:02: Berlusconi: si vuole spallata da piazza e cattiva giustizia

Skopje, 14:02: Macedonia, scontri con la polizia: sette morti

Roma, 13:55: Ulivo, primi gruppi in piazza: magliette anti-Berlusconi

Cogne, 13:48: Bimbo ucciso, procuratore Aosta: ancora nessun indagato

Milano, 13:42: Ulivo, Calderoli: ignoravo che ci fosse una manifestazione

Manfredonia, 13:18: "Su articolo 18 pronti a fare un passo indietro"

Catania, 13:40: Estorceva 100 euro al mese a coetaneo, arrestato minore

Nairobi, 13:37: Corte islamica, adulterio: 75 frustate a 18enne incinta

Piombino, 12:40: Arrestati 10 minorenni, picchiarono ragazza 13enne

Catania, 12:17: Sbarco clandestini, sei scafisti fermati a Foggia

Gaza, 12:15: Palestinese ucciso da soldati israeliani

Palermo, 11:58: Arrestato imprenditore legato a clan Di Maggio

Assago, 11:25: Speroni: diretta Rai spetta anche a Pontida

Gerusalemme, 11:07: Palestinese partorisce a posto di blocco, neonato muore

Catanzaro, 11:00: Avvocato penalista ucciso con colpi di arma da fuoco

Jenin, 10:50: Truppe israeliane lasciano campo profughi

Lenzerheide, 10:50: Sci, Isolde Kostner vince Coppa del mondo discesa libera

Cadorago, 10:15: Rapina in villa, padre e 2 figlie un'ora in balia dei banditi

Londra, 10:00: Pacco con sostanza tossica recapitato a Tony Blair

Trezzano sul Naviglio, 00:10: Incendio al ristorante, muore un bambino

Torino, 23:59: Ventimila sotto la pioggia per accogliere bandiera olimpica

San Benedetto del Tronto, 23:36: Sequestrati 130 videopoker truccati, 43 denunce

Bogotà, 23:07: Commando lancia granata contro poliziotti: 32 feriti

Trezzano sul Naviglio, 23:00: Incendio al ristorante, tre bambini sono gravi

Cisgiordania, 22:30: Autorità palestinese sospende ogni contatto con Israele

New York, 22:08: Wall Street in positivo, vola il Nasdaq

Washington, 21:40: Usa, governo di riserva in caso attacco nucleare

Washington, 21:30: Sonda Odyssey rileva idrogeno e ghiaccio su Marte

Roma, 21:07: Manifestazione Ulivo, il Tg3 farà la diretta

Disse la voce dal fondo del palcoscenico.

 

- La contraddizione in termini, o termini della poesia è quello di dire che la struttura è il contenuto del significato. Ma chi crea la struttura nell’ambito di una struttura già prestabilita può darvi qualsiasi personale contenuto in un codice prestabilito. Attraverso questo paradosso lirico, la poesia non è astrazione, ma astratta; e nel rapporto simbolico del linguaggio, qualora non nasca un neologismo simbolico nuovo, in rapporto con la realtà, l’unicità del lirismo del poeta nella lirica dei codici della poesia, si estingue nella perdita del significato, che non ha più una personale rappresentazione nel processo astratto – se non in un fruitore che si “evolve” per involuzione, per la perdita della ricerca dell’esperienza e della sua connotazione con il linguaggio, che diventa solo decodifica della struttura prestabilita, e riduce e può annullare la capacità d’esperienza dell’individuo, sia esso poeta o solo lettore. Si dice che il contenuto ha bisogno della struttura, ma il processo lirico creativo individuale, non sempre trova nel codice prestabilito la realtà e in essa la comunicazione con la propria esperienza, codice che così preclude la comunicazione con la “realtà” del linguaggio – e del dinamico confronto che sviluppa e nutre la reciprocità dell’esperienza tra gli individui, nella loro peculiarità e unicità – detta anche dell’espressione del poeta.

 

Poche parole; questa non vuole essere un introduzione, ma la spiegazione di alcune parole che incontrerete nella lettura delle poesie. A voi che leggerete vi succederà di riscontrare, delle parole che possono apparire scritte in modo ortogra­ficamente errato, questo perché esse sono state scritte come vengono enunciate in dialetto.

Ciò vuole essere un modo d’introdurre il dialetto nella sua forma meno ecla­tante: là dove inizia la sua formazione.

                                                                                                                                                                            1990           

 

 

Spersonalizzazione

 

Tutto fuor scritto che in me

 

 

 

L’evoluzione nella costituzione di una nuova struttura, oltre la struttura dei codici canonici, pone di fatto la possibilità che la nuova struttura possa essere da chiunque riempita di personali contenuti, per esempio come nei dieci suoni della musica dodecafonica di Arnold Schoenberg e, in fondo cosa differenzia questa idea espressiva dalla ricerca costruttivistica di Igor Stravinskij, che cercava di definire le regole che affermassero il talento, per poi in fondo con il talento rompere ogni possibile confine concettuale delle regole della sua musica, per riportare tutto nell’esperienza - innovativa - dell’esperienza della percezione del linguaggio non solo concettuale. Questo è importante nel cammino creativo, nella poesia, come nelle altre espressioni artistiche, non la decodifica, ma la capacità di codificare il linguaggio nell’ambito della libertà espressiva delle percezioni individuali, patrimonio di libertà individuale dell’intera umanità – per una autenticità dei mezzi di decodifica, attraverso l’esperienza e la ricerca di ogni essere vivente. Disse uno dei due.

 

A pagina 27 del dattiloscritto del libro: “Diario di un sopravvissuto anonimo si legge: … Il problema che rivelai all’inizio della mia grecità fu nel fatto che non era tanto difficile trasmettere il sapere di cui venivo a conoscenza, anche se già in quel periodo giovanile dovevo comunicare con dei libri stampati che non avevo niente a che fare con i libri veri, ma quanto l’esperienza stessa di quel che significasse la libertà della conoscenza. …

Nel libro seguente questo: “Anonimo al di là del dubbio, la poetica della lettura delle 100 pagine si acclara nella struttura compositiva del libro; a conclusione della parte scritta vi è uno spazio di carattere simbolico, formato dalle pagine bianche, numerate sino alla pagine 100. La possibilità di spazio e tempo per la lettura di un libro è soggetta alle regole espressive del testo, alla capacità di decodifica del lettore, alla relazione che si stabilisce e che tra i due sviluppa altri percorsi riflessivi, meno apparenti, ma presenti nel testo; e il tempo inteso convenzionalmente materiale. La possibilità di usufruire di una spazio tempo esperienza, della lettura, comporta che tutte queste componenti e i relativi collegamenti con la struttura sociale che va ad influenzare, siano partecipi della libertà che il lettore può avere per usufruire del suo tempo. la Ricerca di una componente artistica rivelatrice, comporta che il lettore insieme all’autore deve assumersi la facoltà di scegliere la libertà della ricerca creatrice dell’espressione artistica, per salvaguardare il livello della propria consapevolezza. La profondità della forma e del contenuto che può essere concepito nelle 100 pagine, determina, ma al contempo rende oggettivo, lo spazio tempo individuale della libertà della fruizione dell’opera. È ovvio che qualora fossero necessarie 101 pagine per l’espressione dell’opera, la regola delle 100 pagine sarebbe necessariamente e liberamente infranta, ma sempre nella prospettiva che la Ricerca di una componente artistica rivelatrice, comporti che il lettore insieme all’autore debba assumersi la facoltà – nell’ambito della responsabilità - di scegliere la libertà della ricerca creatrice dell’espressione artistica, per salvaguardare il livello della propria consapevolezza. Perdere questa possibilità comporta che l’espressione artistica perda la sua connotazione creatrice, per subordinarsi alle logiche “deriva del sistema, che nelle forme espressive fa derivare un vuoto spazio tempo esperienza, sull’acquisizione della consapevolezza, per mezzo di processi arbitrari della creatività che si fa autocompiacimento del proprio livello organizzativo nell’ambito della struttura sociale, che così determinare la scrittura di una pagina o di mille, senza dare nessuna facoltà di libera responsabilità, consapevole, dello scritto; non esiste più così, ma viene sublimata la Ricerca di una componente artistica rivelatrice, che comporta al lettore insieme all’autore l’assunzione della facoltà di scegliere la libertà di voler capire la ricerca creatrice dell’espressione artistica, per salvaguardare il livello della propria consapevolezza. È ovvio che nelle 100 pagine il livello della grandezza del carattere con cui è stampata la parola, può acquisire un significato per quel che riguarda il rapporto con l’apparato visivo del lettore – sia anch’esso tattile – mentre è ovvio che se la parola è pronunciata vocalmente, questa indicazione è percepibile concettualmente. Se il testo delle 100 pagine viene letto in forma informatica, l’ingrandimento del carattere, o la sua diminuzione può avvenire attraverso lo zoom e ciò lascia inalterato lo spazio vuoto, la struttura temporale all’interno delle 100 pagine. Se invece il testo prende forma stampata, la variabilità della misura del carattere è soggetta al solo arbitrio dell’autore, a meno che il lettore usi lenti per variarne la grandezza – lenti al di la di quelle normalmente in uso, che hanno per nome occhiali da vista. È ovvio che qui, l’assunzione di onesta dell’autore deve comportare, che nell’ambito della fruizione del libro il carattere acquisisca una dimensione che non disturbi la libera e spontanea fruizione dello spazio tempo esperienza, a meno che non vi sia in esso un carattere simbolico, che determini il libro come oggetto e contenuto, riproducibile, nel suo significato concettuale non leggibile attraverso i caratteri di stampa, che hanno alterato lo spazio tempo esperienza della fruizione dell’opera, riducendo la loro grandezza e aumentando in modo esponenziale, finito, ma infinito concettualmente lo spazio tempo delle 100 pagine, non più superate dallo scritto, ma illeggibilmente piene, alla vista del normale occhio umano.

 

a meno che non vi sia in esso un carattere simbolico, che determini il libro come oggetto e contenuto, riproducibile, nel suo significato concettuale, non leggibile attraverso i caratteri si stampa, che hanno alterato lo spazio tempo esperienza della fruizione dell’opera, riducendo la loro grandezza e aumentando in modo esponenziale, finito, ma infinito concettualmente lo spazio tempo delle 100 pagine, non più superate dallo scritto, ma illeggibilmente piene, alla vista del normale occhio umano. Disse uno dei due.

 

 

 

 

 

 

 

Il lettore non ha nessun diritto se non gli è dato dall’autore. Disse uno dei due.

 

“00 Non andando in campagna”, come è possibile prendersi le piattole senza andare né con le prostitute 01 , né con le puttane 10 (…del pensiero). – Ma sono tutte piattole! 0,1 – meglio andare con quelle vere che con il loro surrogato […Y…] meglio la campagna al naturale che le piattole 0,0 [la donna (o…è)] Disse uno dei due.

 

L’invidia più grande è quella di coloro che dicono a chi conosce il male, che loro conoscono il bene – adamicamente – non sanno come si fa il male e fanno il male scambiandolo per bene. Disse uno di loro

 

 

            Interpunzione

 

La tragedia di Cogne 14/3/2002 editato forum la Stampa.it

L’uccisione del piccolo Samuele, un mese e mezzo di indagini, l’arresto della madre. Dite la vostra in questo spazio di discussione sulla tragedia

 

 

La tragedia di Cogne

 

Una considerazione sconclusionata!?

...A me ancora viene in mente quell'omicidio di quella donna, davanti la sua casa, che se non sbaglio è nei pressi dell’omicidio di cogne - da quel che si è sentito attraverso i mezzi d'informazione, anch'esso senza movente né ragione - se non sbaglio anche lì si parlò di un’arma da taglio, mai trovata. Alcuni giorni prima attraverso i mezzi d'informazione, se non sbaglio si tornò a parlare del mostro di firenze e di strani personaggi mai venuti alla luce. La storia del mostro di firenze è stata, piena di efficientismi giudiziari, che è bene non accadano mai, neanche per clamori mediatici. Da quel che si è sentito attraverso i mezzi d’informazione, nell’assassinio di cogne sembra quasi che si volesse infliggere attraverso il “modo usato” una punizione in chi commetteva l'atto, ma punire anche una figura genitoriale, che può benissimo essere traslata nell’omicida; e gli indizi, così, non possono che ricadere su chi è rappresentazione simbolica, dell’immagine psichica dell’omicida.

 

Patrizio Marozzi

Patrizio.marozzi@libero.it

 

Appendice

 

il clima di questi giorni va considerato come tutto quello che la storia produce, tanto da sembrare importante per essa, ma che in fondo è solo il susseguirsi delle sue ripetizioni, nella politica, come forse ogni evento umano. Fermarsi a raccogliere i fatti che accadono, in modo quasi cronachistico, non ha molto senso per la struttura di un libro che non vuole essere una rappresentazione momentanea nel “significato”. Allora per qualsivoglia fatto, l’autore del libro ha dato valenza di significante alla formazione dei contenuti del libro: nei contenuti dei valori umani che adempiono alla struttura formale dell’opera. Nella logica di questa appendice, in contesto di nota, nell’interpunzione concettuale di cui è parte; l’autore ha deciso di inserire nel contesto del libro alcuni punti di vista su e di un fatto di cronaca che si svolge parallelamente al contesto sociale contemporaneo (Marzo 2002),

 

Dall’interpunzione concettuale, in questa appendice in forma di nota.

In questi giorni, tra i venti di guerra che attraversano il pianeta, dall’America di Bush all’Israele di Sharon, al fanatismo islamico, alla tribalità esasperata dalla forza delle armi in Africa, l’autore vive gli eventi che stanno accadendo in Italia:

Nel dibattito parlamentare di mercoledì, dopo che il martedì a stento si riusciva a raggiungere il numero legale per le votazioni, per assenze nei componenti la maggioranza che legifera - nella regolare procedura attinente obbligatoriamente al sostituto il presidente della camera, avviata regolare procedura di volto, molti deputati si attardavano e non riuscivano a votare – accese ingiurie al sostituto il presidente della camera: Mussi, da parte delle forze della maggioranza: della lega e forza italia.

In questi giorni la confindustria nella figura del suo presidente D’Amato sta acuendo le pressioni sul governo, che non abbisogna in tal senso, affinché approvi quelle riforme che in sostanza agevolano la parte economicamente più forte e per questo maggioritaria del paese, creando un plusvalore nelle capacità d’impresa con l’agevolazione dei privilegi. Nelle linee di potere della confindustria, non so quando inconsapevolmente da parte della Fiat, la logica al potere, dopo la gestione Abete, in linea con la Fiat e, soprattutto dopo il licenziamento da parte del primo ministro Berlusconi, del ministro degli esteri Ruggero, le logiche della confindustria come dicevo, vanno sempre più verso la funzione del movimento dei capitali e verso le logiche politiche della lega e forza italia.

 

L’immagine oleografica perse il colore e quei due corpi ora davano la loro immagine in bianco e nero, comparve sul palco un uomo avvolto in un mantello, lo aprì e lo fece gonfiare mentre si voltava, poi lo chiuse su di sé e scomparve. In quel momento la luce che illuminava la lastra di vetro si spense e i corpi scomparvero. Disse uno dei due.

 

      

     Pagine da strappare

 

La Repubblica.it – Forum Terrorismo

Da 1 a 10

 

Autore: Patrizio Marozzi (---.27-151.libero.it)
Data: 20-03-02 15:41

basta silenzio, tutto quello che si può dire è stato già detto, tutto è stato già fatto. Questa è una Nazione di deficienti che non riesce ad abbattere le barriere architettoniche della stupidità - è la nazione dove si normalizza l'imbecillità, dove il diritto di pensare di tutti è una scelta di pochi, che si paga a caro prezzo. Dove il talento è espressione del più forte, del più deficiente con cui poter dire di essere intelligente - dove la cialtroneria camaleonticamente prende le sembianze, il pregio della qualità, per dirci cosa siamo e cosa dobbiamo fare, per dirci quanto siamo bravi. Se avere talento è già una follia, provare a pensare con la propria testa, essere indipendenti è a dir poco intollerabile, inaccettabile. Sono in una nazione di deficienti ...e ora ci si guarda e si parla anche e, c'è tanta gente che si chiede: come è successo, o almeno sembra chiederselo, ma non dubito che sono anch'essi dei deficienti.

 

 

 

Marina Orlandi: "Ero terrorizzata, sentivo il pericolo vicino a noi"
lunga e affettuosa visita del presidente Ue Romano Prodi


Il dolore della vedova Biagi
"Non voglio funerali di Stato"



di LUCIANO NIGRO

 


BOLOGNA - "Non voglio un funerale di Stato". Al termine di una giornata di trattative con rappresentanti del governo e della Curia bolognese, Marina Orlandi ha detto no, almeno per il momento, alle esequie solenni per il marito Marco Biagi, assassinato martedì sera. Donna schiva, ma forte e coraggiosa, Marina Orlandi, biologa all'Università di Bologna, ha trascorso le prime 24 ore dopo l'omicidio del marito con una sola preoccupazione: proteggere i figli Francesco e Lorenzo, il suocero Giorgio da poco rimasto vedovo, trovare il modo per dire della tragedia alla sorella di Marco che ieri rientrava dalle Maldive. Tenere insieme la famiglia in un momento terribile, insomma.

E dare l'addio al marito senza clamore, lontano dalla pubblicità, dagli sguardi indiscreti delle telecamere che da due giorni assediano via Valdonica. Mai una dichiarazione pubblica, un pianto davanti agli ospiti o ai fotografi. Al parroco, all'ex ministro Angelo Piazza, al maestro di suo marito, ha solo accennato i timori dell'intera famiglia perché al professore era stata rifiutata la scorta. "Avevo paura. Me lo sentivo. Ero terrorizzata", le uniche frasi che si è lasciata andare con le poche persone che hanno superato il portone di via Valdonica 14, da quando Marco Biagi è stato assassinato sotto casa, pochi minuti dopo averle detto al telefono "ciao, sto arrivando".

"Non mi vergogno di dire che mi sono messo a piangere e lei ha consolato me" racconta il professor Luigi Montuschi, con il quale Biagi aveva iniziato la carriera accademica. "E' stata lei a dirmi le parole giuste per tirarmi su. 'Marco ti voleva bene'", dice Alessandra Servidori, un'amica di famiglia che l'ha vista il primo giorno. Ieri Marina Orlandi ha ricevuto solo l'ex sindaco Walter Vitali, il presidente dell'Unione Europea Romano Prodi e pochi amici. Poi ha dedicato l'intero pomeriggio a discutere della cerimonia funebre.

Mentre le agenzie di stampa annunciavano i funerali di Stato, l'arrivo del presidente della Repubblica e di tante personalità e si ipotizzavano i funerali per sabato 23 marzo. Una scelta alla quale la vedova ha detto "no". Alle 16,30 padre Angelo è entrato con la proposta del cardinale Giacomo Biffi di tenere la messa in San Petronio. "Non è convinta, non vuole una cerimonia sotto i riflettori", ha detto padre Angelo lasciando la casa pronto a tornare alle 19 per una risposta. Ma la risposta non è arrivata.

All'ora di cena è stato il parroco di San Martino, padre Augusto, a lasciare deluso l'abitazione. "Ti lascio in sospeso - ha detto la donna al sacerdote - perché Marco è ancora in obitorio, non sappiamo ancora il giorno e nemmeno il luogo". "Non è escluso che vogliano farlo fuori città - rivela padre Augusto -. In campagna, forse. A Pianoro, dove hanno una casa. Con me non era mai stata così riservata".

(21 marzo 2002)

 


            NessunO

 

 

Ci sto a dire che una giornata come tutte le altre in fondo potrebbe essere diversa. Al posto di - in questo giorno in fondo la giornata potrebbe essere diversa. -

Il giorno seguente tutto quello a me invece di che - facevo non aveva nulla a che fare con quello che noi avremmo fatto comunque sia forse fatto quello che noi ne sia a coloro che ieri da circa questo punto a 16161 scemo che sei Hitachi m 3 c 1 il cc se nel 7 ce la fece a sostenere quella che prevede tra le stesse non risente sempre il 16 comunque paritetica quello che ha scritto. A qui, ho pronunciato fosse facessisi, velocemente.

Nell’ultima parte che leggete ho pronunciato e ripetuto la frase: ripeti quello che ho scritto, ho detto ripeti… poi in fondo, ripeti ripeti. Ripeto quello che ho scritto. E non ripetersi ciò li è che il ho detto e ripeto quello che ho scritto lo ripeto ripeto i.

Dopo aver introdotto il computer nel mio ultimo libro, sono seduto, sulla mia sedia preferita al soffitto della stanza, lo osservo poggiato sul tavolo ancorato al pavimento e dopo immane tempo sono riuscito a sincronizzare la velocità della stanza con la velocità stroboscopica del piatto per gli L.P. in vinile. Vi chiedete come ho fatto? Non è stato facile oramai la componente audio musicale, la sua percezione uditiva è esclusivamente digitale, comunque sono riuscito a recuperare un impianto analogico di ottimo livello e, vi posso dire che non riuscite ad immaginarlo se non provate cos’è riacquistare per l’orecchio e il cervello tutte le risonanze che compongono un brano musicale, gli L.P. sono soggetti a influenze di lettura – cariche elettrostatiche, polvere, non perfetta uniformità della superficie a contatto con lo stilo della testina magnetica, ma in sostanza non riproducono il suono, lo copiano dall’originale. Del resto, comunque, non potrei creare i suoni d’ambiente che sento nella stanza quando è completamente insonorizzata, la perfezione del processo elettronico digitale, il suo livello di fedeltà nella riproduzione non è equiparabile a nessun altro. Alcuni giorni attivo un suono che riproduce perfettamente la vibrazione di un oggetto metallico a contatto con un altro oggetto, vibrazione generata dalla frequenza acustica prodotta dal rumore dalla marmitta di una moto che percorre la strada dal punto A che raggiunge il punto B dell’oggetto nel momento esatto in cui lo spostamento dell’aria genera l’esatta frequenza necessaria alla vibrazione dell’oggetto. La cosa particolare della riproduzione digitale è che io senza la motocicletta senza l’oggetto e senza l’aria reale generante la frequenza ho perfettamente riprodotto il suono della frequenza che fa vibrare l’oggetto e il suono prodotto dall’oggetto a contatto con l’altro oggetto e che ovviamente crea lo spostamento d’aria che raggiunge il timpano; tutto ciò partendo dallo sfregamento di due oggetti completamente diversi che originariamente producevano un suono, “ora registrato” e che opportunamente trattato attraverso un processo parametrico digitale si è trasformato nel suono generato dal contatto degli oggetti, senza che essi siano mai esistiti e che nessuna frequenza ne abbia determinato alcuna vibrazione. È come dire che all’interno delle frequenze acustiche il suono della vibrazione di un oggetto a contatto con un altro per mezzo di una frequenza acustica, esiste indipendentemente dall’oggetto e dalla frequenza.

Rallento la velocità della stanza perché devo cambiare il lato del L.P. e sono sicuro che se foste qui mi chiedereste dove ho trovato un televisore a tubo catodico, ancora perfettamente funzionate, sono fortunato, ma la cosa che vorrei mostrarvi è questa fotografia che copia le frequenze della luce prodotte dalle barre colorate, di un determinato segnale immesso nel tubo catodico del televisore, se guardate attentamente in basso la foto, a destra, noterete un segno dall’andamento particolare, ora se guardate questa altra foto è meglio, perché è l’ingrandimento di quel particolare della foto precedente. In sostanza quello che vi si vede è l’effetto della collisione di due elettroni, ma la cosa ancor più particolare dell’essere riuscito attraverso uno scatto fotografico, attraverso lenti e pellicola di concezione analogica, è il fatto che nello sviluppo della diapositiva questo evento è riprodotto in negativo sulla riproduzione positiva della diapositiva.

Torno a muovermi nello spazio della stasi, come io lo chiamo quando mi piace pensarlo e torno a sedermi sul soffitto. In effetti non è esatto parlare della geometria della spazio soggetta alla leggi della stasi se non si pensa di essere oltre la velocità della luce. Nel mondo delle leggi fisiche della stasi, al di là della velocità della luce, la materia assume “l’aspetto” dell’invisibilità – mantenendo in ogni suo punto la stessa massa ed energia – un infinitamente grande con le caratteristiche dell’infinitamente piccolo della fisica. Tutto questo ben al di là dell’attuale percezione della teoria quantistica e la percezione dell’esistenza dei buchi neri. E pur tuttavia questo è altro rispetto alla dimensione spirituale, non soggetta alle leggi della fisica della materia – in biologia una cellula cancerogena, “che cerca l’immortalità” distrugge il tempo di tutte le altre, fino a distruggere se stessa. La forma mentis umana attraverso il potere immagina la sua forma in tutte le forme ed è paragonabile a quella cellula che in biologia cerca l’immortalità.

- Il mondo è all’interno del nucleo di un nucleo [fine delle monadi] oltre la velocità della luce in un salto a-quantistico – nella massa stasi – La massa si trasforma in energia e l’energia è la massa stasi invisibile (concetto della legge della stasi).

Nello spazio di stasi è pressoché impossibile che due atomi di idrogeno si fondano – a meno ché in essi non ci sia un’aggregante “genetico” che non si conosce o immesso.

La fusione procede per salti quantici, in parallelo sull’energia degli atomi, attraverso la composizione massa energetica “complessa” – degli e tra gli atomi, coinvolti in un parallelo simultaneo aggregante. La fusione del nucleo deve procedere fino alla massima perdita della massa energia, nello stato “apparente” di stasi invisibile – ciò per non incorrere in un aggregante nucleare dalle imprevedibili risorse radioattive, che agiscono sul nucleo della cellula, “in modo sempre inatteso” – come quello della fissione nucleare.

[il mondo degli “atomi” non può stare in quello della cellula]

…i pianeti non stanno in orbite diverse da quelle che hanno e sono…e come l’energia negli atomi interagiscono attraverso la dimensione della velocità (e leggi quantistiche) della luce, contenuta nel pre-nucleo del “post ma anche pre” nucleo dello spazio della stasi.

O Dio, che succede, la luce stroboscopica del giradischi.. la musica è accelerata, sto cadendo con la testa sul pavimento, la sedia mi si stacca dal culo e mi ci ricade sopra, non c’è più flusso energetico fotonico, quello che arriva direttamente dal sole e la stanza si è rimessa alla velocità del pianeta, ma fuori è buio e l’atmosfera sta cambiando, c’è un vento da matti e non si vede né luna né sole. Il sole è diventato un buco nero e la terra “pian piano” ci sta finendo dentro, non sarà il buco nero che dicono stia al centro dell’universo dello spazio della velocità della luce, ma è pur sempre un buco nero, dove finirò nell’antimateria e quando raggiungerò l’energia dello stato della stasi e, quando Dio, ma questo è un altro discorso? e forse non serve andare così piano.

 

 


                                   Appendice

 

 

1

 

----- Original Message -----

From: Mariani

To: patrizio.marozzi@libero.it

Sent: Monday, March 11, 2002 5:34 PM

Subject: tema celeste

 

Gentile Patrizio Marozzi,

sono la segretaria di redazione e le scrivo per scusarmi profondamente per l’invio della cartolina di abbonamento.

Farò un controllo nei nostri mailing, in modo che non possa essere più disturbato.

 

Cordiali saluti

Valeria Mariani

 

tema celeste
Editorial Assistant
Piazza Borromeo 10
20123 Milano
Ph.0039.02.80651754
Fax 0039.02.80651787
E-mail mariani@temaceleste.com

 


2

 

Prima la visita medica, poi il racconto della sua verità
Non ha mai avuto cedimenti


La rabbia della madre al gip:
"Ditemi voi chi ha ucciso Samy"

Ha urlato: "Lo capite che sono in prigione
al posto di un altro?"


di MAURIZIO CROSETTI

 


TORINO - Una tigre. Altro che "bimba", altro che mammina involontaria di una nidiata di fratellini e poi mamma vera in una spettacolosa prigione di montagne. Emotivamente assente? Fino a ieri mattina, forse. Ma ieri, no di sicuro. A un certo punto dell'interrogatorio è sembrato quasi che il giudice fosse lei, e l'imputato fosse il giudice, è successo quando Anna Maria Franzoni ha fatto precipitare una frase gigantesca: "Non sono io a dovervi dire chi ha ammazzato Samuele, siete voi a doverlo dire a me!" La mamma, il mostro, la pazza, la vittima, l'enigma, tutti i ruoli e tutte le definizioni si sono cancellate quando Anna Maria è entrata in "sala magistrati" al carcere delle Vallette, erano quasi le dieci, lei aveva appena fatto colazione dopo una notte di sonno tranquillo anche se illuminato dalla luce sempre accesa, e dallo sguardo dei piantoni. Aveva anche incontrato due suore, le stesse che poco più tardi sarebbero uscite sul piazzale per gridare ai cameramen "siete dei voyeur, è meglio se andate a guardare la sofferenza di tanta povera gente".

Frasi cancellate dalle auto dei giudici in arrivo sgommando, velocissime, persino il taxi del mite avvocato Carlo Federico Grosso pare uscito da un telefilm. Ogni parte del copione trova il suo posto esatto mentre Anna Maria entra in infermeria per la visita pre-interrogatorio. "Chiedo la certificazione di idoneità psicofisica" aveva detto il gip Gandini, e questa è rapidamente arrivata. Anna Maria si è lasciata visitare, "facciamo in fretta, così si comincia". Come sta, signora? "Va tutto bene, grazie. Sono pronta". Chi c'era ha raccontato che lei sembrava quella della tivù, meno dolente e più rabbiosa. "Ha gridato la sua innocenza" ripete l'avvocato Grosso e la frase va presa alla lettera: perché la mamma di Samuele ha davvero urlato, e pianto, e reagito all'incalzare delle domande.

Hanno provato a farla crollare ma lei era preparata, oppure innocente, così ha risposto a ogni domanda, sei ore è durata complessivamente e la voce non tremava. "Portandomi qui dentro, avete ucciso Samuele due volte!". "Non pensate a mio figlio Davide? Aveva già perso il fratellino, e adesso anche la mamma". Ma non è stato solo melodramma questo viaggio nel dolore più nero. Anna Maria ha ripetuto di essere innocente, ha dato la sua verità sui famosi cinque punti oscuri, ha parlato della porta chiusa (o socchiusa?) e degli zoccoli. "La storia del pigiama è una sciocchezza", ha anche detto.

La prima parte dell'interrogatorio, fino a mezzogiorno e mezzo, è stata la più cruenta. Anna Maria ha chiesto al suo giudice, piangendo: "Ma lo capite che io sono in prigione al posto di un altro? Vi prego, non smettete di cercare il vero assassino", e intanto fuori dal carcere si gonfiava il pubblico del sabato, famiglie intere, papà con bambini per mano, tutti a vedere il cancello alto sei metri e, dietro, a immaginare la donna più famosa d'Italia, quella che viveva in una specie di mulino bianco dove un giorno è scoppiata una bomba. L'ha fatta scoppiare lei? "Sono innocente".

Stop, è l'ora del pranzo. Sul piazzale, un tizio chiede al fotografo di un'agenzia quanto costerebbe un servizio completo per un matrimonio, "anzi, ci dobbiamo sposare in due coppie, non è che ci fate lo sconto?". Anna Maria non vuole mangiare. Ha buttato giù solo un cappuccino e due buondì. Di nuovo la visita lo psichiatra, è la prassi, bisogna essere sicuri che l'imputata sia in grado di proseguire il suo immane sforzo. "Andiamo avanti, per favore, voglio togliermi questo peso, per me è come una liberazione" dice Anna Maria.

Le sue condizioni psicofisiche sono quasi buone come al mattino, è solo più stanca. Signora, se la sente? "Per piacere, sì". Tornano tutti dentro. La stanza è grande, il gip ha pronte decine di domande, parla in tono duro. "Avete visto il giudice bello?" chiede una ragazzina, fuori. "Quello che sembra George Clooney, quanto vorrei essere interrogata da lui". Ci sono tutti i toni del dolore e della vacuità, come nella vita vera, meglio che nel telefilm di questa storia pazzesca.

"Fatemi uscire, a casa hanno bisogno di me" ripete la madre, e poi: "Questa settimana, è vero che potrò tornare a casa questa settimana?". E' la sua speranza, lo dice perché gliel'hanno fatto capire oppure è solo il sogno estremo? Lei sa cosa significa volersene andare da qualche posto, comunque. "Facciamo un altro figlio, così scappiamo di qui" aveva chiesto al marito nel delirio di quel giorno, il bambino appena morto, lei che neppure lo aveva toccato, lei con i vestiti pulitissimi, dopo.

I parenti dei carcerati escono a grappoli, a ogni ora precisa. Alzano il bavero per evitare il plotone d'esecuzione delle telecamere, c'è chi protesta, chi insulta. Oggi da quella porta passerà anche Stefano Lorenzi con Giorgio Franzoni, il padre di lei. Cade il divieto di incontrarla. Ma negli obiettivi stavolta non entra il "giudice bello", lui e il suo giubbotto di pelle escono in un cellulare dei carabinieri con la pm Cugge (la sua buffa Tempra blu d'ordinanza, lascia vuota le Vallette), anche l'avvocato Grosso se ne scappa sul furgone e niente taxi.

Sono le quattro di un pomeriggio grigio, il sole malato di prima è scomparso, il tepore anche, il pubblico che fa zapping tra i protagonisti del giallo invece no. Adesso hanno le borse della spesa, qui vicino c'è un ipermercato, e sempre i bambini per mano. Bambini come quelli che ha visto Anna Maria Franzoni rientrando in cella, sono gli otto figli delle altre detenute (lei la chiamano "la principessina"), belli vivi con le loro voci nel corridoio. La mamma di Samuele era troppo stanca per fermarsi, guai fermarsi a pensare. Le hanno chiesto se voleva la cena, in galera si mangia presto, minestrone e wurstel, lei ha fatto segno di no. E' crollata in branda e ha cominciato a dormire, di schianto, come una cosa senza vita dopo averne usata tanta, alle quattro del pomeriggio di una notte enorme.

(17 marzo 2002)


 

 

 

Il testo integrale dell'atto che ha portato in carcere Annamaria Franzoni L'ordinanza del Gip per il delitto di Cogne javascript:history.back()javascript:history.back()(Tribunale di Aosta Ordinanza del Gip 13.3.2002) E' un testo di oltre 80 pagine l'ordinanza del Giudice delle indagini preliminari Fabrizio Gandini con cui è stata disposta la custodia cautelare in carcere di Annamaria Franzoni per la morte del figlio Samuele Lorenzi di tre anni. Il provvedimento è un'accurata e a tratti agghiacciante ricostruzione dei fatti accaduti quella mattina a Cogne. (16 marzo 2002)


TRIBUNALE ORDINARIO DI AOSTA. ORDINANZA DI APPLICAZIONE DELLA CUSTODIA CAUTELARE IN CARCERE Art. 292 c.p.p. 13. 3.2002

Il Gip, dott. Fabrizio GANDINI

 

Visti gli atti del procedimento penale iscritto ai numeri sopra emarginati, nel quale è persona sottoposta alle indagini:

 

FRANZONI Annamaria, nata a San Benedetto Val di Sambro il giorno 23.08.1971, residente in Cogne (AO) frazione Montroz località Caouz nr 4/a e 4/b, difesa di fiducia dal Prof. Avv. Carlo Federico Grosso del Foro di Torino.

 

p.s.i.

 

per il delitto previsto e punito dagli articoli 575 e 577 comma 1. Nr. 1 c.p. perché colpendo alla testa il proprio figlio Samuele Lorenzi di anni tre con numerosi e ripetuti colpi, ne cagionava la morte.

 

Con l’aggravante di aver commesso il fatto in danno del figlio di anni tre.

 

In Cogne (AO) il giorno 30.01.2002.

Vista la richiesta di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere in danno dell’indagata, depositata dal P.M. in data 7.03.2002;

 

vista la memoria e l’allegata relazione tecnica depositata dalla difesa dell’indagata in data 11.03.2002.

 

OSSERVA

 

PREMESSA

 

"30 GEN 2002, ORE 91.0 CIRCA IN Cogne (AO) frazione Montroz 4/a Franzoni Annamaria, nata San Benedetto Val di Sambro (BO) 23.08.1971, residente citata località Habet rinvenuto in camera letto propria abitazione, corpo figlio Lorenzi Samuele, nato Aosta 12.11.1998, con trauma cranico con verosimilmente lesioni natura da determinare".

 

Così il fonogramma inviato alla procura della repubblica della Compagnia Carabinieri di Aosta nel pomeriggio, dello stesso giorno. Dopo una complessa attività di indagine, durata 36 giorni, il Pubblico Ministero scioglie il dubbio sulla natura delle lesioni riportate dal piccolo Samuele: esse non sono dovute a cause accidentali, organiche o all’opera di un animale, ma sono il risultato della azione dolosa e consapevole di una persona. Questa persona è la madre di Samuele, Annamaria Franzoni. A suo carico, secondo la tesi del Pm, gravano una serie di indizi in grado di rappresentarne la colpevolezza con ragionevole probabilità nonostante due lacune dell’impianto accusatorio, allo stato non colmate: non è stata ritrovata l’arma del delitto e non risulta il movente dell’azione delittuosa.

 

La tesi del Pm trova pieno riscontro nei fatti accertati, quantomeno con riferimento al grado di certezza richiesto dall’art. 273 c.p.p. per l’applicazione di una misura cautelare personale. La verifica dell’enunciato fattuale allegato dal Pm si traduce, di conseguenza, nella verifica della ipotesi di spiegazione dei fatti dello stesso prospettata. Lungi dall’affidarsi ad una spiegazione intuitiva dell’accaduto, non immune da vizi logici e pregiudizi emotivi, il metodo da impiegare è quello proprio delle scienze sperimentali, con i necessari aggiustamenti richiesti dalla particolarità della materia in esame. Ed allora, occorre formulare una serie di ipotesi alternative di spiegazione dei fatti, dando poi la preferenza a quella ipotesi che, meglio delle altre, è in grado di fornire un senso complessivo ai fatti, orientando in modo univoco tutti i singoli indizi raccolti.

 

Nel caso di specie questo significa che oltre alla ipotesi di spiegazione dei fatti prospettata dal Pm dovranno essere vagliate delle ipotesi alternative nelle quali l’indagata non risulti responsabile e comunque autrice dei fatti a lei addebitati. La scelta tra le varie ipotesi sarà poi determinata dal criterio stabilito dall’art. 273 c.p.p..

 

IL FATTO: OMICIDIO

 

Alle ore 8:28:17 del 30.1.2002 Annamaria Franzoni chiama il 118 di Aosta dicendo all’operatrice Nives Calipari che il proprio figlio vomita sangue dalla bocca. Alle ore 8:41 viene inviato un elicottero per prelevare il paziente; l’elicottero giunge in loco verso le ore 8:51-8:52. Sul posto già si trovano – oltre alla madre di Samuele – la psichiatra Ada Satragni, che ha tentato di prestare le prime cure al bambino, detergendo le ferite e praticandogli una iniezione di cortisone, il suocero di questa Marco Savin, la vicina di casa Daniela Ferrod ed alcune persone che si trovano a passare nei paraggi e che vengono attirate dal movimento che turba la altrimenti tranquilla routine della frazione Montroz di Cogne. Il medico di servizio a bordo dell’elicottero,Leonardo Iannizzi, trova il piccolo Samuele in condizioni esiziali all’esterno dell’abitazione dei coniugi Lorenzi. Il suo corpo è stato portato fuori dall’abitazione, dalla stessa Satragni, su precisa indicazione diAntonello Pifferi, operatore al servizio del 118 di Aosta. All’esame obiettivo la situazione si presenta disperata. Sul capo del bambino risulta con evidenza una profonda ferita dalla quale fuoriesce materia cerebrale. Il bambino risulta in stato comatoso terminale. Il dott. Iannizzi tenta comunque le pratiche di pronto soccorso inserendo una cannula nel cavo orale del piccolo Samuele onde evitare la retroflessione della lingua e somministrandogli dell’ossigeno. Alle ore 9:19 il bambino viene caricato sull’elicottero , dove continuano i tentativi di rianimazione. Il piccolo Samuele giunge in Ospedale alle ore 9:47 in "codice GCS 3". Alle ore 9.55 il dott. Bellini del Pronto Soccorso di Aosta ne constata il decesso per: "trauma cranico maggiore con ferite di verosimile natura da punta e taglio regione frontale destra e regione frontale orbitaria sinistra e regione parietale destra e sinistra, con sottostanti sfondamenti ossei e pluriframmentazioni ed affossamento delle ossa frontale e parietale destra e sinistra, con perdita di sostanza parenchimale cerebrale".

 

All’esame autoptico vengono rilevate 17 ferite lacero-contuse al capo, distribuite in regione fronto-parietale bilateralmente. La causa della morte viene quindi determinata dal Prof. Viglino consulente tecnico del PM, in trauma cranico aperto con edema cerebrale acuto.

 

Una prima serie di ipotesi alternative può essere esclusa sulla scorta di questa consulenza. La causa della morte in considerazione del numero della localizzazione e della natura delle ferite può, senza alcuna ombra di dubbio, essere imputata all’azione dolosa di un terzo. Restano escluse le ipotesi del gesto anticonservativo, della causa accidentale/organica e della aggressione da parte di un animale. Samuele è morto, qualcuno l’ha ucciso.

 

3.1 LA SCENA DEL DELITTO. RILIEVI ESEGUITI.

 

Quando arriva sul luogo l’elicottero del 118 il dott. Leonardo Iannizzi, medico di servizio si accorge subito che c’è qualcosa di strano, e che le lesioni riportate dal piccolo Samuele sono del tutto incompatibili con la assurda diagnosi di aneurisma cerebrale, prospettata da Ada Satragni. Su sua indicazione, Elmo Glarey chiama i carabinieri.

 

Alle ore 09:06 del giorno dell’omicidio il Comandante della Stazione Carabinieri di Cogne, una volta ricevuta la chiamata da Elmo Glarey, allerta la centrale operativa del Comando Gruppo Carabinieri di Aosta, riferendo in merito all’intervento compiuto dal 118.

 

Alle ore 10.00 viene eseguito un primo accertamento urgente sullo stato dei luoghi. Giova rilevare che l’abitazione dei coniugi Lorenzi si trova nella frazione Montroz del comune di Cogne, dopo circa 2 km sulla strada comunale che collega Cogne alla frazione di Gimillan, al termine di una stradina della lunghezza di circa 250 metri che si dirama dalla strada principale. La villetta è strutturata su 4 livelli: il piano cantina ed il garage, interrati, il piano seminterrato adibito a zona notte, ove si trovano le camere da letto dei coniugi Lorenzi e dei piccoli Davide e Samuele, il piano terra, adibito a zona giorno ed un livello mansardato.

 

All’esterno dell’abitazione vengono rinvenute numerose tracce ematiche attribuibili al fatto per il quale si procede. L’interno dell’abitazione viene immediatamente descritto per mezzo di riprese cinematografiche.

 

Dalle dichiarazioni rese dalla indagata , da Ada Satragni e da Daniela Ferrod – del tutte concordi ed almeno in questa parte integralmente attendibili – si apprende che il corpo del piccolo Samuele si trovava, al momento del suo rinvenimento, nella camera da letto dei genitori, sita al piano seminterrato dell’abitazione. In particolare , come può anche evincersi dalle fotografie scattate all’interno di tale camera, il corpo era posizionato nella parte alta del letto, sulla sinistra (dal punto di vista da chi l’osserva dal fondo), con il capo appoggiato sul cuscino.

 

Dalla consulenza tecnica redatta dal Prof. Viglino, dall’assenza di ipostasi sul cadavere e comunque dall’assenza in altri luoghi della casa di significative tracce ematiche, si può desumere che l’omicidio sia stato consumato all’interno della camera da letto dei coniugi Lorenzi. In particolare può ritenersi che la vittima sia stata attinta dalla ripetuta e violenta scarica omicida mentre si trovava nel letto matrimoniale, in posizione supina sulla parte sinistra (per chi guarda). Ciò è confermato anche della presenza di una estesa chiazza ematica, con frammenti ossei e materia cerebrale, proprio sul cuscino e sulla zona sottostante del materasso in quella parte del letto. A riprova , per quanto riguarda gli altri locali posti all’interno dell’abitazione dei coniugi Lorenzi "in tutto lo stabile non abbiamo notato tracce evidenti di avvenuta collutazione o segni comunque riconducibili ad episodi violenti". Risultano tracce ematiche anche sul lenzuolo, sul piumone sull’abatjour e sulla parte di muro alla sinistra del letto sulla tastiera e sul muro retrostante la spalliera del letto, sul muro e sul comodino posti alla destra del letto ed addirittura sul soffitto, in prossimità della lampada ubicata al centro dello stesso. Infine sono state trovate alcune tracce ematiche anche sul calorifero ubicato sopra la finestra e sulle tende della finestra stessa.

 

Di conseguenza possono escludersi anche tutte quelle ipotesi alternative che postulano la consumazione dell’omicidio in altri locali della casa, o addirittura al suo esterno.

 

La scena del delitto, si presenta – dalla visione delle fotografie allegate al fascicolo – sostanzialmente ordinata. L’arredamento e le suppellettili appaiono in ordine e non interessati dall’azione aggressiva esercitata sul solo corpo del piccolo Samuele. Non vi sono segni di confusione, o di collutazione. Non risulta essere stato sottratto nulla dalla camera. Tutto è in ordine , salvo le vistose chiazze ematiche presenti sul letto e nei suoi dintorni. L’orrore ha risparmiato le cose e si è sfogato unicamente sulla persona.

 

L’azione con evidenza, ha per obiettivo esclusivo la soppressione della vittima.

 

In occasione degli accertamenti tecnici sono stati eseguiti due sequestri, che rivestono particolare importanza al fine della ricostruzione dei fatti. Nell’angolo inferiore sinistro del letto (per chi guarda ) è stato trovato un pigiama femminile di colore azzurro con disegni a fantasia. In particolare la maglia è stata ritrovata al rovescio tra il lenzuolo ed il materasso. I pantaloni del pigiama sono invece stati ritrovati sul lato diritto tra le falde del piumone, in parte ripiegato su se stesso al momento del rinvenimento.

Nella zona giorno sita al piano terreno poste nel disimpegno che dà accesso al bagno, sono state rinvenute un paio di ciabatte in plastica di colore bianco appartenenti all’indagata. Anche tali ciabatte sono state sequestrate siccome presentavano delle tracce ematiche sulla suola.

 

Infine è stato accertato il tempo di percorrenza tra l’abitazione dei Lorenzi e la fermata dello scuolabus, simulando l anormale andatura di una donna con un bambino: 3 minuti e trenta secondi per andare alla fermata e 3 minuti e dieci secondi per rientrare in casa.

 

Dalle fotografie eseguite presso la camera mortuaria di Aosta si desume un’altra circostanza di fatto. La mano sinistra della piccola vittima riporta sulle prime falangi delle dita indice e medio, alcune ferite lacero-contuse. Dalla natura della lesione e dalle altre considerazioni espresse nella relazione del Prof. Viglino, si può sicuramente affermare la priorità temporale di tali ferite rispetto a quelle inferte sul capo della vittima. In altre parole Samuele, prima di essere stato colpito al capo è stato colpito alla mano sinistra, mentre cercava di difendersi. Ne consegue che Samuele, seppur quando ormai era troppo tardi, ha visto il proprio assassino. Inoltre, siccome il corpo del bambino non risulta essersi spostato dal luogo in cui si trovava, delle due l’una: o Samuele è stato colpito mentre dormiva, ma ciò è escluso per la presenza della ferita da difesa sulla mano; oppure si deve ritenere che è stato colpito mentre era sveglio e allora, non essendosi mosso, deve ritenersi che Samuele "conoscesse" l’assassino, e che non si aspettasse nessuna azione violenta da parte di questa persona. In questo senso, si può affermare che la posizione del cadavere di Samuele parla.

 

A questo punto le conclusioni certe ed incontrovertibili che possono essere desunte dall’accertamento oggettivo dello stato dei luoghi e dalla relazione di consulenza tecnica del Prof. Viglino sono quattro:

 

Il piccolo Samuele è stato ucciso;

 

L’omicidio è avvenuto all’interno della camera da letto dei coniugi Lorenzi;

 

La vittima non stava dormendo quando è stata uccisa, perché ha cercato di difendersi. La vittima ha avuto modo di vedere, seppur per qualche istante, il proprio assassino;

 

Samuele conosceva l’assassino e si fidava di lui.

 

3.2 SEGUE: LE DICHIARAZIONI DELLE PERSONE INTERVENUTE SULLA SCENA DEL DELITTO

 

Dopo le cose, le persone. Sul luogo del delitto – prima dell’apposizione dei sigilli – intervengono molte persone. Il corpo del povero Samuele viene ritrovato dalla madre, dopo che questa è uscita per accompagnare allo scuolabus l’altro bambino, Davide. Alla scoperta del corpo seguono le richieste di aiuto. Prima alla vicina Daniela Ferrod, che si trova sul balcone della propria abitazione. Poi, per mezzo del telefono, alla Dott.ssa Ada Satragni (08:27:30), al 118 (08:28:17) ed infine al marito (08:29:26), chiamato non direttamente ma per mezzo della segretaria.

 

Occorre sin d’ora rilevare che l’arrivo dei soccorritori determina un irreversibile mutamento della scena del delitto: il corpo del bambino viene spostato dal letto e portato all’esterno dell’abitazione. La posizione in cui si trovava il corpo del piccolo Samuele al momento dell’aggressione può essere desunta unicamente sulla scorta delle dichiarazioni rese dalle sole tre persone che ebbero modo di vedere il corpo ancora nel letto: l’indagata Daniela Ferrod ed Ada Satragni.

 

Vediamo quindi di ricostruire la scena del delitto quale essa si presentava alle persone che il giorno dell’omicidio sono entrate nella camera da letto dei coniugi Lorenzi.

 

Annamaria Franzoni dichiara che dopo aver portato il figlio maggiore alla fermata dell’autobus: "sono tornata a casa velocemente ho aperto la porta ho ritrovato la mia borsa per terra dove l’avevo lasciata con il portafoglio sono scesa di sotto da Samuele ed ho visto che si era girato a pancia in su e tirato la coperta sopra il capo. Ho creduto che volesse giocare a nascondino come era solito fare con il fratello quindi ho tirato giù la coperta e l’ho visto in un lago di sangue che respirava affannosamente ed era pallido. A quel punto ho iniziato a chiamarlo ho sentito che respirava (…) dopo aver tirato giù le coperte ed aver scoperto la possa di sangue dove si trovava Samuele ho guardato ed ho iniziato a vedere che c’erano chiazze di sangue dappertutto". Indi nella rapida successione di pochi minuti, intervengono sulla scena del delitto anche Daniela Ferrod e Ada Satragni.

 

La Ferrod dichiara di essere stata chiamata, tra le ore 8:25-8:30 circa dalla Franzoni. L’indagata le dice che Samuele perde sangue dalla testa, e poi rientra nella propria abitazione passando dalla porta-finestra del piano terra. La Ferrod entra in casa dei Lorenzi e descrive la scena del delitto nei termini che segue: "Sono entrata in camera da letto quella di Annamaria e Stefano ed ho visto il bambino Samuele era supino sul letto, con indosso il pigiama, con tutta la faccia e la testa piena di sangue (…) ho notato che c’era del sangue sulla parete dietro il letto. Il bambino aveva la testa sul cuscino ed era scoperto, sentivo che si lamentava emetteva dei suoni, apriva e chiudeva gli occhi. Ha poi precisato che "Samuele era disteso sul letto matrimoniale in posizione supina sulla parte sinistra del letto guardandolo dalla finestra, e si presentava con il viso coperto di sangue. Il bambino indossava il pigiama ed era completamente scoperto almeno sino alle ginocchia, non ricordo se proprio fino ai piedi. IL piumone che copriva il letto si presentava scostato sulla parte destra del letto matrimoniale, sempre secondo la mia visuale".

 

A questo punto fa il suo ingresso nella vicenda Ada Satragni. Già alle ore 8:27:30 l’indagata la chiama a casa, richiedendo il suo aiuto. La conversazione dura complessivamente 65 secondi. Tuttavia la prima persone a vedere il corpo del piccolo Samuele, dopo la madre, è stata la Ferrod. Quando la Ferrod entra nella camera da letto, la Franzoni le dice subito di andare a chiamare la Satragni: "Annamaria era in piedi vicino al letto; aveva le mani lungo i fianchi e non toccava il bambino. Era lì che guardava il bambino, non piangeva, forse era sotto shock e mi diceva di andare a chiamare Ada, la dottoressa Satragni, che abita lì vicino perché venisse subito".

 

La Ferrod abbandonata quindi la casa dei Lorenzi e si dirige verso casa della Satragni. Tuttavia mentre si reca verso l’abitazione di quest’ultima si accorge che la Satragni sta già arrivando verso la casa dei Lorenzi, con la sua autovettura, accompagnata dal suocero Marco Savin.

 

Entra quindi in scena la Satragni. La Franzoni nel corso della concitata conversazione delle ore 08:27:30 le ha detto: "Di andare immediatamente a casa sua, di fare prestissimo perché c’era Samuele che stava perdendo sangue dalla bocca, tanto sangue" esclamando subito dopo "gli sta scoppiando il cervello oppure gli è scoppiato il cervello".

 

La Satragni entra quindi nell’abitazione dei Lorenzi , sempre accompagnata dal suocero, e: "appena giunta ho trovato il bambino collassato in una pozza di sangue con una ferita importante a livello dell’osso frontale sulla parte destra, una lesione molto importante aperta da cui usciva della materia cerebrale e altre piccole lesioni sulla parte alta del viso".

 

Successivamente la Satragni ha ulteriormente precisato la descrizione della scena del delitto:

 

"Dopodiché prestavo le prime cure del caso al bambino. Lo stesso si presentava disteso sul letto, supino immobile e gemeva sommessamente ed era parzialmente coperto, non ricordo se era coperto fino all’inguine o fino alla cintola, quello di cui sono certa era che il tronco dallo sterno all’insù era visibile e indossava il pigiama. Il viso era completamente imbrattato di sangue, il cranio era imbrattato di sangue, erano visibili di primo acchitto due importanti ferite aperte, una sulla fronte a livello del lobo frontale del cranio da cui emergeva la massa cerebrale e l’altra a sinistra con partenza all’occhio sinistro e diretta verso l’alto con tendenza a portarsi verso il lobo frontale di sinistra, (…). Ho successivamente avvicinato al bordo del letto il bambino per poterlo avere più vicino a me ed ho chiesto alla madre di fornirmi una bacinella con dell’acqua ed un fazzoletto per poter liberare il volto del bambino dal sangue (…) resami conto che l’acqua della bacinella che avevo usato per sciacquare il fazzoletto era eccessivamente sporca di sangue sono andata nel bagno accanto alla camera in cui era il bambino ho vuotato la bacinella nel wc, non ho tirato l’acqua ed ho riempito nuovamente la bacinella con dell’acqua pulita (…). A questo punto decido di portarlo all’esterno chiedo alla madre un cuscino ed una coperta per poter appoggiare e coprire il piccolo (…) allestita questa sommaria barella sollevo da terra il bambino e a braccia lo porto all’esterno sull’angolo dell’abitazione più prossima all’elicottero. Durante questo trasporto il bambino perde sangue delle ferite, avviene il gocciolamento e chiedo alla madre di aiutarmi a tamponare le ferite. Con l’intervento della Satragni, la scea del delitto viene radicalmente alterata. Infatti, come abbiamo visto, la psichiatra pulisce il viso del bambino, ne maneggia il corpo prestando i primi soccorsi e poi lo trasporta all’esterno dell’abitazione, su richiesta del 118.

 

Nel frattempo arriva sul luogo l’elicottero del 118. Il dottor Leonardo Iannizzi, medico di servizio, descrive così la scena del delitto: "il bambino si trovava poggiato a terra sopra il marciapiede antistante casa, sopra un cuscino ed avvolto da una coperta. La dottoressa al mio arrivo scopriva una ferita sulla fronte del bambino che aveva provveduto a tamponare. Sono rimasto sconvolto dalla lesione, questa aveva bordi: netti, era ampia e si vedeva materia cerebrale fuoriuscire (…) entravo allora in casa e raggiunta la camera da letto mi trovavo davanti una scena impressionante, vi erano spruzzi di sangue sulla parete del capezzale del letto che continuavano sul soffitto. Il letto stesso era ampiamente sporco nella zona centrale. Sullo stesso letto, lato destro entrando nella stanza, vi era una bacinella per i panni rotonda con all’interno dell’acqua rosa sicuramente mischiata a sangue".

 

Nella camera da letto, dopo l’arrivo dell’elicottero, entra anche Vito Perret, residente nei pressi: "Io ricordo che vi era il letto sporco di sangue ed anche i muri, il pavimento ed il soffitto erano pieni di macchie ematiche". Ma il Perret accede nuovamente alla camera anche dopo la partenza dell’elicottero, insieme alla Satragni: "La dottoressa Satragni mi chiedeva se l’accompagnavo a riprendere la propria borsa che aveva lasciato in camera da letto. Io entravo nella casa dall’ingresso principale e cioè quello sito al primo piano dello stabile, quindi unitamente alla dottoressa sono sceso in camera da letto ed a quel punto il sanitario prelevava una borsa che conteneva dei medicinali e l’altra quella che conteneva il materiale da pronto soccorso (…) ricordo che la dottoressa Satragni quando ha ripreso le sue borse si è fermata nel bagno sito vicino alla camera da letto dove è stato trovato il bambino, per lavarsi le mani".

 

Anche Alberto Enrietti, dopo aver visto l’elicottero atterrare, entra nella camera da letto: "sono entrato anch’io nella stanza dove dormiva il bambino e ho visto che c’era sangue sul cuscino, sulla parete a mò di spruzzo e poi materiale che sembrava vomito e invece la dottoressa diceva essere stata materia cerebrale. La mamma era disperata e diceva che a Samuele era esplosa la testa".

 

Ma non è finita qui. Nella camera da letto entrano anche le altre persone che fanno parte dell’equipaggio imbarcato sull’elicottero del 118.

 

La guida alpina di servizio a bordo dell’elicottero Ivano Bianchi riferisce che "in attesa che il medico terminasse di medicare il bambino entravo in casa per verificare cosa fosse successo effettivamente e chiamare il centro operativo attraverso la radio in dotazione affinché chiamasse i Carabinieri. Mentre entravo la madre mi ha seguito ed allora, per non farmi sentire da lei sono entrato nel bagno e da lì ho fatto la chiamata. Per andare nel bagno sono passato attraverso la camera da letto e la mia attenzione veniva attirata dal letto che si presentava cosparso di sangue, me sembra anche con della materia cerebrale sulle lenzuola. Ho notato una striscia di gocce di sangue che da metà del letto, lato sinistro entrando dall’esterno, andavano verso la porta che dall’interno della camera accede alla casa. Ricordo un tappeto verde sul pavimento del bagno, mi sembra un scendidoccia, non disteso ma come mosso dal passaggio di qualcuno. Nella camera da letto c’era sangue un po’ dappertutto".

 

Elmo Glarey, guida alpina del luogo che coordina le operazioni di atterraggio del velivolo riferisce che: "io sono entrato nella camera appena un passo dentro e notando sangue sul letto sul soffitto, sul muro e mi sembra anche sulla tenda ho pensato che fosse successo qualcosa di strano, quindi sono uscito e ho chiamato con il mio cellulare la Stazione Carabinieri di Cogne".

 

Da questo momento si scontrano due spiegazioni dei fatti radicalmente diverse tra di loro. Mentre l’indagata ed Ada Satragni continuano ad attribuire il fatto a cause naturali (aneurisma, esplosione della testa, tutto è possibile per chi crede) i soccorritori del 118 – Iannizzi, Glarey e bianchi – si rendono conto, una volta entrati nella camera da letto, che è successo qualcosa di strano, sicuramente non imputabile a cause naturali. Tant’è che su indicazione dello Iannizzi – il Glarey chiama i Carabinieri.

 

Dopo la partenza dell’elicottero, all’interno dell’abitazione entrano nuovamente la Franzoni il marito la Satragni ed altre persone ancora. La Ferrod e Stefano Lorenzi, in particolare, vanno nella camera da letto; la Ferrod chiude la porta-finestra che dà sul prato.

 

A questo punto i coniugi Lorenzi sono in partenza per l’ospedale di Aosta: "in quella circostanza Annamaria mi diceva di tenere le chiavi di casa (…) dopo aver preso le chiavi, siccome la dottoressa Satragni ha detto di aver dimenticato la borsa all’interno della casa, restituisco le chiavi ad uno dei presenti, non ricordo chi, dopo di che scendevo le scale esterne e ritornavo a casa dai miei figli".

 

Sulla base dei fatti sopra esposti si possono trarre , con ragionevole certezza, alcune conclusioni utili per la ricostruzione dei fatti:

 

La Franzoni resta da sola sul luogo del delitto con il cadavere per circa quattro-cinque minuti tra la scoperta del corpo e l’arrivo della Ferrod;

 

La Franzoni dispone inoltre di un altro lasso temporale più breve, tra l’uscita di casa della Ferrod e l’arrivo della Satragni;

Dopo l’arrivo della Satragni ed il suo intervento sul corpo del bambino la scena del delitto è irreversibilmente mutata;

 

Tra la partenza dell’elicottero e l’arrivo dei Carabinieri trascorre un ampio lasso temporale, valutabile in quaranta minuti circa, durante il quale la scena del delitto è liberamente accessibile a tutti.

 

4.1 L’ORA DEL DECESSO

 

Allo stato degli atti deve affermarsi che non sussistono elementi sufficienti per accertare con precisione l’ora ed il minuto del decesso. Essa può essere determinata, con qualche approssimazione, solo per eccesso, da un certo momento temporale (08:32 circa) ed a ritroso. Purtroppo, tenuto anche conto della natura e della entità delle lesioni riportate dalla vittima, un certo margine di errore resta ineliminabile. Ciò, del resto, è del tutto conforme alle acquisizioni della scienza tanatologica. La morte invero, non viene mai considerata un semplice evento, ma un vero e proprio processo, un susseguirsi di fenomeni che determinano la perdita della vita per la cessazione delle funzioni vitali ed in particolare, dell’attività nervosa, cardiocircolatoria, respiratoria. La cessazione di una di queste attività determina – in breve termine – l’inibizione delle altre, se nel frattempo non vengono intraprese manovre di tipo rianimatorio. In ogni caso, vi è sostanziale accordo nella comunità scientifica nel ritenere i segni fondamentali che consentono di affermare la morte di una persona: la perdita della coscienza la perdita della motilità e la perdita dei riflessi e della sensibilità.

 

Nel caso di specie si verifica una apparente divergenza tra quanto riferito dalle persone intervenute sul luogo e le conclusioni rassegnate dal consulente. Peraltro come vedremo in seguito tale divergenza sembra trovare ragionevole spiegazione nelle argomentazioni prospettate dal prof. Viglino.

 

Dopo aver esaminato le dichiarazioni dei sanitari che hanno avuto occasione di visitare il piccolo Samuele nella mattinata del 30.01.2002 nonché dai riscontri obiettivi del referto autoptico, il consulente ha così concluso: "si può tranquillamente affermare che la morte sia ragionevolmente intervenuta qualche attimo prima o nel contesto dell’inizio dei soccorsi in quanto le condizioni del piccolo che sembrano trasparire dalle dichiarazioni sono quelle di un paziente in condizioni terminali di morte clinica sottoposto a manovre di tipo rianimatorio con conseguenti possibili fenomeni di reminiscenza". Più in particolare, secondo le condivisibili argomentazioni del consulente, il piccolo Samuele era già deceduto (id est: morte clinica) al momento in cui ebbe a visitarlo la Satragni, persone che per prima prestò i soccorsi alla vittima. Samuele muore prima dell’arrivo della Satragni. Dai verbali di s.i.t. rese nel corso del procedimento dalla Satragni e dal suocero Marco Savin, nonché dai tabulati delle conversazioni telefoniche in partenza dall’utenza in uso ai coniugi Lorenzi, si desume che questa arrivò sulla scena del delitto; trovando il bambino già morto, intorno alle ore 8:32-8:35. Con qualche approssimazione può dunque ragionevolmente affermarsi che la morte sia intervenuta: "qualche attimo prima o nel contesto dell’inizio dei soccorsi" e dunque secondo quanto ipotizzato dal Consulente, prima delle ore 8.30-8.35. Meglio, dalle considerazioni sopra esposte si può affermare che la morte clinica sia intervenuta almeno a quell’ora, essendo comunque ragionevolmente probabile che essa sia collocabile anche prima.

 

Affinché tale conclusione possa essere condivisa, occorre sottoporre ad attenta disamina le dichiarazioni rese dalle persone che videro il piccolo Samuele prima del suo imbarco sull’elicottero. Da tali dichiarazioni, invero, potrebbe desumersi che al momento dell’intervento della Satragni il bambino era ancora in vita (id est: non morte clinica).

Ada Satragni, in merito ha dichiarato che: "accertavo che aveva polso carotideo e che gemeva flebilmente, segno questo più che eclatante della vitalità del piccolo".

 

Anche Marco Savin conferma l’esistenza di una certa vitalità del piccolo Samuele al momento dell’arrivo sulla scena del delitto: "già nel momento in cui mi trovavo sulla porta-finestra della camera che stavo entrato, ho sentito che il bambino emetteva un gemito a brevi intervalli, sembrava quasi un lamento, non forte ma in ogni caso si sentiva".

 

Il Dr. Iannizzi, infine ha dichiarato: "circa lo stato del bambino appena giunto ho cercato di verificare se rispondeva agli stimoli pizzicandolo sulla faccia e sul corpo. Non rispondeva a nulla, aveva il respiro molto lento, anche se c’era, serrava la bocca. Era in stato comatoso, ma ancora respirava".

 

Le conclusioni del Prof. Viglino restano comunque sostenibili, in quanto del tutto conformi alla consolidata letteratura tanatologica sull’argomento. In primo luogo occorre dar conto della onestà intellettuale del Consulente, che ha attentamente preso in considerazione le predette dichiarazioni – ad eccezione di quelle della Ferrod e di Savin che ancora non conosceva – fornendo una ragionevole spiegazione di tali apparenti segni di vitalità, fondata soprattutto sulle evidenze dell’esame autoptico.

 

Nella specie nessuna delle persone intervenute ha riferito la presenza di attività nervosa di qualsiasi natura, di attività riflessa di qualsiasi genere, di motilità spontanea e/o coordinata di risposta al dolore e dunque di sensibilità.

 

E’ appena il caso di sottolineare che nel caso di specie parte del parenchima cerebrale era già fuoriuscito dalla scatola cranica di Samuele, per effetto dell’edema (c.d. breccia a dentifricio). Ragionevolmente, si può affermare che almeno la funzione connessa all’encefalo era già venuta meno.

 

Dunque i segni riferiti dai soccorritori non escludono la morte del piccolo Samuele in quanto: "alla morte vera e propria: perdita della funzione cerebrale e della funzione circolatoria, può seguire una fase in cui stimolazioni esterne possono produrre una condizioni di reminiscenza in cui è possibile osservare la presenza di fenomeni riferibili a vitalità ma di tipo sicuramente agonico, contratture muscolari, tetanie e gasping respiratorio".

 

I segni riferiti dai primi soccorritori, anche in considerazione del fatto che era stata praticata una iniezione di cortisone al bambino e che il contesto non consentiva una osservazione obiettiva ed asettica dei fatti, paiono dunque rientrare nei fenomeni agonici ben conosciuti dalla tanatologia. Le conclusioni del prof. Viglino sono condivisibili.

 

4.2 L’ORA DELL’AZIONE OMICIDA E L’ALIBI DELL’INDAGATA

 

Appare di fondamentale importanza la determinazione del tempo di sopravvivenza della vittima rispetto alle lesioni patite. In altre parole: quanto tempo è intercorso tra le lesioni e la morte clinica di Samuele? Ciò consente, mediante una semplice deduzione, la determinazione del tempo in cui l’azione omicida si è verificata.

 

Questo giudice, prima di procedere oltre nella propria analisi, ha infatti il dovere di accertare se nel tempo in cui è collocabile l’omicidio l’indagata non si trovasse fuori casa, in luogo diverso da quello ove il delitto è stato commesso. E’ evidente che, in questo caso l’ipotesi allegata dal Pm sarebbe priva di un riscontro decisivo.

 

Nella specie a favore dell’indagata risulterebbe un alibi che consentirebbe di escludere la sua responsabilità per il lasso di tempo intercorso tra le ore 08.16 e le ore 08.24.

 

In particolare secondo la versione reiteratamente fornita dalla Franzoni, essa si sarebbe allontanata da casa insieme al piccolo Davide verso le ore 08.16 per accompagnarlo alla fermata dello scuolabus; indi avrebbe fatto rientro a casa intorno alle ore 08.24, rinvenendo il corpo del povero Samuele.

L’alibi fornito dall’indagata in effetti trova riscontro nelle dichiarazioni di Dino Vidi e Marco Savin almeno per il lasso di tempo intercorso tra le ore 08.16 e ore 08.24. Dino Vidi, conducente dello scuolabus ha dichiarato che: "alle successive ore 08.20 giungevo alla seconda fermata e più precisamente a quella ubicata vicino alla strada vecchia che conduce alle miniere di Cogne, ove prelevavo due bambini Savin Sophie e Lorenzi Davide (…) i bambini erano in compagnia della mamma di Davide Lorenzi, la signora Annamaria che attendeva sulla strada accanto a loro. Come al solito mentre i bambini salivano sul mezzo ho salutato la signora Annamaria , ci siamo scambiati il buongiorno, dopo di che ho avviato la marcia e h o visto la signora Annamaria riavviarsi a piedi verso casa sua sulla strada asfaltata. La signora Annamaria , come ogni mattina, anche stamattina ha salutato il figlio Davide mentre questo saliva sul mezzo, dicendogli di fare il bravo, raccomandazione usuale ogni giorno.

 

La Franzoni è stata vista accompagnare Davide alla fermata anche da Marco Savin che ha dichiarato: "quella mattina (…) la signora Annamaria ha accompagnato il figlio Davide alla fermata predetta. Io ho notato che passavano tra le ore 08.15 e le ore 08.20 lungo l’unica strada che conduce proprio all’abitazione dei Lorenzi. Annamaria Franzoni e Davide erano entrambi a piedi (…). Nel momento in cui sono passati io dal terrazzo li ho salutati e loro hanno fatto altrettanto con me (…) Davide Lorenzi per come l’ho visto avvicinarsi alla fermata dello scuolabus quella mattina era sicuramente a piedi. Voglio precisare che dalla strada che proviene da casa Lorenzi dal mio balcone io ho la visuale in discesa che si congiunge alla comunale per Gimillan. Sia Davide che Annamaria nell’avvicinarsi alla fermata dello scuolabus, procedevano ad andatura regolare.

 

Infine pare opportuno riportare – in merito a questa circostanza – il racconto dei fatti di Davide Lorenzi, per esteso:

 

"PM: Quel giorno che ti sei fatto un bel giro in bicicletta per andare a scuola…. Sei uscito prima della mamma da casa o sei uscito insieme alla mamma?

DAVIDE: ….. Esco sempre prima….

 

PM: Prima della mamma… e quanto tempo… così puoi giocare ancora un po’… ne approfitti

 

DAVIDE: No… (inc)

 

PM: tu esci prima della mamma così mentre lei fa ancora qualcosa

 

DAVIDE: Perché….

 

PM: Come?

 

DAVIDE: quando si veste io gioco un po’ con a (sic) bici…. E poi….

 

PM: a quindi sei uscito prima perché hai aspettato che la mamma si vestisse… si mettesse le scarpe e la giacca….

Davide: …. Si….

 

(….)

 

PM: Ho capito… quindi sei uscito poco prima della mamma hai giocato un pochino con la bici e poi è uscita la mamma!!

 

DAVIDE: si

 

(…)

 

PM: E’ stata con te la mamma a guardare i cartoni?

 

DAVIDE: … no… va a vestirsi…

 

PM: Dove va a vestirsi?

 

DAVIDE: e poi chiama me e poi mi dice adesso torno da te…. (inc)

 

PM: ti sei guardato i tuoi cartoni poi la mamma ti ha vestito e te ne sei andato fuori in bicicletta!!

 

DAVIDE: … eh….

 

Giova rilevare che dalle dichiarazioni sopra riportate per esteso, può evincersi unicamente che quel mattino, dopo aver fatto colazione, Davide Lorenzi è uscito di casa per giocare con la bicicletta. Nulla può essere affermato in merito alla collocazione temporale degli eventi riferiti, se non con margini di tolleranza talmente ampi in modo da vanifacarne la concreta rilevanza. Sembra però che una conclusione può essere ragionevolmente desunta dal racconto di Davide: pare inverosimile che quella mattina Annamaria e Davide fossero in ritardo, altrimenti non si capirebbe come mai Davide abbia addirittura fatto in tempo ad andare fuori per giocare con la bici.

 

L’alibi della Franzoni può dunque essere ricostruire nei termini che seguono. Per raggiungere la fermata dell’autobus occorrono, secondo il verbale di sopralluogo eseguito dai tre minuti e dieci secondi ai tre minuti e trenta secondi circa, con andatura regolare. Sia il Vidi che il Savin riferiscono che l’andatura della Franzoni quella mattina era regolare. Non stava correndo, madre e figlio erano a piedi, non risulta l’impiego di nessuna bicicletta. L’autista dello scuolabus dice che alle 08.20, quando raggiunge la fermata, sul posto si trovano già la Franzoni con Davide. Quindi alle ore 08.20 i due sono già lì. Tenuto conto di tutti i fatti sopra esposti, delle condizioni del tempo e della strada, nonché dell’andatura riferita (né di corsa né lenta, regolare) può ritenersi che la Franzoni sia uscita di casa tra le ore 08.16-08.17 e vi sia rientrata tra le ore 08.23.08.24. Meglio può ritenersi certo che la Franzoni sia uscita di casa prima delle ore 08.20, il resto può essere affermato solo in termini probabilistici.

 

Anche la ricostruzione dell’alibi della Franzoni sconta, tuttavia una certa approssimazione. Esso è determinato tenendo conto del tempo medio di percorrenza impiegato dai Carabinieri nel corso dell’accertamento sui luoghi. Nessuno può dire se la velocità tenuta dalla Franzoni quella mattina fosse più alta o più bassa di quella tenuta nella esecuzione del sopralluogo. A questo punto è indispensabile una precisazione. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità: "la funzione dell’alibi è quella di screditare le prove d’accusa dimostrando quella che deve essere una vera e propria impossibilità di commissione del fatto da parte di chi ne è accusato".

 

Dunque, fino a che l’alibi non consente di escludere, senza dubbi residui la consumazione del reato, esso non può essere valutato come circostanza di fatto a lavorare dell’indagato.

 

Sulla scorta dei principi sopra esposti e degli elementi di fatto accertati, si può dunque sottoporre a valutazione l ‘efficacia dell’alibi dell’indagata graduandolo dalla sicura impossibilità alla mera probabilità:

 

alle ore 08:20 in punto è impossibile che la Franzoni possa commettere il reato, in quanto si trova alla fermata dell’autobus;

 

tra le ore 08:15 e le ore 08:20 la Franzoni si troverebbe sulla strada di andata dall’abitazione verso la fermata. L’alibi non esclude la possibilità di commettere il reato per il periodo di tempo antecedente alle ore 08:15;

 

tra le ore 08:17 e le ore 08:23 la Franzoni uscirebbe e poi rientrerebbe nella casa. L’alibi non esclude la possibilità di commettere il reato per il periodo di tempo successivo alle ore 08.20.

 

tra le ore 08.16 e le ore 08.24 la Franzoni uscirebbe e poi rientrerebbe nella casa. L’alibi non esclude la possibilità di commettere il reato per il periodo di tempo antecedente e successivo alle ore 08.20.

 

Questo non significa che la Franzoni abbia impiegato tempo zero per raggiungere la fermata e tornare alla propria abitazione. Significa che, attesa la impossibilità di determinare con esattezza il lasso di tempi impiegato, non può escludersi (ossia, non è impossibile) che la indagata abbia commesso l’omicidio nel lasso temporale indicato come alibi, verosimilmente nei periodi estremi del lasso medesimo.

 

Occorre quindi procedere a comparazione tra il lasso di tempo costituente l’alibi della Franzoni ed il lasso di tempo costituente il range entro il quale si è verificato l’omicidio.

 

Ciò determina in primo luogo la necessità di individuare il lasso temporale entro il quale l’omicidio può essere stato consumato.

 

Le cause della morte sono state precisamente identificate dal Consulente in: "grave trauma cranico-encefalico con sfacelo traumatico della regione fronto-temporo-parietale dell’ovoide cranico , conseguente rottura e lacerazione di importanti vasi arteriosi meningei con relativa imponente emorragia ed anemia metaemorragica con schock ipovolemico ed importante edema cerebrale maligno

 

Il consulente inoltre ritiene che: "stante la tipologia della lesione e quanto può essere desunto dai dati autoptici ragionevolmente si deve ritenere come dal morte possa essere intervenuta tempuscolo più tempuscolo meno, intorno ai 10-12 minuti dall’aggressione". La successiva relazione integrativa del 12.3.2002 ha confermato tale valutazione, approssimando la stima di ulteriori cinque minuti. Tuttavia non è ragionevole pretendere che il tempo di sopravvivenza venga determinato al minuto. La biologia non è una scienza esatta, almeno per quanto riguarda questa particolare materia. Ogni organismo vivente ha una diversa reazione alle lesioni subite, e dunque i tempi di sopravvivenza non possono mai essere determinati al minuto.

 

Si può sicuramente affermare che il gravissimo trauma cranico aperto abbia rapidamente indotto un edema celebrale acuto, in una situazione di ipossia da massiva anemia metaemorragica. Ciò ha determinato, con ragionevole certezza una rapida alterazione dei parametri vitali. Nella letteratura scientifica è infatti acquisito che in caso di trauma cranico aperto, quanto più grave è l’edema, quanto è maggiore è l’ipossia allora tanto è più rapida la morte clinica la rapida perdita delle funzioni vitali. Pertanto seppur con un margine di approssimazione possono condividersi le conclusioni alle quali è pervenuto il consulente.

 

Il termine ad quem può essere ragionevolmente ritenuto quello delle ore 08.29. In quel momento la Ferrod entra nella Camera da letto e vede il piccolo Samuele già (clinicamente) morto. Il termine a quo rimane oscuro. Non risulta con precisione l’ora in cui la vittima è stata vista in vita, per l’ultima volta, da testimoni attendibili. Secondo le dichiarazioni rese dalla Franzoni la vittima sarebbe ancora viva alle ore 08.14- 08.15, quando viene portata nel letto dei genitori. Tali dichiarazioni tuttavia non sono allo stato riscontrate. Il padre, Stefano Lorenzi, dichiara che quella mattina uscendo alle ore 07:30-07:40 non ha salutato Samuele, perché andava di fretta. Il fratello, Davide rende dichiarazioni troppo confuse su questo punto.

 

Allo stato degli atti si può solo affermare in modo incontrovertibile, che l’omicidio ès tato consumato nella mattinata del 30.01.-2002, prima delle ore 08.29. E’ molto probabile sulla scorta di tutte le considerazioni sopra esposte e del tempo di sopravvivenza indicato dal Consulente che l’omicidio sia stato consumato tra le ore 08.00 e le ore 08.29, con preferenza per gli orari ricompresi nella prima fascia del lasso temporale.

 

Una prima conclusione può essere tratta. L’alibi della Franzoni si colloca all’interno del periodo di tempo entro il quale l’omicidio è avvenuto.

 

Tuttavia almeno in questo momento non lo ricomprende per intero, e dunque non può essere ritenuto sufficiente per escludere la responsabilità della Franzoni.

 

Dunque l’alibi della Franzoni è compatibile con l’esecuzione dell’omicidio.

5. LA VALUTAZIONE DEI GRAVI INDIZI A CARICO DELL’INDAGATA: UNA VALUTAZIONE GENERALE DELL’IMPIANTO ACCUSATORIO

 

Una serie di conclusioni in fatto sono state già raggiunte. Sappiamo infatti che Samuele è stato ucciso, sappiamo dove l’omicidio è avvenuto, e sappiamo inoltre il lasso temporale entro il quale l’omicidio è stato consumato. Possiamo ancora dire che Samuele ha visto il proprio assassino, che lo conosceva e che si fidava di lui.

 

Il passo successivo è quindi l’accertamento della persona – o delle persone – che hanno ucciso Samuele. Secondo la tesi del Pubblico ministero l’omicidio sarebbe stato consumato dalla mamma di Samuele, Annamaria Franzoni. La tesi è fondata in quanto trova pieno riscontro nei fatti.

 

Tanto premesso, nel caso di una pluralità di elementi indiziari, non è consentito procedere alla sola valutazione della gravità di ciascuno di essi, dovendosi invece procedere ad una valutazione globale e complessiva degli stessi. La tesi del Pubblico Ministero deve essere calata nei fatti e deve essere in grado di spiegarli tutti, dando loro un significato univoco, quanto meno con riferimento al grado di certezza richiesto dall’art. 273 c.p.p.

 

In termini generali può dirsi che la dimostrazione della responsabilità della Franzoni viene compiuta in via critica e non rappresentativa, atteso che – almeno per quello che oggi sappiamo – non risulta che altra persona/e abbiano assistito al fatto o comunque siano in grado di riferire sulle modalità esecutive dello stesso.

 

Questa la tesi: non solo è dimostrato che l’omicidio, se non con probabilità del tutto infinitesimali, non è stato commesso da altre persone; ma è anche dimostrato che sussistono elementi che indichino che l’omicidio sia stato commesso proprio dall’indagata.

 

Gli elementi a carico della Franzoni sono pertanto costituiti in positivo sia dalle contraddizioni tra le versioni dei fatti fornite dall’indagata, sia dalle contraddizioni tra le dichiarazioni rese dalla Franzoni e quelle rese dalle altre persone informate sui fatti.

 

Inoltre, la sua responsabilità può essere desunta da alcune considerazioni prettamente logiche relative al pigiama ed alle ciabatte in sequestro.

 

Infine, come risulta dal paragrafo che precede, l’alibi della Franzoni è del tutto compatibile con la commissione dell’omicidio.

 

In negativo dalla sostanziale impossibilità da parte di terzi di commettere questo omicidio, per le

 

sue peculiari modalità spazio-temporali e comunque dalla sussistenza di alibi forniti dalle altre persone, che per varie ragioni avrebbero potuto commettere il fatto.

 

L'omicidio poteva essere commesso solo dalla Franzoni ed in effetti è stato commesso proprio dalla Franzoni.

 

6. LA POSSIBIILTA' DI COMMETTERE IL FATTO.

 

In primo luogo, per poter pensare che la Franzoni abbia ucciso il figlio, deve anzitutto accertarsi se l'indagata, nel lasso temporale entro il quale è avvenuto l'omicidio, ha avuto modo di trovarsi da sola con la vittima all'interno dell'abitazione, perché proprio lì il fatto è stato compiuto.

 

Invero, altro è affermare che il suo alibi è compatibile con l'esecuzione dell'omicidio altro è affermare che la Franzoni ha avuto la concreta possibilità di commetterlo.

 

La risposta è positiva. La stessa indagata riferisce che prima di portare Davide alla fermata dello scuolabus si è trovata da sola con Samuele all'interno della camera da letto ove l'omicidio è avvenuto "…mentre Davide faceva colazione io sono scesa di sotto a vestirmi, mi sono tolta il pigiama in camera e l'ho buttato sul letto, ho preso in bagno la canottiera e poi sono risalita di sopra (…) sono uscita con le scarpe appena messe e da allacciare, ho lasciato le ciabatte nella zona antistante il bagno, vicino alla porta d'ingresso". Questa seconda versione è stata poi reiterata. "… l'ho lasciato comunque a mangiare (il figlio Davide, ndr) mentre io sono scesa a vestirmi. Mi sono cambiata nella mia camera da letto, lasciando il pigiama come tutte le mattine sul letto, poi sono andata in camera di Davide a prendere i suoi vestiti (…) sono risalita in cucina dove Davide stava ancora facendo colazione, poi l'ho vestito (…) mentre stavamo uscendo ho sentito Samuele piangere e chiamarmi. A quel punto Davide è uscito e io sono scesa giù da Samuele che era sulle scale, l'ho portato nel mio letto dicendogli di stare tranquillo (…) ho preso la giacca e messo le scarpe e facendo molto piano ho aperto la porta, non chiudendola a chiave nell'uscire per paura di fare rumore".

 

In ogni caso nel lasso temporale sopra indicato l'indagata ha occasione di trovarsi da sola in casa con la vittima – essendo uscita sia il marito che il piccolo Davide, e non risultando la presenza di terzi – in almeno tre occasioni:

 

       a.   Prima di portare Davide alla fermata dell'autobus, con due possibilità:

 

1.      Almeno dalle ore 08,15, alle ore 08.16. In quel lasso infatti: "arrivate le 8:15 Davide è uscito" e poi, dopo avere incontrato Samuele sulle scale ed averlo messo a letto dichiara: "…sono andata giù per strada dove c'era già Davide";

2.      Tra le ore 08:00 e le ore 08:15, quando Davide dopo aver fatto colazione esce all'esterno della casa per giocare con la bici, fino a quando non arriva l'ora di andare alla fermata.

 

a.      Al suo rientro nell'abitazione avvenuto alle ore 08:24 circa e l'arrivo della Ferrod avvenuto alle ore 08:30.

 

I tempi indicati, ovviamente, scontano le approssimazioni già evidenziate: non vi sono infatti elementi certi per poter affermare a quale ora esatta la Franzoni sia uscita di casa ed a quale ora esatta vi abbia fatto rientro.

 

Resta comunque dimostrato che l'indagata ha avuto il tempo necessario per commettere l'omicidio.

 

7. 1 ANALISI SCIENTIFICHE COMPIUTE SUL PIGIAMA E SULLE CIABATTE IN SEQUESTRO.

 

Come abbiamo visto, sul luogo del delitto sono stati ritrovati degli oggetti imbrattati di sangue, appartenenti all’indagata: il pigiama ed un paio di ciabatte.

 

I reperti sono stati sottoposti ad una approfondita ed elaborata consulenza tecnica disposta dal Pubblico Ministero con incarico conferito ai RACIS di Parma.

 

La difesa dell’indagata, in data 11/3/2002, ha poi depositato una propria perizia relativa agli accertamenti sulle tracce ematiche.

 

Procediamo ora alla valutazione delle conclusioni raggiunte dal Consulente del PM, tenuto conto della consulenza tecnica difensiva, distinguendo tra gli accertamenti sulle tracce ematiche relative al pigiama e quelli relativi agli zoccoli.

 

7.2 ACCERTAMENTI SULLE TRACCE EMATICHE DEL PIGIAMA.

 

All’esito degli accertamenti eseguiti, il Consulente Tecnico del PM ha concluso ritenendo che le tracce ematiche ritrovate sul piumone, sulla casacca e sui pantaloni del pigiama, appartengono alla vittima Samuele Lorenzi.

 

Non vi è contestazione dei periti della difesa su questo punto e comunque esse appaiono integralmente condivisibili.

È dunque certo che il pigiama sia macchiato dalle di sangue della vittima, e che le tracce si siano depositate sul pigiama proprio nel corso dell’esecuzione dell’omicidio.

 

A questo punto sono possibili due ipotesi che spiegano per quale ragione le tracce ematiche siano sul pigiama.

 

Secondo la tesi del PM, supportata dalle argomentazioni scientifiche del proprio consulente, il pigiama sarebbe stato indossato dall’assassino nell’eseguire il reato.

 

Secondo la tesi dei periti della difesa il pigiama sarebbe invece stato imbrattato perché si trovava gettato in disordine sul piumone del letto durante l’omicidio, così come prospettato dalla Franzoni in più occasioni.

 

In realtà entrambe le tesi prestano il fianco ad alcune obiezioni anche se, allo stato degli atti, sembra ancora preferibile la spiegazione prospettata dal PM.

 

La tesi difensiva è infatti smentita da un sicuro riscontro oggettivo.

 

Mentre in pantaloni del pigiama sono stati effettivamente trovati sul piumone, la casacca è stata rinvenuta tra le lenzuola ed il materasso.

 

Sembra dunque impossibile che la casacca si sia potuta imbrattare in quanto al momento dell’omicidio essa si trovava sotto il piumone.

 

Del resto, è la stessa indagata a confermare la circostanza: quando ho scoperto il piccolo Samuele nelle condizioni che vi ho detto ho tirato giù il piumone (…) non ricordo di aver visto il mio pigiama quando ho tirato giù il piumone.

 

Penso che avendolo tolto al mattino sia rimasto sotto le lenzuola quando le ho tirate su per coprire Samuele prima di uscire.

 

La tesi difensiva, seppur pregevole, in questo momento non trova riscontro nei fatti.

 

Anche le conclusioni dei RACIS, seppur dotate di una congrua ed articolata motivazione scientifica, prestano il fianco a qualche obiezione.

 

In primo luogo la metodologia di indagine.

 

La comparazione tra le tracce ematiche presenti sul pigiama e quelle presenti sul piumone è stata infatti eseguita postulando che il pigiama si trovasse, al momento del suo ipotetico imbrattamento accidentale, in posizione piana su qualche zona del piumone.

 

In realtà, doveva correttamente postularsi che se il pigiama fosse stato gettato in disordine sulla superficie del piumone, allora esse non poteva trovarsi in posizione perfettamente piana, ma doveva almeno presentare qualche piega.

 

In secondo luogo, come correttamente argomento i consulenti della difesa, allo stato degli atti sembra difficile spiegare la presenza di macchie soltanto su una parte della casacca, l’assenza di tracce di tipo ditate per accidentale contatto delle mani e la permanenza in situ del frammento osseo vicino al polsino del pigiama.

 

In effetti, vista la natura e l’entità delle lesioni, nonché il sanguinamento derivato, sembrerebbe ragionevolmente ipotizzabile che sul pigiama dovessero trovarsi più macchie rispetto a quelle effettivamente riscontrate.

 

Nonostante tali obiezioni, le conclusioni alle quali sono pervenuti i RACIS sembrano comunque da condividere, per due ragioni.

 

La casacca del pigiama non si trovava sopra il piumone ma sotto di esso: il suo imbrattamento è spiegabile solo ipotizzando che essa sia stata indossata dall’assassino; sulla casacca del pigiama risultano presenti tracce ematiche sia sul recto sia sul verso.

 

Anche questa circostanza può essere spiegata solo ipotizzando che il pigiama sia stato indossato dall’assassino.

 

L’obiezione difensiva su questo punto non ha pregio.

 

Le macchie su entrambi i lati della giacca non sembrano infatti dovute al contatto reciproco dei lembi della casacca.

 

Pertanto, seppur con le perplessità sopra evidenziate, possono condividersi le conclusioni rassegnate dal RACIS, alle quali integralmente si rimanda: almeno la casacca del pigiama è stata indossata dall’assassino nel corso dell’omicidio.

 

7.3 ACCERTAMENTI SULLE TRACCE EMATICHE DEGLI ZOCCOLI

 

Su entrambi gli zoccoli ritrovati al piano terreno dell’abitazione dei coniugi Lorenzi, pacificamente appartenenti all’indagata, sono state ritrovate delle tracce ematiche: significativa è la loro ,localizzazione.

 

Essa viene pertanto riportata per esteso così come descritta dal RACIS: descrizione del reperto

 

Si tratta di un paio di zoccoli di colore bianco marca Fly Flot, misura 38, con plantare di legno rivestito esternamente di gomma e tomaia superiore in cuoio di colore bianco, traforato.

 

Il reperto è stato rinvenuto e sequestrato in casa Lorenzi, nel disimpegno del bagno posto al piano superiore (vedi foto dal n. 1 al n. 4 dell’allegato fascicolo fotografico), in occasione delle attività di sopralluogo eseguite da personale del RIS di Parma e del Comando Gruppo Carabinieri di Aosta, in data 6 e 7 febbraio 2002.

 

Ad una preliminare ispezione il reperto esibiva tracce ematiche evidenti, variamente disposte su entrambe le suole (foto dal n. 5 al n. 11).

 

Sottoposti ad un più approfondito esame, previa rimozione della tomaia di cuoio (foto dal n. 15 al n. 18 e dal n. 31 al n. 34) e successiva analisi al microscopio binoculare, gli stessi zoccoli, hanno mostrato ulteriori tracce verosimilmente ematiche, presenti sia sulla scarpa sinistra, sia su quella destra.

 

In particolare: per quanto riguarda lo zoccolo sinistro, le tracce risultavano localizzate: a circa metà dello sviluppo longitudinale del plantare, all’altezza del bordo laterale sinistro, sotto forma di una minuta crosticina (foto n. 12, 13 e 14); in corrispondenza del bordo anteriore del plantare, sotto forma di alonature e minutissimi residui, apprezzabili soltanto microscopicamente (foto dal n. 19 al n. 25); sulla superficie interna della tomaia in cuoio, all’altezza del bordo laterale sinistro, a guisa di un debole imbrattamento e di un residuo puntiforme, rilevabili microscopicamente (foto dal n. 26 al n.- 30).

 

Per quanto riguarda lo zoccolo destro, le tracce risultavano localizzate: in corrispondenza del bordo anteriore del plantare, sotto forma di alonature e minuscole tracce, apprezzabili soltanto microscopicamente (foto dal n. 35 al n. 39); sulla superficie interna della tomaia in cuoio, all’altezza del bordo laterale destro, a guisa di un tenue imbrattamento, riscontrabile solo microscopicamente (foto dal n. 26 al n. 30) .

 

Gli accertamenti biologici eseguiti hanno consentito di accertare, con argomentazioni che sembrano condivisibili, che le tracce ematiche ivi riscontrate appartengono alla vittima, Samuele Lorenzi.

 

In seguito sono stati eseguiti degli elettroferogrammi relativi al materiale genetico riscontrato sugli zoccoli, con le seguenti conclusioni: le tracce in parola sono costituite da materiale genetico misto in cui la componente minoritaria è compatibile con la signora Franzoni mentre la componente maggioritaria è attribuibile alla vittima, Samuele Lorenzi.

 

Sul punto nessuna osservazione della difesa è stata svolta.

 

8. LE CONDIZIONI CHE DEVONO ESSERE CNTEMPORANEAMENTE SODDISFATTE PER L’ATTRIBUZIONE DELLA RESPONSABILITA’

 

Sulla scorta degli accertamenti scientifici sopra esposti nei paragrafi precedenti, si può ragionevolmente formulare un’ipotesi di accusa che preveda il soddisfacimento contemporaneo delle seguenti condizioni: l’assassino doveva trovarsi da solo con la vittima all’interno della camera da letto dei coniugi Lorenzi nel lasso di tempo in cui l’omicidio è stato consumato; l’assassino doveva indossare, al momento dell’omicidio, almeno la casacca del pigiama; gli zoccoli sono stati indossati dall’assassino nel corso dell’omicidio ovvero, dopo la sua consumazione, sono venuti in contatto accidentale con il sangue della vittima; l’assassino doveva disporre, dopo l’esecuzione del delitto, di un certo lasso di tempo per far sparire l'arma del delitto, per pulirsi o comunque per allontanarsi indisturbato; l’assassino doveva conoscere la disposizione delle camere all’interno dell’abitazione dei Lorenzi e, più in particolare, doveva conoscere perfettamente le abitudini di vita della famiglia.

 

Tutte queste condizioni sono contemporaneamente soddisfatte solo ipotizzando che l’assassino sia Annamaria Franzoni, per quanto di seguito verrà esposto.

 

9.1 LA RAGIONEVOLE IMPOSSIBILITA DI ATTRIBUIRE L’OMICIDIO A TERZI.

 

Come vedremo è possibile che una persona allo stato ignota si sia trovata in una o più delle condizioni di fatto indicate nel paragrafo precedente, necessarie al fine di poter consumare l’omicidio.

 

Si deve però ragionevolmente escludere che taluno si sia trovato contemporaneamente in tutte le condizioni sopra indicate.

 

Certo, l’ipotesi conserva ancora qualche astratta possibilità di verificarsi, ma tale possibilità è così remota da sconfinare nel bizzarro.

 

In primo luogo non risulta che nell’abitazione dei Lorenzi o nelle sue vicinanze nella mattina dell’omicidio si trovasse qualcuno.

 

Tutte le persone comunque presenti nei pressi dell’abitazione dei Lorenzi tra le 08.00 e le 08.30 hanno decisamente affermato di non aver notato nessuna persona fermarsi o comunque transitare in quella zona, destando sospetto o attenzione.

 

Stefano Lorenzi, uscito da casa tra le ore 07.30 e le ore 07.40, ha dichiarato di non aver notato nulla di strano quella mattina.

 

Anche il piccolo Davide ha dichiarato di non aver visto nessuno nel corso del giro in bici fatto dopo la colazione.

 

In fine la stessa indagata ha dichiarato di non aver notato persone estranee nei pressi dell’abitazione.

 

Nel viottolo che costeggia l’abitazione dei Lorenzi non sono state riscontrate tracce o comunque segni riconducibili ad un possibile appostamento finalizzato all’osservazione della casa; ne tali tracce sono state riscontrate nel corso del largo e accurato controllo perimetrale della zona effettuato dai Carabinieri.

 

Peraltro, giova a questo punto una elementare considerazione: l’assassino, per accedere alla camera in cui si trovava il piccolo Samuele, deve pure essere passato da qualche parte.

 

L’indagata ha dichiarato che le finestre e la porta del garage erano chiuse.

 

Resta, come unica alternativa, la porta d’ingresso.

Sembra ragionevole ritenere che la porta d’ingresso, mentre la Franzoni si recava alla fermata dell’autobus, fosse stata chiusa dalla stessa indagata.

 

Nel corso del procedimento la Franzoni ha dichiarato più volte di aver lasciato aperta la porta di ingresso, non chiudendola a chiave nell’uscire per paura di far rumore e di svegliare il piccolo Samuele.

 

La dichiarazione della Franzoni è probabilmente falsa, sia per la sua intrinseca inverisimiglianza, sia perché contraddetta da altre dichiarazioni rese dalla Franzoni.

 

In primo luogo, parte del tutto inverosimile che una madre molto attenta e scrupolosa come la Franzoni, così almeno è stata definita e si ritiene, esca di casa senza chiudere la porta, lasciando il piccolo Samuele da solo in balia degli eventi.

 

Tra l’altro la giustificazione fornita (per paura di fare rumore) è contraddetta dalle stesse dichiarazioni della Franzoni e da un riscontro obbiettivo.

 

L’indagata, ha dichiarato di avere messo nel proprio letto Samuele perché piangeva.

 

Sembra però impossibile che il piccolo Samuele, poco dopo aver richiamato l’attenzione della mamma, si sia immediatamente addormentato, ben sapendo che la mamma stava per uscire perché era già vestita.

 

Dunque, è evidente che la giustificazione addotta sembra infondata, non potendo svegliarsi con il rumore della porta colui che in realtà era già sveglio, e non stava dormendo.

 

Tra l’altro, che Samuele probabilmente non stesse dormendo risulta anche dalle ferite da difesa riportate sulla mano sinistra.

 

Non solo, nell’immediatezza dei fatti la Franzoni ha dichiarato proprio il contrario.

All’arrivo del Dr. Iannazzi, il quale prospettava l’ipotesi che poteva esserci stato qualcuno entrato dall’esterno, la Franzonoi diceva: non sono stupida, era chiuso e so bene quello che faccio con tono definito dai presenti quasi infastidito.

 

Si può quindi ritenere per tutte queste ragioni che la Franzoni abbia mentito.

 

Il mattino dell’omicidio la porta di ingresso era chiusa.

 

Sul luogo non sono stati rinvenuti segni di effrazione o di scasso.

 

Ne consegue che l’assassino disponeva delle chiavi di casa o si trovava già all’interno.

 

Ma anche supponendo, per amore di discussione, che la porta di ingresso fosse aperta, risulta comunque impossibile la commissione del reato da parte di terzi.

 

È stato infatti accertato che non vi era una condotta costante da parte della Franzoni per quanto la conduzione dei propri figli alla fermata dello scuolabus.

 

Alcune volte la Franzoni usciva di casa con tutte due i bambini, altre volte usciva di casa con il solo Davide, lasciando da solo Samuele.

 

Sembra però che nella generalità dei casi erano più le volte che usciva con i due bambini insieme.

 

E allora, affinchè la consumazione del reato sia possibile, occorre che l’omicida non solo conoscesse l’ubicazione delle camere all’interno della casa dei Lorenzi, ma occorre soprattutto che l’assassino conoscesse le abitudini della Franzoni e che tenesse sotto costante osservazione l’abitazione dei Lorenzi allo scopo di cogliere il momento più opportuno per agire, visto che le abitudini della Franzoni non erano costanti.

Occorre infine che l’assassino sapesse che quel mattino il bambino si trovava nella camera da letto dei genitori, e non nella camera da letto dove di solito dormiva.

 

Tale ipotesi per un verso non trova alcun riscontro nei fatti.

 

Per altro verso sembra intrinsecamente inverosimile.

 

Infatti, una preparazione così accurata dell’omicidio richiederebbe quantomeno un movente.

 

Allo stato non risulta che i Lorenzi si siano creati mai rancori tali nei confronti di delittuosa.

 

Il marito dell’indagata, per quello che risulta dagli atti, ha più volte dichiarato di non avere nessuna idea in merito al movente di un terzo, in quanto, al di la dei normali screzi tra vicini, non gli risulta di essersi mai comportato in maniera tale da determinare in altri la nascita di un proposito vendicativo, di questa portata, nei confronti suoi e dei suoi famigliari.

 

Inoltre, una preparazione così accurata del delitto richiederebbe quantomeno che l’omicida impieghi un’arma più efficace ed appropriata di quella impiegata per la consumazione dell’omicidio.

 

L’arma del delitto non è mai stata trovata.

 

Dalla natura delle lesioni tuttavia se ne possono dedurre le caratteristiche strutturali.

 

In particolare il Prof. Viglino ha ritenuto che: per quanto desumibile dalla descritta morfologia delle lesioni si può affermare che queste, con buona probabilità, siano state determinate da un corpo contundente con le seguenti caratteristiche: facile ed agevole impugnabilità; rigido; discretamente pesante; che presenta margini acuti rettilinei e spigoli vivi.

La morfologia della maggior parte delle ferite è suggestiva per l’ipotesi che le stesse siano state prodotte per l’effetto dell’azione di spigolo dell’oggetto.

 

Si tratta con evidenza di un’arma impropria, affatto incompatibile con una fase di preparazione e studio dell’omicidio.

 

Inoltre, altri due elementi inducono a ritenere che la consumazione dell’omicidio da parte di un estraneo sia sostanzialmente impossibile.

 

In primo luogo il tempo disponibile per l’esecuzione del reato e per la fuga.

 

Risulta infatti che la Franzoni si sia allontanata dall’abitazione per soli otto minuti, tra le ore 08.16 e le ore 08.27.

 

In realtà il range temporale disponibile per l’omicidio è ancora più ristretto.

 

Infatti l’assassino doveva almeno aspettare che la Franzoni ed il piccolo Davide si fossero allontanati un po’ dall’abitazione, per non essere scoperto al momento dell’ingresso, e doveva essere già uscito un po’ prima delle ore 08.24 per non incontrare la Franzoni di ritorno dall’autobus.

 

Quindi il rage temporale è ancora più ristretto, tra i cinque ed i sei minuti.

 

Tra l’altro l’assassino, se conosceva le abitudini della Franzoni, e quindi sapeva che questa accompagnava il bambino alla fermata per prendere ,l’autobus alle ore 08.20, sapeva anche di avere un tempo limitatissimo per agire, ben potendo la Franzoni rientrare in casa prima delle ore 08.24 (ad esempio, perché aveva accompagnato Davide solo per un pezzo o perchè era rientrata in casa a passo più veloce del normale, anche considerando il fatto che aveva lasciato Samuele da solo).

 

Il rischio di essere scoperto era così elevato da tramutarsi in sicura certezza.

 

Si consideri ancora che quella mattina i vicini di casa della Franzoni erano in posizione tale da vedere quello che succedeva nei pressi dell’abitazione.

 

Non solo queste persone non videro nessuno agitarsi in quell’orario.

 

Ma soprattutto il fantomatico omicida avrebbe dovuto fare i conti anche con il rischio di essere visto da loro.

 

In secondo luogo risulta che l’assassino nell’eseguire il reato ha indossato almeno la casacca del pigiama appartenente alla Franzoni.

 

Già il ristretto range temporale disponibile dall’assassino lascia perplessi.

 

Non si capisce infatti perché avrebbe dovuto perdere una parte del suo tempo limitato e prezioso per indossare tale indumento, con il rischio di farsi cogliere in flagranza di reato.

 

Ma vi sono due considerazioni che consentono di affermare, con sicura certezza, che l’assassino estraneo non avrebbe infilarsi la ,casacca del pigiama: è evidente che l’assassino deve avere indossato la casacca del pigiama nel luogo dove questa si trovava quando era stata lasciata dalla Franzoni prima di usciere.-

 

In merito la Franzoni ha dichiarato di aver lasciato l’indumento: buttato sul letto come tutte le mattine.

 

Allora questa è la scena del delitto che potremmo ipotizzare: l’assassino entra nella camera del piccolo Samuele con i suoi vestiti; la vittima è già sveglia o a questo punto probabilmente si sveglia; intanto l’assassino con tutta calma indossa il pigiama della Franzoni; il piccolo Samuele resta tranquillamente nella sua posizione, senza fare troppo caso a questa serie di cose un po’ strane, aspettando con pazienza di essere macellato.

 

Sembra veramente troppo.

 

Una ipotesi simile, per essere soddisfatta richiederebbe almeno delle tracce di lotta o colluttazione, che non sono mai state trovate e non la semplice ferita da difesa trovata sulla sua mano.

 

Viceversa dalla sua posizione, dalla mancanza di colluttazione, e dalla sostanziale tranquillità delle scena del delitto, possiamo attenderci che Samuele non abbia notato nulla di strano quella mattina.

 

Ciò significa che la persona che indossava il pigiama nel momento dell’omicidio era la persona che solitamente lo portava: Annamaria Franzoni; in ogni caso è impossibile che un estraneo, quella mattina, potesse indossare la casacca del pigiama e .ciò per la semplice ragione che il pigiama non era visibile.

 

Giova ricordare che il pigiama è stato ritrovato sotto il lenzuolo e sotto il piumone.

 

La Franzoni, dopo aver in un primo momento affermato di aver buttato il pigiama .sul letto prima di uscire, ha in seguito precisato: quando ho scoperto il piccolo Samuele nelle condizioni che vi ho detto ho tirato giù il piumone, non ricordo di aver visto il mio pigiama quando ho tirato giù il piumone.

 

Penso che avendolo tolto al mattino sia rimasto sotto le lenzuola quando le ho tirate su per coprire Samuele prima di uscire.

 

Tutte le persone che sono intervenute sulla scena del delitto hanno negato di aver tolto, spostato o addirittura visto il pigiama di cui stiamo parlando.

 

La conclusione è pertanto univoca.

Il pigiama al momento dell’omicidio era sotto le lenzuola e dunque non visibile.

 

Esso poteva essere indossato o dalla persona che lo portava quella mattina o dalla persona che sapeva dove era riposto: in ogni caso Annamaria Franzoni.

 

9.2 GLI ZOCCOLI

 

Gli zoccoli appartenenti all’indagata, sequestrati nel corso dei rilievo, hanno sicuramente avuto a che fare con l’omicidio.

 

Essi infatti riportano in più zone tracce ematiche appartenenti alla vittima.

 

Delle due l’una: o essi sono stati schizzatoi nel corso dell’esecuzione dell’omicidio; o essi sono stati imbrattati (wipe) dopo l’esecuzione dell’omicidio.

 

Le persone intervenute sulla scena del delitto hanno dichiarato di non aver mai notato la presenza degli zoccoli nella camera da letto.

 

Del resto, essi sono stati trovati al piano superiore nel disimpegno antistante il bagno, posati al suolo in modo assolutamente ordinato.

 

Con particolare riferimento all’abbigliamento indossato quella mattina dalla Franzoni di particolare rilievo in questa vicenda l’indagata ha dichiarato: quando sono rientrata in casa di ritorno dall’accompagnare Davide, ho subito tolto le scarpe ho messo le ciabatte e sono andata giù a vedere Samuele (…) quando ero in attesa del soccorso, su indicazione di Ada sono nuovamente salita di sopra a prendere le scarpe, la giacca le ho infilate ho lasciato le ciabatte al piano vicino l’ingresso e sono riscesa.

 

Di seguito la Franzoni poi ha dichiarato: nel momento in cui sono rientrata in casa dopo aver accompagnato Davide alla fermata dello scuolabus, ho chiuso la porta di ingresso a chiave dall’interno (…) dopo di che mi sono tolta le scarpe nell’antibagno e mi sono messa le ciabatte, mi sono tolta la giacca e sono scesa sotto in camera trovando Samuele.

 

Voglio altresì riferire che quando Ada mi ha detto di prepararmi perché dovevo andare con Samuele sono salita sopra, mi sono messale scarpe ho preso la mia giacca nera e lo zaino che si trovava sul basamento in pietra del camino sono nuovamente scesa sotto.

 

La versione dei fatti complessivamente narrata dalla Franzoni, come già detto, pare smentita, sia da contraddittorietà intrinseche sia dalla contraddizione con le dichiarazioni rese da altre persone informate sui fatti.

 

La Satragni, su questo punto, ha chiaramente smentito la versione dei fatti prospettata dalla Franzoni.

 

Per un verso ha dichiarato del suo arrivo nella casa dei Lorenzi la Franzoni ,era tutta vestita di nero: ho il ricordo della signora Annamaria tutta vestita di nero: neri i capelli, nera la maglia, neri i pantaloni e neri gli stivaletti.

 

Ed ancora: quando, richiesto il mio intervento, sono arrivata nella camera di Annamaria l’ho trovata vestita di colore nero: maglia nera, pantaloni e stivaletti neri.

 

Sono sicura di non avere mai detto di andare a prepararsi.

 

Ha poi escluso che la Franzoni indossasse un paio di zoccoli, avendo ai piedi i già riferiti stivaletti neri.

 

Per altro la circostanza risulta anche dalle dichiarazioni della Ferrod che ha confermato che l’indagata, al momento del suo arrivo indossava un paio di pantaloni scuri e ha dichiarato che pur non ricordando ne il tipo n e il colore delle scarpe avrebbe certamente una calzatura di colore chiaro o addirittura bianco con contrasto con il colore dei pantaloni.

 

In una successiva deposizioni la Ferrod ha poi precisato di ricordarsi che la Franzoni era vestita con pantaloni scuri e con maglia scura senza giubbotto o giacca a vento: ai piedi calzava delle scarpe scure non credo che fossero ciabatte.

 

Anche in merito la Franzoni ha mentito avendo dichiarato: quando sono entrata in casa (di ritorno dalla fermata dell’autobus, ndr) ho tolto le scarpe e la giacca dopo di che sempre in fretta sono scesa da Samuele.

 

Anche Marco Savin, intervenuto sulla scena del delitto insieme alla Satragni, a confermato che la Franzoni era vestita di scuro: credo che indossasse anche degli stivaletti scuri, posso dire di non aver visto nessun cambiamento rispetto a quando mi trovavo poco prima sul terrazzo di casa di mia nuora nel momento in cuoio guardavo mia nipote mentre Franzoni accompagnava suo figlio allo scuolabus.

 

Anche l’autista dello scuolabus, Dino Vidi, ha confermato che: la signora Annamaria era vestita con una giacca che se non erro aveva del pellicciotto al cappuccio o al collo, la giacca era di colore scuro non so dirvi esattamente quale.

 

Mi sembra che anche i pantaloni della donna, perché sicuramente aveva i pantaloni erano di colore scuro, non so dirvi esattamente quale.

 

La Satragni ha infine smentito di aver mai detto all’indagata di mettersi le scarpe al posto delle ciabatte o degli zoccoli per poter seguire il figlio ad Aosta (assolutamente non).

 

La conseguenza è certa: l’indagata, dopo essere rientrata a casa non portava ai piedi gli zoccoli; ne la Satragni ebbe mai a dirle di andare a cambiarsi, per togliere gli zoccoli.

 

Ergo: gli zoccoli erano stati riposti nel disimpegno del bagno prima del suo rientro a casa.

 

La Franzoni ha mentito.

Gli zoccoli sono stati indossati dall’indagata durante l’esecuzione dell’omicidio e si sono imbrattati degli schizzi derivanti dalla violenza dei colpi portati alla testa del piccolo Samuele.

 

Già la natura delle tracce ematiche riscontrate, ritrovate non solo sulla suola ma anche sulla tomaia all’interno del plantare, è maggiormente compatibile con l’ipotesi dello schizzo e non dell’imbrattamento.

 

La stessa indagata ci dice che dopo aver messo nella camera da letto Samuele (rectius: dopo averlo ucciso) era andata al piano superiore togliendosi le ciabatte(ossia gli zoccoli in questione).

 

A conferma di questa ipotesi anche il fatto che la Franzoni abbia mentito sulla circostanza con chiaro intento di vanificare la portata di un gravissimo elemento oggettivo di riscontro della propria responsabilità.

 

Infine anche la posizione di quiete degli zoccoli è significativa: essi sono stati trovati l’uno parallelo all’altro in modo del tutto ordinato, significativo che la persona che se li tolse ciò fece senza alcuna concitazione.

 

Ed allora o si ipotizza che questo fantomatico terzo sconosciuto sia entrato nell’abitazione con le proprie calzature, abbia cercato gli zoccoli della Franzoni, li abbia calzati e sia poi ritornato con tutta la calma, dopo l’omicidio al piano superiore riponendoli senza alcuna concitazione, ovvero si deve ipotizzare che gli zoccoli siano stati indossati dalla Franzoni durante l’omicidio.

 

Cosa che in effetti, per quanto sovraesposto, è avvenuto.

 

9.3 LA VERIFICA DEGLI ALIBI DI ALCUNE PERSONE GENERICAMENTE SOSPETTATE

 

Si consideri inoltre che per quanto riguarda la posizioni degli altri famigliari, di alcuni vicini e di altre persone che per vari motivi avrebbero, seppure con possibilità remota se non addirittura infinitesimale, potuto commettere l’omicidio, sono stati compiuti articolati accertamenti, anche per mezzo di intercettazioni telefoniche- ambientali al fine di accertarne l’eventuale coinvolgimento nei fatti nei quali si procede.

 

Il marito dell’indagata intorno alle ore 08.15/ 8.20 si trovava in Aosta presso il negozio Electric Center e dunque, per ragioni di ordine temporale, non si trovava sulla scienza del delitto al momento dei fatti.

 

Anche il piccolo Davide al momento dei fatti non si trovava all’interno dell’abitazione.

 

Dopo le ore 08.18 egli era diretto con la madre presso la fermata dell’autobus.

 

Tra le ore 8 e le ore 8.16 egli si trovava all’esterno dell’abitazione per giocare con la bicicletta.

 

Maggiore interesse ha suscitato la posizione di Daniela Ferrob e dei coniugi Perratone, essendo stati accertati alcuni screzi con l’indagata e con la sua famiglia.

 

Tuttavia gli accertamenti eseguiti su questo punto, anche per mezzo delle intercettazioni, non hanno consentito di pervenire ad alcun risultato utile.

 

In ogni caso sia consentito riportare per esteso l’annotazione della Compagnia Carabinieri d’Aosta in data 6/3/2002, relativa all’analisi degli alibi dei singoli personaggi.

 

I dati forniti dalle società di telefonia indicano che sia alle ore 08:31:05 quando viene contattato dalla ditta RONC sia alle ore 08:32:02 quando chiama l’utenza della moglie, Lorenzi Stefano aggancia con il proprio cellulare il ponte ripetitore ubicato nel Comune di Charvensod AO via della chiesa 37, settore 1, ponte ripetitore che copre la città di Aosta, ove quindi il Lorenzi stesso si trova.

 

Il 4 febbraio 2002, Guichardaz Carlo e la moglie Ferrod Daniela sono stati contemporaneamente a sommarie informazioni presso la stazione Carabinieri di St. Pierre AO e, come si rileva dai relativi verbali, l’escussione dell’uomo ha avuto inizio alle ore 19:50 ed è terminata alle ore 21:30.

 

Al termine il Guichadaz e la mogli: hanno colloquiato da soli all’interno della sala d’aspetto della stazione Carabinieri di St. Pierre ove è attivo un servizio di intercettazione di comunicazioni tra presenti regolarmente autorizzate, dal quale si sono comunque rilevate solo reazioni normali relativamente alle attività di indagine cui i predetti avevano partecipato; hanno lasciato la caserma a bordo della loro autovettura pure sulla quale era attivo un servizio di intercettazione di comunicazioni tra presenti regolarmente autorizzato che ha egualmente dato esito negativo.

 

Il 4 febbraio 2002, Ferrod Daniela ed il marito Guichardaz Carlo sono stati contemporaneamente escussi a sommarie informazioni presso la stazione del Carabinieri di St. Pierre 8AO) e, come si rileva dai relativi verbali, l’escussione della donna si è protratta per oltre tre ore.

 

Al termine la Ferrod ed il marito: hanno colloquiato da soli all’interno della sala d’aspetto della Stazione Carabinieri di St. Pierre ove era attivo un servizio di intercettazione di comunicazioni tra presenti regolarmente autorizzato, dal quale si sono comunque rilevate solo reazioni normali relativamente alle attività di indagine cui i predetti avevano partecipato;

 

un servizio di intercettazione di comunicazioni tra presenti regolarmente autorizzato che ha egualmente dato esito negativo.

 

Le dichiarazioni rese in tempi successivi da Guichardaz Ottino sono, nelle escussioni succedutesi, man mano più dettagliate in relazione alla maggior precisione nei particolari richiestagli dai verbalizzanti e, pur nella lieve diversità degli orari dallo stesso indicati, le dichiarazioni medesime risultano coerenti sia tra di esse stesse sia con quanto riferito da Guichardaz Ulisse.

 

Il 5 febbraio 2002 Blanc Graziana ed il marito Perratone Carlo sono stati temporaneamente escussi a sommarie informazioni presso la Stazione dei Carabinieri di St. Pierre (AO) e, come si rileva dai relativi verbali, l’escussione della donna si è avvenuta dalle ore 9.50 alle ore 19.

 

Al termine e durate alcune pause nell’escussione la Blanc ed il marito: hanno colloquiato da soli all’interno della sala d’aspetto della Stazione dei Carabinieri di St. Pierre ove era attivo un servizio di intercettazione di comunicazioni tra presenti regolarmente autorizzato, dal quale si sono comunque rilevate solo reazioni normali relativamente alle attività di indagine cui i predetti avevano partecipato; hanno lasciato la caserma a bordo della loro autovettura pure sulla quale era attivo un servizio di intercettazione di comunicazioni tra presenti regolarmente autorizzato che ha egualmente dato esito negativo.

 

Dunque, allo stato degli atti, non risultano concreti elementi che possano dimostrare il coinvolgimento di tali persone ne9i fatti, così come prospettato dal PM nella sua richiesta.

 

Deve darsi atto che nelle more del disposto della richiesta di misura cautelare sono state depositate, a più riprese, alcune integrazioni, relative a sommarie informazioni acquisite proprio in merito alla eventuale commissione del reato da parte di Blanc Graziana, Perratone Carlo, Guichardaz Ulisse e Ferrod Daniela. Si tratta delle spontanee dichiarazioni rese ai Carabinieri della Stazione di Cogne in data 11/3/2002 da Paola Croci e il giorno 12/3/2002 da Alberto Enrietti.

 

Due brevi osservazioni, la portata di tali dichiarazioni non pare in grado di inficiare la ricostruzione dei fatti compiuta nei paragrafi precedenti.

 

Le ipotesi alternative, allo stato degli atti, non trovano alcun riscontro.

 

Vengono infatti prospettati degli ipotetici moventi, che avrebbero potuto determinare e giustificare la commissione del reato.

Tuttavia, non vengono allegati concreti elementi di fatto, suscettibili di verifica e di riscontro.

 

La portata di tali dichiarazioni è vagamente calunniatoria, anche in considerazione del fatto che la Croci intrattiene contatti telefonici con la famiglia dell’indagata, contatti nei quali si parla esplicitamente delle dichiarazioni rese ai Carabinieri Dalla Croci.

 

10.L’ATTRIBUZIONE DELLA RESPONSABILITA’

 

Abbiamo dunque escluso che l’omicidio potesse essere ragionevolmente consumato da una persona diversa dall’indagata, per quanto è stato esposto nei paragrafi che precedono.

 

L’omicidio, infatti non può che essere stato commesso da Annamaria Franzoni.

 

Solo questa ipotesi è in grado di soddisfare tutte le condizioni descritte nel paragrafo 8.

 

La porta d’ingresso è chiusa a chiave, e le chiavi le ha la Franzoni.

 

La Franzoni si trova certamente da sola con la vittima all’interno della camera da letto e dispone altresì di un congruo lasso di tempo per ripulirsi, anche se qualche traccia la lascia sul pigiama e sulle ciabatte, e per fare sparire l’arma del delitto con l’eventuale collaborazione di una o più persone in questo momento ancora non individuate.

 

All0’interno dell’abitazione si trovano sicuramente numerosi oggetti domestici che ben possono essere impiegati per la commissione del reato.

 

Solo la Franzoni poteva sapere dove si trovava la casacca del pigiama e solo la Franzoni ha indossato gli zoccoli schizzati di sangue.

Se si ipotizza che sia la Franzoni l’omicida allora non è più necessario postulare l’esistenza di un inspiegabile quanto feroce delitto eseguito in un brevissimo lasso di tempo, con una m4eticolosa ed accurata preparazione, con una elevatissima probabilità di esser4e notati e/o scoperti dai vicini nel corso dell’esecuzione del reato.

 

L’ipotesi invero spiega tutti i fatti noti.

 

Le ipotesi alternative invece postulano spiegazioni quasi fantascientifiche e tratteggerebbero un profilo criminale appartenente ad una persona particolarmente abile e versata nella consumazione di questo tipo di reati.

 

Già la posizione del bambino nel letto e l’esistenza di una ferita da difesa sulla sola mano sinistra della vittima indicano che Samuele, pur essendo svegli e dunque in condizioni di vedere il suo assassino, non si era minimamente preoccupato della presenza della persona entrata nella camera da letto per ucciderlo.

 

Anche questa circostanza si può spiegare solo ipotizzando che l’assassino sia proprio la madre.

 

Le versioni fornite dalla Franzoni nel corso del procedimento, dirette a sviare da se i sospetti, sono palesemente contraddette dalle dichiarazioni rese dalle altre persone che entrarono nella camera da letto.

 

Ciò si è verificato in riferimento ad importanti circostanze di fatto e non ad elementi secondari o non essenziali.

 

Attesa l’estrema importanza per la ricostruzione dei fatti, pare opportuno riportare per esteso le varie dichiarazioni rese dall’indagata.

 

In un primo momento la Franzoni dichiara che: terminata la colazione sono scesa giù nelle camere per prendere i vestiti in modo tale da non svegliare Samuele che stava dormendo.

Sono risalita ho vestito Davide e mi sono preparata dopo di che stavo per mettere le scarpe quando ho sentito Samuele piangere.

 

Ha poi precisato: mentre Davide faceva colazione io sono scesa di sotto a vestirmi, mi sono tolta il pigiama in camera e l’ho buttato sul letto, ho preso in bagno la canottiera e poi sono risalita di sopra (…) sono uscita con le scarpe appena messe e da allacciare, ho lasciato le ciabatte nella zona antistante il bagno, vicino alla porta d’ingresso.

 

Questa seconda versione è stata poi reiterata: l’ho lasciato comunque a mangiare (il figlio Davide ndr) mentre io sono scesa a vestirmi.

 

Mi sono cambiata nella mia camera da letto, lasciando il pigiama come tutte le mattine sul letto, poi sono andata in camera di Davide a prendere i suoi vestiti (…) sono risalita in cucina dove Davide stava ancora facendo colazione, dopo l’ho vestito (…) mentre stavamo uscendo ho sentito Samuele piangere e chiamarmi.

 

A quel punto Davide è uscito e io sono scesa giù da Samuele che era sulle scale, l’ho portato nel mio letto dicendogli di stare tranquillo (…) ho preso la giacca e messo le scarpe e facendo molto piano ho aperto la porta, non chiudendola a chiave nell’uscire per paura di far rumore.

 

Con particolare riferimento all’abbigliamento indossato quella mattina dalla Franzoni, di particolare rilievo in questa vicenda, l’indagata ha dichiarato: quando sono rientrata in casa,. Di ritorno dall’accompagnare Davide, ho subito tolto le scarpe ho messo le ciabatte e sono andata giù a vedere Samuele (…) quando ero in attesa del soccorso, su indicazione di Ada sono nuovamente salita di sopra a prendere le scarpe, la giacca, le ho infiliate ho lasciato le ciabatte al piano vicino l’ingresso e sono scesa.

 

La Franzoni poi ha dichiarato: nel momento in cui sono rientrata in casa dopo aver accompagnato Davide alla fermata dello scuola bus, ho chiuso la porta d’ingresso a chiave dall’interno (..) dopo di chè mi sono messa le ciabatte, mi sono tolta la giacca e sono scesa sotto in camera trovando Samuele.

 

Voglio altresì riferire che quando Ada mi ha detto di prepararmi perché dovevo andare con Samuele, sono salita sopra, mi sono messa le scarpe, ho preso la mia giacca nera e lo zaino che si trovava sul basamento in pietra del camino e sono nuovamente scesa sotto.

 

LA VERSIONE DEI FATTI COMPLESSIVAMENTE NARRATA DALLA FRANZONI, COME GIA DETTO, PARE SMENTITA, SIA DA CONTRADDITTORIETA INTRINSECHE, SIA DALLA CONTRADDIZIONE CON LE DICHIARAZIONI RESE DA ALTRE PERSONE INFORMATE SUI FATTI.

 

La Satragni, su questo punto, ha chiaramente smentito la versione dei fatti prospettata dalla Franzoni.

 

Per un verso ha dichiarato che al suo arrivo nella casa dei Lorenzi, la Franzoni era tutta vestita di nero: ho il ricordo della signora Annamaria tutta vestita di colore nero (sic): neri i capelli, nera la maglia, neri i pantaloni e neri gli stivaletti.

 

Ed ancora: quando, richiesto il mio intervento, sono arrivata nella camera di Annamaria l’ho trovata vestita di colore nero: maglia nera, pantaloni e stivaletti neri.

 

Sono sicura di non averle mai detto di andare a prepararsi.

 

Ha poi escluso che la Franzoni indossasse un paio di zoccoli, avendo ai piedi i già riferiti stivaletti neri.

 

Peraltro la circostanza risulta anche dalle dichiarazioni della Ferrod che ha confermato che l’indagata, al momento del suo arrivo indossava un paio di pantaloni scuri e ha dichiarato che pur non ricordando ne il colore ne il tipo delle scarpe, avrebbe chiaramente notato una calzatura di colore chiaro o addirittura bianco per il contrasto con il colore dei pantaloni.

In una successiva deposizione della Ferrod ha poi precisato di ricordarsi che la Franzoni era vestita con pantaloni scuri e con maglia scura senza giubbotto o giacca a vento: ai piedi calzava delle scarpe scure, non credo fossero ciabatte.

 

Anche in merito a ciò che la Franzoni ha mentito avendo dichiarato: quando sono entrata in casa (di ritorno dalla fermata dell’autobus, ndr) ho tolto le scarpe e la giacca dopo di che sempre in fretta sono scesa da Samuele.

 

Anche Marco Savin, intervenuto sulla scena del delitto insieme alla Satragni, ha confermato che la Franzoni era vestita di scuro: credo che indossasse anche dei stivaletti scuri, posso dire di non aver visto nessuno cambiamento rispetto a quando mi trovavo poco prima sul terrazzo di casa di mia nuora nel momento in cui io guardavo mia nipote, mentre Franzoni accompagnava suo figlio allo scuolabus.

 

Anche l’autista dello scuolabus, Dino Vidi, ha confermato che: la signora Annamaria era vestita con una giacca che se non erro aveva del pellicciotto al cappuccio o al collo.

 

La giacca era di colore scuro, non so dirvi esattamente quale.

 

Mi sembra che anche i pantaloni della donna, perché sicuramente aveva i pantaloni, erano di colore scuro, non so dirvi esattamente quale.

 

La Satragni ha infine smentito di aver mai detto all’indagata di mettersi le scarpe al posto delle ciabatte o degli zoccoli per poter seguire il figlio ad Aosta (assolutamente no).

 

Ma la versione dei fatti fornita dalla Franzoni risulta smentita dalla Satragni anche in merito ad un’altra circostanza determinante: durante il mio intervento all’interno dell’abitazione dei Lorenzi, precisamente nella camera da letto matrimoniale sita al piano terreno (…) faccio presente di non aver manipolato e toccato alcun pigiama all’interno della camera, ne appartenente alla madre Franzoni Annamaria, ne appartenente al padre Lorenzi Stefano.

Non solo: sono altresì sicura che all’interno della casa, in particolare nella stanza dove si trovava Lorenzi Samuele, non era alcun pigiama a me visibile.

 

Ricordiamo che la Franzoni aveva precisato: quando ho scoperto il piccolo Samuele nelle condizioni che vi ho detto ho tirato giù il piumone (…) non ricordo di avere visto il mio pigiama quando ho tirato giù il piumone.

 

Penso che avendolo tolto al mattino, sia rimasto sotto le lenzuola quando le ho tirate su per coprire Samuele prima di uscire.

 

Infine, ma non da ultimo, il piccolo Davide ha dichiarato di non essere mai stato cambiato dalla mamma in sala, ma di essere sempre stato cambiato nella propria camera da letto, al piano seminterrato.

 

Ciò è avvenuto anche il giorno dell’omicidio.

 

A questo punto si può affermare che l’indagata ha mentito in ordine alla seguenti circostanze di fatto: la porta di casa al mattino era chiusa; la Franzoni quando arrivarono Ferrod e Satragni non indossava le ciabatte, ma gli stivaletti neri; la Satragni non disse mai alla Franzoni di andare sopra per togliersi le ciabatte e mettersi le scarpe; il pigiama non si trovava sopra il letto, ma sotto le coperte; Davide non è stato cambiato nella sala ma nella camera da letto; last, but non least, dalle tracce ematiche presenti sugli zoccoli si evince che la Franzoni li calzasse nell’esecuzione dell’omicidio; è ragionevole inoltre ritenere che dalle tracce ematiche presenti sul pigiama si possa inferire che la Franzoni indossasse la casacca durante l’esecuzione dell’omicidio.

 

Anche perché, sia per la casacca che per gli zoccoli, era solo la Franzoni a sapere dove queste cose si trovavano.

 

Si tratta ora di fornire un significato anche a queste menzogne.

 

La spiegazione più ragionevole è proprio quella sostenuta dall’accusa.

 

In controluce emerge quello che è effettivamente successo quel giorno.

 

Verosimilmente, dopo aver cambiato Davide ed averlo portato a fare colazione in sala, ma prima di cambiarsi, la Franzoni richiamata dal pianto del piccolo Samuele scende le scale e lo porta nel proprio letto: li lo uccide.

 

Poi si pulisce, si cambia, lasciando il pigiama dove poi è stato trovato.

 

In altre parole, questa può ritenersi la confessione dell’omicidio: mentre stavamo uscendo ho sentito Samuele piangere e chiamarmi.

 

A quel punto Davide è uscito e io sono scesa giù da Samuele che era sulle scale, l’ho portato nel mio letto dicendogli di stare tranquillo (…) ho preso la giacca e messo le scarpe e facendo molto piano ho aperto la porta, non ,chiudendola a chiave nell’uscire per paura di fare rumore.

 

Evidente che per un meccanismo di emozione non sia stato riferito anche il gesto omicida.

 

Solo negando le predette circostanze di fatto l’indagata può evitare di essere scoperta, perché esse inchiodano l’autore del reato alla sua responsabilità.

 

L’assassino indossava il pigiama e le ciabatte.

 

La Franzoni indossava il pigiama e le ciabatte.

 

La Franzoni è l’assassino.

 

11. LA VALUTAZIONE DEGLI ELEMENTI A FAVORE DELL’INDAGATA

Prima facie parrebbero sussistere alcuni elementi di fatto favorevoli all’indagata, i quali potrebbero dimostrare l’estraneità ai fatti.

 

Quanto all’alibi ed alla consulenza tecnica della difesa relativa alle tracce ematiche, valgono le considerazioni sopra esposte.

 

Restano da valutare il comportamento tenuto dalla Franzoni dopo la commissione dell’omicidio ed il fatto che l’indagata, sia nel corso dei numerosi interrogatori ai quali è stata sottoposta, sia nelle conversazioni telefoniche e ambientali intercettate, non abbia mai ammesso, anche in forma larvata, le proprie responsabilità.

 

Quanto agli interrogatori occorre rilevare come la Franzoni, seppur con la più totale buona fede degli investigatori, non sia mai stata seriamente messa di fronte alle proprie responsabilità.

 

Essa, almeno nei momenti iniziali, ha trovato un sicuro conforto nell’appoggio, del tutto involontario ed inconsapevole, fornitole la Maresciallo Catalfamo.

 

Ed infatti, come risulta dal verbale di accertamenti urgenti in data 1/3/2002, Catalfamo e la Franzoni si intrattenevano a parlare nella stessa mattinata dell’omicidio.

 

Evidente l’importanza che avrebbe potuto anche le sole mezze frasi dette dall’indagata in un momento così delicato.

 

Eppure in marito a tale colloquio non è mai stata eseguita alcuna annotazione di servizio, fosse anche solo per dire: nulla di rilevante.

 

Poi, dopo questo primo colloquio, il Catalfamo accompagna da solo la Franzoni presso la Stazione Carabinieri di Cogne.

 

Che cosa si siano detti in quel frangente non è dato sapere.

 

Alle 19.00 del giorno dell’omicidio, quando ormai è certo che si può parlare di omicidio e vi sono già alcuni elementi che potrebbero radicare dei sospetti nei confronti della Franzoni, il Maggiore Fruttini ed il Catalfamo sento a s.i.t. la Franzoni facendole due domande, che riportiamo per esteso: quando stamattina facendo rientro in casa dopo aver accompagnato suo figlio Davide alla fermata dello scuolabus ha trovato suo figlio Samuele ferito, ha poi notato se dalla sua camera mancava qualche oggetto?

 

Vi sono stati episodi particolari che ricorda successi nel tempo in cui erano coinvolti i suoi figli o lei?

 

Si tratta di domande del tutto tranquillizzanti.

 

La sera del 30/1/2002 la Franzoni viene nuovamente sentita, di nuovo è presente Catalfamo.

 

È evidente che nei primi delicatissimi momenti dell’inchiesta la Franzoni si sia potuta sentire tranquilla per la presenza del Catalfamo, del tutto inconsapevole della sua reale funzione.

 

Per quanto riguarda il comportamento tenuto dopo il fatto, apparentemente riconducibile a quello di una madre sconvolta dalla perdita del figlio, si rileva come questo comportamento non sia poi così normale.

 

Già la Ferrod ci ha riferito che la Franzoni quando scoprì il cadavere se ne stava con la mani lungo i fianchi. Sembra proprio strano che non abbia cercato un ultimo e disperato contatto fisico con il figlio brutalmente ucciso da terzi.

 

Sembra poi strano che la Franzoni abbia chiamato il proprio marito non direttamente, per mezzo della segreteria, come se avesse qualcosa da nascondergli.

 

Tra l’altro nel corso delle telefonata ripete due volte l’espressione: Samuele è morto quando invece qualsiasi madre si sarebbe guardata dall’affermarlo, sperando, anche contro i fatti, nella sopravvivenza del figlio.

 

Deve inoltre considerarsi l’agghiacciante richiesta che la Franzoni fece la stessa mattinata dell’omicidio, al marito appena arrivato sul luogo del delitto: ne facciamo un altro figlio? Mia aiuti a farne un altro? È appena il caso di rilevare che il povero Samuele, con il cranio fracassato, era appena stato portato via con l’elicottero ed il padre non aveva ancora finito di piangerlo.

 

Anche dalle intercettazioni ambientali eseguite risultano alcune dichiarazioni della Franzoni che lasciano qualche perplessità.

 

Il giorno 31/1/2002 all’interno della Stazione CC di St. Pierre essa risponde al militare Caddeo, che le chiede se è vero che durante la notte era stata male: inc…si, ero già nervosa…inc…dentro di me avevo capito; e poi: Caddeo: so che è dura da accettare signora… però purtroppo è… quando succedono disgrazie.. perché sono disgrazie… del genere, purtroppo non si può lasciare.

 

Franzoni: lo so, ma purtroppo ci sono anche delle madri che ammazzano i figli , ce n’è…

 

Sempre all’interno della stazione Carabinieri di St. Pierre, si riporta questo dialogo tra l’indagata ed il Vice- brigadiere Giannini: Franzobni: lo spero che sia stato ucciso, stia tranquillo… Giannini: non ho capito…

 

Franzoni: lo spero che sia stato ucciso

 

Giannini: perche?

 

Franzoni perché no.. cioè… cercando anch’io un perché

 

Gainnini: cerco di capire che cosa mi sta dicendo perché?

Franzoni: perché è una cosa atroce… io spero che sia vero, una cosa… inc… un problema perchè io mi sento sola… pensavo ed ero convinta che gli sia esplosa la testa…inc…anche se…inc… però lo accetterei …non che qualcuno lo ha ucciso.

 

Certo questi elementi non sono sufficienti a costituire indizi di responsabilità.

 

Dimostrano però che il comportamento dell’indagata dopo la scoperta dell’omicidio non è stato così normale come si potrebbe pensare.

 

Anche la comprensione psicodinamica del caso in esame, consente di fornire una ragionevole spiegazione al comportamento tenuto dall’indagata post factum: tale comportamento sembra infatti possedere tutti i requisiti tipici del fenomeno dissociativo.

 

Come è noto, la funzione primaria della dissociazione, in termini generali, è quella di funzionare come risposta protettiva, come difesa rispetto ad un trauma paralizzante.

 

Essa ha natura adattiva, perché consente una via di fuga da una situazione di realtà terrificante, fornendo un modo per isolare una esperienza vissuta come catastrofica del soggetto.

 

Si tratta di un meccanismo mentale ben conosciuto dalla psichiatria contemporanea che consente al soggetto di compartimentalizzare l’esperienza traumatica vissuta, bandendolo dalla consapevolezza, non essendo più accessibile alla coscienza è come se il trauma non fosse mai accaduto.

 

La comprensione psicodinamica parte proprio da questa considerazione: i ricordi del se traumatizzato devono essere dissociati perché non possono coesistere con il se della vita quotidiana che appare in possesso di pieno controllo.

 

Più in particolare, la letteratura sull’argomento distingue tra rimozione e dissociazione, ricollegando solo la seconda al verificarsi di un trauma.

 

Nell’ambito di quest’ultima categoria sono state studiate da tempo sia l’amnesia dissociativa, sia la fuga dissociativa.

Il caso di specie sembra rientrare nell’ambito dell’amnesia dissociativa ossia quel disturbo che prevede uno o più episodi di incapacità a rievocare un importante trauma personale.

 

Pare appena il caso di rilevare come l’omicidio del proprio figlio, compiuto in un contesto ambientale nel quale tutte le persone ha ritratto la famiglia Lorenzi come la famiglia felice, possa portare, se non dissociato, ad una totale disgregazione del se.

 

Esso, pertanto, deve essere allontanato dalla coscienza e dalla memoria, rendendo così possibile la prosecuzione della vita.

 

Sembra ragionevole affermare che l’indagata ben avrebbe potuto commettere il delitto senza ricordarselo e saperlo in questo momento.

 

Del resto alcune tracce del trauma dissociato emergono proprio dai brani delle conversazioni ambientali sopra riportati.

 

Infine, dalle intercettazioni telefoniche poi non può aspettarsi nulla di rilevante.

 

Infatti dalla intercettazione ambientale eseguita il giorno 3/2/2002, si apprende come Stefano Lorenzi dica alla moglie di non usare il telefono cellulare perché pensa che possa essere intercettato

 

12. IL MOVENTE E L’ARMA DEL DELITTO

 

Come abbiamo già affermato nel paragrafo 1 della presente ordinanze, l’impianto accusatorio, seppur ampiamente confermato da tutti gli elementi di fatto sopra esposti, sconta due lacune: manca l’arma del delitto, anche se il consulente tecnico del PM ce ne ha descritto le caratteristiche; manca il movente.

 

Quanto all’arma del delitto è già stato dimostrato nel paragrafo 3.2 che l’indagata ha avuto a disposizione più di un congruo lasso di tempo per farla sparire.

Sembra verosimile ritenere che essa sia stata aiutata, in questa azione, da una o più persone al momento non identificabili.

 

L’esecuzione dell’omicidio sembra invece di mano propria della sola Franzoni, almeno per quanto risulta in questo momento,.

 

Il movente.

 

Giova rilevare che secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità: l’individuazione di un adeguato movente dell’azione omicida perde qaulsiasi rilevanza, ai fini dell’affermazione della responsabilità, allorchè vi sia comunque la prova della attribuibilità di detta azione all’imputato.

 

Nella specie il complesso materiale indiziario esistente a carico dell’indagata è da se solo sufficiente ad integrare i gravi indizi di colpevolezza richiesti dall’art. 273 c.p.p..

 

Allo stato degli atti non vi sono elementi sufficienti per affermare che si versi in ipotesi di un motivo razionale ovvero di un motivo del tutto irrazionale.

 

Il PM nella sua richiesta, richiama l’episodio intervenuti nella notte del 30/1/2002, che insieme alle altre circostanze desumibili dalla vita dell’indagata, dalle sue motivazioni e dalle sue aspirazioni, potrebbero spiegare la ragione del gesto criminale.

 

Sembra ragionevole ipotizzare che in una situazione di forte stress, già aggravato dalle precedenti condizioni di salute dell’indagata, la Franzoni abbia deciso di uccidere Samuele perché pensava che la vittima avesse qualcosa che non andava, che frustrava il suo desiderio di mamma di vedere il figlio crescere in condizioni normali.

 

Oppure più semplicemente, si può pesare che la Franzoni abbia soppresso la vittima perché quel mattino, dove lei già era irritata, Samuele le dava fastidio, essendosi messo a piangere sulle scale proprio mentre lei si preparava per uscire.

In ogni caso si tratta solo di illazioni, che al momento non trovano alcun riscontro nei fatti.

 

Peraltro, come sopra già osservato, in questo caso non è necessario accertare il movente.

 

13. IMPUTABILITA E QUALIFICAZIONE GIURIDICA DEL FATTO.

 

Per quanto sopra esposto, l’omicidio commesso dalla Franzoni, seppure in questo momento privo di una spiegazione razionale non sembra comunque il gesto pazzo, quantomeno nell’accezione che ha questo termine per gli artt. 88 e 89 c.p..

 

Non vi sono, almeno in questo momento , elementi di fatto dai quali possa evincersi una qualche psicosi o comunque una qualche ,malattia mentale tale da escludere o scemare grandemente la capacità di intendere e di volere dell’indagata al momento del fatto.

 

Probabilmente, come è stato dimostrato nel paragrafo 11, dopo la commissione del fatto si è verificata una amnesia dissociativa.

 

Non è dato sapere se questo disturbo sia stato determinato unicamente dal trauma ovvero se esso sia la manifestazione di un più ampio disturbo della personalità che già minava la salute mentale della Franzoni prima del fatto.

 

Del resto, nel caso dei soggetti che abbiano raggiunto la maggiore età, la capacità di intendere e di volere, secondo l’id quod plerumque accidit, è da ritenersi presunta; salvo che sussistano specifici e concreti elementi atti a far ragionevolmente ritenere che, nella singola fattispecie, detta presunzione possa essere superata da risultanze di senso contrario.

 

Ne la mancanza di un movente accertato o adeguato la brutalità dell’omicidio possono fare inferire, da se sole e considerate, l’esistenza di un vizio di mente.

Infatti, la sussistenza dei presupposti richiesti da gli artt 88 e 89 c.p.: non è automaticamente riconoscibile per il solo fatto che il delitto sia caratterizzato da particolare efferatezza e brutalità, ovvero sia riconducibile ad una causale che appaia inadeguata.

 

Piuttosto, anche sulla base delle condizioni sopra esposte, il fatto sembra essere stato determinato da uno stato emotivo o passionale, che non esclude in alcun modo l’imputabilità.

 

La qualificazione giuridica dei fatti prospettata dal PM appare corretta.

 

L’animus necandi può essere facilmente desunto dal numero e dalla gravità delle ferite riportate dal piccolo Samuele.

 

Sembra potersi escludere la configurazione dell’omicidio preterintenzionale per tre ordini di considerazione.

 

In primo luogo per la zona attinta dai colpi (encefalo).

 

In secondo luogo per la reiterazione dei colpi e per l’oggetto impiegato per produrli (dotato di spigoli e quindi avente una sicura potenzialità lesiva).

 

Infine per l’esistenza della ferita da difesa sulla mano del bambino che dimostra, con evidenza, che l’aggressore aveva proprio l’intenzione di sopprimere la vittima.

 

Non risulta che il fatto sua stato compiuto in presenza di una causa di giustificazione o di non punibilità.

 

Nemmeno risulta che sussista una causa di estinzione del reato o della pena irrogabile.-

 

Sono stati valutati gli elementi forniti dalla difesa e sono state valutate tutte le circostanze comunque in astratto favorevoli all’indagata.

 

14. LE ESIGENZE CAUTELARI E LA SCELTA DELLA MISURA.

Il PM, quanto al Periculum libertatis prospetta la sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 lett. b) e c) c.p.p..

 

In effetti, tenuto conto di tutti gli argomenti che di seguito saranno esposti, sembra sussistere il concreto pericolo di fuga ed il concreto pericolo di reiterazione del reato, in concorso tra loro.

 

Occorre intanto rilevare che sono trascorso quarantadue giorni dalla consumazione dell’omicidio.

 

In quanto periodo l’indagata, per quello che emerge dagli atti, non risulta aver compiuto alcun tentativo di sottrarsi alla giurisdizione italiana; ne risulta aver compiuto altri gesti violenti, nei confronti dei suoi familiari che con lei convivono e, comunque, nei confronti di altre persone.

 

In questa situazione si può ritenere che sussista un concreto ed attuale periculum libertatis? La risposta è affermativa.

 

Un primo elemento, apparentemente inconferente ma in realtà già significativo, deriva dalla evidente anomalia che ha caratterizzato questo procedimento: le indagini preliminari, per la prima volta nella storia giudiziaria del nostro paese, sono state integralmente seguite in diretta dai mezzi di comunicazione di massa, che hanno provveduto, con dovizia di particolari, a rendere noti al pubblico i singoli elementi di fatto acquisiti dagli investigatori, mano a mano che questi venivano raccolti.

 

In altre parole, si è cercato una sorta di controllo sociale improprio, che ha probabilmente inibito le azioni dell’indagata.

 

La famiglia Lorenzi, colpita due volte dall’evento delittuoso, è stata addirittura costretta ad allontanarsi dal luogo della residenza, per godere di qualche momento di tranquillità.

 

La pressione esercitata dai ,mass media e dalla opinione pubblica, si è dunque concretamente manifes6tata come controllo/ inibizione.

L’argomento, come già detto, non è risolutivo.

 

Esso però serve a concretizzare, nella fattispecie, il periculum liberatis.

 

Quanto all’esigenza cautelare di cui alla lettera b) dell’art, 274 c.p.p., il concreto pericolo di fuga è anzitutto desumibile dalla pena in astratto irrogabile per il reato dall’indagata contestato (la pena massima del nostro codice: l’ergastolo).

 

In questo caso, l’elemento è particolarmente significativo, atteso che la prospettiva che incombe sull’indagata, in caso di terminare la propria esistenza all’interno di una casa penale, salvi i benefici connessi dalla legge.

 

Deve quindi ragionevolmente attendersi che la Franzoni, se lasciata in libertà nel corso del processo, farebbe tutto quanto nella sua possibilità per sottrarsi all’esecuzione della condanna.

 

Ma vi sono altri due elementi che rendono concreto ed attuale questo pericolo.

 

La scoperta della sua responsabilità da parte degli altri familiari, sia la famiglia dell’indagata che quella del coniuge, potrebbe determinare la recisione di tutti i legami familiari e parentali della Franzoni; probabilmente la recisione di qualsiasi rapporto con altre persone.

 

Anche in considerazione del fatto che il delitto è stato brutale e che ha avuto amplissima divulgazione da parte dei mezzi di comunicazione, è dunque concretamente probabile che la Franzoni, qualora rimanesse in libertà, cercherebbe con qualsiasi mezzo di sottrarsi al processo, anche perché a questo punto avrebbe perso qualsiasi radicamento sociale, parentale e sul territorio.

 

Infine, giova rilavare, che è stato accertato che nel corso del presente procedimento la Franzoni ha più volte mentito, cercando di attribuire la responsabilità ad un terzo ignoto introdottosi nella sua abitazione.

La condotta tenuta è sintomatica, insieme a tutti gli altri elementi, di una certa tendenza ostruzionistica rispetto all’esercizio della giurisdizione penale.

 

Quanto all’esigenza cautelare di cui all’art. 274 lett. c) c.p.p., sussiste il concreto ed attuale pericolo che la Franzoni, qualora lasciata in libertà nel corso del processo, possa commettere altri gravi delitti con uso della violenza personale ovvero della stessa specie di quello per il quale si procede.

 

Soccorrono, in merito, gli elementi indicatori della pericolosità sociale previsti dall’art. 274 c.p.p. particolarmente significative.

 

L’aggressione è stata consumata all’interno della casa familiare, approfittando della fiducia della vittima e della tranquillità del luogo.

 

L’oggetto dell’azione omicida è il figlio dell’indagata, bambino di soli tre anni, del tutto privo di qualsiasi capacità di reazione e/o difesa nei confronti dell’aggressore.

 

Non è stata impiegata un’arma nel senso classico del termine; l’omicidio è stato consumato per mezzo di un’arma impropria, che ben può essere reperita nuovamente dall’indagata anche nelle occasioni più banali della vita quotidiana.

 

La zona attinta è il capo del bambino, ciò che è particolarmente significativo della ferma volontà dell’aggressore di sopprimere la vittima.

 

Sono state inferte complessivamente 12- 14 ferite: l’azione è stata reiterata nonostante lo sfacelo dell’ovoide cranico.

 

Tutte queste circostanze, complessivamente valutate, sono già indicative della concreta pericolosità sociale dell’indagata.

 

Proprio perché l’omicidio è stato consumato in un tranquillo ed ordinato contesto familiare, dobbiamo attenderci che l’indagata non necessiti di condizioni od armi particolari per reiterare la propria condotta.

A suo carico anche gli elementi derivanti dal giudizio sulla personalità.

 

È vero che l’indagata è persona incensurata, apparentemente inserita in un contesto di normali relazioni con gli altri.

 

Il fatto, tuttavia, contribuisce a creare degli squarci su tale giudizio di normalità.

 

Intanto la particolare intensità dell’animus necandi, la volontà di sopprimere la vittima per un motivo che qualunque esso sia non può in ogni caso ritenersi adeguato e proporzionato rispetto all’azione compiuta.

 

Si evidenzia, nel migliore dei casi, una totale disfunzione dei freni inibitori.

 

Nell’ambito delle condizioni personali dell’indagata, attualmente tutte da chiarire, anche l’azione più ierrilevante3 o banale può determinare una redazione del tutto sproporzionata, così come è capitato al povero Samuele.

 

La Franzoni, come abbiamo visto nel paragrafo 13, è stata probabilmente vittima di un’irresistibile stato emotivo o passionale che la ha determinata a commettere il reato.

 

Ed in questo senso a nulla rileva il tempo intercorso trattandosi di processi che non sono controllabili dalla coscienza.

 

È dunque concretamente possibile che nonostante l’apparente normalità della Franzoni e l’apparente di controllarsi, l’indagata possa essere determinata per mezzo di processi che forse nemmeno lei stessa è in grado di conoscere a nuove azioni violente.

 

In questo senso la pendenza del procedimento penale a suo carico non può che costituire un ulteriore elemento di stress creando un conflitto tra l’immagine che l’indagata ha di se stessa e quella che invece risulta nei suoi processi decisionali inconsci.

Si aggiunga che prima o poi arriverà il momento in cui la Franzoni dovrà procedere a rielaborare in modo critico il fatto compiuto al momento dissociato.

 

Quando quel momento avverrà sarà inevitabile il conflitto tra il se traumatizzato ed il se della vita quotidiana.

 

Ciò potrà determinare una ulteriore perdita di controllo rispetto ai propri freni inibitori.

 

anche questo elemento prescinde dal lasso temporale nel frattempo decorso.

 

Sussistono dunque tutti i presupposti per ordinare la misura cautelare richiesta dal PM.

 

Allo stato degli atti la Franzoni non pare trovarsi in una delle condizioni che inibiscono l’applicazione della misura cautelare più grave, ex art. 275 comma 4 c.p.p..

 

Nessuna possibilità di sospensione condizionale della pena, il titolo del reato non lo consente.

 

Quanto alla scelta della misura da adottare, tenuto conto di tutti i criteri stabiliti dall’art. 275 c.p.p., sembra idonea, adeguata e proporzionata la sola misura della custodia cautelare in carcere.

 

Ogni altra misura deve ritenersi inadeguata.

 

Il pericolo di fuga e il pericolo di reiterazione del rato, attese le dinamiche sottostanti, possono essere contenuti solo con la coercizione.

 

Le altre misure, tenuto conto di tutte le circostanze del caso di specie, non servirebbero a nulla.

 

15.CAUTELA

 

Per tutti i motivi sopra esposti deve dunque essere ordinata la custodia cautelare in carcere.

Qualche considerazione sulle modalità esecutive di questo provvedimento.

 

Essa aspetta ai sensi dell’art. 293 c.p.p., ad altre persone.

 

Tuttavia questo giudice, pur non potendolo pretendere, auspica che la misura venga eseguita senza clamore, lontano dagli occhi indiscreti di chi non è parte di questo procedimento.

 

L’errore giudiziario è infatti sempre possibile.

 

Il complesso indiziario a carico della Franzoni: bisogna però evitare l’irreparabile.

 

In particolare non deve essere consentito esporre ulteriormente l’indagata la curiosità dell’opinione pubblica, non essendo la gogna una pena vigente del nostro ordinamento.

 

La Franzoni ha ucciso il figlio.

 

Ma forse non può essere ritenuta un’assassina o omicida nel senso canonico del termine.

 

Dietro il reato si intravede una tragedia familiare.

 

Il giudizio deve fermarsi alla rilevanza penale dei fatti.

 

Si proceda al piantonamento a vista dell’indagata, senza privarla dei confronti che questo momento indubbiamente grave per lei possano comunque alleviarne la pena.

 

PQM

 

Visti gli artt. 285, 292 c.p.p.

 

DISPONE

 

La custodia cautelare in carcere a carico di Franzoni Annamaria, nata a San Benedetto Val di Sangro il giorno 23/8/1971 residente in Cogne, AO fraz. Montroz località Caouz nr 4/a e 4/6;

 

ORDINA

 

Agli ufficiali ed agli agenti di polizia giudiziaria che Franzoni Annamaria sia catturata ed immediatamente condotta in un istituto di custodia, per rimanervi a disposizione dell’autorità giudiziaria.

 

MANDA

 

Alla cancelleria per gli adempimenti previsti dall’art. 92 disp. att. c.p.p.;

 

DISPONE

 

Che l’indagata sia piantonata a vista dal personale femminile della struttura penitenziaria.

 

Aosta, 13 marzo 2002

 


Editato su La Stampa.it forum: domenica 17 marzo 12:55

 

La tragedia di Cogne

 

A proposito dell’ordinanza cautelare….

 

A proposito dell’ordinanza, (editata dal quotidiano la Repubblica.it) o procedimento giudiziario a Carico della Franzoni, letto il quale si desume, chiaramente, essere ritenuta l’unica diretta responsabile dell’omicidio del figlio Samuele, e già gravemente sospettata in fase preliminare l’inchiesta, per la sola eccezione dei primi interrogatori esposti dalla Franzoni Annamaria al maresciallo dei carabinieri Catalfamo – non si “comprende” perché in base al convincimento del Gip dott. Fabrizio Gandini, elaborato insieme al PM Stefania Gugge, non si siano applicate le norme cautelari riguardanti l’indagato/a, fornendogli la possibilità, facoltà di non rispondere, mettendola a conoscenza che qualsiasi cosa detta dall’imputata “potrà essere usata contro di lei” – applicando la successiva richiesta in presenza della difesa giuridica dell’imputata.

Premettendo questo, dopo aver letto l’ordinanza, trovo evidente che le accuse poggiano sulla incongruenza di rilevanze medico psichiatriche che poggiano in conclusioni, che danno del profilo dell’imputata-omicida qualcosa di affatto realistico e determinante per tale profilo. Per quando riguarda il convincimento del Gip sulla predeterminazione nell’omicidio del piccolo Samule da Parte della madre Annamaria Franzoni, tanto da renderla una lucida esecutrice del fatto criminoso; elaborazione di un pessimo lettore di libri gialli, che dà la sua soluzione, che spesso si rivela errata, ben prima la lettura della fine del libro, in base agli elementi più probabili del suo convincimento. È comunque evidente che l’indagine si è mossa su indizi paragonabili a quelli di una persona non in stato di shock, alla quale viene chiesto quante volte durante la giornata si mette in bocca il sigaro e se ricorda quante volte il sigaro era accesso o spento e, quante volte nell’eventualità lo ha accesso.

Aggiungo, un’ultima considerazione personale, quale quella già esposta sopra, dato il “particolare momento istituzionale riguardante la giustizia in Italia” in questo momento, non è il caso di avere maggiore accortezza e sensibilità personali?

 

Ribadendo la libera espressione delle mie “personali e individuali” opinioni esposte,  - che non vogliono recare offesa per alcuno, anche qualora vi si potessero rilevare delle incongruenze - auguro a tutti una serena e umana convivenza.

 

Patrizio Marozzi   

Patrizio.marozzi@libero.it

 

 

 


  Le assurdità per un processo

 

 

 

 

Da la Repubblica.it

Il legale: "Non ci opporremo all'esame". Depositata
l'istanza di scarcerazione al Tribunale della libertà


Cogne, i pm chiedono
la perizia psichiatrica

Il gip: "Difficile trovare un esperto che non abbia già
espresso giudizi sulla Franzoni sui giornali o alla tv"


 


AOSTA - Il legale di Annamaria Franzoni, Carlo Federico Grosso, ha presentato ricorso al Tribunale della libertà di Torino contro la carcerazione della donna. Lo ha reso noto lo stesso avvocato, annunciando anche l'intenzione di non opporsi alla richiesta di perizia psichiatrica sulla mamma di Samuele, formalizzata oggi dalla Procura: "Sono sicuro degli esiti", ha spiegato.

I magistrati hanno già depositato la richiesta; spetterà ora al giudice per le indagini preliminari valutarla. Tutto avverrà al massimo entro due giorni. Ma sorge un problema, segnalato proprio dal gip Fabrizio Gandini: "Individuare uno psichiatra che non si sia già interessato alla questione". Gandini intende affidare la sua consulenza a uno specialista che non abbia mai partecipato a dibattiti o abbia espresso opinioni in merito. Insomma, sono esclusi quei professionisti che si sono già pronunciati sul delitto di Cogne su giornali o televisioni.

In base all'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip, appare scontato, comunque, che il giudice accolga la richiesta dei pubblici ministeri. Se così avverrà, si potrà procedere all'incidente probatorio, cioè il parere dello psichiatra entrerà nel processo e assumerà valore di prova. Per questo passaggio potrebbero essere necessari dieci giorni.

Questo dunque, lo stato dei passaggi processuali. Nel frattempo Anna Maria ha passato un'altra giornata nel carcere torinese delle Vallette a leggere lettere di sconosciuti e a dormire. La donna oggi si è mostrata tranquilla, disposta a mangiare, ma ha continuato a tenere spento il televisore che ha in cella. E non ha manifestato interesse per i giornali. La madre di Samuele sembra essersi chiusa in un isolamento scalfito dalla convinzione di poter incontrare presto il figlio Davide, di 7 anni. Possibilità che spetta ai giudici concedere o meno.

(20 marzo 2002)


“Test audio volumetrico”

 

La Stampa .it

NEGLI ATTI DELL’INCHIESTA SUL GIALLO DI COGNE LA PERIZIA DI MASSIMO PICOZZI

«Un delitto nato dalla depressione»
Il criminologo: il profilo dell’assassino si adatta alla madre

 

22 marzo 2002

 

di Enrico Martinet

 

AOSTA Documenti e fotografie fotocopiati sul «caso Cogne», il delitto di Samuele. In particolare sugli zoccoli, indizio pesante su cui ruota l’accusa di omicidio volontario per la mamma del bambino, Anna Maria Franzoni, in carcere alle Vallette di Torino. Fotocopie che ora saranno esaminate dagli esperti della difesa, il professor Carlo Torre, medico legale, e il ricercatore Carlo Robino, esperto di Dna. Una «prova», quella degli zoccoli, che non avevano mai potuto esaminare, non ne erano a conoscenza. Ora studieranno anche gli zoccoli, cercheranno, come già hanno fatto per il pigiama, di trovare una spiegazione plausibile alle macchie di sangue. Per l’accusa, così come il pigiama, anche gli zoccoli erano stati indossati da Anna Maria durante l’omicidio del figlio.

Fra gli atti dell’inchiesta ci sono anche le 45 pagine della relazione del criminologo Massimo Picozzi, anch’egli ieri in Procura ad Aosta. Il suo colloquio con Stefania Cugge, sostituto procuratore e titolare dell’inchiesta sul delitto, è durato oltre un’ora. E’ quasi certo che l’accusa affiderà a lui l’incarico di fare la perizia psichiatrica ad Anna Maria Franzoni. Il 1° marzo, Picozzi, professore universitario di criminologia e di condotte criminali alle università di Castellanza e Parma, ha consegnato la sua prima perizia, poi ha inviato anche un’integrazione.

La Procura voleva da lui un profilo criminale dell’assassino. Indagine psicologica e del comportamento usata da parecchi anni negli Stati Uniti. Il lavoro del professore è basato soltanto sugli atti, sugli studi del Ris, le investigazioni dei carabinieri di Aosta e Cogne, sulle testimonianze, sui video girati prima, durante e dopo i funerali, sulle fotografie trovate a casa Lorenzi, perfino sui disegni di Davide, fratello di 7 anni di Samuele. La sua analisi come lui stesso scrive non risolve nulla ma «costituisce uno strumento ulteriore di indagine».

La conclusione è a pagina 44: «Compatibilità del profilo dell’offender (l’assassino) con la figura della signora Anna Maria Franzoni nell’omicidio di Cogne: alta». Il perché è da ricercare, secondo il criminologo, «in una patologia depressiva, probabilmente inserita su una personalità fragile e dipendente». Il criminologo scrive che «appare più convincente vi sia stata una preliminare progettazione dell’aggressione» e nelle caratteristiche motivazionali spiega: «Possiamo diagnosticare la forza esercitata dall’aggressore come orientata alla punizione».

Punire Samuele perché? Per una serie di ragioni che vengono sintetizzate così: «L’aggressione è il risultato di una elaborazione più complessa e certamente intrecciata da elementi psicopatologici». I motivi che portano Anna Maria alla depressione e a una sofferenza psichica. Samuele, per la mamma, potrebbe «aver rappresentato una sorta di fallimento narcisistico, ma è una semplice suggestione». Il bimbo aveva la testa un po’ sproporzionata «pur rientrando nell’ambito di una variabilità non patologica» e aveva anche una piccola malformazione congenita, un difetto dell’uretra, facilmente correggibile chirurgicamente.

Tuttavia gli elementi che «con grande cautela» Picozzi analizza per spiegare una patologia depressiva sono altri. «La probabile sofferenza di una scelta di isolamento ambientale, inizialmente condivisa, quindi non semplice da sostenere; l’ambivalenza rispetto al desiderio della signora Franzoni di tornare ad una vita di relazione dopo anni trascorsi unicamente a occuparsi si casa e figli. Da un lato si nega all’offerta di lavoro nel negozio di una conoscente, ma apprendiamo poi dalla testimonianza del marito che intendeva trovarsi un’occupazione». Quindi gli episodi di malessere che hanno portato alla prescrizione da parte della dottoressa Ada Satragni di farmaci antidepressivi e ansiolitici.

Anna Maria «sospenderà dopo pochi giorni la terapia ma si allontanerà facendo rientro nella casa dei genitori per qualche tempo, a recuperare energie e riequilibrare il tono dell’umore». Poi c’è il malore della sera precedente il delitto e di qualche ora prima: «Un disagio psicologico, paiono piccoli attacchi di panico». Le altre compatibilità tra assassino e figure diverse dalla mamma di Samuele sono pressoché scartate dal criminologo. Il suo giudizio di compatibilità per un assassino estraneo è «estremamente bassa» e per un familiare non convivente «bassa».

 

 

La Repubblica.it

Cogne, settimana decisiva per la Franzoni
Venerdì si pronuncia il tribunale della libertà


Un altro scontro su Anna Maria
perizia e nuovo esame delle prove



dal nostro inviato MEO PONTE

 

AOSTA - Si sposta davanti ai giudici del Tribunale della libertà di Torino lo scontro tra accusa e difesa sull'arresto di Anna Maria Franzoni. Venerdì prossimo, infatti, i giudici torinesi del Tribunale del riesame a cui si è rivolto l'avvocato Carlo Federico Grosso, il legale della donna, per ottenere la scarcerazione della sua assistita, decideranno se lasciare in cella o invece liberare la madre in carcere dalla notte del 13 marzo con l'accusa di avere ucciso il figlio di tre anni, Samuele.

Nel frattempo il gip di Aosta avrà già fissato l'incidente probatorio, nel corso del quale verrà conferito l'incarico per la perizia psichiatrica richiesta dal pm Stefania Cugge, il magistrato che ha coordinato l'inchiesta sul delitto di Cogne. E' quindi una settimana decisiva per la vicenda che da 54 giorni appassiona l'Italia, dividendola tra innocentisti e colpevolisti, tanto da far nascere addirittura un [ab]comitato pro Anna Maria Franzoni[bb], presieduto da Carmelo Lavorino, criminologo e investigatore che già domani sarà a Cogne per svolgere indagini alternative a quelle della Procura di Aosta. I giudici del tribunale del riesame dovranno invece analizzare le prove raccolte in quasi due mesi di indagini dai carabinieri e quelle, invece, addotte dalla difesa che, ancor prima che Anna Maria Franzoni fosse indagata, aveva già nominato due consulenti medico-legali, il professor Carlo Torre e il dottor Carlo Robino, per seguire le analisi scientifiche dei periti scelti dalla Procura della Repubblica di Aosta.

Il pm Stefania Cugge dopo aver meditato a lungo non ha avuto dubbi a indicare in Anna Maria Franzoni l'assassino del piccolo Samuele. E dopo avere iscritto la donna nel registro degli indagati ha scelto di non effettuare un fermo ma di richiedere al gip un'ordinanza di custodia cautelare. Nella sua richiesta ha elencato quelle che, a suo parere, erano le prove inconfutabili della colpevolezza di Anna Maria Franzoni: il pigiama azzurro e gli zoccoli bianchi macchiati del sangue del piccolo Samuele, la completa assenza di tracce di estranei dentro e fuori lo chalet di Montroz dove la mattina del 30 gennaio il bimbo fu ucciso, le contraddizioni tra il racconto della madre del bambino e quelle delle persone che arrivavano nella casa subito dopo la scoperta del delitto.

A pesare contro Anna Maria Franzoni sono soprattutto quelle gocce di sangue sul pigiama e sopra e sotto la tomaia delle sue ciabatte. Analizzando quelle tracce i carabinieri del Ris di Parma hanno potuto affermare che pigiama e zoccoli erano indossati dall'assassino al momento del delitto. E se la difesa ha già presentato una sua reinterpretazione delle macchie rilevate sul pigiama, le tracce trovate sugli zoccoli sono diventate il cardine dell'accusa contro la madre di Samuele. Anna Maria Franzoni ha infatti sempre dichiarato di essersi cambiata le calzature solo dopo la scoperta del figlio agonizzante e su invito di Ada Satragni, la psichiatra per prima intervenuta in suo aiuto. E' stata però la stessa psichiatra a smentirla decisamente, ripetendo che Anna Maria Franzoni al suo arrivo indossava già gli stivaletti neri e aggiungendo di non averle mai consigliato di cambiare le scarpe.

E anche gli altri testimoni in quel momento nella casa di Montroz hanno riferito che la donna non indossava gli zoccoli bianchi al loro arrivo. Per l'accusa c'è poi la questione dei tempi: nei pochi minuti in cui Anna Maria Franzoni ha lasciato solo Samuele per accompagnare Davide, il figlio più grande, alla fermata dello scuolabus nessuno sarebbe potuto entrare nello chalet rimasto incustodito. Alla ricostruzione del delitto fatta dalla Procura la difesa di Anna Maria Franzoni oppone dettagliate argomentazioni. I consulenti Torre e Robino hanno depositato un loro rapporto in cui spiegano che il pigiama per essere macchiato in quel modo non necessariamente doveva essere indossato e che probabilmente è stato toccato dagli schizzi di sangue perché disteso sul letto. L'avvocato Grosso invece preferisce soffermarsi sul mancato ritrovamento dell'oggetto usato per uccidere il bambino. In più la madre non aveva nessuna ragione di uccidere il figlio.

(24 marzo 2002)

 

La Stampa.it

OMICIDIO DI COGNE, SOLO ALL’INIZIO AMMISSIONI NON COMPRESE

«Anna Maria nega per non perdere i suoi»
Lo psichiatra: «Non è possibile che la donna abbia dimenticato quello che ha fatto, lo rimuove per paura di essere scacciata dalla famiglia» Il comitato innocentista: «In paese da domani per le contro indagini»

 

24 marzo 2002

 

Enrico Martinet
inviato a Cogne

 

Anna Maria Franzoni continua a negare di aver ucciso suo figlio, il piccolo Samuele di 3 anni. Negli atti esistono alcune sue dichiarazioni che possono apparire come un accenno di confessione. Come quel dialogo con due carabinieri del 31 gennaio nella caserma di Saint-Pierre. Nel colloquio davanti al magistrato aveva detto di aver saputo dal marito Stefano «che quella di mio figlio è una morte violenta». Poco prima aveva pronunciato questa frase: «Purtroppo ci sono anche delle madri che ammazzano i figli, ce n’è...».

Lo stesso giudice delle indagini preliminari Fabrizio Gandini ha sottolineato nell’ordinanza di custodia cautelare il comportamento strano della donna dopo il delitto. Ma la confessione, per il giudice, è quella in cui Anna Maria racconta di essere stata chiamata da Samuele in lacrime sulle scale tra zona notte e zona giorno della casa. Quando dice di aver sentito «la manina fredda» del bimbo. Il giudice commenta: «Per un meccanismo di rimozione non ha riferito anche il gesto omicida». Il criminologo e psichiatra Massimo Picozzi che ha consegnato al magistrato inquirente il profilo criminale dell’assassino, spiega che la figura di Anna Maria è compatibile con la persona responsabile del delitto.

Sulla non confessione spiega: «In assenza di una patologia psichiatrica maggiore a sostenere il delitto di Cogne, possiamo ipotizzare la presenza di quadri clinici che permettano il ricorso a meccanismi difensivi sufficientemente evoluti e diano conto dell’assenza di una dichiarazione spontanea di colpevolezza». Per lo psichiatra non è possibile che la donna, qualora fosse colpevole, abbia potuto dimenticare il gesto omicida. Se lo ha rimosso lo ha fatto per tutelarsi. «Negare l’evento - scrive Picozzi - significa garantirsi un futuro; ammetterlo si tradurrebbe nella perdita indispensabile di una rete di supporto». L’avvocato di Anna Maria, Carlo Federico Grosso, ha sempre creduto all’innocenza della donna. Anche il marito, Stefano e tutta la famiglia. Ci sono anche gli amici a sostenere l’innocenza di Anna Maria, tanto da aver gettato sospetti su altri abitanti di Cogne.

E dopo i depistaggi e le contronotizie, adesso c’è anche una controindagine, quella del «Comitato pro Anna Maria Franzoni». Ad averlo formato è Carmelo Lavorino, il presidente e il direttore dell’Anacip, l’associazione nazionale degli avvocati e degli investigatori esperti di criminologia. Innocentista della prima ora, Lavorino aveva scritto un articolo su «Panorama» a qualche giorno dal delitto per spiegare in cinque punti perché Anna Maria non poteva essere l’assassino di Samuele. Da allora ha raccolto informazioni e documenti. Da domani sarà a Cogne. «Sono in rapporto con la famiglia - dice -. Ci sono troppi punti bui e c’è una forzatura evidente nella cronologia degli eventi. Il bimbo è morto tra i 10 e i 12 minuti dopo essere stato colpito ha scritto il medico legale, poi ha aggiunto altri 5 minuti. Aggiungiamo pure anche questi minuti ma si arriva al massimo alle 8,12. In 4 minuti Anna Maria avrebbe dovuto colpire Samuele, lavarsi e andare allo scuolabus con Davide. Impossibile».

Lavorino sceglie la «pista» più difficile per spiegare il delitto, quella dell’omicidio premeditato organizzato da «una mente abilissima quanto lucida e folle». Teoria scartata da tutti gli investigatori e che non si regge su alcun movente e su una ricostruzione, se possibile, ancora più lontana dall’assassinio premeditato: «L’assassino potrebbe essersi introdotto in casa alle 6, quando la porta era aperta in attesa del medico e sarebbe rimasto nella villetta dopo aver ucciso Samuele per poi fuggire approfittando della grande confusione».

 

25 Marzo 17:55 editato forum la stampa.it

La tragedia di Cogne

 

al di là del dubbio.

Sembra assodato che i giudici del riesame finiscano per interpretare, voglio dire reinterpretare la riinterpretazione della difesa di Anna Maria Franzoni, come non legittima per una reale interpretazione che spieghi ciò che è accaduto – e pertanto l’interpretazione del Gip è più che sufficiente per tenerla in galera, giacché ogni altra interpretazione non può essere ritenuta tale e valutata come reinterpretazione, ma i fatti che determinano l’interpretazione credo siano sufficienti per una valutazione dei giudici del riesame, qualora non lascino adito a sommari dubbi. E non è solo questa la considerazione che faccio leggendo un po’ di articoli di stampa. Leggo della ricerca, ho l’impressione spasmodica, con cui si cerca in tutti i mondi di certificare l’ipotesi di confutazione di ogni interpretazione diversa da quella determinatasi attraverso il Gip e il Pm: leggo che la Sig.ra Franzoni neghi di aver ucciso il piccolo Samuele per paura di perdere il futuro e si adducono per certificare tale ipotesi motivazioni di carattere psicologico, come la paura di perdere l’appoggio della famiglia – quasi fosse ovvio che qualsiasi omicida debba per forza confessare – se c’è un senso in questo, ed è tutt’altro che psicologico, non vedo perché non sia possibile il fatto che neghi per salvaguardare il futuro dell’altro figlio, ma ciò non rientrerebbe nel profilo di omicida fatto della Sig.ra Franzoni. Ho letto che l’assassino nell’uccidere abbia attuato un meccanismo di punizione – e non capisco e sicuramente non posso sapere se si siano svolte indagini che trovassero analogie criminose con altri delitti; in questo caso sarebbe il caso di attuare le logiche della criminologia.
In sostanza sembra di intendere dietro una parvenza di neutralità che tutti vogliano questo processo, e mi chiedo perché? Quale catarsi sociale si vuole svolga, quale parallelismo si cerca? Quale analogia giuridica si cerca? E a questo punto è un fatto che nel giorno dell’articolo 18 si sia parlato dell’arresto della Sig.ra Franzoni. Quant’è che servirà altro clamore e per chi? Queste sono solo notizie di stampa?

Patrizio Marozzi
patrizio.marozzi@libero.it

 

 

la stampa.it

DELITTO DI COGNE, DAL GIP NESSUN DIVIETO PER IL PRIMOGENITO DI SETTE ANNI

Il fratello di Samuele potrà vedere la mamma
Giovedì l’incidente probatorio per verificare la salute mentale di Anna Maria

 

25 marzo 2002

 

Enrico Martinet

 

AOSTA - Anche Davide Lorenzi, il primogenito di 7 anni di Anna Maria Franzoni, indagata per l’omicidio di Samuele, il figlio di 3 anni, potrà vedere la mamma in carcere. Non esistono divieti, ma soltanto opportunità e a scegliere l’unico giudice è la famiglia.

Il gip Fabrizio Gandini ha firmato il «sì» alla visita dei familiari, senza alcuna distinzione. Anna Maria aveva chiesto di vedere Davide, voleva riabbracciarlo. Forse per questo, nei giorni scorsi, ha chiesto di poter avere cosmetici per il viso. Presunta innocente e presunta colpevole: è la doppia possibilità di giudizio sulla donna. Per la legge è però innocente fino a quando una corte d’assise non la giudicherà, tocca all’accusa l’onere della prova.

I tempi non possono essere accorciati: non è lecito presumere che l’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice delle indagini preliminari sia una sentenza di colpevolezza, così come non è corretto attendere l’esito del tribunale del riesame di venerdì come un verdetto, di colpevolezza nel caso decida giusta la carcerazione, di innocenza nell’eventualità che ridia alla mamma di Samuele la libertà.

Un indagato finisce in carcere non perché colpevole, ma perché a suo carico vi sono gravi indizi e soprattutto perché potrebbe o scappare, oppure inquinare le prove, o, ancora, ricommettere il reato. Per questo Anna Maria è in cella alle Vallette: secondo due dei tre motivi potrebbero verificarsi, la fuga e la reiterazione.

La donna potrebbe cioè avere un nuovo raptus di violenza così come l’accusa ipotizza abbia avuto quando colpì Samuele e potrebbe fuggire anche a distanza di tanti giorni dal fatto perché, da indagata, avrebbe paura di non essere più protetta dalla famiglia.

Venerdì il tribunale del riesame (un tempo era della libertà) esaminerà tutti gli atti dell’inchiesta e deciderà se la valutazione del gip sia stata corretta, se ci siano motivi sufficienti per mantenere in carcere Anna Maria. Una valutazione indipendente dalla colpevolezza o dall’innocenza della donna.

E’ la seconda volta che un giudice analizza l’inchiesta (il primo è stato il gip) ed è la prima che un collegio giudicante lo fa. La difesa tiene nel riserbo le sue «carte», non svela quale possa essere la sua azione per riuscire a convincere il tribunale di Torino a scarcerare Anna Maria.

La mamma di Samuele potrebbe però non partecipare neppure a un processo. La pubblica accusa ha chiesto al gip l’incidente probatorio per verificare lo stato di salute mentale di Anna Maria. Richiesta che di solito viene fatta dalla difesa a chiedere la perizia psichiatrica. Tuttavia la mossa del pm Stefania Cugge ha una doppia possibile lettura: se la conclusione della perizia dovesse decretare la malattia mentale dell’indagata, costituirebbe un possibile movente per l’omicidio, quindi vi è la necessità di tutelare Anna Maria.

L’incidente probatorio si svolgerà giovedì mattina alle Vallette. Il gip che ha accolto la richiesta di incidente probatorio, ha nominato tre periti: Francesco De Fazio, direttore dell’istituto di medicina legale di Modena; Alessandra Luzzago, docente di psicopatologia forense di Pavia; Francesco Barale, ordinario di psichiatria dell’Università di Pavia. De Fazio e Luzzago fecero la perizia psichiatrica di Omar nel «caso» di Novi Ligure.

La difesa non ha ancora deciso chi nominerà, mentre l’accusa ha dato incarico al criminologo e psichiatra Massimo Picozzi, docente alle Università di Parma e Castellanza (Varese) e a Ugo Fornari, psichiatra e ordinario all’Università di Torino. Picozzi, per la Procura aostana, ha già firmato lo studio sul profilo criminale dell’assassino di Cogne. Picozzi nella sua analisi parla di «elementi psicopatologici». La perizia psichiatrica dovrà stabilire se il 30 gennaio, giorno del delitto, Anna Maria fosse in grado (anche parzialmente) di intendere e di volere, se oggi sia una persona pericolosa e se sia o meno in grado di partecipare in modo coscente al processo.

 

 

 

Cogne e il corporativismo

 

Porto D’Ascoli lunedì 25 Marzo 2002

 

Non so come andrà a finire questa storia, spero bene per la Sig.ra Franzoni. Oggi al telegiornale hanno mostrato che alla procura di Aosta si festeggiava l’ultimo giorno di attività di un giudice, la sua felice andata in pensione. Non so che cosa volesse significare tutto ciò, che stanno tutti bene e che alla procura di Aosta si svolgono anche altre competenze oltre quelle riguardanti la Sig.ra Franzoni, non so chi non lo sapesse e perché c’è bisogno che si sappia. Ma non serve stare a cavillare sulla veridicità di quel che viene detto o quello che viene mostrato. In fondo l’Italia è la nazione delle corporazioni e credo che tutto vada valutato in questa ottica altrimenti non si può comprendere lo strano intreccio che sempre si crea quando un insieme di fattori portano più componenti della società in termini valutativi solidali tra loro, al di là spesso, di un reale atteggiamento critico. Le “componenti” lacunose che hanno determinato lo svolgersi sociale del caso della Sig.ra Franzoni sono state vieppiù compartecipi del suo svolgimento, mi auguro “oggi” che quando il tribunale del riesame dovrà valutare il caso in questione non dipenda da tutto questo; giacché quello che si evince, in modo non del tutto permeabile, da quello che sta compartecipamente svolgendosi è un associazionismo corporativistico, che per sua naturale “fisiologia” ha caduca la componente critica.

Patrizio Marozzi

 

 

 

 

La Repubblica.it

I pm di Aosta: la donna avrebbe prima ucciso Samuele,
accompagnato Davide e infine la messa in scena degli aiuti


"La Franzoni ha agito
in due fasi diverse"



 

AOSTA - Ha prima ucciso Samuele, poi ha accompagnato Davide alla fermata dello scuolabus. Solo a questo punto Anna Maria Franzoni, rincasando, ha chiesto aiuto. Un piano pensato ed eseguito in due fasi: è la conclusione cui sono giunti oggi i pm di Aosta per spiegare l'omicidio del piccolo Samuele, di cui ora la donna è accusata.

Gli inquirenti stanno predisponendo la requisitoria per opporsi alla richiesta di scarcerazione della Franzoni, che sarà discussa venerdì prossimo a Torino. A conferma di questa tesi ci sarebbero le tracce di sangue, sotto la suola dello stivaletto sinistro della donna e sul polsino del maglione nero, scoperte dai carabinieri del Ris, sulla base degli accertamenti richiesti dalla Procura. "Rientrata in casa - ha detto il procuratore capo Maria Del Savio Bonaudo - la mamma di Samuele è andata in camera, ha pestato il sangue che era sul pavimento e nel togliere il piumone che copriva Samuele si è sporcata il polsino del maglione; è certo che non ha né preso in braccio né toccato il piccolo".

Questo significa, per i pm, che Anna Maria Franzoni è entrata in camera per accertarsi delle condizioni del figlio. Convinta che fosse morto ha chiamato il marito per dirglielo, mentre altre testimonianze sostengono che era vivo. Ma anche su questo potrebbero essere possibili confronti visto che la psichiatra Ada Satragni, la prima a soccorrere Samuele, e la mamma sostengono che la morte è da attribuire a cause naturali (aneurisma, esplosione della testa) ed il personale del 118 dice, come si legge nell'ordinanza di custodia cautelare, che è successo qualcosa di strano, sicuramente non imputabile a cause naturali".

Ma ci sarebbe un "buco nero" nell'alibi della donna secondo gli inquirenti: è nelle due telefonate proprio al marito Stefano Lorenzi che era già al lavoro; una alle ore 8,29 all'azienda, fatta con il telefono di casa, l'altra alle ore 8,32 con il suo cellulare al quello del marito. La prima delle due telefonate è stata fatta due minuti dopo quella della Franzoni alla Satragni. Un comportamento questo - dicono i pm - quanto mai strano. E' più naturale che una mamma in una tale situazione chiami subito il marito".

L'accusa contro Anna Maria Franzoni si basa su indizi non essendo stata trovata l'arma né chiaro è il movente, ma "dovendosi procedere ad una valutazione globale e complessiva degli stessi - scrive Gandini nella sua ordinanza di custodia cautelare - la responsabilità dell'indagata viene compiuta in via critica". Ad armare la mano di Anna Maria Franzoni secondo Gandini potrebbe essere stata "una situazione di forte stress, già aggravato dalle precedenti condizioni di salute dell'indagata".

Insomma per il gip la donna avrebbe ucciso il figlio "perché pensava che avesse qualcosa che non andava, che frustrava il suo desiderio di mamma di vedere il figlio crescere in condizioni normali". Una convinzione che ha portato il gip ad accogliere la richiesta di perizia formulata dai pm. L'esigenza dei magistrati inquirenti trova fondamento "nell'agghiacciante richiesta che Anna Maria Franzoni fece la stessa mattina - scrive sempre il gip - al marito appena arrivato sul luogo del delitto: "Facciamo un altro figlio? Mi aiuti a farne un altro?".

Di più: il giudice per le indagini preliminari spiega che "l'assassino di Samuele si è sfogato unicamente su di lui perché non voleva trarre profitto, anche non patrimoniale, ma come risposta alle frustrazioni-aggressioni subite o fallimenti personali" e lo definisce un "omicidio espressivo". Tutto questo, però, dovrà chiarirlo la perizia psichiatrica che sarà affidata da Gandini giovedì prossimo. Venerdì poi si riunirà il tribunale del riesame ma è probabile che la sentenza si conoscerà solo dopo Pasqua, anche se sarà depositata sabato 30 marzo.

(26 marzo 2002)

 

OMICIDIO DI COGNE, L’INQUINAMENTO DELLE PROVE NELLA VILLETTA DEI LORENZI

I 40 minuti che sconvolsero l'inchiesta
«Quegli errori hanno protetto il killer di Samuele»

27 marzo 2002

 

di Enrico Martinet
inviato a COGNE

«Prima delle 8,15», dice il procuratore capo di Aosta Maria Del Savio Bonaudo. Anna Maria Franzoni, secondo l’accusa, avrebbe colpito Samuele allora.

La cronologia, nel delitto di Cogne, è determinante per l’accertamento della verità. Tanto che la difesa smonta le tesi accusatorie proprio esaminando la successione temporale degli eventi.

Successione ipotetica. C’è soltanto la testimonianza dell’indagata, Anna Maria, per poter ricostruire quanto è durata la sua assenza da casa la mattina del delitto, il 30 gennaio. Il tempo è pieno di rattoppi, di dubbi, di non testimonianze alla vigilia dell’incidente probatorio che avverrà domani.

Poi c’è un «buio» importante, quei 40 minuti sottolineati dal giudice delle indagini preliminari Fabrizio Gandini nell’ordinanza di arresto: «Tra la partenza dell’elicottero e l’arrivo dei carabinieri trascorre un ampio lasso temporale, valutabile in quaranta minuti circa, durante il quale la scena del delitto è liberamente accessibile a tutti».

L’inchiesta sulla morte del piccolo Samuele parte ansimando per due motivi: l’assenza di una diagnosi precisa e quei 40 minuti in cui nella camera da letto dei coniugi Lorenzi dove il loro bimbo è stato ucciso, massacrato da 14 o 15 colpi sulla testa, sono entrate almeno tredici persone. La ricostruzione di quella stanza, nonostante le prime ottimistiche dichiarazioni del colonnello Luciano Garofano del Ris di Parma, è stata tutt’altro che semplice. Non ci fossero stati quei 40 minuti, la soluzione del delitto sarebbe stata più semplice e, forse, sarebbe anche stata ritrovata l’arma.

IL DELITTO. Prima delle 8,15, secondo l’accusa, tra le 8,16 e le 8,24 per la difesa. Anna Maria, secondo la tesi accusatoria, porta Samuele nel lettone e lo colpisce con il pigiama indosso e con ai piedi gli zoccoli. Per questo indumento e calzature vengono schizzati dal sangue. Davide, quando viene commesso l’omicidio è in cucina, oppure è fuori a giocare con la bicicletta in attesa della mamma che lo accompagnerà, come ogni mattina, allo scuolabus. La donna, però, dice che Davide esce un minuto prima di lei. Per il procuratore, Anna Maria rientra, «pesta con uno stivaletto il sangue e si sporca un polsino della maglia nel togliere il piumone che copriva il corpo del piccolo». Aggiunge: «Ma per noi ciò che è importante è che cosa indossava durante il delitto, il pigiama e gli zoccoli».

LA DIAGNOSI. La prima è quella di Ada Satragni, psichiatra, dottoressa di base, vicina dei Lorenzi, che accorre alla chiamata di Anna Maria. Per la dottoressa Samuele è vittima di un aneurisma. Per questo nessuno dei primi vicini ad accorrere, Daniela Ferrod e Marco Savin, suocero della Satragni, pensano di telefonare anche alle forze dell’ordine. Il delitto non è ipotizzato, oppure l’idea è rimossa grazie al «conforto» della diagnosi sbagliata.

I SOCCORSI. L’eliambulanza arriva alle 8,51 e rimane accanto alla villetta almeno un quarto d’ora. La squadra di soccorso parte con la certezza di dover intervenire per un grave malore e per una emorragia. I carabinieri non vengono ancora avvertiti. Il medico del «118» che scende dal velivolo e trova Samuele in attesa sul cuscino-barella preparato dalla Satragni si accorge che c’è stata un’aggressione. Vengono avvertiti i carabinieri, ma sono già passate le 9.

LE INDAGINI. Il delitto non è ancora ipotizzato. Alla stazione dei carabinieri di Cogne squilla il telefono. La guida alpina Elmo Glarey segnala che «c’è qualcosa di strano». A Montroz giunge da solo il maresciallo di Cogne. Sono passate le 9,15. Alcuni dei primi ad arrivare accanto alla villetta sono già andati via. Il maresciallo rimarrà l’unico carabiniere per parecchio tempo. Scattano i posti di blocco ad Aymavilles, all’imbocco della vallata di Cogne. I carabinieri, anche se non c’è l’ufficialità di un referto di un medico legale, agiscono come se Samuele fosse stato aggredito e ucciso, ma ormai è trascorso molto tempo, quasi due ore dall’omicidio.

L’AMBULANZA. L’ora d’inizio delle indagini poteva dilatarsi ancor di più se l’ambulanza di Cogne fosse stata in servizio. Mancavano però gli autisti, quel giorno, così l’elicottero del «118» andò fino a Montroz. Avrebbe potuto, invece, atterrare all’ingresso del paese dove non ci sono pericoli e aspettare l’arrivo dell’ambulanza. In quel «caso» nessuno avrebbe visto la camera dove era stato ucciso il bimbo.

 

Editato sul forum de La Stampa.it 23 / 03 / 2002ore 10:13

La tragedia di Cogne Fantastico

Fantastico

è eccezzzionale fantastico, meraviglioso. da quel che ho letto oggi su la Stampa.it e la Repubblica.it, la storia si sta riempiendo di nuovi episodi - non ho motivo di credere che siano notizie inventate dai giornalistiche. E allora resto in attesa di nuovi episodi, per sentire il gusto della verità che si nutre di mille ipotesi, a cui se ne possono associare altre mille - e se quella più verosimile sembra vera con le altre mille, non so come possa diventare ancora più vera, ma forse se le altre mille plausibili sono tutte vere, anche quella più plausibile di tutte è vera. Quello che non riesco a capire, oltre la bellezza di un possibile romanzo d'appendice, è chi ne abbia beneficio da tutto ciò. Io cittadino credo proprio di no, la Sig.ra Franzoni neanche, il Gip e il PM, neanche, a meno che non siano scemi, scusate il termine. Allora per me cittadino, per capirci qualcosa su quale possa essere l'ipotesi più plausibile, tra tutte quelle che si sentono, proporrei, dato che oramai i periti psichiatrici per l'incidente probatorio sono lì, di sottoporre a perizia anche il Pm e Gip, così forse incominceremo a capirci qualcosa. Grazie.

Patrizio Marozzi
patrizio.marozzi@libero.it

 

 

La Repubblica.it

"Ecco come trovare
l'assassino di Samuele"

Il padre smonta l'accusa: troppi errori
stralcio dall’articolo
di GIUSEPPE D'AVANZO

[…]

IL PIGIAMA. C'è qualche contraddizione nelle testimonianze. Ada Satragni (il medico) non ricorda che Anna Maria avesse gli zoccoli bianchi. Daniele Ferrod (la vicina) non ha fatto caso agli zoccoli (se fossero stati bianchi li avrebbe a mente, forse). Anna Maria sostiene di aver "chiuso" la porta. Per lei chiudere la porta è far scattare la serratura senza girare la chiave (c'è la maniglia esterna per aprirla). Per i giudici, significa girare la chiave. Le contraddizioni non sembrano decisive. Comuni significato e lessico, forse non ci sarebbero. I ricordi possono essere imperfetti trascinati via dalla trepidazione. Quel che conta, per l'accusa, è innanzitutto il pigiama. Azzurro, due bottoncini verticali allo scollo, disegni di topolini. "Almeno la casacca del pigiama è stata indossata dall'assassino nel corso dell'omicidio", scrive il giudice Gandini. L'almeno è chiaro. Il pantalone del pigiama non è macchiato di sangue, come dovrebbe. Lo è la casacca. Come e dove, è macchiata? Il pigiama, presentato per lungo tempo come la prova forte dell'accusa, a una lettura attenta delle "carte", è povera cosa. Il Ris di Parma, che l'analizzano, fanno un errore e coltivano un dubbio. Postulano che il pigiama (ecco l'errore) sia disteso "in posizione piana" sul piumone. Fosse o non fosse l'assassino chi lo indossava, è stato gettato distrattamente sul letto. "Ci doveva essere almeno qualche piega", si lamenta con il Ris Gandini. E poi perché ci sono macchie soltanto su una parte della casacca? "Effettivamente - concludono i carabinieri del Ris - per la natura e l'entità delle lesioni nonché il sanguinamento derivato, è ragionevole ipotizzare che sul pigiama dovessero trovarsi più macchie rispetto a quelle riscontrate". Nonostante il dubbio, i carabinieri decidono che la casacca del pigiama non si trovava sul piumone, ma sotto (dove non si sarebbe imbrattato). "E' macchiato di sangue perché era stato indossato dall'assassino". L'esito è incongruo alla luce del buon senso. "Per quaranta minuti la scena del delitto è stata aperta tutti", ha già annotato Gandini. Quel piumone è stato sollevato, riposto, spostato di lato e in obliquo. Nella concitazione il pigiama, che era sopra, può essere finito sotto. Buon senso a parte, contano i fatti. "Noi abbiamo un'idea del perché il pigiama non è stato indossato dall'assassino e il motivo che spiega quella macchie - dice Stefano Lorenzi - Anna Maria si libera del pigiama arrovesciandoselo sulla testa. Quel giorno ha fatto lo stesso abbandonandolo disordinatamente sul piumone. La casacca sui pantaloni. Quindi, i pantaloni non si imbrattano di sangue protetti dalla casacca, che si macchia nel modo singolare analizzato dal nostro consulente, il professor Torre".

L'ipotesi di Carlo Torre "è semplice, logica, immediatamente condivisibile". "Una metà della casacca è indenne da macchie... Le macchie si trovano sul rovescio della casacca, sia davanti che dietro... Non sono macchie da strofinio. Non sono uniformemente distribuite, ma raggruppate secondo fasce sostanzialmente trasversali ... intervallate da aree piuttosto nette che ne sono prive". Immaginate ora che Anna Maria si spoglia della casacca rivoltandola sulla testa. La lascia cadere sul letto. "Abbandonata, la casacca - scrive Torre - si affloscia, secondo un asse più o meno verticale, come una fisarmonica imbrattandosi nelle parti del "soffietto" esterni. Altrove ne sarà indenne". L'assassino non l'ha indossata. La casacca, all'incontrario (come l'aveva lasciata Anna Maria), era sul piumone al momento del delitto. Tre puntelli sostengono l'induzione. La casacca è imbrattata dal sangue, ma non con l'imponenza prevedibile se fosse stata indossata (dubbio del Ris) e soprattutto "a fisarmonica, in fasce trasversali accanto ad aree nette". Il braccio destro della casacca è intonso. Il piumone ha una zona non imbrattata. E' quella dov'era il pigiama. (L'accusa sostiene che non è insanguinata perché l'assassino si è appoggiato al letto con il ginocchio. Trenta centimetri di larghezza sono troppi per un ginocchio. Magari le ginocchia sono due. Ma con le ginocchia sul letto, l'assassino non avrebbe potuto dispiegare la forza che ha distrutto la scatola cranica di Samuele).

GLI ZOCCOLI. "Gli zoccoli sono stati indossati dall'assassino nel corso dell'omicidio (...) E' una condizione che può essere soddisfatta soltanto se l'assassino è Anna Maria Franzoni", scrive Gandini. Il Ris di Parma rintraccia, per lo zoccolo sinistro, "una minuta crosticina" sul bordo laterale sinistra e "minutissimi residui rintracciabili soltanto al microscopio" al bordo anteriore del plantare. "Un debole imbrattamento sulla superficie interna della tomaia".

Zoccolo destro. "Minuscole tracce, apprezzabili al microscopio" sul bordo anteriore del plantare. "Tenue imbrattamento, riscontrabile soltanto al microscopio all'interno della tomaia in cuoio". Il buon senso consiglia quest'obiezione: con le larghe e diffuse macchie di sangue che arrossano anche il soffitto e le tende della camera da letto, perché sugli zoccoli ai piedi dell'assassino ci sono solo "minuscole crosticine" e "tenui imbrattamenti"? "La ragione c'è: l'assassino non aveva gli zoccoli e non era Anna Maria - dice Stefano Lorenzi - Anna Maria ha l'abitudine di entrare in casa e infilare gli zoccoli. Lo ha fatto anche quel giorno. Con gli zoccoli entra nella camera da letto. Gli zoccoli si imbrattano di poco ai bordi esterni. Accarezza leggermente il viso di Samuele. Si imbratta leggermente le dita, soprattutto il mignolo. Quando è in arrivo l'elicottero, sale ancora su. Infila di nuovo gli scarponcini. Sistema gli zoccoli nell'antibagno, infilando le dita sotto le tomaie che si sporcano leggermente. Perché usano questo dettaglio per accusare e non per scagionare Anna Maria?".

CHI È L'ASSASSINO? Ambiguo, o per lo meno a doppia e contraddittoria "lettura" l'impianto accusatorio,
[…]
Sciupata dal pregiudizio che "l'ambito del delitto fosse familiare", l'inchiesta non è riuscita ad allungare gli occhi in altre direzioni. L'ipotesi del Sospettabile […] è ragionevole, congrua nei tempi (almeno quanto quella che accusa Anna Maria), credibile nel movente.

SIMMETRIA. "Indizio", insegna Franco Cordero, è "vocabolo equivoco". Può designare qualunque segno o conclusioni più o meno probabili o i dati sensibili su cui formuliamo un argomento induttivo. Quel che conta, per la legge, è che "l'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi, a meno che siano gravi, precisi, concordanti".
Sono gravi, precisi e concordanti gli indizi che, per il giudice di Aosta, accusano Anna Maria? Ognuno può giudicare. Qui interessa sostenere che quell'impianto accusatorio e indiziario mostra ambiguità e debolezze che, simmetricamente, possono essere rintracciate in un altro impianto accusatorio che ha al suo centro il Sospettabile A. Questa storia è difficile modularla con le certezze dell'indicativo. "L'assassino - scrive Gandini - indossava pigiama e ciabatte. La Franzoni indossava pigiama e ciabatte. La Franzoni è l'assassino". La formula suona come un pugno sul tavolo. Spento il frastuono del pugno, restano il dubbio e troppe domande.

(28 marzo 2002)


 

Stralcio dell’articolo del

28 marzo 2002

di Enrico Martinet

DELITTO DI COGNE, I LORENZI SOSTENGONO SEMPRE L’INNOCENZA DI ANNA MARIA
«Qualcuno si è nascosto e ha colpito Samuele»
 

[…]

L’incidente probatorio. Avviene oggi alle 11 in un’aula delle Vallette, il carcere torinese dove è in cella Anna Maria Franzoni, 31 anni. L’incidente probatorio per la perizia psichiatrica alla mamma di Samuele è un’udienza condotta dal giudice delle indagini preliminari di Aosta, Fabrizio Gandini. Ci saranno il procuratore capo di Aosta, Maria Del Savio Bonaudo e il difensore di Anna Maria, Carlo Federico Grosso. E’ ancora incerta la presenza dell’indagata. Vengono nominati i periti del gip e i consulenti di accusa e difesa, che saranno presenti. Tutto viene verbalizzato, compreso il quesito cui gli esperti dovranno rispondere per formulare la perizia chiesta dal pubblico ministero. La difesa non si è opposta. I tre periti del gip faranno poi il giuramento di rito.

I quesiti. Sono quelli consueti per una perizia psichiatrica nei confronti di un’indagata. Servono per stabilire se Anna Maria Franzoni possa o meno essere processata, non è un’indagine sulla sua colpevolezza o innocenza. Gli interrogativi sono tre: il primo riguarda la capacità di intendere e volere di Anna Maria con riferimento al giorno del delitto; il secondo si riferisce alla pericolosità dell’indagata qualora sia dichiarata o totalmente o parzialmente incapace di intendere e volere; il terzo si riferisce alle attuali condizioni mentali della mamma di Samuele per comprendere se possa o meno sostenere un procedimento a suo carico. I periti. Sono nove. I tre del gip: Francesco Barale, docente di psichiatria dell’Università di Pavia; Francesco De Fazio, dell’Istituto di medicina legale di Modena; Alessandra Luzzago, docente di psicopatologia forense all’Università di Pavia.

Quelli dell’accusa: Ugo Fornari, Università di Torino; Massimo Picozzi, Università di Castellanza e Parma; Francesco Viglino, anatomopatologo che ha fatto l’autopsia di Samuele. Quelli della difesa: Filippo Bogetto, Università Torino; Giancarlo Nivoli, Università di Sassari; Carlo Torre, anatomopatologo. La presenza di Torre e di Viglino serve per aiutare gli psichiatri nella ricerca del comportamento di Anna Maria attraverso il tipo delle ferite inferte a Samuele, la modalità e la forza impressa all’arma. L’analisi. Per poter rispondere ai quesiti del giudice, gli psichiatri dovranno parlare a lungo con Anna Maria, poi avranno tra i 60 e 90 giorni di tempo per consegnare il loro lavoro. Una «sentenza» sulla salute mentale della mamma di Samuele costruita con batterie di test e lunghi dialoghi. Test della personalità come il metodo «Rorschach» o il «Rozenweig».

Il primo consiste nel far commentare tavole su cui compaiono macchie speculari, disegni caotici non colorati che devono essere interpretati. Disegni che si ottengono versando inchiostro su un foglio che viene poi pressato da un altro. Il «Rozenweig» è un metodo usato per accertare e misurare le frustrazioni e le possibili reazioni violente. Sono tavole che ricordano il fumetto con situazioni che il paziente deve commentare scrivendo che cosa il soggetto protagonista del disegno direbbe in quella circostanza. Fa parte di questi test anche il disegno, o meglio, il completamento di dieci tavole già impostate, su cui compaiono disegni abbozzati o elementi di un tutto.

 

Editato nel forum La Stampa.it ora 15:44

La tragedia di Cogne

 

Pregiudizio Mio

 

venerdì 29 marzo 2002

Sembra che la legge finisca per essere l’unico mezzo di mediazione per la convivenza, ma non mi si dirà che in fondo sia un modo rozzo. In fondo la legge è le leggi non solo di uno stato ma di molti, ognuno con una sua idea di civiltà. Ma se c’è un punto in cui la civiltà può cercare di evolversi anche in un abito rozzo come la legge è quello di far si che in essa vi sia un significato che ridia dignità alla creatività dei valori della catarsi umana, che per suo mezzo si vuole effettuare. Non mi dilungherò a parlare dell’inciviltà della pena di morte, o delle varie leggi del taglione di cui è popolato il mondo che non producono altro che guerre, ma accennerò per un attimo il fatto, che purtroppo, paradossalmente alcune volte la legge stessa diventa una istigazione a delinquere. Se per esempio in una dittatura diventa più che legittimo trovarsi in una posizione delittuosa, per esempio per un reato di libertà d’opinione, in uno stato democratico spesso diventa il modo per acquisire dei privilegi sugli altri cittadini, pensiamo alla criminalità organizzata, dove gli attori delle attività criminose sanno così bene come eluderla, che spesso diventa cosa ardua per gli investigatori scoprire il reato: ora tra chi applica la legge e chi sa come sfruttarne i vantaggi con il delinquere, c’è il cittadino comune, con il suo senso civico di responsabilità. Ipotizzando un cittadino che ragionevolmente applica le regola dell’educazione per la convivenza sociale, non possiamo per questo escludere che svariati motivi possano coinvolgere codesto cittadino in un arbitrio giudiziario, ritrovandosi in un mondo che se pur immagina di conoscere a mille risvolti che gli sfuggono. A questo punto è indispensabile sì la chiarezza dell’applicabilità della legge, ma non meno l’equilibrio conciliativo che fa dell’assunzione del cittadino delle sue responsabilità un atto legittimamente sopportabile. Sarebbe assurdo ipotizzare un sanzione di un milione di euro perché si è attraversato dove non erano le strisce pedonali, potendolo e dovendolo fare, per esempio. Insomma l’equilibrio è importantissimo. Vorrei citare per esempio il recente caso di Erika e Omar facendolo nel distinguo evidente con quello della Sig.ra Franzoni. Vorrei ricordare che due quindicenni che hanno confessato l’omicidio commesso, si sono trovati a vivere nel periodo formativo della loro personalità uno scambio tra la comunicazione la conseguente relazione e l’effetto derivato per la relazione e la comunicazione con la propria persona, per dare significato all’elaborazione del distinguo tra il mondo esterno e quello personale, con un’alterazione a tal punto grave di questo rapporto d’equilibrio dinamico, da perdere completamente le connotazioni di realtà del significato del perché delle proprie azioni. È vero che questo forse non c’entra molto con le capacità di intendere e di volere, con le capacità difensive, conseguente questo che nel cinismo dichiarato dai comportamenti rilevati dagli psichiatri di Erika, ne facevano una personalità mostruosamente narcisistica. Fatto sta che di tutto questo non si è tenuto conto e i 18 anni di galera tolgono quell’equilibrio che fa e, crea un precedente nella nostra società collettiva, tanto da renderla irresponsabilmente incapace di intendere e di volere il libero arbitrio come corresponsabilità della convivenza civile. Non mi si dica il contrario perché queste persone sono state ritenute nella piena consapevolezza delle loro azione ed hanno 15 anni, sono considerate legalmente minorenni dalla collettività civile.

Ora nei distinguo penso alla Sig.ra Franzoni detenuta in carcere, senza nessun giudicato, etc. perché si ritiene possa fuggire e chiedere “asilo politico”, accusata preventivamente di poter ripetere un omicidio – se ne deduce ai danni dell’altro figlio - di cui non c’è nessuna prova che abbia commesso, con il rischio di una verifica psichiatrica fatta in “cattività”, dove l’ipotesi d’innocenza non sarebbe giudicata né considerata come possibile fattore disturbante la relazione già di per se non armonica del regime carcerario, anche per una persona reo confessa – come sarà la Sig.ra Franzoni: arrabbiata, disperata, cinica, che sistemi di difesa psicologici attuerà. Non capisco, se davvero c’è bisogno per la signora Franzoni, di un sostegno di questo tipo, non mi sembra certo il modo più indicato. Poi penso, gioco forza lo stato ha stabilito dei risarcimenti per i cittadini, ma nel qual caso si creassero danni non risarcibili, di chi sarebbe la responsabilità, nel caso necessiti un risarcimento. Credo che sia necessario trovare un progetto d’intenti, che renda responsabilmente equilibrato il tutto.

Patrizio Marozzi

Patrizio.marozzi@libero.it

Stralcio dell’articolo

NON SONO STATI DISPOSTI NEMMENO GLI ARRESTI DOMICILIARI, LA DONNA E’ TORNATA LIBERA
Il Tribunale del riesame: «Scarcerate la madre»
Smentite le conclusioni della Procura dopo 5 ore di camera di consiglio

 

31 marzo 2002

 

di Enrico Martinet

 

AOSTA Libera. Anna Maria alle 15 lascia la sua cella, dopo 15 giorni, e dopo 5 ore di nervosa attesa, quanto è durata la camera di consiglio dei tre giudici del Tribunale del riesame: il presidente e relatore, Pier Giorgio Balestretti, i due a latere, Immacolata Iadeluca e Daniela Colpo. Cinque ore per scrivere dispositivo e motivazioni, dopo aver ascoltato venerdì le parti: l’accorata difesa di Carlo Federico Grosso, che ha parlato per sei ore attaccando ogni cosa dell’inchiesta, dalla procedura agli indizi di colpevolezza, e la risposta di due ore di Stefania Cugge, il sostituto procuratore che ha coordinato le indagini.

[…]

 

 

editato su La Stampa Forum   ora 10:44

La tragedia di Cogne

una postilla che non vorrei fare

Una postilla che non vorrei fare.
domenica 31 marzo 2002
Ieri sera al Tg1 ho ascoltato un servizio sul caso di Cogne che non ha tenuto in nessun conto il dato di fatto; e dopo l’edulcorante manifestazione della rappresentazione della procura di Aosta in festeggiamento per il pensionamento di un loro componente – andata in onda qualche giorno fa – che non si capisce cosa volesse significare, ieri sera nell’avvio del servizio sul caso medesimo si è inserito un “là” ad effetto con il dire che nel braccio del carcere delle vallette l’unica a gioire era Anna Maria Franzoni… Se posso accettare una posizione, preventivamente dissenziente, dato la mia possibilità critica per valutare, non è opportuno il fatto che nel seguito del servizio non si sia acclarato che nel proseguo giudiziario quello di ieri è stato il primo giudizio emesso da un organigramma giudiziario predisposto in tal senso. Con questo giudizio si è ridefinita quella “associazione” che si era verificata ad un certo punto di questa vicenda, tra le varie componenti la società. Nel rispetto del giudizio emesso dall’organo giudicante – e non conoscendo le motivazioni - non posso non riconoscervi nel dato di fatto della sostanza fattuale che “l’indipendenza” del suo giudizio. È con questo invito - che credo che nel servizio andato in onda ieri sera al Tg1 siano semplicemente mancate le necessarie “attrezzature” per preparare il servizio – altrimenti se si genera una fonte che ha per sua componente la faziosità associata alla possibilità di potere che detta fonte ha si innesca quella che si può ben definire mentalità mafiosa, a discapito di noi tutti: giudici, giornalisti e cittadini, che fanno parte poi della stessa componente. Grazie.

Patrizio Marozzi
patrizio.marozzi@libero.it


stralcio da la Repubblica.it  Martedì 9 Aprile 2002

"Contro Anna Maria Franzoni indizi né precisi, né univoci"
Non è esclusa l'ipotesi che l'omicida sia un estraneo


Il Tribunale del riesame smonta
completamente l'atto d'accusa

"L'aggressore poteva non indossare il pigiama"
E oggi nuovo sopralluogo nello chalet dei Lorenzi


 

TORINO - Il Tribunale del riesame smonta completamente l'atto d'accusa contro Anna Maria Franzoni. Mancano i gravi indizi di colpevolezza: gli elementi che hanno portato all'arresto "non presentano, né ad una verifica della loro consistenza individuale, né ad una valutazione congiunta", "quelle connotazioni di precisione, univocità e convergenza che sono assolutamente necessarie per assurgere a dignità di gravi indizi di colpevolezza". Inoltre "non risulta ad oggi esaurientemente esclusa l'ipotesi di ingresso all'interno dell'abitazione" di "persone ben conosciute dal piccolo Samuele ma diverse dalla madre". E, come se non bastasse, "non risulta assolutamente riscontrata la presenza del pigiama di Anna Maria Franzoni sulla persona dell'aggressore".

A stabilirlo è l'ordinanza del Tribunale del riesame nell'analizzare gli elementi in base ai quali il gip ha chiesto l'arresto di Anna Maria Franzoni. Il documento confuta il fatto che Samuele avrebbe conosciuto il suo assassino e si fidava di lui. Il bambino aveva "da poco compiuto i tre anni - si legge - e si trovava cioè in una fase ancora iniziale di apprendimento e di strutturazione del proprio bagaglio conoscitivo". Per questo "pare del tutto legittimo ritenere che il piccolo" fosse portato "a non sviluppare un repentino e istintivo senso di allarme e di pericolo incombente di fronte all'ingresso nella stanza di persona da lui non vista precedentemente e che potrebbe essersi avvicinata al letto con atteggiamento assolutamente inoffensivo".

L'ordinanza, lunga 68 pagine, è stata depositata intorno alle 11,15 di oggi. Il documento ripercorre, passo dopo passo, l'ordinanza del gip Fabrizio Gandini sotto il profilo degli indizi di colpevolezza. Tra le "perplessità irrisolte" citate ci sono il ritrovamento di tracce di sangue nella parte interna degli zoccoli indossati da Anna Maria Franzoni; la "insuperabile discordanza" tra la sua versione dei fatti e quella della dottoressa Satragni; i dubbi sulla chiusura della porta di casa. "Nessuna di tali acquisizioni indiziarie - tutte inficiate da un'intrinseca labilità e da una difficile orchestrazione complessiva - riveste caratteri di concludenza e precisione", e perciò "il suddetto quadro indiziario non appare idoneo a sostanziare quel livello di qualificata probabilità dell'ipotesi accusatoria".
Il Tibunale del riesame, quindi, non ha approfondito né le questioni procedurali sollevate dall'avvocato di Anna Maria Franzoni, né la sussistenza del pericolo di fuga o della reiterazione del reato o dell'inquinamento delle prove.

[…]

 

stralcio da La Repubblica .it

La mamma di Samuele parla nel giorno in cui viene resa
pubblica l'ordinanza che demolisce le tesi dell'accusa

dal nostro inviato GIUSEPPE D'AVANZO

 

ANNA MARIA
"Non c'è nessun sollievo. Di che cosa dovrei sentirmi sollevata? La mia tragedia è lì come prima: non ho più accanto a me Samuele. Di che cosa dovrei sentirmi sollevata? Che non mi considerano più l'assassina? Io sapevo di non essere l'assassina. Altri lo credevano. I pubblici ministeri lo credevano. Convincerli della mia innocenza spettava all'avvocato. Lo ha fatto, ma non mi sento sollevata o felice o serena. Come potrei? La mia tragedia non è quell'accusa, è il vuoto che lascerà per sempre nella mia vita l'assenza di Samuele".
[…]

 

ANNA MARIA

"Mio figlio Samuele è stato ucciso. Voglio ripeterlo a chi sembra averlo dimenticato: mio figlio Samuele non c'è più, è stato ucciso, non lo vedrò crescere, non lo vedrò sorridere mai più. Non mi stringerà né mi bacerà più. Non giocherò più con lui. Il mio dolore è questo. Quando hai questo dolore, non ce ne può essere un altro. Neanche se mi strappassero la carne con tenaglie incandescenti potrebbero procurarmi un dolore più atroce. Quel che mi accade oggi - l'accusa di essere l'assassina, le menzogne sulla mia famiglia, sulla mia vita, sulla mia persona - mi sfiora, non mi tocca. Vedo che molti si danno da fare per giudicarmi. Mi vedono una volta in televisione e dicono: "Ha i capelli troppi in ordine, però... Non piange mai, però... Guardala, non sembra nemmeno triste...". Concludono: "Sì, è lei l'assassina del bimbo".

Che dovrei fare? Dire che per giorni non ho fatto nemmeno uno shampoo o confessare in piazza quanto ho pianto e piango? Che ne sanno dello strazio in cui vivo? Di quel vuoto in cui sono stata precipitata senza un perché, senza una colpa? A tutti loro io dico soltanto: mio figlio Samuele non c'è più, perché è la sola cosa di cui m'importa e a cui non posso dar rimedio. Nessuno può sapere delle mie notti e dei miei giorni. Credo che sia mio diritto chiedere riservatezza. E' umiliante chiederlo, ma lo faccio: voglio che il mio dolore sia rispettato. Oggi non sono libera nemmeno di inginocchiarmi sulla tomba di Sammy.

Per rasserenare la curiosità dei giornalisti o i dubbi dei telespettatori, non mi si può chiedere di disperarmi in pubblico, di strapparmi i capelli, di svenire davanti alla telecamere. Mio figlio Samuele è morto. E' la sola cosa che conta per me. Pensassero quel che vogliono. Il tempo, la ragione e la giustizia s'incaricheranno di restituirmi ciò che accuse, illazioni e voci senza fondamento cercano di togliermi. Non mi sento ferita da quella perizia dove pare che ci sia scritto qualcosa di simile a questo: "La Franzoni è troppo esteriormente ordinata e pulita per non essere internamente disordinata e sporca".

Che cosa posso rispondere? Posso soltanto pensare che sia un'affermazione senza senso. Per me queste parole sono soltanto una sciocchezza di chi giudica senza sapere. Sa qual è un buon posto dove stare in momenti come questi? Il carcere. Ho scoperto che in carcere nessuno ti giudica. In sedici giorni di cella, non mi sono sentita mai giudicata. Mi sono trovata circondata dalla comprensione e, posso anche dirlo, dall'affetto. Dal direttore, all'ispettore, ai medici, alle detenute, tutti mi sono stati accanto, mi hanno sostenuto e consolato. Voglio ringraziare tutti. Anche della mia detenzione, del legame che si è creato con altre detenute si è malignato. E' stato scritto che le detenute delle Vallette hanno protestato quando sono stata liberata.

E' falso, ma ha senso dirlo a chi sembra non avere alcun interesse a capire quel che accade davvero? In carcere mi è accaduto di ritrovare forza e serenità. Ne sono uscita più forte, più lucida, più determinata di fronte all'evidente tentativo di attribuirmi una responsabilità atroce e non mia. Per dieci giorni, forse anche per gli ansiolitici che mi somministravano, sono stata perduta e vuota, come in quello stato di smarrimento che precede il sonno. Nel corso del tempo, è cresciuta in me la consapevolezza di una nuova energia. Credo che sia stato il ricordo di Sammy a darmi forza e fiducia. Ora che sono stata scarcerata, troverò l'assassino di Samuele perché non posso vivere senza sapere chi e perché me lo ha ucciso".
[…]


ANNA MARIA
"Per quaranta giorni, ho collaborato con i carabinieri. Ogni piccola scheggia di ricordo, ogni spunto, ogni circostanza l'ho riferita ai carabinieri. A ogni domanda ho cercato di dare una risposta. Mi sono completamente affidata a loro. Ne avevo fiducia. E' stata la delusione più grande. Ero assediata da una morbosa curiosità che si alimentava con frottole e imprecisioni su di me, su Stefano, sulla nostra vita. Mi hanno detto: sta zitta! Sono stata zitta. Quando ho avuto l'impressione che mi stessero moralmente massacrando, sono tornata a chiedere di potermi difendere. Mi hanno detto: devi portare pazienza! Ho portato pazienza. Credevo che cercassero l'assassino. Stavano soltanto cercando di avere da me circostanze e particolari che non potevo conoscere. Avevano un chiodo fisso - accusarmi - e il loro pregiudizio li ha spinti verso imperdonabili superficialità. Ne voglio dire due, per farmi capire.

Tutti i soccorritori sono entrati nella mia camera da letto dalla porta-finestra che dà sul prato. Nessuno è passato sulla scala interna che, dalla porta d'ingresso, conduce alla zona notte. Su quelle scale, ci doveva essere l'orma dell'assassino perché tranne noi di famiglia e Carlo Perratone, che aveva visitato la casa la sera precedente, nessuno è passato di là, prima dell'arrivo dei carabinieri. Che a decine, indifferenti a quel che calpestavano, sono andati poi su e giù per tutto il giorno.

Ricordo che nel prato accanto alla mia casa sono state "picchettate" alcune tracce di sangue. Era il sangue di un animale? Era sangue umano? Era sangue del mio Sammy? E' stato poi analizzato? Qual è l'esito dell'analisi? Perché non ci hanno detto ancora nulla di quella traccia? Non si doveva sequestrare forse un'area più ampia della mia casa? Sono delusa dai carabinieri. Nel lungo viaggio verso Torino, dopo l'arresto, il maggiore Filippo Fruttini si voltava e mi chiedeva: non le capita di avere dei vuoti? Non le è capitato di non sapere che cosa è successo? Trovavo ridicole quelle domande.

Quel che i carabinieri non sapevano (né volevano sapere) è che, per interi giorni, mi sono tormentata ricostruendo attimo per attimo quel che avevo fatto. Mi chiedevo: ricordi tutto, non ti sfugge nulla? Sei uscita dal bagno, e dopo che cosa hai fatto? Hai accompagnato su Davide, e dopo che hai fatto? Sì, ho dubitato di me stessa. E ho escluso l'ipotesi di avere dei "vuoti" perché, di quella mattina, ricordo ogni immagine, ogni secondo, ogni gesto o parola, ho ricordi vivissimi e nessun "buco".

Ieri ho affrontato la perizia psichiatrica con serenità e fiducia, nella consapevolezza del mio equilibrio. Sono soddisfatta di come è andato il primo incontro. Abbiamo parlato soltanto della mia grande famiglia... Capisce allora perché credo di avere ragioni sufficienti per giudicare ridicolo quell'ufficiale dei carabinieri? Cercava di frugare nella mia mente seduto in una macchina o nella sala del carcere a Torino dove hanno continuato a farmi le stesse domande: "Ha dei vuoti?".

Ricordo solo di aver detto: "Vi dimostrerò la mia innocenza e voi dovrete sentirvi in colpa". Una piccola delusione me l'ha riservata anche la Cugge, il pubblico ministero. I nostri primi incontri sono stati affettuosi. Era una madre. Sembrava comprendermi. Credeva alla mia innocenza. Da un certo punto in poi, è diventata fredda, non mi guardava più negli occhi. Quell'improvviso mutamento, senza apparenti ragioni, mi ha ferita. Del procuratore Bonaudo, preferisco non parlare. Le auguro di fare il suo lavoro senza pregiudizio".
[…]

 

ANNA MARIA
"Quando nella caserma di Bologna, dove mi arrestarono, dissero: "Abbiamo le prove", chiesi: "Quali prove?". Mi misero in mano 80 pagine o quelle che erano. Mi dissero: "Sono qui, leggi!". Lessi e mi accorsi subito che qualcosa non andava. Riferivano la frase di un mio colloquio con un carabiniere: "Speriamo che l'abbiano ucciso... può essere stato ucciso...". Quando parlai con quel carabiniere, ero disperata, avevo visto il mio bambino in un lago di sangue, non sapevo come Samuele fosse morto, avevo voglia di parlare, parlare, parlare. Dicevo allora "Speriamo che non l'abbiano ucciso... non può essere stato ucciso...".

Perché cadono quei non? Perché quella frase contraffatta finisce subito in mano ai giornali, come alcune frasi di una lettera d'amore per Stefano sapientemente tagliate per mettermi in cattiva luce? Continuai a leggere. Lessi quel che dicevano di Davide. Dicevano che Davide aveva raccontato di essere stato a giocare sul prato dalle 8.00 alle 8.15. Davide non ha detto questo. Ha detto: "Sono uscito poco prima della mamma...".

Perché queste distorsioni? Oggi so che, da quelle distorsioni, devo difendermi. Lo farò con tutte le energie e la forza che sento di avere, può giurarci. Mi libererò di ogni sospetto e troverò l'assassino. Credo di conoscerne il nome. Intuisco chi è, come possa aver ucciso il mio Sammy. E' un nome che non farò pubblicamente fino a quando i miei saranno soltanto sospetti e indizi. Mai spingerò, senza prove, un altro nello stesso inferno dove oggi sono io. No!, né io né Stefano abbiamo mai suggerito un nome ai giornalisti. I nomi che sono sulla bocca di tutti li hanno riferiti i carabinieri ai cronisti. Mai noi.

Dunque, queste domande vanno fatte ai carabinieri... Credo di conoscere il nome dell'assassino perché Davide mi ha fatto il nome di chi ha visto sul prato quando, poco prima di me, ha lasciato la casa. Ora io devo proteggere Davide. Non posso chiedergli più nulla. Devo fargli dimenticare quanto è avvenuto. Mi chiede di dimenticare. Davide assomiglia a Stefano come Sammy assomigliava a me. E' sensibile e introverso. Rimugina dentro di sé il suo dolore. Quando mi sorprende a piangere, si attacca al mio collo e con la bocca stretta all'orecchio mi dice piano piano come se m'implorasse: "Non piangere, mamma! Non pensare a Sammy. Fa' come me: non pensarci".

Davide sta provando a dimenticare e io non posso riportarlo in quel luogo della memoria da dove vuole allontanarsi: anche per questo - ascoltami, Stefano - dobbiamo cercare un'altra casa, se vogliamo tornare a vivere a Cogne. Perché io vedo che Davide, a volte, non riesce a cancellare il ricordo e la presenza di Samuele. L'altro giorno è saltata fuori una camiciola di Sammy. Davide mi ha detto: "Anch'io ne ho una uguale..". Se n'è stato lì con quella maglietta in mano a lungo, accarezzandola come faceva con il volto del fratellino... Non ho avuto il cuore di guardare...". Il volto di Anna Maria Franzoni si disintegra come uno specchio che cade in terra.

(10 aprile 2002)

il giorno dopo

 

Le indagini su Samuele
una catastrofe investigativa


di GIUSEPPE D'AVANZO

 

DELL'IMPIANTO accusatorio tirato su contro Anna Maria Franzoni restano soltanto macerie. Il Tribunale del riesame di Torino lo ha demolito piano per piano, pilastro per pilastro. Non è che ce ne fossero poi molti, di pilastri, in questa costruzione. Formalmente l'accusa poggiava su questo fondamento: le macchie di sangue sul pigiama e gli zoccoli "parlano" e "dicono" che l'assassino aveva quel pigiama e quegli zoccoli quando ha ucciso il piccolo Samuele. Una sola persona poteva indossare l'uno e gli altri: era la madre di Samuele. Quindi Anna Maria Franzoni è l'assassino.

Si è visto poi, grazie alla perizia semplice, logica, ricca di buon senso, del professore Carlo Torre, approvata in pieno dal Tribunale, che l'assassino non poteva avere addosso quel pigiama (macchie non compatibili) e che gli zoccoli erano imbrattati di sangue soltanto per via di "microscopiche crosticine", non compatibili con la violenta aggressione del bambino.

La verità di quest'affare è che l'investigazione non si è alimentata di fatti, ma di un pregiudizio evidente fin dalla prime battute: gli investigatori hanno subito pensato alla madre come all'assassina. Intorno a questa convinzione hanno lavorato fin dalle prime ore. Senza alzare lo sguardo altrove. Senza considerare ciò che avevano sotto i piedi (le tracce lasciate dall'assassino) nella previsione che, prima o poi, presto o tardi, una madre assassina, presumibilmente mattoide, non poteva che confessare.

La confessione di Anna Maria Franzoni non è venuta. Né nelle prime ore né nei giorni successivi. Senza la confessione, gli investigatori hanno tirato diritto per la loro strada con una cocciutaggine degna di miglior destino. Variazione di strategia. Non la confessione, ma l'analisi scientifica. Tattica trasparente: se Anna Maria Franzoni non "crolla" e confessa, dimostreremo che nessun estraneo è entrato nella casa di Montroz. Se nessuno è entrato, soltanto chi era in casa ha potuto uccidere Samuele. In casa c'era Anna Maria: è lei l'assassina.

Sulla scena del delitto arrivano così i "maghi" delle investigazione scientifiche dell'Arma dei carabinieri (Ris). Per un'ipervalutazione del loro sapere o, più probabilmente, per generosità verso l'Arma di Aosta, accettano di cavare le castagne dal fuoco ai loro colleghi in difficoltà. La scena del delitto è stata "devastata" da decine di soccorritori. Nella sola camera da letto sono entrate quattordici persone. Sarebbe stato giustificato il rifiuto del Ris a lavorare in quelle condizioni, ormai pregiudicate. Sarebbe stato meglio.

Accade il peggio. L'investigazione scientifica viene deformata per dimostrare quel che il primo intervento non era riuscito a dimostrare: la colpevolezza di Anna Maria Franzoni. Ne viene fuori il pasticciaccio che conosciamo, aggravato dalla curiosità della Rai, probabilmente interessata con sette appuntamenti - un serial tv - a scrivere un'efficace "storia popolare" capace di distrarre l'opinione pubblica dalla difficile congiuntura attraversata dal governo.

Il pasticciaccio brutto e alquanto cinico si è aggravato per la debolezza della procura di Aosta, subito apparsa incapace di guidare con polso fermo le indagini contenendo il pregiudizio unidirezionale dei carabinieri. Il lavoro da fare era sotto gli occhi di tutti. C'erano tracce - secondo alcuni testimoni - sul prato accanto alla casa di Anna Maria Franzoni. L'assassino si era allora allontanato ancora imbrattato di sangue dalla casa del delitto? Avevano un alibi i vicini? Ancora fino ad ieri, fonti investigative hanno sostenuto che quegli alibi erano stati controllati e si erano rivelati solidi.

Stupefacente affermazione che il Tribunale del riesame si è preoccupato di demolire. Il vicino A. (non è ingiusto e illegittimo che il Tribunale del riesame ne faccia il nome?) riceve una telefonata alla 8.08 (è dunque in casa), non se ne sa nulla fino alle 8,30. In meno di un minuto avrebbe potuto raggiungere la camera da letto dov'era Samuele. Ha avuto a disposizione 22 minuti. Il vicino B. sarebbe arrivato sul luogo del delitto alle 8,40. Unici riscontri: la sua stessa testimonianza e il racconto del figlio. Nell'uno e nell'altro caso, elementi sufficienti alla luce del solo buon senso per accendere l'attenzione: non per cancellarla.

Avrebbe potuto provvedere il giudice per indagini preliminari. Nella sua ordinanza s'affaccia qualche dubbio sulla tenuta del quadro indiziario costruito dal pubblico ministero con le perizie del Ris. Sono dubbi che probabilmente nelle mani di una toga di maggiore esperienza sarebbero stati risolti con la richiesta di un supplemento di indagine. Il gip Fabrizio Gandini, 32 anni, al suo primo incarico, alla sua prima inchiesta importante, non ha trovato il "coraggio morale" di bocciare il lavoro dell'Arma dei carabinieri, della "sua" Procura, di deludere un'opinione pubblica che voleva conoscere - ora, subito - la faccia dell'assassino.

Nonostante questa catastrofe investigativa, che non si sa se rubricare alla voce Arroganza o Dilettantismo, la machina iustitiae ha mostrato la sua vitalità. Ciò che era contraddittorio, debole, incongruo è stato corretto e cancellato. Ora si ricomincia tutto daccapo con la difficoltà, forse irrimediabile, di rintracciare i pochi fili utili di un'indagine pericolosamente compromessa. Un'ultima osservazione va annotata. Più gli indizi dell'accusa si rivelavano fragili, più sistematica è diventata in queste settimane una campagna di denigrazione dei protagonisti (i Franzoni, i Lorenzi): calunnie, maldicenze, malignità hanno assediato come miasmi le redazioni dei giornali per inquinarne le cronache.

Una disinformazione "professionale", un sapiente lavoro da "industria venefica", che è forse la vergogna più insopportabile del "caso Cogne".

(10 aprile 2002)

Le motivazioni del Tribunale per il riesame
«E’ un’indagine da rifare
sono possibili altre piste»
«Gli indizi non hanno caratteri di precisione, univocità e convergenza
indispensabili per essere considerati gravi». «Non si può escludere che
durante l’assenza della madre siano entrate nella casa altre persone»

10 aprile 2002


di Enrico Martinet

 

AOSTA. In nove giorni il presidente-relatore del Tribunale del Riesame di Torino Piergiorgio Balestretti ha scritto in 68 pagine il «no» alla carcerazione di Anna Maria Franzoni, indagata per l’omicidio del figlio Samuele la mattina del 30 gennaio nella villetta di Montroz, a Cogne. Un «no» che boccia la linea d’accusa, che obbliga l’inchiesta a ripartire quasi da zero, che non lascia in piedi neppure un indizio. Troppi i dubbi, le lacune della lunga indagine sulla morte del bimbo. L’ipotesi che ha portato a individuare la mamma di Samuele come possibile assassina viene smontata pezzo per pezzo. Una sorta di puzzle inverso, dove ogni «tessera» viene tolta dal quadro d’insieme con pazienza e con poche incertezze. L’omicida, secondo i giudici torinesi del Riesame, non indossava pigiama, né pantafole, non ha colpito il bambino prima delle 8,16, ora in cui Anna Maria ha lasciato la sua villetta con l’altro figlio Davide per accompagnarlo allo scuolabus. Infine l’inchiesta ha tralasciato, così come ha sempre sostenuto la difesa, le piste alternative. Non tutti i possibili sospetti, secondo il Riesame, hanno un alibi.


Un’ordinanza che appare come una sentenza, tanto demolisce sia l’accusa, sia la decisione del giudice delle indagini preliminari che aveva ritenuto fondata la richiesta di arresto. I giudici non entrano nel merito dell’innocenza o della colpevolezza di Anna Maria Franzoni, hanno lavorato sugli atti di un processo tormentato e in cui le perizie scientifiche hanno avuto grande peso. E concludono scrivendo: «Gli elementi indiziari non presentano, né ad una verifica della loro consistenza individuale, né ad una valutazione congiunta sulla scorta di quella concatenazione logica prospettata nel lungo e articolato percorso motivazionale, quelle connotazioni di precisione, univocità e convergenza che sono assolutamente necessarie per assurgere a dignità di gravi indizi di colpevolezza. Permanfono indubbiamente talune perplessità sostanzialmente irrisolte». Il riferimento alle «perplessità» riguardano gli zoccoli macchiati di sangue e le testimonianze su che cosa calzasse quella mattina accanto a Samuele morente Anna Maria e, ancora, la chiusura o meno della porta d’ingresso della villetta a chiave. Bocciati tutti gli indizi gravi, mentre non si parla di errori di procedura.

I SOSPETTI Se ne parla in 9 pagine. La prima citazione è proprio all’inizio delle argomentazioni: «Non risulta esaurientemente esclusa l’ipotesi di ingresso all’interno dell’abitazione, durante il periodo in cui l’indagata si allontanò, di persone ben conosciute dal piccolo Samuele ma diverse dalla madre». Ancora: «E’ del tutto plausibile che un eventuale omicida penetrato furtivamente durante l’assenza della madre, si sia allontanato con una certa rapidità, tralasciando di lavarsi, portando con sè l’oggetto utilizzato per compiere la feroce aggressione». Il Riesame non condivide in questo modo la logica dell’accusa secondo la quale gli otto minuti di assenza non sarebbero stati sufficienti. Accusa e gip sottolineano come l’assassino dovesse conoscere a memoria casa Lorenzi per colpire in così poco tempo, ma i giudici scrivono: «E’ sufficiente osservare che non risultano essere stati acquisiti convincenti alibi di taluni dei conoscenti dei Lorenzi e segnatamente della vicina di casa Daniela Ferrod e del suocero Ottino Guichardaz». Di più: la Ferrod, che abita nella casa più vicina ai Lorenzi era nella sua abitazione al momento dell’omicidio con i suoi due bimbi. I giudici: «Poteva seguire dalle proprie finestre gli spostamenti della Franzoni e notare quando la stessa si è allontanata di casa con Davide. Era perfettamente in condizioni di conoscere le abitudini della Franzoni ed era in grado di intuire che Anna Maria si stava dirigendo verso la fermata dello scuolabus e quale sarebbe stato il tempo presumibile di percorrenza». Sul suocero Ottino Guichardaz: «Uniche risultanze addotte a suffragio della ritenuta estraneità al delitto sono le reiterate informazioni testimoniali dello stesso rese a partire dal primo pomeriggio del giorno dell’omicidio riscontrate soltanto dalle (sostanzialmente conformi) attestazioni rese dal figlio Ulisse».


IL PIGIAMA. Il riesame ritiene che la ricostruzione più prossima alla realtà sia quella del perito della difesa, Carlo Torre e non quella dei carabinieri del Ris. Anche il gip aveva evidenziato alcune lacune sull’analisi scientifica per l’accusa, tuttavia ha dato un giudizio opposto rispetto ai magistrati torinesi. La casacca del pigiama sporca di sangue, sottolinea il Riesame, «non è stata rinvenuta tra le lenzuola e il materasso, ma fra la coperta-copriletto e il lenzuolo; detta collocazione appare perfettamente compatibile con l’ipotesi di originaria collocazione della stessa in posizione irregolare al di sopra della coperta-copriletto». Questo è un punto fondamentale. Il Riesame sostiene che il pigiama non poteva essere indossato durante il delitto, ma, come ha detto Anna Maria, è stato da lei gettato sul letto in modo disordinato. Secondo il Ris l’aggressore, quando ha colpito, si trovava in ginocchio sul letto a cavalcioni di Samuele. Gli inquirenti hanno anche dimostrato che il pigiama fosse stato per intero indossato dall’omicida. Scrivono invece i giudici: «L’unica ricostruzione concretamente prospettabile è quella della difesa. I due elementi del pigiama si trovavano disordinatamente ammonticchiati sulla parte alta della coperta-copriletto in corrispondenza dell’area sulla quale non sono state trovate tracce ematiche». Su una manica della casa è stato trovato un frammento osseo. «E’ spiegabile soltanto con la vicinanza dell’indumento a quella parte del letto sulla quale è stata rinvenuta una vasta pozza di sangue, unico punto nel quale sono risultati presenti analoghi frammenti ossei». I giudici vanno oltre: «Un ulteriore teoria non affrontata né dai militari del Ris né dai consulenti della difesa riguarda il fatto che sui pantaloni al di sotto delle ginocchia sono visibili numerose macchie di sangue del tutto incompatibili con l’ipotesi che tale indumento sia stato indossato dall’omicida rimanendo inginocchiato sul letto».

I TEMPI La cronologia del delitto è un elemento essenziale dell’accusa, basato anche sull’ipotesi che pigiama e zoccoli fossero indossati dall’assassino. Anche per questo il periodo in cui secondo i pm Samuele è stato aggredito è prima delle 8,15. Così come ha fatto rilevare la difesa, il Riesame spiega come la ricostruzione non sia credibile. E lo fa basandosi sulla relazione del medico legale dell’accusa, Francesco Viglino. L’indicazione temporale dell’anatomopatologo fa riferimento anche alle testimonianze di Ada Satragni, la dottoressa intervenuta per prima, e di Leonardo Iannizzi, il medico dell’eliambulanza. Per questo fissa l’ora della morte tra le 8,31 e le 8,32, Poi va a ritroso di 12 minuti, più cinque di ulteriore approssimazione per indicare l’ora dell’aggressione. Si legge nell’ordinanza: «Con l’intervallo massimo prospettato dal consulente si arriva pur sempre ad una frazione temporale compresa fra le 8,14 e le 8,15 e cioè a ridosso del momento in cui la Franzoni si allontanò da casa». Ancora: «Appare arduo ritenere che la stessa nel brevissimo arco di tempo intercorrente tra detta frazione e le 8,20 sia riuscita a porre in essere la feroce aggressione indossando ancora il pigiama e gli zoccoli e quindi a togliersi tali indumenti per indossare quelli da passeggio riponendo gli zoccoli nel bagno posto al piano superiore». Conclusione: «Si può ragionevolmente affermare che le risultanze d’indagine riportano la perpetrazione dell’aggressione ad una frazione temporale ben difficilmente conciliabile con la ricostruzione accusatoria». Sempre per il poco tempo intercorso tra il ritorno di Anna Maria a casa e le prime telefonate al «118», i giudici escludono anche la possibilità che la Franzoni abbia potuto uccidere il figlio tra le 8,24 e le 8,28.

LA PORTA CHIUSA E’ un elemento che secondo il gip fa parte delle menzogne dette da Anna Maria. «E’ quanto meno verosimile - scrivono però i giudici - che la Franzoni prevedendo di dover rimanere fuori casa per una manciata di minuti e confidando comunque in quelle prerogative di sicurezza e tranquillità del tessuto sociale circostante abbia omesso di chiudere a chiave la porta d’ingresso». Aggiungono: «Il più rilevante profilo d’imprudenza ascrivibile alla Franzoni si ricollega all’aver lasciato il giovanissimo figlio totalmente solo all’interno di un ambiente isolato più che dall’aver in qualche modo agevolato l’ingresso di estranei».

GLI ZOCCOLI Uno degli elementi d’accusa è una macchia rinvenuta sul plantare dello zoccolo sinistro. Una prova fondata sul ragionamento che la calzatura si trovasse sul pavimento durante il delitto e sia poi stata indossata da Anna Maria a piedi nudi. La ricostruzione «non pare compatibile con le peculiari caratteristiche morfologiche della macchia stessa. Se qualcuno avesse calzato quello zoccolo a piedi nudi a distanza di poche decine di secondi dal delitto il sangue si sarebbe sicuramente spalmato e diffuso per strisciamento, mentre la macchia ha conservato margini assolutamente netti, tipici di una essiccazione intervenuta senza alcuna azione di compressione o strisciamento. E’ più plausibile la versione della Franzoni sull’impiego degli zoccoli nel periodo di tempo immediatamente successivo al ritorno a casa di ritorno dalla fermata dello scuolabus».

 

Maria Del Savio Bonaudo, procuratore di Aosta
risponde alle accuse e difende la sua inchiesta


"La prova del pigiama
sottovalutata dal gip"

"E' possibile che alla fine non si trovi un colpevole
A forza di dubbi, dubiteremo che un delitto ci sia stato"


di GIUSEPPE D'AVANZO

 

ROMA - "Il gip Fabrizio Gandini nella sua ordinanza non ha dato il giusto valore al lavoro dei carabinieri del Ris sul pigiama di Anna Maria Franzoni". Il procuratore capo di Aosta, Maria Del Savio Bonaudo, difende i colleghi della Procura dopo le motivazione del tribunale del Riesame. E aggiunge: "Ora è possibile che non si trovi chi ha ucciso Samuele". Intanto l'inchiesta non si ferma in attesa delle nuove perizie che verranno effettuate dal medico legale e dei risultati delle analisi del Ris.

Procuratore Maria Del Savio Bonaudo, molti cominciano a pensare che il delitto di Cogne resterà un delitto senza assassino...
"A forza di dubbi, finiremo tra un po' per dubitare anche che un delitto ci sia stato. Meno male che abbiamo prove incontestabili che ci sia un morto. Mi scuso della battuta macabra... però... sì, a questo punto è possibile che non si trovi un colpevole".

A leggere l'ordinanza del Tribunale del Riesame una ragione di questo possibile vuoto c'è: l'accusa contro Anna Maria Franzoni non aveva un buon fondamento.
"Diciamo che siamo stati sconfessati dall'ordinanza del Tribunale del Riesame. Tocca ora a noi dimostrare meglio qual è il significato delle consulenze raccolte. Che, peraltro, non sono ancora concluse. Dobbiamo lavorare non per mettere in gioco altre prove (se verranno, tanto meglio) ma per chiudere un'indagine nel migliore dei modi".

Sembra di capire che Anna Maria Franzoni è e resterà la sola indagata. Non è stato questo il punto debole dell'inchiesta, quest'unicità di prospettiva, una sola pista, un solo nome?
"Non eravamo convinti che fosse la sola pista. Forse non ricorda che ci hanno accusato di essere troppo prudenti. In realtà eravamo in attesa delle "anticipazioni" del Ris di Parma. Nel frattempo, abbiamo fatto tutti gli accertamenti necessari con serietà e, soprattutto, serenità".

Lei ritiene legittimo che il Tribunale del Riesame abbia affrontato, al di là delle necessità di custodia cautelare della signora Franzoni, il "merito" delle accuse con un esame degno di una Corte d'assise?
"E' stata una scelta del collegio. Non ci sono elementi censurabili".

Non è censurabile nemmeno che il Riesame abbia indicato, con nome e cognome, due possibili assassini?
"Sono alquanto stupita. Per me la signora Daniela Ferrod - una vicina di casa dei Lorenzi - è il nome di una donna che ha già sofferto abbastanza. Vedere che il Tribunale del Riesame scrive nero su bianco il suo nome come possibile autrice del delitto mi lascia veramente stupita... Ecco, per me questa procedura è del tutto nuova".

Il Riesame scrive che la signora Ferrod non può vantare un alibi solido. La procura ha controllato le sue mosse?
"Se l'alibi uno non ce l'ha, non se lo può dare. Abbiamo controllato, la mattina stessa del delitto, il pianterreno e il garage della sua abitazione e per me questo è stato sufficiente. Per fortuna che il delitto non si è consumato in un condominio perché altrimenti dovevano essere 100 o 150 persone a dover dimostrare di avere un alibi. Conviene sperare che al mio vicino non accada niente, altrimenti domani potrei dover dimostrare che non sono stata io ad ucciderlo. Ma, al di là della battuta, voglio dire che noi ci tiriamo indietro. Non siamo innamorati di una tesi. Non abbiamo nessun interesse a perseguire quella persona invece che un'altra. Siamo sereni e faremo il nostro lavoro anche se ci sarà qualcuno che dirà che stiamo lavorando ad una toppa".

La signora Franzoni ha riferito a Repubblica che Davide le ha fatto il nome dell'assassino. O meglio, della persona che ha visto accanto alla casa quando è uscito quella mattina. Risentirete la signora Franzoni?
"Se quel che dice non è già a verbale, la risentiremo".

Anche il piccolo Davide sarà di nuovo interrogato?
"Voglio risparmiare altri traumi al bambino. Comunque se fosse necessario...".

Si è avuta la sensazione che la sua Procura non abbia condotto con il necessario polso fermo le indagini affidandole di fatto alle intuizioni e alla scelte dei carabinieri di Aosta.
"Il polso è stato fermo come al solito, come in altri casi. Non vorrei parlare di questa questione. Sembrerebbe un'autodifesa".

Non c'è niente di male a difendersi. A volte capita, è necessario...
"Capita, se si è sotto accusa. Io non mi sento in questa condizione. Comunque, le rispondo così. Non sono di quei pubblici ministeri che amano fare il poliziotto. Credo che ognuno debba avere la sua professionalità. Io ho la mia, i carabinieri la loro. Una perquisizione non la posso fare io. E' il mestiere dei carabinieri, la facciano loro. Interpreto il mio ruolo in altro modo. Dirigo le indagini e mi piace dirigerle non contro la polizia giudiziaria, ma con il suo consenso perché penso che un ordine condiviso sarà accolto di buona voglia ed evaso meglio. Mi piace lavorare con il consenso. Quindi, non è vero che non abbia avuto polso fermo. Non è vero che mi sia fatta portare per mano dai carabinieri".

Alla luce di quanto è accaduto, affiancherà i carabinieri con altra polizia giudiziaria?
"Non mi sembrerebbe generoso. Soltanto noi qui in Procura possiamo sapere quanto hanno lavorato, e con quale passione, i carabinieri di Aosta".

Si dice che il sostituto Stefania Cugge non fosse del tutto d'accordo con le prime conclusioni dell'inchiesta da lei approvata. E' vero che ha fatto delle pressioni sul suo sostituto?
"E' una maligna diceria. Non faccio pressioni sui miei sostituti. Lei, poi, non deve conoscere la Cugge, la sua indipendenza e un carattere che non tollera interferenze. Io sono capo dell'ufficio e sono gelosa delle mie prerogative e responsabilità, che non riduco a pennacchio da sfoggiare alle cerimonie. Quando non sono stata convinta della direzione imboccata da alcune indagini, come nel caso dell'inchiesta Phoney Money, ho dimostrato di non aver paura di intervenire e di sollevare dall'incarico il sostituto. Nonostante i grattacapi che me ne sono venuti, non me pento. Non mi piace impormi, preferisco convincere. In questo caso, non ce n'è stato alcun bisogno. Con la Cugge abbiamo molto discusso, ci siamo confrontate e al fine ci siamo trovate d'accordo. E' capitato che mi chiedessero se intendevo affiancare o addirittura sostituire la Cugge. Se mi sono arrabbiata è perché vedevo, al fondo di quelle domande, pregiudizio e diffidenza per un magistrato donna. E' un prezzo che io ho dovuto pagare nella mia giovinezza (nel 1975, le donne in magistratura ce n'erano pochine) e non credo sia più il tempo di farlo pagare alle giovani magistrate di oggi".

Si dice che il Ris di Parma sia molto critico con il gip Gandini per come ha rappresentato nell'ordinanza le conclusioni scientifiche dell'inchiesta. E' una malignità?
"Non è una malignità né una critica, è una constatazione. Il Gip non ha dato conto del lavoro del Ris per quanto riguarda il pigiama. Non vi ha dato il peso necessario o, per lo meno, lo spessore e il valore che la Procura attribuisce a quell'indizio. La verità è che il Gip, come il Tribunale del Riesame, non ha potuto visionare i filmati e le simulazioni in possesso della Procura e quindi non si è potuto percepire il significato autentico del quadro indiziario. Quando tutte le carte saranno in tavola, si comprenderanno meglio le ragioni del mio ufficio. Ricordo che il lavoro del Ris non è ancora concluso".

Ha influito la giovane esperienza del Gip?
"Non vorrei dirlo, anche perché non lo credo. L'età può incidere magari per qualche manifestazione di esuberanza, ma non sulle decisioni e io credo che Fabrizio Gandini abbia tenuto separata la sua esuberanza giovanile dai ragionamenti. La gioventù non pesa più di tanto né per la Cugge né per Gandini".

La perizia psichiatrica ha ancora senso?
"L'esito dirà se servirà a qualcosa. Potrà certo chiarire meglio lo stato mentale della signora Franzoni".

Chi si è comportato peggio in questo affare?
"Quel signore che ha fatto affermazioni pubbliche con i crismi della certezza senza conoscere un fatto, un avvenimento, una circostanza".

Si riferisce all'avvocato e deputato Carlo Taormina?
"Non mi faccia fare nomi".

Chi si è comportato meglio?
"Ad di là delle divergenze che pure ci sono state, i giornalisti che da settimane assediano questo Palazzo. Tra di loro ci sono delle belle professionalità. Anche se poi so che scrivere sempre orientati da onestà intellettuale è un'utopia".

Un'altra particolarità di questa storia è la quantità sorprendente di veleni che vi sono stati scaricati.
"Quali veleni?".

Ad esempio, ogni redazione di quotidiano può vantare una lettera anonima che svela, si fa per dire, che Samuele non fosse figlio di Stefano Lorenzi.
"E' pacifico che Samuele fosse figlio di Stefano Lorenzi. Lo abbiamo accertato".

Dunque è arrivato anche a voi quell'anonimo?
"Ogni giorno, da settimane, riceviamo un plico di lettere anonime. Le leggiamo tutte. Possono servire alle indagini. In qualche caso facciamo degli accertamenti".

Non si meraviglia di questi veleni?
"Appesantiscono il lavoro. Io non so chi li diffonde, se qualche mago o qualche servizio segreto... Mi interessa poco. Io lavoro sui dati".

Ora si ricomincia daccapo?
"Daccapo non possiamo iniziare perché tanti atti sono irripetibili. Dobbiamo sviluppare e completare le consulenze, ora soltanto anticipazioni, e soprattutto renderle comprensibili. Questo sarà il nostro compito. E' pacifico che non resisteremo all'invito di chiarire e valutare la posizione di altre persone, di risentire i testimoni, di disporre confronti. Faremo tutto quello che va fatto".

(11 aprile 2002)

 

[FIRENZE - Giancarlo Lotti, il pentito che si autoaccusò di aver partecipato con Pietro Pacciani e Mario Vanni agli ultimi duplici delitti del “mostro” di Firenze, è morto sabato mattina a Milano. Se ne è avuta notizia solo oggi a San Casciano, la cittadina dove Lotti era nato e dove vivono alcuni suoi parenti. Lotti, 62 anni, soffriva di diversi mali ma è morto per un tumore devastante al fegato. Il 15 marzo era uscito dal carcere di Monza e ricoverato in ospedale per le sue gravi condizioni.
2002-04-01 - 12:53:00]

 

Dopo il giorno dopo, la catarsi di come se “nulla” fosse accaduto.

 

Da La Stampa.it

Cogne, una preghiera per risolvere il giallo


15 aprile 2002

COGNE. Ha chiesto ai suoi fedeli di pregare perchè si arrivi alla soluzione del giallo di Cogne il parroco del paese aostano, don Corrado Bagnod. Stamani, durante l'omelia nella messa principale, ha esortato i 'coigneins' perchè preghino affinchè si arrivi alla chiarezza in questa «vicenda difficile e dolorosa». Perchè l'uccisione del piccolo Samuele Lorenzi, è l'opinione di parte degli abitanti, è destinata a pesare nel tempo sul paese, con il suo strascico di sospetti e incomprensioni. Sospetti alimentati, secondo anche il sindaco di Cogne, Osvaldo Ruffier, dalle dichiarazioni alla stampa dei coniugi Lorenzi che, aveva detto il sindaco, «confondono le cose», dichiarando di sapere chi è l'assassino che la madre di Samuele ha già perdonato. Cogne, allentatasi un poco la morsa di cameramen e cronisti, ora riflette, tra opinioni divergenti e sconcerto.

«Come fanno a dire di voler tornare - si sente dire dai pochi che vogliono commentare -, quando continuano a dire che hanno paura per Davide e per gli altri bambini?». Anche oggi alcuni turisti sono saliti a Montroz per vedere, dalla strada che la sovrasta, la villetta teatro dell'omicidio, ancora sotto sequestro e controllata ininterrottamente dai carabinieri per evitare che i curiosi si avvicinino. Altri hanno portato i bambini davanti alla tomba di Samuele, ai piedi della quale, col passare del tempo, sono aumentati i giocattoli, i bigliettini affettuosi, la preghiera. C'è stato anche qualcuno, però, che oggi è stato autore di un gesto sgradevole. Su un foglio su cui era scritta una preghiera, stampata al computer e protetta dalle intemperie con un foglio di plastica, è stata sottolineata la parola mamma con una matita rossa. Accanto, per due volte, con una grafia incerta per via della fretta è stato aggiunta una parola: «assassina».

 

COGNE: TAORMINA, DOMANI PRESENTO INTERROGAZIONE PARLAMENTARE

Roma, 15 apr. Ore 15:27 (Adnkronos) - Pronta l'interrogazione parlamentare con la quale Carlo Taormina, l’ex sottosegretario all’Interno, grande accusatore della Procura di Aosta, chiede al ministro della Giustizia, Roberto Castelli, di fare luce sull’operato della magistratura. “La struttura del testo è gia pronta - dice l’avvocato Taormina -. Domani né darò l’ufficializzazione. Troppi errori sono stati commessi dai magistrati inquirenti. è giusto che il Guardasigilli faccia le sue verifice anche perché mi sembra evidente che il procuratore Bonaudo ha commesso diffamazione nei confronti di Anna Maria Franzoni. Nonostante il Riesame, lei ha continuato a dire che la signora Franzoni è responsabile del delitto di Samuele”.

(Dav//Adnkronos)

 

 

 

 




3

 

Tutto cominciò con un fallito attentato
alla Cisl di Milano nell'estate del 2000


La prova del fuoco
della nuova colonna

Il dossier dei Servizi sull'arruolamento del Nucleo Proletario

di GIUSEPPE D'AVANZO

 


La storia che ha scritto un altro capitolo di morte alle 20.10 di martedì 19 marzo a Bologna può avere un inizio a Milano nell'agosto del 2000 con l'entrata in scena di un uomo dal tormentato passato che chiameremo l'Innominato. L'Innominato è un ex brigatista. Qui non interessa sapere perché si decide a fare il "gran passo". Conta soltanto dire che "il passo" lo fa cominciando a collaborare con gli agenti segreti del Sisde "in maniera fiduciaria", come si dice. Che poi vuol dire che gli 007 gli assicurano l'anonimato. Il suo nome non salterà mai fuori: mai, nemmeno se magistrati dovessero fare la voce grossa. L'intelligence non chiede poi molto all'Innominato. Vuole soltanto che legga i documenti del frammentato arcipelago del terrorismo, magari incrociando quel che legge con quel poco (o molto) che sa.

Diciamo che siamo nell'agosto del 2000. Un mese prima, il 6 luglio, alle 8,15 del mattino, il segretario organizzativo del pensionati Cisl Luciano Fontana scopre sui davanzali delle due finestre della sede sindacale di via Tadino a Milano due fioriere con crisantemi di plastica. Dentro le foriere ci sono due ordigni esplosivi. Bombe fatte in casa, alla buona. Sacchetti di plastica colmi di petrolio con un innesco chimico al cloruro di potassio e un timer. Non è la bomba che preoccupa le barbe finte, ma il documento che la rivendica. Dieci cartelle inviate via e-mail ai quotidiani, stella a cinque punte nel frontespizio, firma Nucleo Proletario Rivoluzionario. Per dirla con Sergio D'Antoni, allora segretario della Cisl, "in quelle pagine c'è, con un linguaggio da addetti ai lavori, un'analisi puntuale, folle ma puntuale. Sono persone evidentemente ben informate sul nostro dibattito, sui rapporti confederali".

Il documento contiene un insensato delirio. Si legge: "Il principio di organizzazione sociale che radica il Patto di Milano ha un contenuto proto o post-nazista, che dir si voglia". Cofferati? "Il cane da guardia dei padroni". Chi diavolo sono questi qui e che cosa si preparano a fare?, chiedono gli 007 all'Innominato. L'ex-brigatista si mette al lavoro. Quel che conclude è raccolto nel documento del servizio segreto inviato al Viminale il 10 agosto e, per competenza, alla Procura di Milano. L'Innominato la racconta così. Le Brigate rosse per il partito comunista combattente (Br/Pcc), radicate nell'area di Roma, responsabili dell'assassinio di Massimo D'Antona (1999) e ideologicamente dipendenti dagli irriducibili in galera per la morte di Roberto Ruffilli (1988), vogliono "estendere il campo di azione ad altri contesti territoriali".

D'altronde, che cos'è la rivendicazione dell'omicidio D'Antona se non una chiamata alle armi delle Br/Pcc "ai gruppi clandestini minori"? Si faccia avanti chi ha "l'ambizione di costituire nuove colonne locali" del Partito comunista combattente. Il Nucleo Proletario Rivoluzionario, "che ha una conoscenza non comune delle problematiche trattate, offre l'opportunità alle Br di estendersi alla realtà milanese", una prospettiva che esercita "un'indubbia attrazione in funzione del mito operaista delle grandi città del Nord, tuttora fortemente sentito negli ambienti vetero-brigatisti", scrivono le barbe finte. Il problema, spiega l'Innominato, è che il Nucleo Proletario Rivoluzionario dovrà dimostrare di saperci fare con le pistole. Dunque, conclude l'intelligence, bisogna attendersi un attentato a Milano.

L'allarme è molto serio. Ricevuto il rapporto del Sisde, il 10 agosto il ministro dell'Interno Enzo Bianco invia una direttiva con cui "dispone il rafforzamento degli obiettivi sensibili potenzialmente a rischio". Tra gli "obiettivi sensibili" c'è al primo posto l'estensore del "patto per il lavoro" di Milano, Marco Biagi. Il professore, in quell'estate del 2000, comincia a vivere "spaventato" e "blindato" con la scorta, come spiega in un fax al professore Luigi Montuschi.

Non si comprende quel che è accaduto in una tranquilla sera di marzo in via Valdonica, Bologna, se non si racconta la storia a partire da via Tadino, Milano. È questa connessione che oggi impegna investigatori e analisti. Nesso che spiega, a loro avviso, il ritardo della rivendicazione: "Il gruppo minore, il Nucleo Proletario Rivoluzionario, dopo la "prova del fuoco", lo sta discutendo con il gruppo maggiore, le Brigate Rosse per il Partito comunista combattente. Ci vuole tempo. Ma, dopo la telefonata al Sole 24 Ore, ammesso che sia autentica, si può dire che il gruppo minore si è ormai organizzato in colonna armata. Era quello che voleva ottenere con l'agguato di Bologna".

La connessione degli investigatori tra l'assassinio di Biagi e il fallito attentato alla Cisl di Milano sgombra il campo da qualche accaldata strumentalizzazione che oggi agita la scena politica. Non c'è nessun rapporto di causa ed effetto tra il conflitto governo/sindacato sull'articolo 18 e la morte di Marco Biagi, tra la congiuntura politica del momento e la sua tragica fine, per il banalissimo motivo che il disegno terroristico ("attaccare e spezzare l'irregimentazione del proletariato operata dalle politiche e dalle sedi neocorporative/portare l'attacco nei nodi politici generali dello scontro) era già in movimento. Ha solo attraversato oggi questa congiuntura politica (articolo 18/governo di centro-destra/sciopero generale) come ieri ha incrociato un'altra congiuntura politico-sindacale (concertazione/patto sociale/governo di centro-sinistra).

È un progetto politico-terroristico che, al di là delle contigenze, colpisce sempre le figure di mediazione razionale dei conflitti sociali e del lavoro. Questa considerazione dovrebbe consigliare a destra (a qualcuno, nella destra) e a sinistra (a qualcuno, nella sinistra) di abbandonare l'armamentario polemico (chi sollecita l'odio?) per comprendere che cosa sta accadendo, e quanto pericoloso sia. Uno sforzo che dovrebbe ispirare anche il ministro dell'Interno, Claudio Scajola, che ieri ha avuto un infelicissimo mercoledì. Doveva rispondere a due questioni. Perché Marco Biagi non era protetto da una scorta adeguata? Il ministro ha farfugliato qualcosa di burocratico, come gli accadde anche dopo il disastro di Genova: "I prefetti lo hanno deciso". In realtà, è stato il ministro Maroni a chiedere al Viminale a voce e per iscritto che Biagi venisse scortato. Maroni non è un ingenuo. È stato ministro degli Interni. Sa a chi rivolgersi per queste questioni, ammesso che non ne abbia parlato direttamente con lo staff del ministro (se non con il ministro). Perché allora al Viminale si sostiene che la lettera del ministro del Welfare non è mai arrivata?

Secondo infortunio di Scajola. Alle 20.05 dichiara che "dalle prime risultanze l'arma che ha ucciso Biagi è la stessa del delitto D'Antona". Una dichiarazione sorprendente. Accanto al corpo senza vita di Marco Biagi, in via Valdonica a Bologna, sono stati ritrovati quattro bossoli di calibro 9x17. In via Salaria a Roma, accanto al corpo di Massimo D'Antona, non è stato trovato nessun bossolo, il che ha convinto per anni gli investigatori che la pistola che ha ucciso il collaboratore di Bassolino fosse un revolver calibro 38, precisamente una Franchi-Llama calibro 38 special. Recentemente la procura di Roma ha ordinato una nuova perizia sui frammenti di proiettili presenti nel corpo di D'Antona. Ne è venuto fuori un ventaglio di ipotesi. Tra queste, la possibilità che si tratti di una calibro 9x14 (gli assassini ne avrebbero raccolto i bossoli dopo l'omicidio). Come si può affermare con certezza che "l'arma è la stessa" se, a Bologna, ci sono bossoli e, a Roma, non ci sono? L'unica possibilità che siano già stati comparati i frammenti di proiettile trattenuti dai corpi e verificate le "compatibilità" (un'identità probabile, non certa) tra deformazioni all'impatto, peso eccetera.

Non c'è stato tempo per un lavoro simile (si tratta di mesi); e, dunque, perché Scajola sceglie l'indicativo categorico per la sua rivelazione, precludendo a se stesso e al Paese la possibilità di veder chiaro quel che sta accadendo? E quel che sta accadendo più fonti lo raccontano così: non c'è un gruppo di disperati "odiatori" che va in giro per l'Italia ad ammazzare giuslavoristi, ma al gruppo di pericolosi folli di Roma se n'è aggiunto un altro che ha dato la sua prova di "adeguatezza militare" a Bologna uccidendo un uomo braccato da due anni e lasciato solo in una sera di marzo indifeso davanti ai suoi assassini.

(21 marzo 2002)


Sparare perché
nulla cambi



di UMBERTO ECO

 


Si prova un certo imbarazzo a riflettere (e ancor più a scrivere) sul ritorno del terrorismo. Si ha l'impressione di ricopiare paro paro articoli che si sono scritti negli anni Settanta. Questo ci dice che, se non è vero che nulla si è mosso nel paese da quel decennio in avanti, certamente nulla si è mosso nella logica del terrorismo.

Caso mai è la nuova situazione in cui riappare che induce a rileggerla in chiave leggermente diversa. Si dice che l'atto terroristico miri alla destabilizzazione, ma l'espressione è vaga, perché diverso è il tipo di destabilizzazione cui può mirare un terrorismo "nero", un terrorismo di "servizi deviati", e un terrorismo "rosso". Assumo, sino a prova contraria, che l'assassinio di Marco Biagi sia opera, se non delle vere e proprie Brigate Rosse, di organizzazione dai principi e metodi analoghi, e in questo senso userò d'ora in poi il termine "terrorismo".

Che cosa si propone di solito un atto terroristico? Siccome l'organizzazione terroristica segue una utopia insurrezionale, essa mira anzitutto a impedire che si stabiliscano tra opposizione e governo accordi di qualsiasi tipo - sia ottenuti, come ai tempi di Moro, per paziente tessitura parlamentare, che per confronto diretto, sciopero o altre manifestazioni che vogliano indurre il governo a rivedere alcune sue decisioni. In secondo luogo mira a spingere il governo in carica a una repressione isterica, sentita dai cittadini come antidemocratica, insostenibilmente dittatoriale, e quindi a fare scattare l'insurrezione di una vasta area preesistente di "proletari o sottoproletari disperati", che non attendevano che un'ultima provocazione per iniziare un'azione rivoluzionaria.
Talora un progetto terroristico ha successo, e il caso più recente è quello dell'attentato alle Due Torri. Bin Laden sapeva che esistevano nel mondo milioni di fondamentalisti musulmani che attendevano solo la prova che il nemico occidentale poteva "essere colpito al cuore" per insorgere. E infatti così è stato, in Pakistan, in Palestina e anche altrove.

E la risposta americana in Afghanistan non ha ridotto ma rafforzato quell'area. Ma perché il progetto abbia un esito occorre che quest'area "disperata" e potenzialmente violenta esista, voglio dire come realtà sociale.

Il fallimento non solo delle Brigate Rosse in Italia ma di molti movimenti in America Latina è stato di costruire tutti i loro progetti sulla presupposizione che l'area disperata e violenta ci fosse, e fosse calcolabile non in decine o centinaia di persone, ma in milioni. La maggior parte dei movimenti in America Latina sono riusciti a portare alcuni governi alla repressione feroce, ma non a fare insorgere un'area che evidentemente era molto più ridotta di quanto i terroristi prevedessero nei loro calcoli.

In Italia tutto il mondo dei lavoratori e le forze politiche hanno reagito con equilibrio e, per quanto qualcuno voglia criticare alcuni dispositivi di prevenzione e repressione, non ha prodotto la dittatura che le Brigate Rosse attendevano. Per questo le Br hanno perso il primo round (e noi tutti ci siamo convinti che avessero abbandonato il progetto). La sconfitta delle Brigate Rosse ha convinto tutti che esse non erano riuscite, alla fin fine, a destabilizzare alcunché. Ma non si è riflettuto abbastanza che sono servite moltissimo, invece, a "stabilizzare", perché un paese in cui tutte le forze politiche si erano impegnate a difendere lo Stato contro il terrorismo, ha indotto l'opposizione a essere meno aggressiva, a tentare piuttosto le vie del cosiddetto consociativismo.

Pertanto le Brigate Rosse hanno agito da movimento stabilizzatore o, se volete, conservatore. Che l'abbiano fatto per madornale errore politico o perché dovutamente manovrate da chi aveva interesse a raggiungere quei risultati, poco conta. Quando il terrorismo perde, non solo non fa la rivoluzione ma agisce come elemento di conservazione, ovvero di rallentamento dei processi di cambiamento.

Quello che colpisce nell'ultima impresa terroristica, almeno a prima vista, è che di solito i terroristi uccidevano per impedire un accordo (il caso Moro insegna) mentre questa volta sembra abbiano agito per impedire un disaccordo nel senso che molti ritengono che dopo l'assassinio di Biagi l'opposizione dovrebbe attenuare, ingentilire e addomesticare le sue manifestazioni di dissenso e i sindacati dovrebbero soprassedere allo sciopero generale. Se si dovesse seguire questa logica ingenua dei "cui prodest", si dovrebbe pensare che un sicario governativo si è messo il casco, è salito in motorino ed è andato sparare a Marco Biagi.

Il che non solo pare eccessivo anche ai più esasperati "demonizzatori" del governo, ma ci indurrebbe a pensare che dunque le nuove Brigate Rosse non ci sono e non costituiscono problema. Il fatto è che il nuovo terrorismo come sempre confida nell'appoggio di milioni di sostenitori in una potenziale area rivoluzionaria violenta (che non ci sono) ma soprattutto vedeva lo smarrimento e il disfacimento della sinistra come un eccellente elemento di scontento tra i componenti di quell'area fantasma. Ora i girotondi (fatti come è noto da distinti cinquantenni pacifici e democratici per vocazione), la risposta che hanno cercato di darvi i partiti d'opposizione, e il ricompattamento delle forze sindacali stavano ricostituendo nel paese un eccellente equilibrio tra governo e opposizione. Uno sciopero generale non è una rivoluzione armata, è soltanto una iniziativa molto energica per arrivare a modificare una piattaforma d'accordo. E dunque anche questa volta, anche se apparentemente pare impedire la manifestazione di un disaccordo, l'attentato di Bologna mira a impedire un accordo (sia pure più conflittuale e combattuto).

Soprattutto mira a impedire, nel caso che l'opposizione sindacale modifichi la linea del governo, che si rafforzi il vero nemico del terrorismo, e cioè l'opposizione democratica e riformista. Anche questa volta, dunque, se il terrorismo riuscisse nel suo primo intento (attenuare la protesta sindacale) sarebbe riuscito nell'ottenere quello che ha sempre ottenuto (lo volesse o no): la stabilizzazione, la conservazione dello status quo. Se così è, la prima cosa che opposizione e sindacati debbono fare è non cedere al ricatto terroristico.

Il confronto democratico deve procedere, nelle forme più aggressive che le leggi consentono, come appunto lo sciopero e la manifestazione di piazza, perché chi cede fa esattamente quello che i terroristi volevano. Ma del pari (se posso permettermi di dare consigli al governo) il governo deve sottrarsi alla tentazione a cui l'attentato terroristico lo espone: spostarsi su forme di repressione inaccettabili. La repressione può avere reincarnazioni sottili, e al giorno d'oggi non prevede necessariamente l'occupazione delle piazze principali coi carri armati.

Quando si sente in televisione l'uomo di governo che in modi diversi (alcuni con misura, e con qualche vaga allusione, altri con evidenza indiscutibile), suggeriscono che ad armare (moralmente, moralmente, si precisa) la mano dei terroristi sono stati coloro che in forme diverse hanno messo sotto accusa il governo, chi ha firmato appelli in favore della risposta sindacale, chi rimprovera a Berlusconi il conflitto d'interesse o la promulgazione di leggi altamente discutibili, e discusse anche fuori dei nostri confini - chi fa questo sta enunciando un pericoloso principio politico. Il principio si traduce così: visto che esistono terroristi, chiunque attacca il governo ne incoraggia l'azione. Il principio ha un corollario: dunque è potenzialmente criminale attaccare il governo. Il corollario del corollario è la negazione di ogni principio democratico, il ricatto rivolto alla libera critica sulla stampa, a ogni azione di opposizione, a ogni manifestazione di dissenso. Che non è certo l'abolizione del Parlamento o della libertà di stampa (io non sono di coloro che parlano di nuovo fascismo) ma è qualcosa di peggio.

E' la possibilità di ricattare moralmente e indicare alla riprovazione dei cittadini chi manifesta disaccordo (non violento) con il governo, e a equiparare eventuali violenze verbali - comuni a molte forme di polemica accesa ma legittima - con la violenza armata. Se a questo compiutamente si arrivasse, la democrazia rischierebbe di essere svuotata di ogni senso. Si avrebbe una nuova forma di censura, il silenzio o la reticenza per timore di un linciaggio mediatico. E quindi a questa diabolica tentazione gli uomini del governo debbono "resistere, resistere, resistere".

L'opposizione deve invece "continuare, continuare, continuare", in tutte le forme che la Costituzione consente. Se no, davvero (e per la prima volta!), i terroristi avrebbero vinto su entrambi i fronti.

 

 

(22 marzo 2002)

eppure

 

eppure i morti di questi imbecilli chiunque essi siano si nutrono delle patologie di massa, si nutrono delle deficienze che tolgono all’individuo la libera responsabilità del proprio pensiero, la dignità di individuo. Nei loro farneticanti messaggi, di ieri, come quelli di oggi, la logica della condizione sociale del singolo individuo, è quella di sottosignificante umano che non può eludere la sua condizione se non attraverso una ragion d’essere di carattere statuario, che pone il soggetto umano come componente sacrificabile per le logiche affermative del regime statuario che si deve determinare. Il livello di scontro da sempre finisce sul concetto di umana sacrificabilità, sulla matrice di morte necessaria per l’affermazione dell’individuo massa della società. Il concetto statuario è un concetto autoctono, un concetto che per la sua ragion d’essere si contrappone a se stesso nelle conseguenze che determinano il significato del suo esistere. L’incompatibilità di una dimensione statuaria di matrice violenta, da una non violenta è la sola ragion d’essere per la verificabilità di una condizione sociale che si pone come espressione statuaria che cerca nell’individuo la possibilità creatrice della sua espressione vitale. Gli organigrammi del potere per loro stessa morfologia costitutiva applicano sempre una formazione sistemica basata sull’affermazione e il superamento. La distinzione in un progetto statuario democratico, tra le varie componenti del potere è mediato da un concetto di forza che pone la responsabilità delle scelte per tutti nella parte maggioritaria dei cittadini che hanno avuto una maggiore coesione d’identità, ma tutto ciò è possibile attraverso l’approvazione consensuale della coesione d’identità minoritaria. All’interno di questa logica è indispensabile esistano garanzie di libera espressione ed autonoma ricerca di felicità di ogni cittadino nella sua ragion d’essere individuale. La degenerazione del rapporto di forza all’interno del sistema consensuale democratico degenera, con l’indebolimento di questo valore umano immodificabile. Le possibilità aggreganti  nelle dinamiche dei rapporti di forza all’interno della democrazia, con il decadere della componente di dignità umana di ogni singolo essere facente parte la condizione statuaria, spinge le dinamiche della forza per l’identificazione della forza maggioritaria a ricercare i motivi della sua affermazione nei vantaggi particolari dell’interesse economico che rappresenta – in questa situazione la progettualità democratica si spinge nell’identificazione del cittadino con il processo produttivo, che si trasforma nella sola ragion d’essere di felicità e, unico rapporto di “competizione” del processo per il consenso maggioritario del rapporto di forza democratico. Nella diversificazione democratica che così si verifica, i rapporti costitutivi il sistema statuario, spinti alla competizione dal processo economico rendono il significato del potere la prima ragion d’essere di felicità per l’identificazione maggioritaria, che così rende funzionale i primari fabbisogni individuali alla logica fisiologica del potere. Certe volte a questo punto, con l’inasprirsi della ricerca della felicità e con il fabbisogno di nutrire il sistema statuario in atto con certezze che appaghino i bisogni primari, si genera un potere così autoreferenziale da poter sospendere il sistema statuario democratico, chiudendosi in un autismo sociale massimalista, che non necessariamente può essere identificato in una dittatura militare. Ora nell’ambito della ricerca di felicità attraverso una sistema basato sulla competizione economica, la diversità di identità economica nei diversi gruppi che formano lo stato, determina quel concetto che per lungo tempo è stato identificato come classe sociale. La storia ci ha insegnato per chi lo ha capito, che rimanere imprigionati nelle dinamiche della dialettica come formazione del consenso o nel fattuale dialettico economico, spinge la lotta fino al punto di forza della soppressione fisica dell’individuo e alla perdita totale delle possibilità autonome, creatrice individuali. Questo breve riassunto delle puntate precedenti, rende chiaro il fatto, che la diversificazione delle possibilità umane è attualmente ad un punto di svolta, se alle possibilità tecnologiche si coniuga un modello di senso e significante che fa della ricerca della felicità l’accettazione di quelle che sono non solo le prerogative primarie, ma anche un’autentica apertura al significato dei propri limiti. Il paradosso contemporaneo è tutto qui, le possibilità di felicità di ogni individuo sono ancora assoggettate, alla competizione economica, alla logica della forza del sempre maggior consenso maggioritario e tragicamente la morte dell’individuo è ancora la sua maggiore espressione di forza.

È in questa assurda condizione planetaria, sociale che questi imbecilli, o loro per chi, sono tornati ad uccidere, nella loro fessa percezione della realtà vantano il fatto che nel mondo il sistema imperialista può essere sconfitto e così uccidono qualcuno che fa parte di questo mondo, per loro non un essere umano, ma solo un approccio alla competizione per il sistema del maggior consenso.

Chi salva una vita salva il mondo intero

Chi uccide una vita uccide il mondo intero, con il suo mondo individuale.

 

Patrizio Marozzi  23 Marzo 2002


costume

 

La decisione in seguito alla dura contestazione di ieri
Bono: "In futuro forse un passo ufficiale del governo"


Parigi, l'Italia abbandona
il Salone del libro



 


PARIGI - E' sfociata in un vero e proprio incidente diplomatico la contestazione anti-Berlusconi di ieri al Salone del libro di Parigi. Il sottosegretario ai Beni culturali, Nicola Bono, ha annuciato che l'Italia ritirerà immediatamente la propria partecipazione alla manifestazione e non ha escluso che in futuro il governo italiano deciderà di fare un passo ufficiale di protesta con quello francese. Bono, che ieri insieme a Vittorio Sgarbi è stato bersaglio dei contestatori al Salone, rimprovera all'organizzazione l'assenza di un servizio d'ordine per il contenimento dei manifestanti che hanno fatto deragliare l'inaugurazione del padiglione del Salone dedicato all'Italia.

Catherine Tasca, il ministro della Cultura francese al centro di grosse polemiche per la sua dichiarata ostilità verso la presenza di Berlusconi al Salone del libro, questa mattina si era scusata telefonicamente con Bono e i rappresentanti italiani alla manifestazione di Parigi, stigmatizzando la protesta incriminata. "Il Salone, manifestazione professionale e culturale di grande importanza - ha scritto, poi il ministro in uno stringato comunicato - deve restare il luogo di riflessione e di dialogo tra tutti quanti, attorno al libro, fanno vivere nei nostri paesi il dibattito culturale".

Ma ieri, in un incontro in una saletta privata insieme a Sgarbi e Bono, mentre fuori la contestazione era nel pieno del suo vigore, il ministro ha spiegato ai due sottosegretari come il Salone non sia una manifestazione ufficiale del governo francese, bensì degli editori, e come perciò in situazioni simili "sia difficile controllare tutti quelli che entrano". In cinquanta circa, tra italiani e francesi, si sono assiepati intorno al padiglione dell'Italia e per due ore hanno urlato slogan del tipo: "liberiamo l'Italia", "Sgarbi mafioso", "Sgarbi truffatore".

"Noi non contestiamo i manifestanti anche se toni ed epiteti sono stati sgradevoli - ha spiegato Bono questa mattina in una conferenza stampa - ma non si può accettare il principio per cui a un Paese ospite non venga permesso di espletare il suo ruolo istituzionale". "Siamo stati mortificati, non ci sono state garantite condizioni minime di agibilità, né ci sono stato garantite per il futuro", ha aggiunto il sottosegretario. Durante l'incontro con i giornalisti l'altro sottosegretario ai Beni culturali, Vittorio Sgarbi, ha annunciato anche che non intende rinunciare a tenere la prevista lezione magistrale di questo pomeriggio, sia pure in veste di "intellettuale" e non di uomo di governo. Sgarbi ha ripetuto le accuse al ministro Tasca e le ha addossato la responsabilità di "quelle manifestazioni fasciste".

(22 marzo 2002)


I film del week end a cura di Lietta Tornabuoni

 

«I banchieri di Dio. Il caso Calvi»
Roberto Calvi, banchiere a Milano, presidente del Banco Ambrosiano che è il maggiore istituto bancario privato italiano, legatissimo al Vaticano e alle sue attività finanziarie, amico di Michele Sindona della mafia e di Licio Gelli della P2, insomma punto di confluenza di poteri diversi, venne trovato morto a Londra nel giugno 1982, sotto il ponte dei Frati Neri. Impiccato. Sono passati vent´anni, e di quella morte si continua a ignorare il colpevole. Il regista Giuseppe Ferrara (già autore di altri film sugli illustri morti misteriosi d´Italia, sugli assassinii di Aldo Moro, Giovanni Falcone, Carlo Alberto Dalla Chiesa) e la sua sceneggiatrice Armenia Balducci, hanno scelto di raccontare soprattutto l´ambiente in cui matura la morte di Calvi: gli intrighi di soldi, i servizi segreti, l´Opus Dei, Solidarnosc, si legano in una rete letale. Omero Antonutti interpreta benissimo il film interessante, rozzo, che mette in scena il Papa (non di faccia, però anche sulla cyclette), Giulio Andreotti (mai nominato, soltanto chiamato il Gobbo), Michele Sindona, Licio Gelli, il «Corriere della Sera», i servizi segreti, il monsignor Marcinkus, responsabile delle attività finanziarie vaticane.

DRAMMATICO

I banchieri di Dio. Il caso Calvi
di Giuseppe Ferrara con Omero Antonutti, Rutger Hauer, Giancarlo Giannini, Camillo Milli, Pamela Villoresi, Alessandro Gassman; Italia, 2002.

TORINO, cinema Nazionale 1
MILANO, Odeon
ROMA, Adriano 1, Capitol, Lux 2, Roxy Smeraldo, Sala Troisi, Trianon 5
NAPOLI, President

Il film su Calvi ritirato dalle sale

 

26 marzo 2002

 

ROMA - Il Tribunale civile di Roma ha disposto il ritiro immediato dalle sale e il divieto di "ulteriore proiezione e/o utilizzazione economica" della pellicola "I banchieri di Dio", firmata dal regista Giuseppe Ferrara.

Il film, come noto, ricostruisce la vicenda del Banco Ambrosiano e della morte di Roberto Calvi, uno dei casi giudiziari piu' oscuri e misteriosi della recente storia italiana.

Il giudice Marzia Cruciani ha pertanto parzialmente accolto la denuncia del finanziere Flavio Carboni.

La pellicola da' per scontati una serie di elementi tuttora al vaglio delle autorita' giudiziarie, ed in particolare avvalora la tesi che Carboni sia il responsabile materiale dell'omicidio, ordito da vari noti esponenti del Vaticano, della loggia massonica P2, della mafia, dei servizi segreti e del mondo politico ed imprenditoriale.

Tuttavia, riconoscendo il valore sociale e documentario del film stesso, il giudice ha disposto un deposito cauzionale di un milione e mezzo di euro a carico dello stesso Carboni, a titolo di risarcimento provvisorio della casa produttrice.

Il regista, tramite l'avvocato Nicola Rocchetti, ha annunciato la presentazione di un immediato ricorso contro il provvedimento.

 

 


Epilogo

 

                                                                              IBM software Registration

                                                                              Center Sortemosevej 21,

                                                                              3450 Allerod

                                                                              Denmark

 

movimento minollico , zona inferiore pianet terra

All:      Patrizio Marozzi Via IV novembre, 19

63037 Porto D’Ascoli

Ascoli Piceno

ltaly

 

 

 

                                                           18 Febbraio 1998.

 

 

 

Conferma Software Registration

 

Egregio Patrizio Marozzi

 

Grazie per la registrazione IBM ViaVoice.

 

Il vostro numero di registrazione è: 0793787JHBG0X[…]

 

 

Immettere per favore il Vostro numero di registrazione nel Vostro sistema, utilizzando il programma Software Registration. Quando è stato immesso questo numero, il processo di registrazione è completo.

 

Per un futuro riferimento, conservare questo numero in un posto sicuro.

 

Se il Vostro profilo utente cambia, o se qualcun altro diventa utente di questo software, il profilo si può aggiornare mediante il programma Software Registration.

 

Se avete domande sul processo di registrazione, telefonate al Registration Center al numero

1678-76378.

 

Speriamo che apprezzerete i benefici per esservi registrati come utenti del Software IBM

 

 

 

Distinti saluti,

 

IBM Software Registration Center

 

 

 

 

 

 

 

 

Porto D’Ascoli, martedì 19 marzo 2002

Patrizio Marozzi

Via IV Novembre 19

63037 Porto D’Ascoli A.P.

tel 0735 753745

e-mail patrizio.marozzi@libero.it

 

 

                                                                                              IBM Italia

 

 

 

Gentili della IBM, vi scrivo per avere una cortesia, da voi, ovviamente se è possibile. Sono possessore del vostro software IBM Via Voice, regolarmente registrato:

N. 0793787JHBG0X[…]. Ora installandolo nuovamente sul computer, dopo un po’ che non lo utilizzavo, ho riscontrato alcune caratteristiche per me interessanti e che vorrei sviluppare per una mia ricerca di carattere creativo.

Precedentemente avevo usato il programma con un pentium 133 con 32 di ram, ora lo utilizzo con un pentium 2 - 400 mhz con 384 di ram, notando nell'elaborazione del testo una maggiore reattività da parte del software. Quello che vorrei sapere è se in riferimento a quello che mi è accaduto e che vi andrò a raccontare sia possibile avere un incremento delle capacità di elaborazione sintattico grammaticale, usando un multi processore.

Iniziando il programma di dettatura, senza aver realizzato nessuna sessioni di apprendimento vocale per il computer, oltre quella dell’installazione del microfono, ho avuto alcune corrispondenze di carattere logico linguistico nell'elaborazione da parte del software - nella traduzione del mio testo dettato, nello specifico: Ci sto a dire che una giornata come tutte le altre in fondo potrebbe essere diversa. Al posto di - in questo giorno in fondo la giornata potrebbe essere diversa. -

Il giorno seguente tutto quello a me invece di che - facevo non aveva nulla a che fare con quello che noi avremmo fatto comunque sia forse fatto quello che noi ne sia a coloro che ieri da circa questo punto a 16161 scemo che sei Hitachi m 3 c 1 il cc se nel 7 ce la fece a sostenere quella che prevede tra le stesse non risente sempre il 16 comunque paritetica quello che ha scritto. A qui, ho pronunciato fosse facessisi, velocemente.

Nell’ultima parte che leggete ho pronunciato e ripetuto la frase: ripeti quello che ho scritto, ho detto ripeti… poi in fondo, ripeti ripeti. Ripeto quello che ho scritto. E non ripetersi ciò li è che il ho detto e ripeto quello che ho scritto lo ripeto ripeto i.

Vi ringrazio molto poteste darmi un vostro parere riguardo le possibilità di un multi processore, altrimenti vi ringrazio lo stesso per l’attenzione prestatami e vi invio i miei più cordiali saluti.

 

Patrizio Marozzi

patrizio.marozzi@libero.it

 

 

Questa parte del libro chiamata appendice potrebbe terminare con quello che avete appena letto, eppure checché non ne dica la IBM – forse impegnata a costruire megacalcolatori che sono solo delle calcolatrici matematiche con cui è possibile giocare a scacchi e che in realtà non sono niente altro che giochi costosi con cui fare pubblicità per vendere robot - o nelle giocose speculazione di software che anagrammano il testo e simulano la strutturazione di una trama letteraria, poggiando semplicemente sulla logica della statistica formulata in serie di risposte date in questionari – io essendo a conoscenza, ma in questo momento non ricordando chi sia il ricercatore che applica questi miei stessi processi per l’elaborazione e lo studio dell’intelligenza artificiale; mi accingerò appena mi sarà possibile di munirmi di un multi processore per realizzare il progetto che ho elaborato, che attraverso i processi di ricerca sull’intelligenza artificiale vuole essere un modo per confrontare tale ricerca, attraverso la macchina, con il mondo della creatività, nella sua forma sensoriale e concettuale. Come ho sempre fatto dissiperò il significato dell’assenza di reddito monetario della ricerca creativa, nell’ambito di una struttura sociale e culturale contemporanea, dipendete e nella temporaneità parassitaria nei confronti della ricerca – e mia – creativa. A Presto.        

 

 

 

 

 

                          www.ilmanoscrittodipatriziomarozzi.it